Vaccino Covid: la Corte Suprema si pronuncia
La Corte suprema degli Stati Uniti d’America si è pronunciata su due controverse decisioni adottate dall’Amministrazione Biden a proposito di obblighi vaccinali.
Negli scorsi mesi, infatti, la Occupational Safety and Health Administration (OSHA) – un’agenzia del Dipartimento del Lavoro degli Stati Uniti che si occupa di garantire la salute e sicurezza sul lavoro – e il Secretary of Health and Human Services hanno emesso dei regolamenti con cui si è imposta la vaccinazione, rispettivamente, ai lavoratori impiegati presso strutture con almeno cento dipendenti e ai professionisti del settore sanitario (nel caso in cui il loro datore di lavoro riceva i sussidi dei programmi Medicare e Medicaid).
La Corte – che ha agito in via cautelare – ha bloccato l’efficacia del primo programma (con 6 voti contro 3) e autorizzato invece la prosecuzione del secondo (con 5 voti contro 4). Quella che può apparire una vittoria a metà per l’Amministrazione è in verità una sconfitta, dal momento in cui l’obbligo più importante, tra i due, era per l’appunto quello “bocciato”. Proprio su quest’ultimo concentreremo dunque la nostra attenzione.
È opportuno sgombrare il campo da un facile equivoco. La Corte, in entrambi i casi, non si è occupata dalla sostanza dell’obbligo, ossia della costituzionalità di una sottoposizione a pena di sanzione al vaccino anti-Covid. Essa si è invece concentrata sulla questione, all’apparenza meramente formale, dell’individuazione del soggetto cui spetta il potere di stabilire una simile imposizione. Per citare la concurring opinion di Justice Neil Gorsuch, «la domanda centrale che oggi ci poniamo è: chi decide? Nessuno dubita del fatto che la pandemia da Covid-19 ha creato problemi a ogni americano; o che i governi, locali e federale, hanno tutti un ruolo nel contrastare il contagio. L’unica domanda è se un’agenzia amministrativa, sita a Washington, e che è incaricata di supervisionare la sicurezza sul luogo di lavoro, possa obbligare alla vaccinazione. O se, invece, quel compito spetti ai governi locali e ai rappresentanti democraticamente eletti che siedono al Congresso».
A questa domanda, la Corte ha risposto che quell’autorità non è attribuita all’OSHA. «Ci si aspetta che il Congresso si esprima in modo chiaro quando assegna a un’agenzia la facoltà di esercitare poteri di ampio rilievo politico ed economico», hanno ricordato i giudici, giacché, come ebbe a chiosare Justice Antonin Scalia, si presume che «il Congresso non nasconda un elefante nella tana di un topo». In questo caso, si legge in sentenza, la legge ha attribuito all’OSHA il più limitato potere di occuparsi della sicurezza sul posto di lavoro, non quello più ampio necessario per occuparsi di questioni di sanità pubblica. Si potrebbe pure argomentare – come in Italia si è affermato a proposito dell’art. 2087 c.c. – che la prevenzione del contagio da COVID sia una questione di sicurezza relativa al luogo di lavoro: tuttavia, per la Corte, la legge istitutiva dell’OSHA fa riferimento non ai pericoli, potrebbe dirsi, occasionalmente relativi al luogo di lavoro (come pure indubbiamente è il contagio da COVID) ma a quelli necessariamente collegati alla prestazione di lavoro (ad esempio, precauzioni legate all’uso di macchinari pericolosi).
Contro le obiezioni della minoranza, la Corte ha osservato che «il Covid si diffonde a casa, nelle scuole, durante gli eventi sportivi e ovunque le persone si riuniscano. Questo tipo di rischio “universale” non è diverso da ogni altra incognita quotidiana che ciascuno di noi fronteggia. Consentire all’OSHA di regolare questo tipo di pericoli – per il solo fatto che la maggior parte degli Americani è impiegata e ad essi è esposta mentre lavora – significa espandere notevolmente il suo potere regolamentare senza una chiara autorizzazione congressuale». O, per dirla con Scalia, scoprire l’elefante nella tana del topo.
