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Per un riforma europea dei controlli sugli enti locali - part.1

Convegno su "Autonomie locali e federalismo - Nuovi controlli per nuovi poteri" 14,3,1997, Marina di Ravenna, (RA), Italia.

intervento: "PER UNA RIFORMA EUROPEA DEI CONTROLLI SUGLI ENTI LOCALI"

1) Disciplina comparata europea dei controlli: cenni sommari

In Europa praticamente ogni regione dispone di un’istituzione di controllo finanziario estero. L’eccezione più importante è rappresentata dallo Stato spagnolo, dove solo quattro delle diciassette Comunità Autonome o Regioni esistenti ne sono dotate. In questo paese, come in Irlanda e Svizzera, coesistono diversi statuti e gli organi regionali di controllo esterno dispongono di poteri di tipo diversi, mentre altrove la regola maggioritaria sembra essere l’uniformità dei poteri esercitati dagli organi regionali all’interno di uno stesso Stato.

Per quanto riguarda l’istituzione, lo statuto e le regole di funzionamento, si distinguono due grandi gruppi: gli stati federali o decentralizzati, come Germania e Spagna, dove questi aspetti sono di competenza regionale, e gli altri Stati, tradizionalmente unitari, dove l’esistenza, lo statuto e le regole di funzionamento degli organi regionali di controllo finanziario sono determinati dallo stato centrale: di quest’ultimo gruppo fanno parte Francia, Inghilterra, Galles e Irlanda.

In ordine all’estensione dell’attività di controllo si deve osservare che l’obiettivo principale degli organi regionali di controllo esterno è la verifica dei controlli degli enti locali e ugualmente degli organismi e delle imprese da esse dipendenti e finanziate.

La regola generale vuole che questi stessi organi regionali di controllo esterno siano abilitati a verificare i conti delle amministrazioni territoriali o degli enti di livello inferiore alla regione, come comuni, distretti, contee, province o dipartimenti.

L’obiettivo del controllo esterno esercitato dagli organi regionali di controllo è in quasi tutti i casi triplice:

- controllo della regolarità di bilancio;

- controllo della legittimità;

- controllo dell’efficacia e dell’economia.

I primi due obiettivi sono realizzati praticamente ovunque, mentre sul terzo, di sviluppo teorico e pratico più recente, non esiste l’unanimità assoluta: esso non è effettuato dagli organi regionali di controllo d’Irlanda né in tutti i cantoni Svizzeri, oltre che, come è noto, nel nostro paese.

Circa i legami degli organismi regionali di controllo con altre istituzioni di controllo dei vari livelli territoriali, esiste una grande uniformità nei vari paesi europei. Solo nel caso degli organi regionali di controllo esterno francesi si osservano relazioni di potere e di procedura con l’organo di controllo esterno dello Stato centrale: essi sono istituzionalizzati tanto che gli organi regionali sono membri del Consiglio Superiore delle Camere Regionali dei Conti.

Relativamente alle procedure di controllo si rileva che, contrariamente a quanto previsto nel nostro sistema:

- La verifica dei conti non avviene esclusivamente su documenti, ma sono presi in considerazione anche altri elementi ed anche accertamenti effettuati in loco;

- i documenti analizzati sono sia quelli detenuti dall’organismo di controllo che quelli appartenenti ad altri organismi pubblici. Nella maggior parte dei paesi possono essere consultati documenti di organismi privati, specialmente se vi sia ragione di credere che si siano avuti degli spostamenti di capitali verso di essi;

- Quanto ai poteri giurisdizionali dell’organo di controllo, essi esistono solo in Irlanda, unico paese dove all’organo regionale di controllo si riconosca la facoltà di avviare azioni giudiziarie, il che tuttavia è ammesso in ipotesi specifiche anche nel cantone svizzero del Jura.

Gli organi regionali di controllo esterno osservano in tutti i casi una procedura in contraddittorio, che per certi aspetti e principi somiglia a quella giurisdizionale, benché non sia riconosciuta la facoltà d’imporre sanzioni. Tale possibilità è riconosciuta solo agli organi regionali di controllo di Francia e Svizzera, e, in misura minore, nel nostro paese, dove gli organi regionali possono annullare l’atto amministrativo una volta sottoposto a verifica.

Il finanziamento degli organi regionali di controllo esterno proviene generalmente dal bilancio della regione, nella totalità per quanto riguarda Spagna, Germania, Svizzera e Svezia, solo in parte negli altri Stati. In Inghilterra e Galles il finanziamento avviene secondo un sistema di quote di partecipazione stabilito, mentre in Francia esso è garantito dal bilancio dello Stato centrale.

2) La crisi dei controlli in Italia - Tentativi centralizzati di riforma

Da questa "fotografia" dei vari sistemi ne deriva un quadro particolarmente stimolante e avvincente che ha purtroppo evidenziato, come peraltro era stato rilevato dal coordinamento nazionale degli organi regionali di controllo già nel convegno di Roma del 3/4/1990, una "diversità" del sistema italiano, che può essere letta come ritardo culturale e come approccio inadeguato ad una moderna concezione della finanza pubblica.

I nostri organi di controllo infatti anche dopo la legge 142 del 1990 continuano ad utilizzare principi e strumenti elaborati dalla tradizione giuridica ottocentesca e risalenti in massima parte alla legge sull’abolizione del contenzioso amministrativo del 1865, tutto ciò in un sistema che ormai si approssima al secondo millennio.

Del resto anche i recenti episodi di appalti e tangenti che hanno sconvolto il mondo della politica hanno dimostrato, se ancora ve ne fosse bisogno, l’inutilità di un controllo di sola "legittimità" atteso che le delibere incriminate apparivano formalmente inattaccabili.

Il potere centrale ha cercato in qualche modo di porre rimedio alle inadeguatezze del sistema, ma lo ha fatto operando con tentativi scoordinati tutti tesi ad accentrare il controllo degli enti locali nella Corte dei Conti vista come organo garante della legittimità e del buon adempimento della cosa pubblica.

La stessa istituzione della Sezione enti locali della Corte dei Conti (avvenuta con l’art. 13 del DL 22/12/81 N. 786, convertito in legge 26/2/82 N. 5) non ha consentito di superare i limiti dei tradizionali controlli di legittimità. L’avvio di un embrionale riesame della gestione finanziaria degli enti locali non solo ha posto un freno al fenomeno di deresponsabilizzazione degli amministratori tanto più che il riesame della finanza locale viene effettuato in termini globali. Le risultanze dell’attività di controllo della Sezione risultano perciò prive di conseguenze immediate sui singoli assoggettati a verifica - rimanendo sempre privilegiata la funzione referente della Corte - sicché i disservizi di un singolo ente, pur carichi di riflessi negativi sull’intera finanza statale, sfuggono alla adozione immediata di correttivi in grado di ripristinare l’alterato buon andamento della pubblica amministrazione.

