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Per una riforma europea dei controlli sugli enti locali - part.2

continua da part.1

Convegno su "Autonomie locali e federalismo - Nuovi controlli per nuovi poteri" 14,3,1997, Marina di Ravenna, (RA), Italia.

intervento: "PER UNA RIFORMA EUROPEA DEI CONTROLLI SUGLI ENTI LOCALI"

4) Riforma costituzionale dei controlli - Eliminazione dei Coreco e affidamento dei controlli alla Corte dei Conti - Riforma federalista e accentramento dei controlli.

4.1. Tutte le proposte di eliminazione dei Coreco si scontrano con lo scoglio dell’art. 130 della Costituzione che come è noto, prevede che il controllo di legittimità sugli atti degli enti locali deve essere esercitato da un "organo della Regione".

Ecco quindi le varie proposte di modifica dell’art. 130 della Costituzione peraltro tutte stranamente correlate ad una riforma che si pretende "federalista", anche sotto questo specifico profilo.

Ora è noto che l’idea "forte" che domina, in questo momento, il dibattito politico è quella del "federalismo".

Tutte le forze politiche, dall’estrema sinistra fino ad alleanza nazionale si dichiarano "federaliste" e tutte dicono di voler attuare nel nostro paese il federalismo (le uniche voci critiche sono quelle di Giuliano Amato in un articolo apparso su la Stampa 14/10/’96 e di Martinazzoli, sindaco di Brescia, al convegno di Venezia dell’Anci del settembre del 1996).

Orbene proprio nella prospettiva della riforma in senso federale occorre svolgere alcune considerazioni sulla futura organizzazione dei controlli amministrativi esterni sugli enti locali che vanno strettamente collegati al concetto di autonomia degli enti stessi, altro concetto particolarmente di moda in questi tempi.

Due sono le alternative possibili:

1) L’istituzione di una Corte unica per tutto lo Stato (Corte dei Conti), che potrà stabilire, o meno, sezioni territoriali; o 2) la coesistenza dell’organismo di controllo centrale con quelli a carattere più territoriale.

I più importanti stati federati facenti parte della CEE (Germania e Spagna) hanno decisamente puntato sulla seconda alternativa con l’istituzione dei Landesrechnungshop o Rechnungshof regionali ovvero delle Sindacatura de comptes o Camera de cuentas regionali.

I soloni del nostro paese paiono invece, a quanto è dato di capire, e forse senza neppure aver compreso il problema, privilegiare la prima soluzione.

Si è visto sopra che il programma elettorale dell’Ulivo prevedeva che i controlli amministrativi dovessero essere affidati a "nuclei specializzati della Corte dei Conti".

D’altronde nella proposta di riforma della Commissione Iotti, ancora nel 1993-94, all’art. 130 si prevedeva al posto dell’"Organo della Regione" la competenza delle "sezioni decentrate della Corte dei Conti".

Anche la proposta di riforma del Titolo Quinto della Costituzione elaborata nel luglio 96 dalla Conferenza dei presidenti del Consigli delle Regioni prevede all’art. 127 sia in ordine al controllo preventivo di legittimità che al controllo successivo denominato finanziario, la competenza della Corte dei Conti "quale organo di competenza unitaria per l’intero ordinamento della Repubblica e perciò stesso, indipendente e portatore non di una sovraordinazione ma di funzione generale di tutela della regolarità nell’amministrazione" (introduzione p.23).

E ancora si è visto che la stessa Regione Lombardia seguita da altre propugna fra i quesiti dei referendum per il federalismo, il dodicesimo, che chiede "’abrogazione dei controlli di legittimità sugli atti amministrativi dei comuni da parte dei Coreco".

Referendum che pare fare a pugni con il concetto di federalismo: le Regioni "referendarie" in sostanza chiedono di abrogare un proprio "organo"....per affidare il controllo ad un organo "statale"!

