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Revenge porn: una occasione mancata da parte del legislatore

nuvole e lenzuola
Ph. Cinzia Falcinelli / nuvole e lenzuola

Abstract

L’articolo 612 ter c.p. è stato introdotto nel nostro ordinamento giuridico con la L. 19 luglio 2019, n. 69.

La nuova fattispecie è il risultato di alcune iniziative legislative volte alla tutela dei soggetti esposti ai rischi della c.d. “Internet society”. Attraverso un analisi critica e svolgendo alcune considerazioni sulle prospettive de iure condendo, si cercherà di fotografare lo stato dell’arte ed individuare percorsi per rendere l’applicazione dell’articolo 612 ter c.p. coerente ed effettiva.

Article 612 ter of the Criminal Code was introduced into our legal system with the L. 19 July 2019, n. 69.

The new case is the result of some legislative initiatives aimed at protecting subjects exposed to the risks of the so-called "Internet society". Through a critical analysis and carrying out some considerations on the perspectives de iure condendo, we will try to photograph the state of the art and identify paths to make the application of article 612 ter of the Criminal Code consistent and effective.

 

Indice:

1. Fondamenti normativi della nuova fattispecie

2. Collocazione sistematica dell’articolo 612 ter Codice Penale: errore o “intentio legislatoris”?

3. Breve analisi della fattispecie: uno sguardo “critico”

4. L’articolo 612 ter Codice Penale tra (mancate) ipotesi aggravate e revirement giurisprudenziali

5. Considerazioni conclusive

 

1. Fondamenti normativi della nuova fattispecie

Una delle novità più significative della Legge 19 luglio 2019, n. 69 è stata l’introduzione, all’interno del codice penale, della fattispecie di cui dall’articolo 612-ter Codice Penale, denominata “diffusione illecita di immagini o video sessualmente espliciti”.

La novità legislativa trova il proprio fondamento in alcuni importanti interventi normativi di carattere internazionale.

Un primo significativo impegno dell’Italia in tal senso è dato dalla ratifica della “Convenzione del Consiglio d’Europa sulla prevenzione e la lotta contro la violenza nei confronti delle donne e della violenza domestica” dell’11 maggio 2011 (c.d. Convenzione di Istanbul).

Le norme contenute nella Legge 69/2019 costituiscono altresì l’ultima (parziale) attuazione dei principi espressi nella Direttiva 2012/29/UE del Parlamento Europeo e del Consiglio del 25 ottobre 2012, a cui è stata data attuazione nel nostro ordinamento con il Decreto Legislativo 15 dicembre 2015, n. 212.

La normativa introdotta dal “Codice Rosso sembra rappresentare altresì una risposta alle censure rivolte all’ordinamento del nostro paese con la sentenza della Corte EDU nel caso “Talpis c. Italia”; tali censure hanno evidenziato, ad avviso della Corte di Strasburgo, una violazione dei principi contenuti agli artt. 2 e 3 CEDU.

 

2. Collocazione sistematica dell’articolo 612 ter Codice Penale: errore o “intentio legislatoris”?

Il primo profilo problematico concerne l’inserimento dell’articolo 612 ter Codice Penale nel Libro II, Titolo XII, Sezione III del Codice penale, dedicata ai delitti contro la libertà morale.

Gli osservatori più attenti hanno sottolineato come la Sezione III del Titolo XII non costituisse la sedes materiae più opportuna per la collocazione della fattispecie, proponendo due alternative: la prima consiste nell’inserire la fattispecie in questione all’interno della Sezione II, dedicata ai delitti contro la libertà personale.

La seconda soluzione suggerita consiste nella creazione di una “nuovo ed apposito” Titolo, eventualmente dedicato alla “Tutela della riservatezza sessuale”.

Tali elaborazioni non sono il frutto di capricci dogmatici o espressione di una “idolatria delle forme”.

Esse, al contrario, mettono “a nudo” una visione di tali nuovi fenomeni criminosi ancorata alla tutela dell’onore, dell’immagine e del decoro, scarsamente valorizzante il profilo della libertà (di autodeterminazione) sessuale di ciascun individuo.

Bene giuridico che, all’esame dei fatti, risulta statisticamente quello maggiormente preso di mira dagli autori di tali condotte criminali.

