x

x

Antitrust: è tempo di una liberalizzazione piena del commercio al dettaglio

commercio al dettaglio
Ph. Anna Fasolo / commercio al dettaglio

In Italia, la concorrenza non gode di buona salute. Come è ben noto, fino a un recente passato l’unico soggetto deputato a erogare beni e servizi di rilievo pubblico era lo Stato, che assolveva a questo compito servendosi di una pletora di enti pubblici economici operanti in regime di monopolio. Nonostante gli avvertimenti sull’insostenibilità di questo modello da parte di giuristi come Tullio Ascarelli e Massimo Severo Giannini, o di economisti prestati al diritto come Luigi Einaudi e Franco Romani, si è dovuta attendere la crisi fiscale degli anni ’90 per smantellare, in modo spesso confuso, la macchina dello Stato “imprenditore” e passare, in modo non sempre consapevole, all’idea di uno Stato “regolatore”.

È in questo contesto che, nell’agenda politica e istituzionale italiana, ha fatto la propria comparsa il tema della concorrenza, quale ordine giuridico privilegiato del mercato (Mengoni, Irti, Amato) e quale strumento di tutela del consumatore (Pera). L’istituzione dell’Autorità Garante della Concorrenza sul Mercato (AGCM) si deve alla legge n. 287/1990 (arrivata cento anni dopo il celebre Sherman Act americano e trentadue anni dopo la creazione della Bundeskartellamt tedesca) e la stessa parola “concorrenza” è entrata in Costituzione solo con la riforma costituzionale del 2001, all’articoli 117 co. 2 lett. e).

Nonostante queste importanti novità istituzionali, la concorrenza è rimasta un tema relativamente negletto. Al fine di imprimervi nuova centralità, nel 2009 è stata approvata la legge n. 99, a norma della quale, ogni anno, l’AGCM è tenuta a inviare all’esecutivo una relazione contenente proposte di riforma volte a «rimuovere gli ostacoli regolatori, di carattere normativo o amministrativo, all’apertura dei mercati, di promuovere lo sviluppo della concorrenza e di garantire la tutela dei consumatori». Il Governo dovrebbe poi tradurre queste segnalazioni in un provvedimento da sottoporre all’approvazione del Parlamento, sul modello della cosiddetta legge “europea”.

Purtroppo, quella della legge annuale per la concorrenza è rimasta una speranza tradita. Delle segnalazioni che l’Autorità ha inviato in questi anni (invero solo quattro: nel 2010, 2012, 2013 e 2014), appena due hanno avuto conseguenze pratiche (nel 2012 e nel 2014). In entrambi i casi, però, la genesi dei provvedimenti è stata tormentata e i passaggi parlamentari ne hanno depotenziato alcune parti qualificanti.

Ora potrebbe affacciarsi all’orizzonte una nuova legge annuale. L’AGCM ha infatti inviato al Governo la segnalazione ex l. n. 99/2009 richiesta direttamente dal premier Mario Draghi nel suo discorso della fiducia.

Il documento si articola in otto parti, dedicate alle infrastrutture, agli appalti pubblici, ai servizi pubblici, alle barriere all’entrata, alla sostenibilità ambientale, alla tutela della salute, ai poteri dell’Autorità, e ad alcune problematiche emerse nel passato e rimaste ancora inevase [si rimanda, per un’analisi più approfondita, alla #MaratonaConcorrenza2021 su leoniblog.it].

Le segnalazioni di maggior rilievo sono quelle in materia di investimenti in banda larga (con una apparente bocciatura del progetto di rete unica) e di appalti pubblici (con la proposta di “sospensione” del Codice degli Appalti, in favore dell’applicazione immediata delle direttive europee). Si tratta di proposte destinate certamente a far discutere ed è possibile che proprio per il loro carattere controverso esse restino lettera morta.

Non dovrebbe (o potrebbe) essere così invece per la segnalazione sulla rimozione degli ostacoli al commercio al dettaglio, che se attuata avrebbe ricadute positive considerevoli per la crescita economica nel lungo periodo. I mesi più difficili della pandemia ci hanno mostrato che l’efficienza e la capacità di adattamento – la “resilienza”, come si usa dire di questi tempi – della vendita al dettaglio (e soprattutto della GDO) sono state essenziali per garantirci un livello di qualità della vita, quanto all’approvvigionamento, che risentisse il meno possibile degli effetti delle misure di contenimento del contagi: il rafforzamento della competitività può condurre a un irrobustimento delle qualità positive dell’intero settore

Difatti, come è stato osservato, in letteratura, alcune forme di deregolamentazione avviate in passato hanno spiegato effetti di crescita importanti. Si pensi alla liberalizzazione degli orari di apertura dei negozi (2011), che ha aumentato l’occupazione e il numero di punti vendita di circa il 2% [Rizzica et al.The effects of shop opening hours deregulation: evidence from Italy, Banca d’Italia, Temi di discussione n. 1281, 2020]: si tratta di un dato in linea con quanto ha rilevato la Commissione europea, a proposito della correlazione tra una regolamentazione del settore meno restrittività e una produttività del lavoro più elevata [Background documents for the European Semester: The EU retail sector, 2018]. Va da sé che maggiore concorrenza genera effetti positivi apprezzabili per i consumatori non solo in termini di varietà, innovazione, qualità dei prodotti e servizi offerti, ma anche quanto al livello dei prezzi. Secondo uno studio relativo all’Italia, infatti, negozi di metratura elevata localizzati in province con regolamenti che limitano fortemente l’ingresso di nuovi operatori presentano profitti mediamente superiori dell’8% rispetto agli stessi negozi situati in province caratterizzate da contesti di mercato meno restrittivi [Schivardi – VivianoEntry Barriers in Retail Trade, Econ. J., 2011]. 