I più volte individuati limiti delle norme in tema di controlli si legano, insomma, a una conclamata responsabilità della Corte dei Conti in subiecta materia: il quadro che ne emerge è comunque quello di una normativa scoordinata e disorganica e di un’attività di revisione contabile modesta quanto a risultati.

3) Riforma per l’immediato dei controlli: riduzione del ruolo dei Coreco - Il DDL Bassanini n. 1034 per lo snellimento dell’attività amministrativa e dei procedimenti di decisione e di controllo - Riflessioni sul testo licenziato dal Senato - Referendum e travestitismo istituzionale

3.1. Con la presente legislatura viene data una forte strigliata alla riforma dei controlli e sotto la pressione del partito (o lobby?) dei sindaci delle grandi città italiane, si tenta la carta della brusca riduzione degli atti da sottoporre al controllo del Coreco e quindi del ruolo del Coreco.

Si noti che il problema dei controlli ha da sempre riempito pagine di scritti dottrinali e di dispute fra gli addetti ai lavori.

Ma l’elemento nuovo è il fatto che ormai il dibattito si è spostato sui mass media, per cui non passa giorno che il Ministero per la Funzione Pubblica e Affari Regionali del vigente governo non rilasci dichiarazioni alla stampa (ad es.: "Il Coreco va abolito, ma è nella Costituzione. Possiamo però nel frattempo abolire tutte le sue competenze tranne il controllo dei bilanci" - Corriere della Sera 19/5/’96) in cui afferma in sostanza di voler ridurre all’osso il numero di atti da sottoporre al Coreco, di cui causa l’art. 130 della Costituzione non può disporre l’abrogazione, ma si cerca di ottenere lo stesso risultato limitando al massimo la sua attività.

Anche i sindaci delle maggiori città italiane sono compatti sulla stessa linea (ad es. "Basterebbe limitare drasticamente le loro - N.B. dei Coreco - competenze. Dovrebbero esaminare i bilanci e le questioni di regolamento. E basta." Bassolino, in Messaggero 12/9/96).

Sembra quasi che i problemi del nostro paese dipendano dall’esistenza del Coreco!

D’altronde è opportuno ricordare che il programma dell’Ulivo, per quanto riguarda i controlli amministrativi, prevedeva che i medesimi dovessero essere affidati a "nuclei specializzati della Corte dei Conti" (nel programma del Polo i controlli non erano assolutamente contemplati), il che la dice lunga sul grado di esperienza amministrativa in possesso dell’estensore del programma.

In sostanza si cerca per l’immediato di riformare il controllo dei Coreco....riducendolo ai minimi termini fino alla sua....definitiva eliminazione costituzionale.

Su tale linea è stato predisposto il DDL 1034.

3.2. Il 24 ottobre 1996 il Senato ha approvato con modifiche peggiorative e trasmesso alla Camera il disegno di legge Bassanini sullo snellimento delle procedure amministrative (atto Senato 1034), accolto con favorevoli valutazioni da parte dell’ANCI e delle associazioni degli enti locali.

Tale affrettato consenso non può sicuramente essere condiviso per la parte del DDL relativa ai controlli (art. 4), là ove si tenta di far passare in nome di un malpensato concetto di autonomia una illogica riduzione dei controlli costituzionalmente previsti.

Infatti il sistema dei controlli, così come disciplinato nell’art. 130 della Cost., si concilia con il rispetto dell’autonomia degli enti locali, riconosciuta dall’art. 5, nella prospettiva di una riforma in senso federale dello Stato.

Il controllo implica, è vero, un’attività di vigilanza sull’ente da parte di un soggetto terzo ad esso estraneo, ma, a meno che non si voglia ritenere che l’autonomia si dispieghi soltanto in assenza di controlli, la riduzione e la significativa limitazione del riconoscimento dell’autonomia dell’ente dipendono piuttosto dalle modalità di esercizio del controllo.

In altri termini, l’art. 130 può giustificare tanto forme di controllo che consentano soprattutto di garantire il buon funzionamento degli enti e il loro raccordo con la Regione, quanto all’estremo opposto, modalità finalizzate esclusivamente alla verifica della legittimità, imparzialità, trasparenza e buon andamento delle amministrazioni locali che stridono con il concetto di autonomia.

Il sistema costituzionale delle autonomie locali, stabilendo che "la Repubblica si riparte in Regioni, Province e Comuni" (art. 114 Cost.), tende ad una parificazione dei tre livelli degli enti, secondo una visione, per così dire, "policentrica", Regione, Province e Comuni sono cioè titolari di una propria autonomia garantita costituzionalmente.

Nell’ambito di un ordinamento nel quale coesistono lo Stato centrale ed i soggetti periferici, l’ambito ed il fine del controllo si configura come tutela della legalità costituzionale cui tutti i poteri soggiacciono, che come una garanzia nei confronti della stessa comunità locale, la cui autonomia, riconosciuta e garantita dall’art. 5 della Cost. è non già mortificata ma accresciuta da un corretto esercizio dei controlli.

Le istanze di un maggior grado di autonomia degli enti locali, anche nella prospettiva della riforma in senso federale dello Stato, impongono oggi un ripensamento del ruolo e della funzione dell’attività di controllo.

L’attribuzione dei poteri di controllo all’organo regionale deve essere disciplinato secondo modalità che consentano alla Regione di esercitare un sostanziale potere di "indirizzo collaborativo" verso le amministrazioni locali e quanto più quest’ultimo sarà efficace, tanto più il controllo potrà trasformarsi da vincolo mal tollerato dagli enti in una risorsa utilizzabile - come è stato opportunamente affermato - per obiettivi non solo di legalità, ma anche, e soprattutto, di buona ed efficiente amministrazione.

L’autonomia non può essere, invece, intesa come assenza di ogni forma di controllo e di verifica della legalità.

In un sistema democratico non vi è potere senza controllo. Chi amministra deve sottoporre le proprie scelte e decisioni, oltre che al vaglio politico di chi lo ha eletto, anche alle verifiche della legalità e dell’efficienza.

Un ripensamento dei controlli amministrativi è oggi necessario alla luce delle esperienze e dei risultati ottenuti, al fine di coniugare la tutela dell’autonomia degli enti territoriali con la garanzia del rispetto della legalità dell’azione amministrativa.

Non si può invece condividere la tesi di quanti propugnano l’eliminazione dei controlli, sulla base della considerazione che la vigilanza non ha impedito che l’attività degli enti locali venisse esercitata in dispregio della legge e delle regole che disciplinano una sana e corretta gestione della cosa pubblica. C’è semmai da chiedersi quali sarebbero stati i risultati se fossero venuti meno anche questi "filtri" amministrativi che, se non hanno potuto reprimere i fenomeni di corruzione e di malversazione nell’ambito degli enti locali, li hanno tuttavia limitati.