Visione che ha portato ad una formalizzazione della fattispecie problematica e tutt’altro che scevra da criticità, non essendo stata adeguatamente valorizzata la natura plurioffensiva del reato p. e p. dall’articolo 612 ter Codice Penale

 

3. Breve analisi della fattispecie: uno sguardo “critico”

La fattispecie prevista dal comma 1 dell’articolo 612 ter Codice Penale punisce “chiunque, dopo averli realizzati o sottratti, invia, consegna, cede, pubblica o diffonde immagini o video a contenuto sessualmente esplicito, destinati a rimanere privati, senza il consenso delle persone rappresentate”.

L’elemento soggettivo richiesto in capo all’autore del reato è costituito dal c.d. dolo generico.

È fondamentale rilevare come la fattispecie “base” punisca solamente i soggetti che hanno materialmente realizzato o fraudolentemente sottratto del materiale sessualmente esplicito appartenente ad un determinato soggetto, senza il consenso di quest’ultimo.

Nulla si dice riguardo ai soggetti che si trovano nella posizione di meri “ricettori” di tale materiale, in quanto destinatari dello stesso da parte del soggetto che materialmente l’ha realizzato.

Di essi, oltre che dei c.d. secondi distributori, si occupa il comma 2 dell’articolo 612 ter Codice Penale

Per tali categorie di soggetti, dal punto di vista dell’elemento soggettivo, non viene più richiesta la presenza del “solo” dolo generico, bensì quella del c.d. dolo specifico.

Tali soggetti devono, infatti, agire al precipuo fine di “recare loro [alle vittime del reato, N.d.R.] nocumento”.

Una definizione di "nocumento" ormai comunemente accettata da costante giurisprudenza di legittimità individua lo stesso come “un pregiudizio giuridicamente rilevante di qualsiasi natura, patrimoniale o non patrimoniale, subito dalla persona alla quale si riferiscono i dati o le informazioni protetti […] ma anche da terzi quale conseguenza dell’illecito trattamento” (Cass. Pen., Sez. III, sent. n. 15221/2016).

In base a tale definizione e tenendo bene a mente che lo stesso secondo comma richiama l’elemento della mancanza del consenso delle persone rappresentate, ci si chiede come possano verificarsi casi di diffusione di materiale sessualmente esplicito, senza il consenso della persona ritratta, che non presentino l’intento più o meno esplicito di arrecare nocumento per quest’ultima.

Non è possibile, a parere di chi scrive, ricondurre ad ipotesi di “mero” dolo generico la diffusione effettuata da soggetti che hanno ricevuto tale materiale da chi l’ha prodotto o da soggetti terzi, giustificando in vario modo tale assunto (talvolta con la mancanza di un rapporto diretto con la vittima; talaltra con il “rilievo pubblico” del personaggio in questione, il quale indurrebbe alla maggiore diffusione di tali materiali per meri fini di curiosità).

Ogni diffusione successiva di materiale sessualmente esplicito, di cui peraltro si può già ragionevolmente presupporre (se non addirittura conoscere con certezza) la mancanza ab origine del consenso della vittima alla diffusione dello stesso nonché la sofferenza morale che consegue a tale diffusione, non può che risolversi sempre in una deliberata e cosciente volontà di arrecare un ulteriore pregiudizio (rectius: nocumento) ad un soggetto già gravemente leso nei propri fondamentali diritti.

Di talché, legittimi dubbi sorgono sulla necessità di “ulteriori” sforzi probatori in sede processuale per la dimostrazione del dolo specifico, potendo risultare, in concreto, priva di pregio giuridico la differenziazione (fatta dal Legislatore) con l’elemento soggettivo della condotta prevista e punita dal comma 1.

 

4. L’articolo 612 ter Codice Penale tra (mancate) ipotesi aggravate e revirement giurisprudenziali

Viene anzitutto in rilievo l’aggravante prevista dal comma 3 dell’articolo 612 ter Codice Penale, secondo cui “la pena è aumentata se […] i fatti sono commessi attraverso strumenti informatici o telematici”.

La criticità nasce dall’utilizzo di una tecnica di redazione della fattispecie non sconosciuta al Legislatore, tale per cui si qualificano come aggravanti situazioni che, di fatto, costituiscono nella realtà materiale la stragrande maggioranza statistica della fattispecie in questione (l’esempio più “noto” è probabilmente costituito dal rapporto tra i commi 1 e 4 dell’articolo 416 bis c.p).

Se da un lato è evidente la maggiore insidiosità data dalla viralità che un contenuto può assumere se diffuso attraverso il mezzo informatico o telematico, dall’altro l’inserimento di tale nuova fattispecie nel codice penale è avvenuto, di fatto, sulla scorta della necessità di regolare tale “nuovo” tipo di fenomeno, e non manifestazioni diverse (e con assai minor potenziale diffusivo, peraltro già presenti nella realtà da molti più anni) dello stesso.

