x

x

Rifiuto di atti d’ufficio, diritto di accesso a documenti amministrativi e privacy

Nota a GUP Trani, Sentenza 22 febbraio 2008
Con sentenza n° 716/07, resa a seguito di giudizio abbreviato, il G.U.P. presso il Tribunale di Trani, in persona della dr.ssa Maria Teresa Giancaspro, ha assolto un pubblico ufficiale dall’accusa di rifiuto ed omissione d’atti d’ufficio, riconoscendo l’insussistenza del fatto-reato ascrittogli.

L’imputato era responsabile dell’ufficio amministrazione di una caserma ed è stato tratto a giudizio a seguito di querela sporta dalla ex-moglie di un militare, la quale per esigenze connesse al procedimento civile di separazione, nella predetta qualità gli richiedeva di conoscere i dati relativi allo stipendio percepito dall’ex marito.

Il pubblico ufficiale entro i 30 gg. rispondeva telefonicamente, comunicando al difensore della richiedente che senza un ordine dell’A.G. non avrebbe potuto evadere tale richiesta, sussistendo ragioni di tutela della privacy del soggetto interessato.

Questo atteggiamento, secondo la tesi dell’istante, costituitasi parte civile, rappresentava un atteggiamento indebito e lesivo delle disposizioni di cui alla L. 241/90.

La difesa dell’imputato evidenziava, però, in primo luogo, la necessità di un preventivo atto di diffida da parte del richiedente, diffida ad adempiere che deve essere notificata espressamente al soggetto responsabile del procedimento (cfr. a titolo esemplificativo Cass. Pen., Sez. VI , 8263/’00; Cass. Pen., Sez. VI, 10002/’00; nel merito v. Trib. Pescara 20/2/’01; Trib. Fermo 22/7/’02).

In secondo luogo che la risposta non necessariamente deve essere data per iscritto, essendo sufficiente una mera comunicazione verbale, idonea ad evadere la richiesta.

In proposito vale richiamare un precedente dell’Ufficio Indagini Preliminari de La Spezia del 9/10/01 (pubblicata su www.penale.it), il quale ha ravvisato che il reato di omissione d’atti d’ufficio di cui all’art. 328 cod. pen. si consuma allorché il pubblico ufficiale o l’incaricato di pubblico servizio, difronte alla richiesta di provvedere a compiere un atto del suo ufficio, non risponda nel termine di legge per esporre le ragioni del ritardo. Non è necessario che la risposta sia data per iscritto, essendo, invece, sufficiente anche una comunicazione verbale.

Sosteneva ancora la difesa dell’imputato che le motivazioni addotte dal pubblico ufficiale, legate alla privacy, non fossero peregrine e che nel caso in esame il fatto non costituisse reato per mancanza dell’elemento psicologico, caratterizzato dal dolo.

Infatti, ricevuta l’istanza, il pubblico ufficiale aveva conferito telefonicamente con la richiedente, esponendo le ragioni che non gli consentivano la comunicazione dei dati richiesti.

Nell’approfondita motivazione, ricca di autorevoli richiami giurisprudenziali, il GUP sostiene che la condotta dell’imputato non può essere inquadrata nell’ambito del co. 1° ex art. 328 cod. pen..

A tal proposito, nella sua pronuncia afferma che l’istanza dell’avente diritto anche se tale, non corredata da alcun provvedimento giudiziario rimane un’istanza e giammai potrà invocarsi il motivo di giustizia e il conseguente rifiuto.

Soggiunge che neanche l’ipotesi alternativa di cui al co. 2° può trovare riconoscimento.

A sostegno di ciò, il Tribunale così motiva: la fattispecie prevista dalla norma ex art 328 2° co. c.p. richiede diversi requisiti, in quanto è finalizzata alla tutela del cittadino dalla inerzia della pubblica amministrazione, non già alla tutela di un particolare tipo di interesse sostanziale del cittadino, mirando cioè a garantire una risposta ovvero la esplicazione delle ragioni della mancata risposta al cittadino che vanti un interesse non di mero fatto ma qualificato.