Da ultimo la Giunta della Regione Emilia-Romagna ha avanzato una proposta di riforma dell’art. 130 della Costituzione così congeniata (art. 40 in B.U. N. 133 del 23/10/’96) "Il controllo di legittimità sugli atti degli enti locali si svolge mediante impugnazione da parte del Presidente della Regione dinnanzi al giudice competente.....La gestione delle amministrazioni locali è soggetta al controllo della Corte dei Conti secondo quanto disposto dall’art. 100 bis e a controllo interno in conformità a quanto stabilito dalle leggi regionali nonché dagli statuti locali".

Si osserva che la proposta di giurisdizionalizzazione del controllo fu avanzata e abbandonata anche ai tempi (art. 49 dell’allora DDL) dei lavori parlamentari sulla legge 142/90.

L’idea nasce dal diritto francese, in particolare dalla legge 2/3/82 relativa ai diritti e le libertà dei Comuni, dei Dipartimenti e delle Regioni che da un lato ha affermato il principio che gli atti di queste amministrazioni sono esecutivi di pieno diritto, sopprimendo quindi tutti i controlli a carattere preventivo, dall’altro ha sottoposto detti atti all’unico controllo giurisdizionale che deve essere attivato dal rappresentante dello Stato nel Comune, Dipartimento o Regione (cfr. Potoschnig Controlli e principi costituzionali sulla pubblica amministrazione, in Regione e Governo Locale, 1984, 516, p. 19 e ss.).

C’è da dire peraltro che detto istituto ha avuto scarsa applicazione concreta in Francia.

In pratica è servito soprattutto per ripristinare la tanto vituperata "tutela": il Prefetto ha preferito emanare circolari e istruzioni agli enti che, normalmente, si sono adeguati.

Solo per gli enti refrattari ad ogni "tutela" si è scelta la strada giurisdizionale.

Ora chi propugna tale proposta dimostra di non conoscere assolutamente lo stato "reale" della giustizia in Italia.

Abbiamo visto sopra che ancora alla conferenza Nazionale della Giustizia tenutasi a Bologna nel 1991, l’allora ministro in carica affermava che i tempi "medi" di un giudizio amministrativo (giudice competente per il sindaco sulla legittimità degli atti) ammontavano a 12 anni.

Da allora, 5 anni dopo, i tempi si sono ulteriormente dilatati.

Del tutto differente è invece la situazione della Giustizia amministrativa francese che funziona a tempi rapidi e non ha mai riportato alcuna condanna della Commissione Europea dei diritti dell’uomo per la lentezza dei tempi, condanna che invece è ormai usuale nei confronti dello stato italiano, tanto che l’organismo europeo è ormai letteralmente invaso dai fondati ricorsi dei cittadini italiani che chiedono ed otterranno tale condanna.

Ora è vero che si può anche sperare (?) in una riforma della giustizia amministrativa, ma rimane comunque un’obiezione di principio: in Francia il potere di impugnazione è affidato ad un organo istituzionale-tecnico quale il Prefetto, nel nostro ordinamento il Presidente della Giunta Regionale è un organo istituzionale di nomina elettiva e politica.

Quest’ultimo dunque ben potrebbe impugnare dinnanzi al Giudice competente prevalentemente gli atti di Enti locali amministrati da cittadini appartenenti a forze politiche di opposizione.

In tal caso l’obiettività del controllo, oggi assicurata dalla L. 142/96, scadrebbe per dar luogo ad una contrapposizione prevalentemente politica.

4.2. Il problema dello svincolo dei controlli dalla politica non pare risolto nemmeno con l’affidamento dei controlli alla Corte dei Conti, come dimostrano le recenti polemiche interne alla Corte dei Conti seguite dalla stampa nazionale.

Ma anche sulla pretesa mancanza di sovraordinazione della Corte dei Conti di cui alla proposta delle Regioni del luglio ’96 avremmo molto da dire.