Col risultato di poter rendere il trattamento sanzionatorio estremamente severo (si ricorda inoltre che la pena edittale massima prevista dal Legislatore già non consente all’imputato di usufruire della sospensione del processo con messa alla prova ex articolo 168 bis Codice Penale).

In seconda battuta, sempre il comma 3 punisce la diffusione da parte di persona “che è o è stata legata da relazione affettiva alla persona offesa”.

Se tale formulazione è stata pensata dal Legislatore con l’intento di rendere “elastici” i confini della fattispecie d’altro canto, in spregio del principio di tassatività-determinatezza nella formulazione delle fattispecie penali, si è reso assolutamente incerto e di difficile individuazione il concetto di “relazione affettiva” (dopo quanti incontri una conoscenza può definirsi “relazione affettiva”?) rischiando così di cumulare “altrettanto facilmente” tale circostanza aggravante con quella illustrata supra.

Infine, viene in rilievo la mancata (quanto emblematica della “fretta” legislativa) previsione, all’interno della fattispecie, dell’aggravante di aver commesso la condotta nei confronti di un soggetto minorenne.

Non si darà qui conto del complesso rapporto tra la fattispecie ex articolo 612 ter Codice Penale e quella di cui all’articolo 600 ter Codice Penale, già ampiamente esplorato in dottrina.

Ci si limiterà ad analizzare brevemente il contenuto della più recente sentenza depositata dalla Cassazione Penale nel febbraio 2020 (Sez. III sent. n. 5522/2020).

La Suprema Corte, con l’arresto in esame, ha effettuato un deciso revirement della propria giurisprudenza riguardo l’interpretazione dell’articolo 600 ter Codice Penale

In relazione alle fattispecie previste dal comma 2 e ss., articolo 600 ter Codice Penale, infatti, non viene più richiesto che il materiale pedopornografico sia stato prodotto da persona diversa dal soggetto minorenne ritratto.

Anche le immagini prodotte dalla vittima del reato e diffuse illecitamente, affermano le Sezioni Semplici della Cassazione, rientrano nell’alveo della fattispecie de quo.

Cade, quindi, il caposaldo della necessaria alterità tra soggetto ritratto ed autore del contenuto sessualmente esplicito (che rimane valido solamente per le ipotesi di produzione di cui al comma 1, numero 1), articolo 600 ter Codice Penale).

La Cassazione propone tale nuova “lettura” della fattispecie per ovviare, di tutta evidenza, ad una situazione, peraltro già sottolineata, di totale vuoto normativo.

Nonostante l’argomentazione della Suprema Corte, tuttavia, non può non farsi notare quantomeno come tale revirement sia giunto dalla stessa Sezione semplice; come tale orientamento non risulti “consolidato” e, da ultimo, dei problemi di analogia in malam partem che sembrano comunque permanere nel percorso argomentativo effettuato dalle toghe del “Palazzaccio”.

 

5. Considerazioni conclusive

Tirando le conclusioni del percorso argomentativo svolto è evidente come risulti fortemente auspicabile un intervento del Legislatore che vada a ridisegnare la fisionomia dell’articolo 612 ter Codice Penale.

La fattispecie, da un lato, non fornisce adeguate tutele alle persone danneggiate; dall’altro, risulta di difficile interpretazione per tutti i consociati che debbano valutare l’eventuale illegalità delle proprie condotte, in violazione del generale principio della necessaria conoscibilità ex ante del precetto penale.

Concentrando l’attenzione sulle vittime, poi, la situazione “di fatto” risulta ulteriormente pregiudizievole.

È recente, infatti, una sentenza del Tribunale di Roma (sezione Lavoro, sent. n.  9992/2019) con la quale esso ha dichiarato legittima la revoca dell’incarico ad un responsabile di un’azienda, vittima di revenge porn, poiché l’evento è stato considerato lesivo del rapporto di fiducia con l’agenzia datrice di lavoro.

Secondo i giudici, infatti, l’evento verificatosi aveva recato un danno d’immagine alla suddetta azienda

Senza nuovi paradigmi normativi, giurisprudenziali e soprattutto socio culturali, espressioni peraltro del supremo principio della dignità umana sancito dall’ articolo 2 della Costituzione, non vi potrà essere sicura tutela dei consociati di fronte all’avanzata dei fenomeni di “revenge porn”.