Secondo una giurisprudenza risalente a qualche anno fa il dovere di provvedere ex art. 328 2° co. c.p. sorgeva allorché l’atto fosse vincolato, con esclusione di qualsiasi scelta discrezionale sui tempi e i modi della sua emanazione e pertanto il pubblico ufficiale è tenuto, ricorrendo tutte le condizioni di fatto e di diritto necessarie, a compiere l’atto richiesto, ovvero, in mancanza delle condizioni stesse o in presenza di altre cause impeditive, a darne ragione nella risposta, prima del decorso del termine di trenta giorni, risposta che doveva essere scritta e non ammetteva equipollenti (così Cass. Pen., sez. VI, 3/11/97, n. 11484 Masiello Cass. Pen., 1999, 518).

E, quindi affinché si configuri il reato occorre che vi sia stata inerzia, a fronte di una richiesta precisa dell’avente diritto, esposta peraltro come espressa diffida ad adempiere (cfr. Cass. Pen., sez. VI, 8/6/2000, n. 10002 Spanò - Cass. Pen., 2002, 1040, in quanto il diritto alla risposta nasce dalla " ... congruità dell’istanza medesima in relazione alla doverosità del comportamento della pubblica amministrazione, indipendentemente dalla fondatezza delle ragioni alla base dell’istanza e dunque dell’accoglimento della medesima (Cass. Pen., Sez. VI, 22/3/2000, n. 6778 Minicapilli e altri in Cass. Pen., 2001, 880).

E’ significativo il contributo “tecnico” che è possibile trarre da questa sentenza. Essa non solo offre un ampio quadro sulla corretta interpretazione e delimitazione della figura di reato prevista dall’art. 328 Cod. Pen., ma costituisce un importante riferimento per dirimere i conflitti tra diritto d’accesso e privacy.



[Si ringrazia l’Avv. Luigi Mastromauro del Foro di Trani per la cortese segnalazione]

Con sentenza n° 716/07, resa a seguito di giudizio abbreviato, il G.U.P. presso il Tribunale di Trani, in persona della dr.ssa Maria Teresa Giancaspro, ha assolto un pubblico ufficiale dall’accusa di rifiuto ed omissione d’atti d’ufficio, riconoscendo l’insussistenza del fatto-reato ascrittogli.

L’imputato era responsabile dell’ufficio amministrazione di una caserma ed è stato tratto a giudizio a seguito di querela sporta dalla ex-moglie di un militare, la quale per esigenze connesse al procedimento civile di separazione, nella predetta qualità gli richiedeva di conoscere i dati relativi allo stipendio percepito dall’ex marito.

Il pubblico ufficiale entro i 30 gg. rispondeva telefonicamente, comunicando al difensore della richiedente che senza un ordine dell’A.G. non avrebbe potuto evadere tale richiesta, sussistendo ragioni di tutela della privacy del soggetto interessato.

Questo atteggiamento, secondo la tesi dell’istante, costituitasi parte civile, rappresentava un atteggiamento indebito e lesivo delle disposizioni di cui alla L. 241/90.

La difesa dell’imputato evidenziava, però, in primo luogo, la necessità di un preventivo atto di diffida da parte del richiedente, diffida ad adempiere che deve essere notificata espressamente al soggetto responsabile del procedimento (cfr. a titolo esemplificativo Cass. Pen., Sez. VI , 8263/’00; Cass. Pen., Sez. VI, 10002/’00; nel merito v. Trib. Pescara 20/2/’01; Trib. Fermo 22/7/’02).

In secondo luogo che la risposta non necessariamente deve essere data per iscritto, essendo sufficiente una mera comunicazione verbale, idonea ad evadere la richiesta.

