Il nuovo orientamento della Cassazione in materia di mandato di arresto europeo
Il nuovo orientamento della Cassazione in materia di mandato di arresto europeo
La decisione quadro 2002/584/GAI del Consiglio dell’Unione Europea, del 13 giugno 2002, ha introdotto l'obbligo, per gli Stati membri, di adottare le misure necessarie per conformarsi, entro il 31 dicembre 2003, all’innovativo provvedimento giudiziario: il mandato di arresto europeo (d’ora in avanti anche MAE). Con ciò, il legislatore unionale, ha inteso creare uno “spazio giuridico comune” nel quale semplificare e rendere più tempestivi i provvedimenti di arresto e di consegna di persone fisiche ricercate anche nei territori degli altri Stati aderenti, al fine di applicare la prevista azione penale, esecuzione della pena o misura di sicurezza.
La legge n. 22 aprile 2005, n. 69, rubricata “Disposizioni per conformare il diritto interno alla decisione quadro 2002/584/GAI del Consiglio, del 13 giugno 2002, relativa al mandato d'arresto europeo e alle procedure di consegna tra Stati membri” ha recepito, nel nostro ordinamento, il citato provvedimento comunitario.
L’emissione del mandato di arresto europeo soggiace a determinate condizioni. In particolare, l’applicazione dello stesso è previsto unicamente nel caso di condanna del soggetto per reati puniti dalla legge dello Stato membro che dirama il MAE con una pena, ovvero con una misura di sicurezza, avente durata massima non inferiore a dodici mesi, o, in caso di sentenza di condanna, una pena ovvero misura di sicurezza non inferiore a quattro mesi.
Prescindendo dagli elementi costitutivi e qualificativi del reato, il presupposto cardine per l’efficacia del mandato di arresto europeo è che i fatti reato per cui il provvedimento viene emesso trovino riscontro in medesime fattispecie di natura penale anche nello Stato membro ove viene poi materialmente eseguito (c.d. principio del riconoscimento reciproco), ma del resto tale assunto è già notoriamente alla base della stragrande maggioranza dei trattati di collaborazione internazionale.
Da un punto di vista tecnico, il mandato di arresto europeo si compone di tre distinte fasi di esecuzione:
- il provvedimento viene comunicato dall’Autorità Giudiziaria emittente all’autorità che dovrà provvedere all’esecuzione del provvedimento;
- l’Autorità ricevente esegue il mandato ovvero oppone uno o più motivi di rifiuto ex artt. 3 e 4 della decisione quadro;
- l’Autorità Giudiziaria ricevente decide circa la consegna dell’arrestato allo Stato emittente.
La tematica del mandato di arresto europeo ha ricevuto nel tempo, come ovvio, molta attenzione da parte della dottrina e della giurisprudenza, ed anche recentemente la VI Sezione della Corte di Cassazione, con pronuncia del 2 febbraio 2023, n. 5233, ha sancito alcuni aspetti concernenti l’aspetto relativo alla consegna del destinatario del provvedimento.
Viene statuito, infatti, che spetta alla Corte d’Appello:
- valutare, caso per caso, le condizioni soggettive e oggettive concernenti l’esecuzione del MAE;
- la facoltà, motivata, di opporre o meno la possibilità ostativa relativa al possesso o meno della cittadinanza italiana da parte del soggetto destinatario del provvedimento.
Tale valutazione, in particolare, deve sottendere svariati fattori, quali (a mero titolo esemplificativo e non esaustivo) la qualificazione del fatto reato, la sua gravità, la sua incidenza nel panorama sanzionatorio nostrano, gli eventuali riflessi che la cosa potrebbe avere a livello di cooperazione giudiziaria europea ovvero profili di transnazionalità della condotta.
Questi presupposti, lasciano intendere i magistrati della VI Sezione, non sono solo meri elementi formali legati alla corretta applicazione della normativa penale italiana ed ai suoi collegamenti con quella degli altri Paesi, bensì concrete manifestazioni di interesse all’effettivo reinserimento sociale della persona fisica condannata in altro Stato ed oggetto del mandato di arresto europeo.
L’importanza di questa sentenza è quella di invitare l’ufficio giudiziario competente (in questo caso la Corte d’Appello) a valutare criticamente il necessario bilanciamento tra l’interesse punitivo da parte dello Stato estero nel cui ambito territoriale si è consumato il fatto reato e la funzione rieducativa, costituzionalmente prevista, della pena e di reinserimento sociale del soggetto, da tutelare a prescindere dalla natura dell’atto esecutivo.