La Corte non ha escluso che un obbligo vaccinale possa risultare costituzionale, purché sia – anzitutto – adottato nelle forme prescritte dalla legge (ciò spiega l’“approvazione” dell’obbligo vaccinale per gli operatori del settore sanitario, benché non vada sottovalutato il parere dei dissenzienti, secondo cui la norma attributiva del potere pone profili di criticità analoghi a quella venuta in rilievo nel caso dell’obbligo “generalizzato”). Come ha evidenziato Gorsuch, ponendosi sulla scia di un’altra e importantissima sentenza resa dalla Corte in materia di sfratti, «sono trascorsi quasi due anni dall’inizio di questa pandemia e i vaccini sono disponibili da più di un anno. Lungo il corso di questo periodo, il Congresso ha approvato diverse leggi per far fronte al Covid-19, ma non ha mai attribuito all’OSHA – o a qualsiasi altra agenzia federale – l’autorità per fissare un obbligo vaccinale. In verità, una maggioranza dei senatori ha addirittura votato per l’abolizione della regolamentazione dell’OSHA». Insomma, ha concluso Gorsuch, a fronte dell’“inagibilità” parlamentare, «pare che l’agenzia abbia impiegato la sua iniziativa amministrativa a mo’ di “scappatoia” normativa» (come, peraltro, in modo non del tutto consapevole, pare aver ammesso proprio il Chief of staff dell’Amministrazione Biden).
Sebbene una tutela, che si fondi sull’aspetto “formale” della separazione dei poteri e sul rispetto delle forme costituzionalmente prescritte per l’adozione di determinati provvedimenti, possa sembrare poca cosa, deve ribadirsi che è proprio nella frammentazione e nella distribuzione delle competenze fra soggetti diversi che si individua la prima difesa dei diritti individuali. Se un organo elettivo, responsabile di fronte a milioni di persone, non riesce a raggiungere un accordo su decisioni di drastico rilievo, non si può – in nome dell’efficienza – lasciare che quella scelta sia “usurpata” da un soggetto che, come nel caso del direttore dell’OSHA, non debba convincere nessuno al di fuori di se stesso. Questi, infatti, non dovendo preoccuparsi di costruire un adeguato consenso, ha adottato un obbligo del tutto «inidoneo» rispetto a un criterio di proporzionalità tra diversi livelli di esposizione al rischio («bagnini e guardalinee sono stati sottoposti alla stessa disciplina riservata a medici e lavoratori nei mattatoi», ha chiosato la Corte).
Un discorso sulla separazione dei poteri può risultare forse meno persuasivo nel contesto italiano, in cui l’uso – e l’abuso – del decreto legge consente all’esecutivo di “eludere” i tempi di ponderazione e di compromesso in Parlamento. Tuttavia, anche con le limitazioni della decretazione d’urgenza, un conto è che, proprio per restare in tema di obbligo vaccinale, la scelta sia il risultato di una valutazione collegiale in Consiglio dei Ministri, sottoposta al vaglio del Presidente della Repubblica e all’approvazione parlamentare; un altro è che essa possa essere, in ipotesi, unilateralmente imposta dal Ministro della Salute, facendo leva sul potere di emanare ordinanze contingibili e urgenti. Per tornare alla concurring opinion di Gorsuch, «la domanda non è come fronteggiare la pandemia, ma chi ha il potere di farlo. Rispettare gli obblighi di legge può essere faticoso in tempi di crisi; ma se ciò avvenisse solo in tempi più tranquilli, le dichiarazioni di stato di emergenza si susseguirebbero senza sosta e le libertà, che la separazione dei poteri inscritta in Costituzioni mira a proteggere, si ridurrebbero a ben poca cosa». Ancora una volta, si tratta di evitare che il Covid contagi anche il diritto.