x

x

Una miniera di guai per la Polonia

Polonia
Polonia

Bogatynia non è esattamente il tipo di città di cui ci si aspetterebbe di leggere nelle cronache; forse piuttosto su una guida di Lonely Planet. Situata nell’estremo occidente della Polonia, la città è immersa nel verde e conta poco meno di 18.000 abitanti, oltre a un PIL decisamente più alto rispetto alla media nazionale.

Il perché dell’agiatezza è presto detto: in questa amena cittadina poco distante dalla frontiera con Repubblica Ceca e Germania si produce il 7% di tutta l’elettricità polacca. Più precisamente lo si fa nella miniera carbonifera di Turów, tra i più grandi giacimenti europei di lignite (il c.d. carbone marrone, tra le fonti più nocive per l’ambiente). A circa 11 km dalla miniera ci si imbatte poi in una complementare e imponente centrale termoelettrica, che è la terza per dimensioni del Paese centro-europeo. Non è un caso che, dagli anni ’80 dello scorso secolo, l’intera zona della triplice frontiera polacca-tedesca-ceca sia stata ribattezzata “triangolo nero”[1], in ragione dell’abbondanza di inquinanti atmosferici nell’aria e in particolar modo di anidride solforosa – responsabile di piogge acide e della contaminazione dei corsi d’acqua.

L’impianto da diversi anni si è trasformato in motivo di acredine tra il Governo di Varsavia e quello di Praga, dato che ad appena 13 km a sud del giacimento di Turów si trova l’appendice settentrionale del territorio ceco. I cechi si sono ripetutamente lamentati del drenaggio polacco di acqua freatica proveniente dalle falde nazionali per “nutrire” l’impianto straniero. La situazione è degenerata con la recente decisione delle autorità di Varsavia di estendere la licenza operativa del complesso fino al 2044 (malgrado la chiusura fosse stata programmata per quest’anno), una decisione che secondo Praga non è stata preceduta da alcuna valutazione ambientale accurata né da consultazioni bilaterali[2]. Circa un mese fa, la Corte di Giustizia UE ha dato retta alle lamentele ceche ingiungendo la sospensione immediata delle attività fino a che il tribunale lussemburghese non si sia adeguatamente pronunciato sulla violazione ambientale. Fino ad allora, quindi, tutto congelato. O quasi.

I polacchi infatti non l’hanno presa tanto bene: il primo ministro Mateusz Morawiecki si è esplicitamente rifiutato di avallare la chiusura per non mettere a repentaglio la “sicurezza energetica polacca”[3]. Come si accennava, proviene da Bogatynia quasi un decimo dell’intera produzione elettrica della Polonia – un Paese che ricava circa il 78% della propria energia dal carbone e la restante parte da rinnovabili (16%) e gas naturale (2%). La sicurezza energetica polacca significa quindi innanzitutto autosufficienza, dal momento che Varsavia non dispone né di tecnologie particolarmente diffuse e avanzate nel campo dell’energia verde, né di rilevanti giacimenti di gas – che non è propriamente “energia verde” ma lo è senz’altro più del carbone. Si aggiunga che i pionieri mondiali delle rinnovabili e del gas naturale sono rispettivamente Germania, il vicino occidentale, e Russia, il vicino orientale.

Da una parte, c’è chi teme che l’abbandono radicale del carbone possa non solo privare la Polonia della propria sicurezza energetica, ma spingere di fatto Varsavia nelle braccia dei tedeschi e della loro primazia tecnologica; oppure, più verosimilmente, porre le basi per l’ennesima dipendenza di un Paese europeo dalle abbondanti forniture di gas russo. Non certo una prospettiva allettante per la Polonia, che più volte nella storia ha sofferto il “sandwich“ russo-tedesco; nemmeno per il Governo conservatore di Morawiecki, che si ritroverebbe con un migliaio di lavoratori a spasso, una “sporca” sicurezza energetica messa a repentaglio e un’imprevedibile ricaduta elettorale anche in altre parti del Paese.

Contro la chiusura di Turów si è schierato apertamente anche il sindacato Solidarność, la stessa sigla che, sotto la guida di Lech Wałęsa, diede una vigorosa spallata al regime filo-sovietico polacco attraverso una serie di scioperi partiti dai cantieri navali di Danzica, all’inizio degli anni 80.

Le diplomazie ceca e polacca sono al lavoro per trovare un compromesso accettabile da ambo le parti. Negli ultimi giorni si è ipotizzato di consentire ai polacchi il proseguimento dell’attività carbonifera, ma a condizione che Varsavia si impegni a porre (economicamente) rimedio al problema della sottrazione di acqua sotterranea dal territorio ceco.

La battaglia, però, è appena iniziata: l’Unione europea è da tempo intenzionata a ridurre le emissioni di anidride carbonica in tutto il vecchio continente. Le cifre parlano di eliminare il 55% di CO2 entro il 2030, ma il piano energetico recentemente disvelato dalle autorità polacche[4] va in tutt’altra direzione: l’energia ricavata da combustili fossili influirà ancora per il 50% a quella data secondo i piani di Varsavia, mentre l’UE chiede che venga ridotta al 2%. Il 37% dei fondi del Recovery Fund eurounionale dovrà peraltro essere destinato da ciascuno dei 27 Stati allo specifico capitolo della transizione all’energia pulita – il che fa il paio con il più generale requisito che nemmeno un centesimo dell’intera somma di aiuti garantita da Bruxelles possa essere speso per finanziare attività dannose per l’ambiente[5] (per il c.d. principio del “non nuocere”).

Far ripartire l’economia di un Paese alimentato dal carbone, ma farlo senza sovvenzionare il carbone, potrebbe rivelarsi un autentico esercizio di equilibrismo. Comunque vada, a Varsavia è iniziato il periodo delle scelte coraggiose.

 

[1] Eberhard Renner, “The Black Triangle Area: Fit for Europe?” Ambio 31, n. 3 (maggio 2002): 231–235.

[2] Andrew Higgins, “Dispute over a Coal Industry Pits Poland against Its Neighbors,” New York Times, 30 maggio 2021, https://www.nytimes.com/2021/05/30/world/europe/poland-czech-coal-mine-environment.html.

[3] Agence France-Presse, “Poland Defies EU Court by Refusing to Close Major Brown Coalmine,” Guardian, 25 maggio 2021, https://www.theguardian.com/environment/2021/may/25/poland-defies-eu-court-order-to-close-major-brown-coalmine.

[4] “Polish Energy Policy 2040 – Key Goals and KPIs,” Dentons, consultato l’8 giugno 2021, https://www.dentons.com/en/insights/articles/2021/march/15/polish-energy-policy-2040.

[5] Kira Taylor, “EU Agrees to Set Aside 37% of Recovery Fund for Green Transition,” Euractiv,  18 dicembre 2020, https://www.euractiv.com/section/energy-environment/news/eu-agrees-to-set-aside-37-of-recovery-fund-for-green-transition/.