In un paese in cui l’illegalità è diffusa e fortemente radicata nel territorio occorre non già eliminare, ma rafforzare e, se necessario, ricostruire i controlli amministrativi, quegli "anticorpi fisiologici" che costituiscono una difesa contro l’illegalità e gli strumenti ordinari di vigilanza sull’attività amministrativa.

E’ perlomeno utopistico pensare che si possa pervenire, nel futuro, a migliori risultati, sostituendo ai controlli amministrativi il controllo giurisdizionale.

La giustizia italiana soffre già di troppi e gravi mali perché si possa ritenerla in grado di perseguire, con efficacia e tempestività, le responsabilità derivanti da una condotta amministrativa che si discosta dai canoni della legalità e dalle regole di una corretta gestione delle risorse pubbliche.

Né ha senso affermare che il sistema dei controlli delineato dalla L. 142/90 ha imbavagliato o appesantito lo svolgimento dell’attività dei Comuni e delle Province.

La normativa entrata in vigore nel ’90, fortemente innovando nel sistema, ha escluso il controllo di merito ed ha sensibilmente limitato quello di legittimità a pochi atti, accentuando di conseguenza il carattere autonomo degli enti locali.

Le difficoltà, i ritardi e le insufficienze che appesantiscono l’azione delle comunità locali non dipendono dai controlli preventivi di legittimità dell’organo regionale, che vengono esercitati entro termini brevissimi, a pena di esecutività degli atti, rispetto ai quali l’esigenza della legittimità come garanzia per tutti prevale sull’altrettanto rilevante valore dell’autonomia.

D’altra parte non si possono gestire le illegalità dell’attività amministrativa con le denunce penali o con i ricorsi agli organi della giurisdizione amministrativa: si accentuerebbe la tanto deprecata sovraesposizione della Magistratura, la quale (con buona pace del potere politico) sarebbe chiamata a svolgere sempre più un ruolo di supplenza che - come è stato giustamente osservato - si accentua proprio ogni qual volta saltano i controlli amministrativi.

Inoltre, la stessa riformulazione del reato di abuso d’ufficio che - secondo la proposta in corso di esame da parte del Parlamento - restringe l’area dell’illecito penale, comporta l’esigenza di accentuare i controlli amministrativi, in quanto i comportamenti assunti in violazione di regole di condotta, benché privi di rilevanza penale, possono ledere la sfera dei diritti o degli interessi di singoli gruppi.

Da ultimo si ricordi che il Comitato dei tre saggi, nominato nel 1996 dal Presidente della Camera per fornire ipotesi di intervento legislativo per estirpare la corruzione nella pubblica amministrazione, aveva suggerito come principale intervento, da realizzare subito, proprio il rafforzamento dei controlli, suggerimento questo che fa a pugni con le previsioni del DDL 1034 licenziato dal Senato, che peraltro presenta non poche lacune ed incongruenze che vanno, di fronte alla cecità dei più, evidenziate:

3.3

a) l’art. 4, che introduce sostanziali modifiche agli art. 45 e 46 della legge 142/90, mette in moto un meccanismo che svuota le funzioni e i poteri da parte del Consiglio sull’attività gestionale della Giunta, proprio mente vengono riservati all’esecutivo, per la prima volta, poteri regolamentari in settori particolarmente delicati, quali quelli del personale, dell’organizzazione degli uffici e del territorio (strumenti urbanistici attuativi quali i PP, i Piani di lottizzazione e di Recupero) esclusi dal controllo necessario;

b) mentre si ampliano le prerogative dell’esecutivo, si attua una comprensibile e grave limitazione al controllo politico dell’opposizione, che la legge 142/90 aveva introdotto come mezzo giuridico per rendere più pregnante il ruolo delle minoranze consiliari in ordine alla legittimità delle deliberazioni adottate dalla Giunta;

c) parimenti incomprensibile e irrazionale appare la soppressione del controllo eventuale a richiesta degli stessi organi deliberanti che - nel quadro di una riduzione dell’area dei controlli obbligatori - dovrebbe esser salvaguardato anche per realizzare proprio quell’"indirizzo collaborativo" fra Regione ed enti locali, su sui si può sostanziare un nuovo sistema di controlli che esalti l’autonomia dei Comuni e delle Province;

d) al n. 6 dell’art. 4 viene mantenuta la comunicazione delle deliberazioni di giunta ai capigruppo consiliari. Tale disposizione appare slegata e senza alcuna logica, essendo stato soppresso l’istituto del controllo eventuale a richiesta delle minoranze, o meglio dimostra anticipatamente quello che sarà l’esito della "riforma": le minoranze, private di ogni potere, non avranno altra possibilità che il ricorso al controllo esercitato in via giurisdizionale e non solo a quello della giustizia amministrativa (ovviamente oneroso), ma a quello della Procura della Corte dei Conti e della Procura della Repubblica che diventeranno così i "veri" (ed unici) organi di controllo.

Tale "riforma" in buona sostanza attuerà di fatto la giurisdizionalizzazione dei controlli (con relativi tempi e scarse certezze).

Ora se si pensa che ancora alla conferenza nazionale della giustizia tenutasi a Bologna nel 1991, l’allora Ministro in carica affermava che i tempi "medi" di un giudizio penale ammontavano a 8 anni, quelli di un giudizio civile a 10 anni, quelli di un giudizio amministrativo a 12 anni, e che da allora 5 anni dopo, i tempi si sono ulteriormente dilatati, c’è da preoccuparsi e da rimpiangere i venti giorni di cui all’art. 46 della L. 142/90, tanto lesivi dell’"autonomia";

e) il n. 7 dell’art. 4 prevede il controllo nel termine di trenta giorni dal ricevimento dell’atto. Peraltro al n. 8 si precisa che l’esame del bilancio preventivo e del rendiconto della gestione, deve comprendere la coerenza interna degli atti e la corrispondenza dei dati contabili con quelli delle deliberazioni, nonché dei documenti giustificativi allegati.

Ora considerando che tutti gli enti soggetti a controllo invieranno, nel medio periodo, il bilancio ed il conto consuntivo, ci si domanda come potrà il Coreco, in trenta giorni, esaminare contestualmente i bilanci ed i conti consuntivi di migliaia di enti con le modalità previste dai "marziani" della Commissione Affari Costituzionali del Senato, per poi magari non fare più nulla terminati tali complessi e laboriosi accertamenti.

Tale pretesa pare veramente fare a pugni con tutti i più elementari principi di efficienza dell’azione amministrativa.;

f) il n. 9 dell’art. in esame assegna al Coreco un termine di 10 giorni per la formulazione della richiesta di "chiarimenti o elementi integrativi di giudizio in forma scritta".

