Illecito statale
Le Sezioni Unite della Corte di Cassazione hanno emesso un’ordinanza che, con il linguaggio dei giuristi di common law, potrebbe dirsi landmark: ossia, destinata a ridisegnare lo scenario giuridico di riferimento. Difatti, le Sezioni Unite hanno ammesso la proponibilità di una domanda per il risarcimento dei danni ex art 2043 c.c. cagionati dall’esercizio “illegittimo” della potestà legislativa, così ribaltando l’orientamento finora consolidato nel senso di negare la configurabilità del cosiddetto “illecito costituzionale”, riservando l’ipotesi di responsabilità dello Stato al solo caso di mancato adeguamento al diritto UE (in quanto fonte sovraordinata). Il principio non è più allora quello notoriamente sintetizzato nella massima King can do no wrong (che, nella rilettura kelseniana, depone nel senso di una sostanziale immunità delle autorità pubbliche, dal momento in cui ciò che conta è che «la giurisprudenza non può riconoscere in nessun atto un illecito dello Stato»), bensì quello esattamente opposto di King can do wrong: anche l’adozione di un atto normativo che risulti illegittimo, in quanto confliggente con fonti superiori o anche solo con principi generali, e che abbia cagionato un danno a un soggetto, può essere fonte di obbligazione risarcitoria.
Altra è la sede opportuna per affrontare con la dovuta profondità i profili, certo problematici, che questa pronuncia pone. Qui, però, possono, da una parte, tratteggiarsi rapidamente alcune criticità che interessano non solo lo studioso del diritto, ma più ampiamente il cittadino interessato al buon governo, e, dall’altra, provare a immaginare lo scenario – in punto di contezioso giudiziale – che queste Sezioni Unite hanno schiuso, con particolare riguardo all’attualità del governo della pandemia.
Sul primo versante, pare rispondere a un intuitivo sentimento di giustizia materiale o di comune buon senso la prospettiva secondo cui debba essere condannato il legislatore che, con il proprio fatto almeno colposo (cioè contrario a regole minime di perizia), abbia arrecato al privato un danno “ingiusto”, poiché lesivo di una situazione giuridica soggettiva meritevole di tutela secondo l’ordinamento giuridico. D’altronde, potrebbe ben dirsi che se il fatto illecito di un privato nei confronti di un altro obbliga il primo a risarcire il danno cagionato, è quantomeno legittimo attendersi che la stessa regola valga nei confronti dello Stato, specialmente là dove quest’ultimo eserciti un potere immenso come quello legislativo.
Tuttavia, come disse quel tale, la situazione appare un po’ più complessa. Anzitutto, è dubbio che un istituto di diritto privato – qual è, e resta, la responsabilità civile – sia adeguato a un contesto pubblicistico come quello del controllo sull’esercizio della potestà legislativa. Il rischio è, infatti, quello di sovraccaricare la responsabilità di funzioni che non le competono, con il risultato di farla esplodere. Se è vero che il grande guadagno della modernità (che, va ammesso, certi giorni assomiglia a una illusione) è l’imposizione di precisi vincoli giuridici al potere politico (non più quindi legibus solutus), è altrettanto vero che la giurisdizionalizzazione della vita politica va guardata con salutare scetticismo. Il tentativo di far convivere l’utopia del diritto con la realtà della politica, per richiamare l’introduzione di Miglio alle più dense tra le pagine schmittiane, non può infatti risolversi nell’assoggettamento integrale della seconda a istituti, categorie e principi generali concepiti per rapporti tra pari, perché ciò finirebbe sia per incrinare quei confini tra Poteri che sono ancora oggi una garanzia di libertà, sia per indebolire una certa dimensione “generale” di controllo, che si esprime ad esempio nell’attivazione del giudizio di costituzionalità (non per caso demandato a un giudice “specialissimo” come quello che siede al Palazzo della Consulta).
Difatti, certe affermazioni contenute nell’ordinanza in esame sembrano aprire alla possibilità per il singolo giudice, investito della domanda di risarcimento del danno, di valutare direttamente la “legittimità” dell’atto, senza attendere una precedente declaratoria di incostituzionalità, e impiegando un parametro assai ampio, quale quello dei principi che si potrebbero dire di “due process” costituzionale, interno e sovranazionale. In questo modo, però, si rischia di confondere i limiti tra un sindacato formale sull’atto politico e il giudizio sulla configurazione del fatto dannoso fonte di obbligazione risarcitoria, sino al punto in cui può dubitarsi che ribadire – come hanno fatto ancora in questa occasione le Sezioni Unite – l’inammissibilità del primo altro non sia che una formalistica adesione al principio della separazione dei poteri, mentre questo viene depotenziato dal punto di vista sostanziale.
Avendo esposto alcune delle perplessità che si accompagnano a una prima lettura dell’ordinanza, si può ora tentare di calare quanto detto sul piano del diritto in quello della realtà materiale. L’attualità è, purtroppo per noi, ancora segnata da controversie profonde sulla legittimità delle misure di contenimento dell’emergenza pandemica: proprio l’ultima decisione del Governo – il cosiddetto super green pass – pare mostrare seri profili di irragionevolezza (vista una certa assenza di proporzionalità delle misure previste per zone bianche e gialle, nonché per il suo assomigliare sempre più a un obbligo vaccinale surrettizio). Si pensi anche al caso del blocco degli sfratti. Di recente, la Corte costituzionale ha “salvato” la disciplina in vigore, evidenziandone però «la natura intrinsecamente temporanea», e cioè ribadendo «l’impossibilità che venga prorogata oltre la scadenza del 31 dicembre 2021». Tuttavia, in quella medesima occasione, la Corte ha lasciato impregiudicata «la possibilità per il legislatore, qualora lo richieda l’evolversi dell’emergenza pandemica, di adottare misure diverse da quella della sospensione dell’esecuzione dei provvedimenti di rilascio (o di alcuni di essi) e idonee a realizzare un bilanciamento adeguato dei valori costituzionalmente rilevanti che vengono in gioco». Là dove il legislatore operi in questa direzione, ogni singolo proprietario-locatore, che ritenga illegittime le nuove misure, potrà – anziché chiedere che si sollevi questione di costituzionalità, come accaduto finora – agire direttamente per la richiesta di risarcimento del danno.
Ovviamente, il caso della gestione della pandemia è il più facile da immaginare, vista la sua attualità, ma la lista di esempi è virtualmente illimitata, potendo coprire qualsiasi legge, con qualsiasi oggetto. È scontato che in molti, armati del novello principio di diritto secondo cui King can do wrong, vorranno quindi comparire di fronte al giudice ordinario e, senza nemmeno porsi la questione dell’impugnabilità di un determinato atto, affermare di essere stati lesi in un proprio diritto fondamentale dall’esercizio “illegittimo” del potere pubblico, richiedendo il conseguente risarcimento del danno. Ciò indurrà la giurisdizione ordinaria a tentare di contenere il flusso di controversie, probabilmente individuando parametri rigorosi in punto di colpa del legislatore e di danno asserito: ma, pur scontando questi limiti, è indubbio che quella dell’“illecito costituzionale” sia una novità dirompente.