La Corte dei conti nel nostro ordinamento è giudice della responsabilità contabile e delle pensioni, è il persecutore d’ufficio della responsabilità amministrativa ed il giudice della stessa, esercita il controllo di legittimità preventivo e successivo su singoli atti e il controllo sulla gestione sullo Stato ed enti collegati, e, con la legge 20/94, anche sugli enti locali.

Ora ad avviso di chi scrive non pare che questo organo formato da magistrati di carriera e di nomina governativa potrebbe risolvere il problema in esame.

Del resto anche sotto il profilo dell’efficienza vi sarebbe molto da ridire in proposito. Senza andare al problema delle pensioni di guerra che ancora aspettano di essere liquidate, e che il governo dell’epoca, con una norma degna della Repubblica di Vichy, ha risolto con una generale declaratoria di estinzione del giudizio (art. 6 n. 2 del DL 453/93) in mancanza di istanza per la prosecuzione del medesimo da depositarsi entro sei mesi dall’avviso di ricezione del fascicolo da parte della sezione competente, basti qui osservare alla fine di luglio 1994 risultavano ancora inevasi da esaminare 192 mila rendiconti e 792mila titoli di pagamento (Roberto Turno, Su Procura e pensioni pesano 250mila pensioni di guerra, Il Sole 24 Ore, 24/10/’93).

Si aggiunga che nel 1995 i ricorsi in materia pensionistica ancora inevasi sono diventati 291mila, secondo quanto accertato dall’On.le Raffaele Costa (in Corriere della Sera, 9/5/’96).

Neppure ha dato grandi prove di efficienza il controllo sulla gestione del bilancio dello stato e sulla gestione finanziaria degli enti a cui lo stato contribuisce in via ordinaria (art. 100, comma 2. Costituzione), se è vero che proprio con riferimento a questi ultimi sono scoppiati casi più eclatanti di Tangentopoli: si noti che per tali enti la Corte dei Conti poteva esercitare già quel controllo sui risultati che oggi tanti menti elette "auspicano".

Sembra a chi scrive che è più che sufficiente per la Corte dei Conti il controllo sulle amministrazioni dello Stato che peraltro, almeno dalle note vicende giudiziarie che sono sui giornali, non pare particolarmente efficace (vedasi ad ed. appalti ANAS, FFSS e quant’altro).

D’altronde le Regioni nell’elaborare la loro proposta si sono dimenticate che anche per gli enti locali il controllo di gestione della Corte dei Conti c’è già ed è normativamente previsto dall’art. 3 n. 4 e 5 della L. n. 20 del 14/1/’94, controllo sia nei confronti delle amministrazioni locali che quelle regionali.

Pare a chi scrive che questa norma che pur ha superato il vaglio della Corte Costituzionale (sentenza n.29 del 12-27/1/’95) si collochi esattamente in un deprecabile fenomeno di sovvertimento delle regole costituzionali attraverso un metodo strisciante che si avvale della adozione di leggi ordinarie.

D’altronde la stessa attribuzione del controllo di gestione ad un organo intrinsecamente "autoritativo" come la Corte dei Conti rappresenta ad avviso di chi scrive una lesione dell’autonomia costituzionale degli enti locali.

Un conto è infatti è che il controllo di gestione, anche quando non sia un controllo interno, sia affidato ad un "organo della regione", che fornisca un sindacato anche molto critico ma di tipo collaborativo e nell’interesse della stessa organizzazione che ne fruisce, un conto è che esso sia affidato ad un organo che si trova istituzionalmente in una posizione fondamentalmente sovraordinata, in quanto titolare costituzionale - ma non verso gli enti locali - di una funzione di controllo, ed inoltre di una funzione giurisdizionale nella stessa materia.