Tale termine è di fatto inapplicabile considerando le fasi del procedimento interno di controllo (protocollazione, assegnazione alla sezione, esame istruttorio, proposta all’ordine del giorno del Coreco, calendario delle sedute, formulazione e spedizione ordinanza);

g) nel complesso procedimento di nomina del commissario ad acta viene inserito al n. 12, senza alcuna giustificazione logica e sistematica, il difensore civico regionale quale soggetto abilitato alla nomina stessa, in via alternativa al Coreco, col bel risultato di creare futuri conflitti di competenza, con ulteriore confusione di poteri e di ruoli, in totale dispregio dell’efficacia e dell’efficienza dell’azione amministrativa.

Si aggiunga poi che tale previsione appare del tutto incongruente, in quanto il difensore civico non detiene alcun potere di controllo sugli enti e come tale non può avere conoscenza immediata e diretta dell’omissione degli atti obbligatori.

3.4. Dai lavori parlamentari parrebbe che gli emendamenti proposti dalla Commissione Affari Costituzionali del Senato siano motivati dall’intenzione di "anticipare il risultato di una iniziativa referendaria assunta dal alcuni consigli regionali".

Ora circa l’iniziativa referendaria occorre svolgere alcune osservazioni: il travestitismo è un fenomeno di costume che dal mondo della strada e dello spettacolo ha attecchito e fatto breccia anche nelle istituzioni.

La Regione Lombardia e il suo casto Presidente ce ne offrono un esempio: un referendum chiaramente antifederalista travestito da referendum federalista.

Ci riferiamo al dodicesimo fra i quesiti per il federalismo quello che chiede "l’abrogazione dei controlli di legittimità sugli atti amministrativi dei Comuni da parte dei Coreco".

Questo è quello che, molto sbrigativamente, more solito, ha riportato la stampa. In realtà il quesito è molto più lungo e complesso. Esso recita:

"Volete che siano abrogati:

- l’art. 45 comma 1 limitatamente alle parole "nonché quelle che i consigli e le giunte intendono, di propria iniziativa, sottoporre al comitato";

- comma 2, come modificato dall’art. 24, comma 1 della L. 2573/1993 n. 81, limitatamente alle parole "Le deliberazioni di competenza delle giunte nelle materie sottoelencate sono sottoposte al controllo nei limiti delle illegittimità denunciate, quando un terzo dei consiglieri provinciali o un terzo dei consiglieri nei comuni con popolazione superiore a 15.000 abitanti ne facciano richiesta scritta e motivata con l’indicazione delle norme violate entro dieci giorni dall’affissione all’albo pretorio:

a) acquisti, alienazioni, appalti ed in genere tutti i contratti;

b) contributi, indennità, compensi, rimborsi ed esenzioni ad amministratori, a dipendenti o a terzi;

c) assunzioni, stato giuridico e trattamento economico del personale;

- comma 4 come modificato dall’art. 24 comma 2 della L. 25/3/’93 n. 81 limitatamente alle parole "entro gli stessi termini di cui al comma 2" ed alla parola "altresì";

- l’art. 46, comma 3 limitatamente alle parole "anche con riferimento ai principi generali dell’ordinamento giuridico".

Non è difficile fare dell’ironia sul fatto che la maggior parte dei cittadini neppure sa che cosa è il Coreco, tanto che se la Commissione Bicamerale è stata scambiata nella cultura popolare per un appartamentino di due stanze di spettanza ad ogni parlamentare, il Coreco potrà essere facilmente assimilato ad un ente di protezione civile...galline monarchiche!

E’ facile prevedere che il cittadino nella sua cabina non riuscirà non solo a capire, ma nemmeno a leggere il lungo ed inutile quesito referendario che secondo le regioni proponenti porterà finalmente il federalismo in Italia.

Ci sia permesso di esprimere qualche fondato dubbio in proposito.

Quale sarebbe infatti l’esito del referendum, già ritenuto ammissibile dalla Corte Costituzionale, ove in ipotesi remota (abbiamo già visto perché) i cittadini votassero a favore?

Sarebbero forse abrogati gli odiati (dalle galline repubblicane) Coreco? No.

Sarebbero in sostanza soltanto drasticamente ridotti gli interventi dell’organo di controllo. Sarebbe eliminato infatti il controllo eventuale sugli atti degli enti locali a richiesta degli stessi enti ovvero a richiesta delle minoranze, inoltre gli eventuali provvedimenti di annullamento del Coreco dovrebbero far riferimento solo alle norme violate.

Ora con tutta la buona volontà non si vede che cosa c’entri il federalismo con il quesito proposto.

Infatti il controllo eventuale su richiesta degli stessi enti non può certo ledere l’autonomia dell’ente locale se il potere di attivazione del procedimento sta in capo all’ente locale stesso.

Anzi esso esalta l’autonomia dell’ente ed è foriero di una nuovo rapporto improntato alla collaborazione ed alla partecipazione democratica nella gestione che attiene proprio ai principi di sussidiarietà che connotano una forma auspicabile di Federalismo.

Ma a ben vedere con tali principi neppure collide il controllo eventuale a richiesta delle minoranze che rende più pregnante il ruolo di controllo delle minoranze consiliari e giustifica la terzietà e l’obiettività del Coreco.

Forse che il federalismo presuppone una autonomia degli enti locali intesa come assenza di ogni forma di controllo e di verifica della legalità?

In un sistema democratico non vi è potere senza controllo. Chi amministra deve sottoporre le proprie scelte e decisioni oltre che al vaglio politico di chi lo ha eletto, anche alle verifiche della legalità e dell’efficienza.

Altrimenti non avremmo un sindaco democraticamente eletto ma un podestà ed il Comune potrebbe anche facilmente trasformarsi in....Signoria (come la nostra storia ci insegna).

Come si vede fin qui il referendum non ha niente di federalista, ma caso mai è portatore di principi che importano l’esatto contrario.

Rimane l’ultima parte del quesito, e precisamente l’abrogazione delle parole (riferite all’eventuale annullamento del Coreco) "anche con riferimento ai principi generali dell’ordinamento giuridico".

Parrebbe di capire che, in caso di vittoria, i provvedimenti di annullamento dell’organo regionale di controllo dovrebbero essere riferiti solo alle norme violate.

Ora è noto che nel nostro paese sono vigenti circa 20.000 leggi, per cui non pare che l’odiato Coreco sarà posto in crisi dal mancato riferimento ai "principi generali dell’ordinamento" che peraltro sono molto meno ed anche molto più precisi (almeno non si contraddicono come le leggi che si sovrappongono e si modificano continuamente, e spesso non sono comprensibili neppure da tecnici della materia).

Anche ciò però pare avere poco a che fare con il federalismo.

Una domanda ci attanaglia.

C’era proprio il bisogno di riempirsi la bocca col verbo federalista, colmare i giornali di interviste, far intervenire la Corte Costituzionale e riempirla di contumelie per poi, in sostanza, richiedere di abrogare il riferimento ai principi generali dell’ordinamento?