In proposito vale richiamare un precedente dell’Ufficio Indagini Preliminari de La Spezia del 9/10/01 (pubblicata su www.penale.it), il quale ha ravvisato che il reato di omissione d’atti d’ufficio di cui all’art. 328 cod. pen. si consuma allorché il pubblico ufficiale o l’incaricato di pubblico servizio, difronte alla richiesta di provvedere a compiere un atto del suo ufficio, non risponda nel termine di legge per esporre le ragioni del ritardo. Non è necessario che la risposta sia data per iscritto, essendo, invece, sufficiente anche una comunicazione verbale.

Sosteneva ancora la difesa dell’imputato che le motivazioni addotte dal pubblico ufficiale, legate alla privacy, non fossero peregrine e che nel caso in esame il fatto non costituisse reato per mancanza dell’elemento psicologico, caratterizzato dal dolo.

Infatti, ricevuta l’istanza, il pubblico ufficiale aveva conferito telefonicamente con la richiedente, esponendo le ragioni che non gli consentivano la comunicazione dei dati richiesti.

Nell’approfondita motivazione, ricca di autorevoli richiami giurisprudenziali, il GUP sostiene che la condotta dell’imputato non può essere inquadrata nell’ambito del co. 1° ex art. 328 cod. pen..

A tal proposito, nella sua pronuncia afferma che l’istanza dell’avente diritto anche se tale, non corredata da alcun provvedimento giudiziario rimane un’istanza e giammai potrà invocarsi il motivo di giustizia e il conseguente rifiuto.

Soggiunge che neanche l’ipotesi alternativa di cui al co. 2° può trovare riconoscimento.

A sostegno di ciò, il Tribunale così motiva: la fattispecie prevista dalla norma ex art 328 2° co. c.p. richiede diversi requisiti, in quanto è finalizzata alla tutela del cittadino dalla inerzia della pubblica amministrazione, non già alla tutela di un particolare tipo di interesse sostanziale del cittadino, mirando cioè a garantire una risposta ovvero la esplicazione delle ragioni della mancata risposta al cittadino che vanti un interesse non di mero fatto ma qualificato.

Secondo una giurisprudenza risalente a qualche anno fa il dovere di provvedere ex art. 328 2° co. c.p. sorgeva allorché l’atto fosse vincolato, con esclusione di qualsiasi scelta discrezionale sui tempi e i modi della sua emanazione e pertanto il pubblico ufficiale è tenuto, ricorrendo tutte le condizioni di fatto e di diritto necessarie, a compiere l’atto richiesto, ovvero, in mancanza delle condizioni stesse o in presenza di altre cause impeditive, a darne ragione nella risposta, prima del decorso del termine di trenta giorni, risposta che doveva essere scritta e non ammetteva equipollenti (così Cass. Pen., sez. VI, 3/11/97, n. 11484 Masiello Cass. Pen., 1999, 518).

E, quindi affinché si configuri il reato occorre che vi sia stata inerzia, a fronte di una richiesta precisa dell’avente diritto, esposta peraltro come espressa diffida ad adempiere (cfr. Cass. Pen., sez. VI, 8/6/2000, n. 10002 Spanò - Cass. Pen., 2002, 1040, in quanto il diritto alla risposta nasce dalla " ... congruità dell’istanza medesima in relazione alla doverosità del comportamento della pubblica amministrazione, indipendentemente dalla fondatezza delle ragioni alla base dell’istanza e dunque dell’accoglimento della medesima (Cass. Pen., Sez. VI, 22/3/2000, n. 6778 Minicapilli e altri in Cass. Pen., 2001, 880).

E’ significativo il contributo “tecnico” che è possibile trarre da questa sentenza. Essa non solo offre un ampio quadro sulla corretta interpretazione e delimitazione della figura di reato prevista dall’art. 328 Cod. Pen., ma costituisce un importante riferimento per dirimere i conflitti tra diritto d’accesso e privacy.



[Si ringrazia l’Avv. Luigi Mastromauro del Foro di Trani per la cortese segnalazione]