x

x

Lidia Poët, la prima donna avvocato

Lidia Poët: capacità, caparbietà e determinazione per esercitare l’avvocatura.
Lidia Poët
Lidia Poët

La figura dell'avvocata Lidia Poët è intrisa ancora oggi di un fascino particolare, non solo perché è stata una delle prime donne a laurearsi in Italia in Giurisprudenza, un corso di laurea prettamente maschile all'epoca, ma anche per la caparbietà e la straordinaria determinazione con le quali difese il diritto di esercitare la professione di avvocata.

Nel 1881, Lidia Poét si laurea col massimo dei voti alla facoltà di giurisprudenza di Torino. Dopo due anni di pratica legale, supera l’esame di abilitazione e presenta all’Ordine degli Avvocati la domanda per essere iscritta all’albo degli Avvocati e dei procuratori legali.

In assenza di norme che escludessero le donne dalla professione di Avvocato, il Consiglio dell’Ordine degli avvocati di Torino iscrive la Poët, prima donna in Italia, all’albo degli Avvocati (con 8 voti favorevoli e 4 contrari).

È opportuno sottolineare a chiare lettere che la legge professionale dell’epoca certo non impediva, né proibiva, l’esercizio della professione forense ad una donna.

La comparsa di alcuni articoli, di natura polemica e prettamente sessista, contro la presenza di una donna nell’albo professionale crearono le condizioni per impugnare il provvedimento di ammissione.

La Corte d’Appello di Torino, su ricorso del Procuratore Generale del Re annulla l’iscrizione sull’assunto che la professione forense fosse un pubblico ufficio e come tale vietato alle donne. Anche la Cassazione, successivamente adita dalla Poët, conferma l’esclusione delle donne dalla professione di avvocato.

L’avvocheria è un ufficio esercitabile soltanto da maschi e nel quale non devono immischiarsi le femmine”.

L’estratto del pronunciamento della Corte d’Appello di Torino.

Dopo la sentenza Lidia Poet rilascia una intervista al Corriere della Sera il 4 dicembre 1883 dove esclama ironicamente: “I miei avversari hanno un concetto assai strano delle loro mogli, delle loro sorelle, delle loro madri. Essi parlano sempre della donna come di cosa essenzialmente fragile. Come potranno esse conservare con religione il segreto dei loro clienti negli oggetti litigiosi? Per tale cosa occorrono – capacità scientifica, intelletto civile, fortezza, longanimità, interesse, versatilità e libertà d’azione! –. Tutte virtù che secondo loro sono interamente negate alla donna. Mi accusano poi di respingere le buone leggi ed i buoni dettami, di invocare i principi della grande rivoluzione e di brandire la bandiera della emancipazione della donna respingendo teorie tutelari del mio sesso e del decoro e della dignità delle aule magistrali”.

Lidia Poet, di fronte ad una situazione di fatto giuridica e legislativa che escludeva le donne – in quanto donne – dall’avvocatura non si arrende e decise di presentare un ricorso alla Corte di Cassazione. Il ricorso fu poi rigettato e Lidia fu costretta a limitarsi a collaborare col fratello Enrico presso il suo studio. La sua attività, anche se non poteva essere esercitata a pieno titolo, si concentrò nella difesa dei diritti dei minori, degli emarginati e delle donne. Inoltre, si impegnò nel sostenere la causa del suffragio femminile.

Nonostante gli impedimenti che le sbarrarono la via, partecipò al primo Congresso Penitenziario Internazionale a Roma, nel 1883, e al quarto Congresso Penitenziario Internazionale a San Pietroburgo, nel 1890. Rappresentò l’Italia in diverse occasioni in qualità di vicepresidente della sezione di diritto del Segretariato del Congresso Penitenziario Internazionale. Fu anche nominata Officier d’Académie dal Governo francese, che per l’occasione la invitò a Parigi. Infine, ottenne una medaglia d’argento per l’opera prestata quale infermiera per la Croce Rossa durante la prima guerra mondiale.

Grazie al movimento delle donne, nel 1919 il Parlamento approva la legge Sacchi che ammette le donne ad accedere ai pubblici uffici, ad eccezione della magistratura, e Lidia Poét all’età di 65 anni, finalmente, diventa Avvocato.

La prima, in Italia: “Le donne sono ammesse, a pari titolo degli uomini, ad esercitare tutte le professioni e a coprire tutti gli impieghi pubblici, esclusi quelli che implicano poteri pubblici giurisdizionali o l’esercizio di diritti e di potestà politiche, o che attengano alla difesa militare dello Stato”.