Ai posteri l’ardua sentenza!

Convegno su "Autonomie locali e federalismo - Nuovi controlli per nuovi poteri" 14,3,1997, Marina di Ravenna, (RA), Italia.

intervento: "PER UNA RIFORMA EUROPEA DEI CONTROLLI SUGLI ENTI LOCALI"

1) Disciplina comparata europea dei controlli: cenni sommari

In Europa praticamente ogni regione dispone di un’istituzione di controllo finanziario estero. L’eccezione più importante è rappresentata dallo Stato spagnolo, dove solo quattro delle diciassette Comunità Autonome o Regioni esistenti ne sono dotate. In questo paese, come in Irlanda e Svizzera, coesistono diversi statuti e gli organi regionali di controllo esterno dispongono di poteri di tipo diversi, mentre altrove la regola maggioritaria sembra essere l’uniformità dei poteri esercitati dagli organi regionali all’interno di uno stesso Stato.

Per quanto riguarda l’istituzione, lo statuto e le regole di funzionamento, si distinguono due grandi gruppi: gli stati federali o decentralizzati, come Germania e Spagna, dove questi aspetti sono di competenza regionale, e gli altri Stati, tradizionalmente unitari, dove l’esistenza, lo statuto e le regole di funzionamento degli organi regionali di controllo finanziario sono determinati dallo stato centrale: di quest’ultimo gruppo fanno parte Francia, Inghilterra, Galles e Irlanda.

In ordine all’estensione dell’attività di controllo si deve osservare che l’obiettivo principale degli organi regionali di controllo esterno è la verifica dei controlli degli enti locali e ugualmente degli organismi e delle imprese da esse dipendenti e finanziate.

La regola generale vuole che questi stessi organi regionali di controllo esterno siano abilitati a verificare i conti delle amministrazioni territoriali o degli enti di livello inferiore alla regione, come comuni, distretti, contee, province o dipartimenti.

L’obiettivo del controllo esterno esercitato dagli organi regionali di controllo è in quasi tutti i casi triplice:

- controllo della regolarità di bilancio;

- controllo della legittimità;

- controllo dell’efficacia e dell’economia.

I primi due obiettivi sono realizzati praticamente ovunque, mentre sul terzo, di sviluppo teorico e pratico più recente, non esiste l’unanimità assoluta: esso non è effettuato dagli organi regionali di controllo d’Irlanda né in tutti i cantoni Svizzeri, oltre che, come è noto, nel nostro paese.

Circa i legami degli organismi regionali di controllo con altre istituzioni di controllo dei vari livelli territoriali, esiste una grande uniformità nei vari paesi europei. Solo nel caso degli organi regionali di controllo esterno francesi si osservano relazioni di potere e di procedura con l’organo di controllo esterno dello Stato centrale: essi sono istituzionalizzati tanto che gli organi regionali sono membri del Consiglio Superiore delle Camere Regionali dei Conti.

Relativamente alle procedure di controllo si rileva che, contrariamente a quanto previsto nel nostro sistema:

- La verifica dei conti non avviene esclusivamente su documenti, ma sono presi in considerazione anche altri elementi ed anche accertamenti effettuati in loco;

- i documenti analizzati sono sia quelli detenuti dall’organismo di controllo che quelli appartenenti ad altri organismi pubblici. Nella maggior parte dei paesi possono essere consultati documenti di organismi privati, specialmente se vi sia ragione di credere che si siano avuti degli spostamenti di capitali verso di essi;

- Quanto ai poteri giurisdizionali dell’organo di controllo, essi esistono solo in Irlanda, unico paese dove all’organo regionale di controllo si riconosca la facoltà di avviare azioni giudiziarie, il che tuttavia è ammesso in ipotesi specifiche anche nel cantone svizzero del Jura.

Gli organi regionali di controllo esterno osservano in tutti i casi una procedura in contraddittorio, che per certi aspetti e principi somiglia a quella giurisdizionale, benché non sia riconosciuta la facoltà d’imporre sanzioni. Tale possibilità è riconosciuta solo agli organi regionali di controllo di Francia e Svizzera, e, in misura minore, nel nostro paese, dove gli organi regionali possono annullare l’atto amministrativo una volta sottoposto a verifica.

Il finanziamento degli organi regionali di controllo esterno proviene generalmente dal bilancio della regione, nella totalità per quanto riguarda Spagna, Germania, Svizzera e Svezia, solo in parte negli altri Stati. In Inghilterra e Galles il finanziamento avviene secondo un sistema di quote di partecipazione stabilito, mentre in Francia esso è garantito dal bilancio dello Stato centrale.

2) La crisi dei controlli in Italia - Tentativi centralizzati di riforma

Da questa "fotografia" dei vari sistemi ne deriva un quadro particolarmente stimolante e avvincente che ha purtroppo evidenziato, come peraltro era stato rilevato dal coordinamento nazionale degli organi regionali di controllo già nel convegno di Roma del 3/4/1990, una "diversità" del sistema italiano, che può essere letta come ritardo culturale e come approccio inadeguato ad una moderna concezione della finanza pubblica.

I nostri organi di controllo infatti anche dopo la legge 142 del 1990 continuano ad utilizzare principi e strumenti elaborati dalla tradizione giuridica ottocentesca e risalenti in massima parte alla legge sull’abolizione del contenzioso amministrativo del 1865, tutto ciò in un sistema che ormai si approssima al secondo millennio.

Del resto anche i recenti episodi di appalti e tangenti che hanno sconvolto il mondo della politica hanno dimostrato, se ancora ve ne fosse bisogno, l’inutilità di un controllo di sola "legittimità" atteso che le delibere incriminate apparivano formalmente inattaccabili.

Il potere centrale ha cercato in qualche modo di porre rimedio alle inadeguatezze del sistema, ma lo ha fatto operando con tentativi scoordinati tutti tesi ad accentrare il controllo degli enti locali nella Corte dei Conti vista come organo garante della legittimità e del buon adempimento della cosa pubblica.

La stessa istituzione della Sezione enti locali della Corte dei Conti (avvenuta con l’art. 13 del DL 22/12/81 N. 786, convertito in legge 26/2/82 N. 5) non ha consentito di superare i limiti dei tradizionali controlli di legittimità. L’avvio di un embrionale riesame della gestione finanziaria degli enti locali non solo ha posto un freno al fenomeno di deresponsabilizzazione degli amministratori tanto più che il riesame della finanza locale viene effettuato in termini globali. Le risultanze dell’attività di controllo della Sezione risultano perciò prive di conseguenze immediate sui singoli assoggettati a verifica - rimanendo sempre privilegiata la funzione referente della Corte - sicché i disservizi di un singolo ente, pur carichi di riflessi negativi sull’intera finanza statale, sfuggono alla adozione immediata di correttivi in grado di ripristinare l’alterato buon andamento della pubblica amministrazione.

