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Cino da Pistoia: tutto per il diritto e nulla per esso nei mondi contemporanei

Un’antica verità: serve un’anima per il diritto

Duomo di Pistoia (interno),:Maestro senese, monumento di Cino da Pistoia, 1337 circa
Duomo di Pistoia (interno),:Maestro senese, monumento di Cino da Pistoia, 1337 circa

Cino da Pistoia: tutto per il diritto e nulla per esso nei mondi contemporanei

 

Abstract

Il mero tecnicismo su cui può appoggiarsi la ricerca di una “novità” sui fondamenti giuridici, già intravisti nel passato storico, rischia di assottigliare quegli interrogativi fondamentali che rimangono ineludibili per ogni ramo del diritto in cui si ramifica il concetto dell’umano et aequo: Si rivela invece in tutta la loro veemente necessità.

 

The mere technicality on which the search for a “novelty” on legal foundations, already glimpsed in the historical past, can rely, risks thinning out those fundamental questions that remain unavoidable for every branch of law in which the concept of the human and fair is branched out instead it reveals in all their vehement necessity.

 

Ho diritto alla vita, al nome, alla nazionalità,

per sviluppare la mia personalità.

Ho diritto di preferire la religione da praticare

e rivolgermi a Dio per pregare.

Ho diritto a conoscere ogni mio diritto,

perché se lo ignoro sono fritto!

G. Rodari

 

Raffigurazione storica

Discendente della famiglia dei Sighibuldi; Giurista, Poeta pistoiese (con probabilità 1270-1336 ovvero 1337) studiò con ardita passione giurisprudenza a Bologna, sotto la direzione e controllo di Dino Francesco d’Accursio, Lambertino Ramponi (1292-93) e di seguito trovò ingresso alla scuola di Pierre de Bellepeche in Orléans.

Ritornato a Pistoia (1302) fu coinvolto, nelle dense lotte politiche dove per esse fu esiliato ben due volte nel 1292 e nel 1308. Sostenne l’imperatore Enrico VII di Lussemburgo (1310-1313), nel ruolo di consigliere ebbe incarichi da Ludovico di Savoia a Firenze e a Roma. A seguito della morte dell’imperatore abbandonò la politica e si dedicò pienamente alla professione e all’insegnamento.

Con il conseguimento della laurea dottorale nel 1314 a Bologna insegnò a Siena, Perugia e Napoli, dove ebbe tra i suoi uditori Boccaccio. Nel 1332-33 dopo ancora aver sostato per studi in Perugia, rientrò definitivamente in patria dove fu eletto gonfaloniere e in seguito membro del consiglio del popolo, dove morte lo colse alla fine del 1336, primissimi anni del 37 (vi sono dubbi in merito).

Fu tra i maggiori amici di Dante e Petrarca, il quale lo pianse a sopraggiunta morte in un sonetto: Piangete, donne, et con voi pianga Amore […] composto nel 1337 in commemorazione del poeta assai vicino allo Stilnovo; invitando le donne e l’Amore a piangerlo, compresi i suoi concittadini che l’avevano ingiustamente esiliato (dal Canzoniere del “92”).


La sua giuridicità invisa da molti

 

Come giurista, la Summa Sua Opera indubbiamente fu la Lectura in Codicem (ossia un commento alle leggi ritenute maggiormente importanti contenute nei primi nove libri del Codice giustinianeo) come notevolissime sono una mutila Lectura in Digestum vetus, molte additiones, ed alcuni Consilia, una Questio, oltre a copiose opere andate perdute.

Fece parte della scuola dei commentatori; merito “principe” fu avversare l’antica scuola bolognese e soprattutto il metodo dei glossatori, l’osservare con stima non “servilista” i giuristi di foggia francese ed il metodo dialettico, l’adattare il diritto alle esigenze del tempo, inaugurando una scuola nuova, sorpassando le antiche tendenze.

Avversò con vivacità i canonisti, fu sostenitore acceso del potere civile contro l’ingerenza ecclesiastica, perseguì ideologia imperiale nei suoi testi scritti, così come la visse: a parer suo, l’imperatore era soggetto solamente a Dio, dal quale in modo esclusivo riceve il potere, e la donazione di Costantino non solo poteva prescriversi ma anche essere revocata: metafora forte la sua, che la luna dovesse rappresentare il Papato ed il sole l’Impero.

Rammentiamo che in età rinascimentale, le intere leges giustinianee vennero sostituite dal lemma ossia le prime parole del frammento della norma, a cui faceva seguito l’esegesi dell’autore che andava a riempire l’integrale pagina.

La duttile e pratica interpretazione dei commentatori d’Orléans constava di tre elementi:

a) le distintiones, ossia la scomposizione di concetti generali in concetti specifici sotto forma di elencazioni;

b) la repetitio, ossia la riproposta (repetita) in sunto del contenuto di un singolo passaggio del Corpus iustinianeus. Nella repetitio si estrinsecava il potenziale interpretativo e narrativo dei legum doctores orleanesi, i quali non andavano alla ricerca del significato di ogni parola (ad oggi la filologia del termine) contenuta nel passo, ma la ratio legis – nella sua astrattezza – propria al brano nel suo complesso, con analisi approfondita nel suo insieme;

c) le questiones, ovvero l’analisi delle singole fattispecie che dovevano essere ricondotte alle disposizioni giustinianee utilizzando, il ragionamento analogico –analogia legis- della e sulla legge.