Quanto agli ostacoli normativi alla completa liberalizzazione del commercio al dettaglio, l’AGCM evidenzia la presenza di «stringenti regolamentazioni, soprattutto a livello regionale e locale, che ostacolano il processo di liberalizzazione introdotto a livello nazionale». I più rilevanti sono i requisiti per l’apertura di nuovi esercizi commerciali, le limitazioni all’orario di apertura dei negozi e i vincoli alle vendite promozionali. Pertanto, si propone anzitutto di riordinare i regolamenti che disciplinano i diversi requisiti per l’avvio di attività di commercio al dettaglio, eliminando quelli non necessari e proporzionati.

L’AGCM sembra qui far riferimento principalmente ai requisiti previsti dalle normative di settore ed eventualmente dai regolamenti locali, dal momento in cui è necessario richiedere una “autorizzazione” proprio agli enti comunali per aprire un negozio con una superficie fino a 1.500 metri quadrati per i comuni più piccoli e 2.500 metri quadrati per quelli più grandi.

Ancora, si evidenzia la necessità di abrogare espressamente i vincoli agli orari di apertura e alle chiusure settimanali dei negozi. Difatti, la possibilità di introdurre questi vincoli è stata eliminata solo tacitamente dal d.l. “Salva Italia” (2011) e dal successivo d.l. “Cresci Italia” (2012) e questo sembra consentire, a livello locale, il surrettizio aggiramento della previsione di liberalizzazione. Infine, si propone di eliminare i vincoli alle vendite promozionali e alle vendite di fine stagione. In particolare, l’AGCM ritiene opportuno sopprimere il potere che le Regioni hanno di disciplinare i periodi e la durata delle vendite di liquidazione e delle vendite di fine stagione, lasciando loro solo la facoltà di disciplinarne le modalità di svolgimento e la pubblicità.

Si tratta, in altre parole, di rimuovere restrizioni che peggiorano le condizioni di offerta e la libertà di scelta dei consumatori e che sono prive di una valida giustificazione in termini di efficienza dal punto di vista degli operatori. In verità, quelli delineati dall’AGCM sono interventi non solo “a costo zero”, ma anche di portata non dirompente. Eccettuata la proposta sui saldi di fine stagione, infatti, le altre sono progressioni coerenti – e alle volte solo chiarificatrici – della direttrice di liberalizzazione avviata nel 2011. L’aspetto più interessante di questa segnalazione è, allora, quello di impedire alle Regioni e ai Comuni di approfittare delle pieghe della legislazione vigente per intervenire con norme anticoncorrenziali.

Come è noto, l’articoli 117 co. 2 lett. e) Cost. riserva alla potestà legislativa esclusiva dello Stato la materia della concorrenza, eppure non sono rari i casi in cui gli enti locali provano ad arrogarsi poteri anche al di là delle proprie competenze. L’ultimo caso in ordine di tempo – e piuttosto eclatante – è stato quello della Provincia di Trento, che ha tentato di limitare la libertà di apertura domenicale dei negozi al dettaglio in 12 giornate festive, prima di incorrere nelle bocciature dell’Antitrust e del TAR.

Sul punto, è da ultimo intervenuta anche la Suprema Corte di Cassazione (ord. 11 marzo 2021 n. 6895), che ha accolto il ricorso di un barista – multato per non aver rispettato l’orario di chiusura stabilito con regolamento comunale – proprio sul presupposto per cui la tutela della concorrenza è materia di competenza esclusiva dello Stato.

La Cassazione ha ricordato che, stante la pacifica giurisprudenza della Corte Costituzionale (cfr. nn. 239/2016 e 98/2017), il giudice ordinario è tenuto a rilevare l’illegittimità delle disposizioni normative adottate dagli enti locali in materia di regolazione degli orari degli esercizi commerciali e, per l’effetto, a disapplicare il regolamento viziato.

Secondo la Suprema Corte, una deroga al principio di libera concorrenza che informa la disciplina vigente è prevista in relazione alla libertà di apertura di nuovi esercizi commerciali solo se giustificata da ragioni di tutela della salute, dei lavoratori, dell’ambiente, incluso l’ambiente urbano, e dei beni culturali, e solo se adottata a mezzo di ordinanze contingibili e urgenti (articoli 50 co. 5 TUEL). Difatti, tali provvedimenti, per loro intrinseca natura, devono spiegare effetti spaziali e temporali limitati e devono essere sorretti da una specifica ed adeguatamente motivata individuazione delle situazioni di fatto dalle quali potrebbe originarsi la lesione di interessi pubblici, quali quelli connessi alla salvaguardia dei valori della sicurezza e della salute (che quindi non possono essere disciplinati, in via generale, da regolamenti locali con efficacia indifferenziata e temporalmente indeterminata).

Come già detto, mentre in materia di banda larga e appalti pubblici la polemica politica sarà sicuramente importante, rispetto alle proposte avanzate dall’AGCM sul commercio al dettaglio potrebbe invece agevolmente costruirsi un certo consenso trasversale. D’altronde, il senso vero della segnalazione AGCM è quello di evitare, per quanto possibile, di fornire appigli normativi agli enti locali per adottare (legittimamente o meno) disposizioni in contrasto con i principi di liberalizzazione dei decreti “Salva Italia” e “Cura Italia”.

È pur vero che questo in carica è il Parlamento che aveva discusso della reintroduzione della chiusura domenicale obbligata degli esercizi commerciali (misura opposta dalla grande maggioranza degli italiani), ma se c’è una cosa che l’ultima crisi di governo ci ha insegnato è che tutti possono cambiare idea su tutto. Sarebbe quindi veramente da sciocchi non farlo anche sul tema della piena liberalizzazione del commercio al dettaglio.