I più volte individuati limiti delle norme in tema di controlli si legano, insomma, a una conclamata responsabilità della Corte dei Conti in subiecta materia: il quadro che ne emerge è comunque quello di una normativa scoordinata e disorganica e di un’attività di revisione contabile modesta quanto a risultati.

3) Riforma per l’immediato dei controlli: riduzione del ruolo dei Coreco - Il DDL Bassanini n. 1034 per lo snellimento dell’attività amministrativa e dei procedimenti di decisione e di controllo - Riflessioni sul testo licenziato dal Senato - Referendum e travestitismo istituzionale

3.1. Con la presente legislatura viene data una forte strigliata alla riforma dei controlli e sotto la pressione del partito (o lobby?) dei sindaci delle grandi città italiane, si tenta la carta della brusca riduzione degli atti da sottoporre al controllo del Coreco e quindi del ruolo del Coreco.

Si noti che il problema dei controlli ha da sempre riempito pagine di scritti dottrinali e di dispute fra gli addetti ai lavori.

Ma l’elemento nuovo è il fatto che ormai il dibattito si è spostato sui mass media, per cui non passa giorno che il Ministero per la Funzione Pubblica e Affari Regionali del vigente governo non rilasci dichiarazioni alla stampa (ad es.: "Il Coreco va abolito, ma è nella Costituzione. Possiamo però nel frattempo abolire tutte le sue competenze tranne il controllo dei bilanci" - Corriere della Sera 19/5/’96) in cui afferma in sostanza di voler ridurre all’osso il numero di atti da sottoporre al Coreco, di cui causa l’art. 130 della Costituzione non può disporre l’abrogazione, ma si cerca di ottenere lo stesso risultato limitando al massimo la sua attività.

Anche i sindaci delle maggiori città italiane sono compatti sulla stessa linea (ad es. "Basterebbe limitare drasticamente le loro - N.B. dei Coreco - competenze. Dovrebbero esaminare i bilanci e le questioni di regolamento. E basta." Bassolino, in Messaggero 12/9/96).

Sembra quasi che i problemi del nostro paese dipendano dall’esistenza del Coreco!

D’altronde è opportuno ricordare che il programma dell’Ulivo, per quanto riguarda i controlli amministrativi, prevedeva che i medesimi dovessero essere affidati a "nuclei specializzati della Corte dei Conti" (nel programma del Polo i controlli non erano assolutamente contemplati), il che la dice lunga sul grado di esperienza amministrativa in possesso dell’estensore del programma.

In sostanza si cerca per l’immediato di riformare il controllo dei Coreco....riducendolo ai minimi termini fino alla sua....definitiva eliminazione costituzionale.

Su tale linea è stato predisposto il DDL 1034.

3.2. Il 24 ottobre 1996 il Senato ha approvato con modifiche peggiorative e trasmesso alla Camera il disegno di legge Bassanini sullo snellimento delle procedure amministrative (atto Senato 1034), accolto con favorevoli valutazioni da parte dell’ANCI e delle associazioni degli enti locali.

Tale affrettato consenso non può sicuramente essere condiviso per la parte del DDL relativa ai controlli (art. 4), là ove si tenta di far passare in nome di un malpensato concetto di autonomia una illogica riduzione dei controlli costituzionalmente previsti.

Infatti il sistema dei controlli, così come disciplinato nell’art. 130 della Cost., si concilia con il rispetto dell’autonomia degli enti locali, riconosciuta dall’art. 5, nella prospettiva di una riforma in senso federale dello Stato.

Il controllo implica, è vero, un’attività di vigilanza sull’ente da parte di un soggetto terzo ad esso estraneo, ma, a meno che non si voglia ritenere che l’autonomia si dispieghi soltanto in assenza di controlli, la riduzione e la significativa limitazione del riconoscimento dell’autonomia dell’ente dipendono piuttosto dalle modalità di esercizio del controllo.

In altri termini, l’art. 130 può giustificare tanto forme di controllo che consentano soprattutto di garantire il buon funzionamento degli enti e il loro raccordo con la Regione, quanto all’estremo opposto, modalità finalizzate esclusivamente alla verifica della legittimità, imparzialità, trasparenza e buon andamento delle amministrazioni locali che stridono con il concetto di autonomia.

Il sistema costituzionale delle autonomie locali, stabilendo che "la Repubblica si riparte in Regioni, Province e Comuni" (art. 114 Cost.), tende ad una parificazione dei tre livelli degli enti, secondo una visione, per così dire, "policentrica", Regione, Province e Comuni sono cioè titolari di una propria autonomia garantita costituzionalmente.

Nell’ambito di un ordinamento nel quale coesistono lo Stato centrale ed i soggetti periferici, l’ambito ed il fine del controllo si configura come tutela della legalità costituzionale cui tutti i poteri soggiacciono, che come una garanzia nei confronti della stessa comunità locale, la cui autonomia, riconosciuta e garantita dall’art. 5 della Cost. è non già mortificata ma accresciuta da un corretto esercizio dei controlli.

Le istanze di un maggior grado di autonomia degli enti locali, anche nella prospettiva della riforma in senso federale dello Stato, impongono oggi un ripensamento del ruolo e della funzione dell’attività di controllo.

L’attribuzione dei poteri di controllo all’organo regionale deve essere disciplinato secondo modalità che consentano alla Regione di esercitare un sostanziale potere di "indirizzo collaborativo" verso le amministrazioni locali e quanto più quest’ultimo sarà efficace, tanto più il controllo potrà trasformarsi da vincolo mal tollerato dagli enti in una risorsa utilizzabile - come è stato opportunamente affermato - per obiettivi non solo di legalità, ma anche, e soprattutto, di buona ed efficiente amministrazione.

L’autonomia non può essere, invece, intesa come assenza di ogni forma di controllo e di verifica della legalità.

In un sistema democratico non vi è potere senza controllo. Chi amministra deve sottoporre le proprie scelte e decisioni, oltre che al vaglio politico di chi lo ha eletto, anche alle verifiche della legalità e dell’efficienza.

Un ripensamento dei controlli amministrativi è oggi necessario alla luce delle esperienze e dei risultati ottenuti, al fine di coniugare la tutela dell’autonomia degli enti territoriali con la garanzia del rispetto della legalità dell’azione amministrativa.

Non si può invece condividere la tesi di quanti propugnano l’eliminazione dei controlli, sulla base della considerazione che la vigilanza non ha impedito che l’attività degli enti locali venisse esercitata in dispregio della legge e delle regole che disciplinano una sana e corretta gestione della cosa pubblica. C’è semmai da chiedersi quali sarebbero stati i risultati se fossero venuti meno anche questi "filtri" amministrativi che, se non hanno potuto reprimere i fenomeni di corruzione e di malversazione nell’ambito degli enti locali, li hanno tuttavia limitati.