Sulla base degli elementi suindicati, i giuristi orleanesi diedero vita ai primi commentaria, la cui divulgazione nella penisola d’Italia è stata testimoniata da Cino da Pistoia, che universalmente a gran voce viene considerato il pater genus italicum commentum.

In passato si era ipotizzata la tesi che Cino da Pistoia fosse uno degli allievi di Pierre de Belleperche, oggi è stato appurato che egli non andò mai in Francia. Assistette ad un’unica lezione del giurista francese, tenutasi a Bologna nel 1296. All’epoca studente, seppur d’intuito fine, ebbe modo di udire il grande mentore di cui conosceva sapientemente l’opera in piazza Santo Stefano, adibita ad auditorium pubblico in Bologna.

Riuscì a completare l’esegesi del Corpus iuris civilis con canoni differenti da quelli ritenuti “normali” od ordinari, fatti propri dalla Magna glossa accursiana, prasseologica ed universalmente accettata.

L’esegesi del “Pistoiese” si compone di cinque fasi:

1) la suddivisione della legge nelle varie parti che la compongono;

2) l’individuazione del casus (fattispecie concreta);

3) l’individuazione dei notabilia (passaggi fondamentali);

4) la formulazione di questiones che costituivano l’oggetto del commento reale, ed in ultimo,

5) la sussunzione del fondamento di legge in oggetto.

L’uso – a seguire – del commento e la contestuale analisi dei due diritti fondamentali riconosciuti: Iuris civili set Iuris canonici impreziosì maggiormente i consilia dei legum doctores, oramai chiamati e conosciuti per fornire consilia pro veritate.

La docenza applicata dei diritti universali all’interno delle università e nei fori giuridici fu tramandata per mezzo della commentaria sino alla fine del XVIII sec., in particolare fino al 1789, anno in cui iniziò a sorgere l’età codicistica, dalla quale scaturì una sola fonte ritenuta etero sufficiente e non abbisognosa di integrazioni: il Codice.

Il nocciolo della scienza giuridica secondo Cino da Pistoia è la ricerca dell’umano equilibrio, quella aequitas che dalle origini esiste in ogni singolo rapporto umano; ciononostante, la medesima si modifica divenendo comando imperativo e cioè praeceptum solamente post intervento di colui che detiene il potere di porre ad esistenza e promulgare una norma cogente e, poiché nell’intervento dell’uomo vi possono essere degli errori, il diritto potrebbe discostarsi dall’equità.

Il giurista, dunque, ha il dovere – secondo il vate pistoiese – di utilizzare lo strumento interpretativo della dialettica. Senza abbandonarsi e limitarsi nei canoni di questa dialettica e, inoltre, deve saper allontanare l’autorità di ogni opinione ritenuta inaccettabile e non accoglibile.


Conclusioni in pillole

Il bisogno di afferrare e marcare nelle analisi riflessive a cui si è giunti, di un’“anima per il diritto” per trovare soluzioni idonee ad una società perennemente in trasformazione come l’essere umano che cerca e sostiene la sua esperienza.

Avere quel coraggio capace di discutere su ciò che orienta verso il giusto e ciò che si allontana dal civilmente accettabile; senza indifferenze sulle altrui libertà e scelte, sempre per evolversi da arroccamenti tradizionalisti o di vantaggio o solamente per ancoraggi politici.

Bisogna individuare in ogni tratto storico con “profetica lucidità” i sintomi e le cause o concause del declino di ogni tempo. L’osservazione a cui è appellato il giurista è di non accomodarsi alle scelte di comodo che può fornire il diritto ma spingersi dall’anelito ad una dimensione ragionata e ritenuta opportuna capace di giustificare le scelte proposte.

Invece di inseguire ed accettare quel reticolato legislativo necessario, accettato e delimitato nell’eccesso delle analogie, tutti praticano l’autoespansione, condotta sino all’estrema capienza delle leggi, sino a quando i contorni giuridici cominciano a sfumare.

Tali sono le premesse da cui scaturisce quell’intero magma di valutazioni che trova la sua sintesi di pregio dalla quale si intende prendere l’idea di critica costruttiva: “No, la società non può re-stare in un abisso senza leggi come da noi, ma è anche derisoria la proposta di collocarsi, come qui da voi, sulla superficie tirata a specchio di un giuridismo senz’anima”.

Dalla bellissima opera: “Un’anima per il diritto: andare più in alto” Mucchi editore, Modena 2022.

(vedi: Collana open access diretta da Geraldina Boni in Alma Mater Studiorum, Università di Bologna issn 2724-4660; Aleksander Solzenicyn: “Un mondo in Frantumi”, Supplemento al n. 10 di Litterae Communionis CL 1978)