Cessione sportiva: plusvalenza sottoposta ad Irap
Cessione sportiva: plusvalenza sottoposta ad Irap
Se vi è contratto in corso e le parti convengono un corrispettivo per il passaggio del professionista ad altra società di calcio, dal punto di vista fiscale, essa “rappresenta un’operazione equiparabile alla cessione di un bene immateriale, suscettibile di generare una plusvalenza e, dunque, soggetta ad Irap”.
Così la Suprema Corte di Cassazione con l’ordinanza n. 2376 del 9 gennaio 2023, depositata il 25.01.2023, ha definito il caso riguardante il mancato rimborso di somme versate all’Erario da parte di una società di calcio professionistica la quale, per l’effetto, impugnò il silenzio-rifiuto opposto dall’amministrazione finanziaria.
In primo grado i giudici tributari accolsero la teoria della società sportiva assumendo per valido il diritto al rimborso dell’imposta atteso che il trasferimento di un giocatore professionista durante la vita del contratto comporta in sé una mera “risoluzione del contratto originario con il calciatore”.
Convincimento giudiziale, quest’ultimo, poi ribadito e confermato in sede di appello; sede in cui, addirittura, si era posto il problema di circoscrivere la natura del corrispettivo precisandosi come non si trattasse di una “cessione di beni strumentali - così da generare un debito di imposta”.
Da qui nasce il ricorso per cassazione dell’Erario che, invece, considerava il corrispettivo della cessione prima della scadenza naturale del rapporto contrattuale in corso come riconducibile allo schema della cessione del contratto nei termini previsti dall’art. 5, secondo comma, della l. n. 91/1981.
Accogliendo il ricorso della parte pubblica, la Suprema Corte di Cassazione anzitutto ammette, in via implicita, il difficile inquadramento giuridico-storico a causa dell’avvicendarsi di diverse normazioni in materia. Pertanto “prima dell’entrata in vigore della legge n. 91/1981, lo sportivo professionista era legato alla società sportiva dal contratto di prestazione e dal cd. vincolo sportivo”; tale vincolo costituendo, quindi, un rapporto autonomo e distinto che consentiva alla società acquirente il c.d. “diritto di utilizzare le prestazioni dell’atleta per l'intera durata della sua carriera, salva la possibilità di alienare tale diritto a terzi”.
Tuttavia, continua la Corte nella motivazione della decisione, tale disciplina degli anni ottanta, per come modificata nel tempo, “consente che tale contratto sia ceduto a titolo oneroso, prima della sua scadenza” tenendo però debito conto anche dell'art. 11, comma 3, del d.lgs. n. 446/1997 a mente del quale “ai fini della determinazione della base imponibile” concorrono anche le plusvalenze e le minusvalenze relative a beni strumentali non derivanti da operazioni di trasferimento di azienda.
Base giuridica per cui gli Ermellini si son discostati dai giudici tributari di merito specificando, al contempo, che il diritto all’utilizzo esclusivo delle prestazioni dell’atleta è un “bene dotato di una autonoma utilità economica” e come tale sottoponibile alla classica negoziazione diretta fra società. Eventualità che rende riconducibile il tutto al quadro dei beni immateriali strumentali in relazione all’esercizio dell’impresa (punto su cui peraltro è stato richiamato parzialmente il parere n. 5285/2012 del Consiglio di Stato).
Un caso, quello in esame, che ha portato la Cassazione a ribaltare i giudicati di merito favorevoli alle società contribuenti enunciando, infine, il principio di diritto di cui in incipit del presente articolo.