In un paese in cui l’illegalità è diffusa e fortemente radicata nel territorio occorre non già eliminare, ma rafforzare e, se necessario, ricostruire i controlli amministrativi, quegli "anticorpi fisiologici" che costituiscono una difesa contro l’illegalità e gli strumenti ordinari di vigilanza sull’attività amministrativa.

E’ perlomeno utopistico pensare che si possa pervenire, nel futuro, a migliori risultati, sostituendo ai controlli amministrativi il controllo giurisdizionale.

La giustizia italiana soffre già di troppi e gravi mali perché si possa ritenerla in grado di perseguire, con efficacia e tempestività, le responsabilità derivanti da una condotta amministrativa che si discosta dai canoni della legalità e dalle regole di una corretta gestione delle risorse pubbliche.

Né ha senso affermare che il sistema dei controlli delineato dalla L. 142/90 ha imbavagliato o appesantito lo svolgimento dell’attività dei Comuni e delle Province.

La normativa entrata in vigore nel ’90, fortemente innovando nel sistema, ha escluso il controllo di merito ed ha sensibilmente limitato quello di legittimità a pochi atti, accentuando di conseguenza il carattere autonomo degli enti locali.

Le difficoltà, i ritardi e le insufficienze che appesantiscono l’azione delle comunità locali non dipendono dai controlli preventivi di legittimità dell’organo regionale, che vengono esercitati entro termini brevissimi, a pena di esecutività degli atti, rispetto ai quali l’esigenza della legittimità come garanzia per tutti prevale sull’altrettanto rilevante valore dell’autonomia.

D’altra parte non si possono gestire le illegalità dell’attività amministrativa con le denunce penali o con i ricorsi agli organi della giurisdizione amministrativa: si accentuerebbe la tanto deprecata sovraesposizione della Magistratura, la quale (con buona pace del potere politico) sarebbe chiamata a svolgere sempre più un ruolo di supplenza che - come è stato giustamente osservato - si accentua proprio ogni qual volta saltano i controlli amministrativi.

Inoltre, la stessa riformulazione del reato di abuso d’ufficio che - secondo la proposta in corso di esame da parte del Parlamento - restringe l’area dell’illecito penale, comporta l’esigenza di accentuare i controlli amministrativi, in quanto i comportamenti assunti in violazione di regole di condotta, benché privi di rilevanza penale, possono ledere la sfera dei diritti o degli interessi di singoli gruppi.

Da ultimo si ricordi che il Comitato dei tre saggi, nominato nel 1996 dal Presidente della Camera per fornire ipotesi di intervento legislativo per estirpare la corruzione nella pubblica amministrazione, aveva suggerito come principale intervento, da realizzare subito, proprio il rafforzamento dei controlli, suggerimento questo che fa a pugni con le previsioni del DDL 1034 licenziato dal Senato, che peraltro presenta non poche lacune ed incongruenze che vanno, di fronte alla cecità dei più, evidenziate:

3.3

a) l’art. 4, che introduce sostanziali modifiche agli art. 45 e 46 della legge 142/90, mette in moto un meccanismo che svuota le funzioni e i poteri da parte del Consiglio sull’attività gestionale della Giunta, proprio mente vengono riservati all’esecutivo, per la prima volta, poteri regolamentari in settori particolarmente delicati, quali quelli del personale, dell’organizzazione degli uffici e del territorio (strumenti urbanistici attuativi quali i PP, i Piani di lottizzazione e di Recupero) esclusi dal controllo necessario;

b) mentre si ampliano le prerogative dell’esecutivo, si attua una comprensibile e grave limitazione al controllo politico dell’opposizione, che la legge 142/90 aveva introdotto come mezzo giuridico per rendere più pregnante il ruolo delle minoranze consiliari in ordine alla legittimità delle deliberazioni adottate dalla Giunta;

c) parimenti incomprensibile e irrazionale appare la soppressione del controllo eventuale a richiesta degli stessi organi deliberanti che - nel quadro di una riduzione dell’area dei controlli obbligatori - dovrebbe esser salvaguardato anche per realizzare proprio quell’"indirizzo collaborativo" fra Regione ed enti locali, su sui si può sostanziare un nuovo sistema di controlli che esalti l’autonomia dei Comuni e delle Province;

d) al n. 6 dell’art. 4 viene mantenuta la comunicazione delle deliberazioni di giunta ai capigruppo consiliari. Tale disposizione appare slegata e senza alcuna logica, essendo stato soppresso l’istituto del controllo eventuale a richiesta delle minoranze, o meglio dimostra anticipatamente quello che sarà l’esito della "riforma": le minoranze, private di ogni potere, non avranno altra possibilità che il ricorso al controllo esercitato in via giurisdizionale e non solo a quello della giustizia amministrativa (ovviamente oneroso), ma a quello della Procura della Corte dei Conti e della Procura della Repubblica che diventeranno così i "veri" (ed unici) organi di controllo.

Tale "riforma" in buona sostanza attuerà di fatto la giurisdizionalizzazione dei controlli (con relativi tempi e scarse certezze).

Ora se si pensa che ancora alla conferenza nazionale della giustizia tenutasi a Bologna nel 1991, l’allora Ministro in carica affermava che i tempi "medi" di un giudizio penale ammontavano a 8 anni, quelli di un giudizio civile a 10 anni, quelli di un giudizio amministrativo a 12 anni, e che da allora 5 anni dopo, i tempi si sono ulteriormente dilatati, c’è da preoccuparsi e da rimpiangere i venti giorni di cui all’art. 46 della L. 142/90, tanto lesivi dell’"autonomia";

e) il n. 7 dell’art. 4 prevede il controllo nel termine di trenta giorni dal ricevimento dell’atto. Peraltro al n. 8 si precisa che l’esame del bilancio preventivo e del rendiconto della gestione, deve comprendere la coerenza interna degli atti e la corrispondenza dei dati contabili con quelli delle deliberazioni, nonché dei documenti giustificativi allegati.

Ora considerando che tutti gli enti soggetti a controllo invieranno, nel medio periodo, il bilancio ed il conto consuntivo, ci si domanda come potrà il Coreco, in trenta giorni, esaminare contestualmente i bilanci ed i conti consuntivi di migliaia di enti con le modalità previste dai "marziani" della Commissione Affari Costituzionali del Senato, per poi magari non fare più nulla terminati tali complessi e laboriosi accertamenti.

Tale pretesa pare veramente fare a pugni con tutti i più elementari principi di efficienza dell’azione amministrativa.;

f) il n. 9 dell’art. in esame assegna al Coreco un termine di 10 giorni per la formulazione della richiesta di "chiarimenti o elementi integrativi di giudizio in forma scritta".

Tale termine è di fatto inapplicabile considerando le fasi del procedimento interno di controllo (protocollazione, assegnazione alla sezione, esame istruttorio, proposta all’ordine del giorno del Coreco, calendario delle sedute, formulazione e spedizione ordinanza);

g) nel complesso procedimento di nomina del commissario ad acta viene inserito al n. 12, senza alcuna giustificazione logica e sistematica, il difensore civico regionale quale soggetto abilitato alla nomina stessa, in via alternativa al Coreco, col bel risultato di creare futuri conflitti di competenza, con ulteriore confusione di poteri e di ruoli, in totale dispregio dell’efficacia e dell’efficienza dell’azione amministrativa.

Si aggiunga poi che tale previsione appare del tutto incongruente, in quanto il difensore civico non detiene alcun potere di controllo sugli enti e come tale non può avere conoscenza immediata e diretta dell’omissione degli atti obbligatori.

3.4. Dai lavori parlamentari parrebbe che gli emendamenti proposti dalla Commissione Affari Costituzionali del Senato siano motivati dall’intenzione di "anticipare il risultato di una iniziativa referendaria assunta dal alcuni consigli regionali".

Ora circa l’iniziativa referendaria occorre svolgere alcune osservazioni: il travestitismo è un fenomeno di costume che dal mondo della strada e dello spettacolo ha attecchito e fatto breccia anche nelle istituzioni.

La Regione Lombardia e il suo casto Presidente ce ne offrono un esempio: un referendum chiaramente antifederalista travestito da referendum federalista.

Ci riferiamo al dodicesimo fra i quesiti per il federalismo quello che chiede "l’abrogazione dei controlli di legittimità sugli atti amministrativi dei Comuni da parte dei Coreco".

Questo è quello che, molto sbrigativamente, more solito, ha riportato la stampa. In realtà il quesito è molto più lungo e complesso. Esso recita:

"Volete che siano abrogati:

- l’art. 45 comma 1 limitatamente alle parole "nonché quelle che i consigli e le giunte intendono, di propria iniziativa, sottoporre al comitato";

- comma 2, come modificato dall’art. 24, comma 1 della L. 2573/1993 n. 81, limitatamente alle parole "Le deliberazioni di competenza delle giunte nelle materie sottoelencate sono sottoposte al controllo nei limiti delle illegittimità denunciate, quando un terzo dei consiglieri provinciali o un terzo dei consiglieri nei comuni con popolazione superiore a 15.000 abitanti ne facciano richiesta scritta e motivata con l’indicazione delle norme violate entro dieci giorni dall’affissione all’albo pretorio:

a) acquisti, alienazioni, appalti ed in genere tutti i contratti;

b) contributi, indennità, compensi, rimborsi ed esenzioni ad amministratori, a dipendenti o a terzi;

c) assunzioni, stato giuridico e trattamento economico del personale;

- comma 4 come modificato dall’art. 24 comma 2 della L. 25/3/’93 n. 81 limitatamente alle parole "entro gli stessi termini di cui al comma 2" ed alla parola "altresì";

- l’art. 46, comma 3 limitatamente alle parole "anche con riferimento ai principi generali dell’ordinamento giuridico".

Non è difficile fare dell’ironia sul fatto che la maggior parte dei cittadini neppure sa che cosa è il Coreco, tanto che se la Commissione Bicamerale è stata scambiata nella cultura popolare per un appartamentino di due stanze di spettanza ad ogni parlamentare, il Coreco potrà essere facilmente assimilato ad un ente di protezione civile...galline monarchiche!

E’ facile prevedere che il cittadino nella sua cabina non riuscirà non solo a capire, ma nemmeno a leggere il lungo ed inutile quesito referendario che secondo le regioni proponenti porterà finalmente il federalismo in Italia.

Ci sia permesso di esprimere qualche fondato dubbio in proposito.

Quale sarebbe infatti l’esito del referendum, già ritenuto ammissibile dalla Corte Costituzionale, ove in ipotesi remota (abbiamo già visto perché) i cittadini votassero a favore?

Sarebbero forse abrogati gli odiati (dalle galline repubblicane) Coreco? No.

Sarebbero in sostanza soltanto drasticamente ridotti gli interventi dell’organo di controllo. Sarebbe eliminato infatti il controllo eventuale sugli atti degli enti locali a richiesta degli stessi enti ovvero a richiesta delle minoranze, inoltre gli eventuali provvedimenti di annullamento del Coreco dovrebbero far riferimento solo alle norme violate.

Ora con tutta la buona volontà non si vede che cosa c’entri il federalismo con il quesito proposto.

Infatti il controllo eventuale su richiesta degli stessi enti non può certo ledere l’autonomia dell’ente locale se il potere di attivazione del procedimento sta in capo all’ente locale stesso.

Anzi esso esalta l’autonomia dell’ente ed è foriero di una nuovo rapporto improntato alla collaborazione ed alla partecipazione democratica nella gestione che attiene proprio ai principi di sussidiarietà che connotano una forma auspicabile di Federalismo.

Ma a ben vedere con tali principi neppure collide il controllo eventuale a richiesta delle minoranze che rende più pregnante il ruolo di controllo delle minoranze consiliari e giustifica la terzietà e l’obiettività del Coreco.

Forse che il federalismo presuppone una autonomia degli enti locali intesa come assenza di ogni forma di controllo e di verifica della legalità?

In un sistema democratico non vi è potere senza controllo. Chi amministra deve sottoporre le proprie scelte e decisioni oltre che al vaglio politico di chi lo ha eletto, anche alle verifiche della legalità e dell’efficienza.

Altrimenti non avremmo un sindaco democraticamente eletto ma un podestà ed il Comune potrebbe anche facilmente trasformarsi in....Signoria (come la nostra storia ci insegna).

Come si vede fin qui il referendum non ha niente di federalista, ma caso mai è portatore di principi che importano l’esatto contrario.

Rimane l’ultima parte del quesito, e precisamente l’abrogazione delle parole (riferite all’eventuale annullamento del Coreco) "anche con riferimento ai principi generali dell’ordinamento giuridico".

Parrebbe di capire che, in caso di vittoria, i provvedimenti di annullamento dell’organo regionale di controllo dovrebbero essere riferiti solo alle norme violate.

Ora è noto che nel nostro paese sono vigenti circa 20.000 leggi, per cui non pare che l’odiato Coreco sarà posto in crisi dal mancato riferimento ai "principi generali dell’ordinamento" che peraltro sono molto meno ed anche molto più precisi (almeno non si contraddicono come le leggi che si sovrappongono e si modificano continuamente, e spesso non sono comprensibili neppure da tecnici della materia).

Anche ciò però pare avere poco a che fare con il federalismo.

Una domanda ci attanaglia.

C’era proprio il bisogno di riempirsi la bocca col verbo federalista, colmare i giornali di interviste, far intervenire la Corte Costituzionale e riempirla di contumelie per poi, in sostanza, richiedere di abrogare il riferimento ai principi generali dell’ordinamento?

Ai posteri l’ardua sentenza!