Si vuol dire che la posizione della Corte dei Conti è comunque quella di una "autorità", e non quella di un collaboratore: come mostra fin troppo eloquentemente il vero e proprio potere della Corte di fare osservazioni in relazione alle quali le amministrazioni devono comunicare le misure conseguenzialmente assunte (come disposto dall’art. 3 comma 6L. 20/’94), e come mostrano ancora più i penetranti poteri di ingerenza previsti dal comma 8, ove non sono statuiti i doveri delle amministrazioni di inviare qualunque atto richiesto, ed ove è statuito il potere della Corte dei Conti di effettuare e disporre ispezioni e accertamenti diretti: ove si vede chiaramente che l’organo di controllo non presta una sua attività a favore dell’ente, ma svolge un controllo sull’ente stesso.

Per non dire poi che la Corte dei Conti è, per disposizione costituzionale, il giudice della giurisdizione contabile e se con funzione di controllore delle gestioni statali e derivate dallo Stato, nell’interesse della regolarità ed equilibrio della spesa statale, certamente non si concilierebbe invece affatto la figura del controllo della gestione nel senso della consulenza e della collaborazione e quasi "partecipazione" alla gestione, cui fanno insormontabile ostacolo proprio il ruolo tipico ed indefettibile della Corte dei Conti quale garante del bilancio statale e giudice contabile.

Non risulta peraltro che tale riforma ormai vigente abbia creato alcun benefico effetto nel sistema delle autonomie locali per cui è lecito prevedere che anche la proposta delle regioni avrà uguale sorte.

Il che peraltro conferma l’esistenza, nel nostro paese, di un fenomeno paradossale: l’accentramento dei controlli è direttamente proporzionale all’espansione del processo di regionalizzazione e all’affermazione del sistema delle autonomie locali (in altre parole se da una parte lo Stato amplia i poteri delle autonomie, dall’altra accentra di più i controlli sulle medesime).

Fenomeno che ha una logica se propugnato da chi crede nell’accentramento e nello statalismo, ma che risulta inspiegabile se non in un’ottica di autoflagellazione, quando è propugnato da chi si dichiara federalista.

D’altronde anche sui controlli interni non può darsi allo Stato un giudizio positivo.

La migliore dottrina ha evidenziato anzi l’efficienza attuale degli organi interni di revisione (si veda Andreani, Profili giuridici del controllo interno degli enti pubblici, in Riv. Trim. di dir. Pubbl., 1987, 1039).

La cosa assurda è che tutti i politici dal prof. Villone, Presidente della Commissione Affari Costituzionali del Senato, al Ministro Bassanini sono ampiamente critici nei confronti della corte dei Conti, eppure il loro programma di riforma dell’art. 130 della Costituzione prevede l’affidamento dei controlli sugli enti locali a "nuclei specializzati della Corte dei Conti" (par quasi di vedere la Guardia di finanza che si presenta a sequestrare materiale cartaceo).

Si aggiunga che l’istituzione delle nuove sezioni regionali di controllo della Corte dei Conti comporterà un’ingente spesa per le derelitte casse del nostro povero Stato.

Dovranno essere reperite nuove sedi, pagati gli ingenti stipendi dei magistrati e assunto nuovo personale d’ordine, mentre i Coreco ci sono già: funzionano e costano pochissimo alle Regioni (si pensi alla differenza fra lo stipendio di un magistrato e la modesta indennità del componente del Coreco).

Non vogliamo scadere nel banale, ma la differenza balza agli occhi.

Ma vi è di più.

In forza della nuova composizione ex L. 142/90 i Coreco sono composti da componenti dotati di elevata professionalità; professori universitari, avvocati, commercialisti, alti funzionari, tutte professionalità il cui impegno richiesto in forma privata comporterebbe spese non indifferenti per il bilancio degli enti (si pensi alle enormi spese sostenute dagli enti per ottenere qualificate consulenze).

Orbene questo coacervo di elevate professionalità gli enti locali se lo trovano a disposizione per una cifra simbolica (l’indennità) sostenuta dalla Regione.

Riteniamo pertanto che le proposte di modifica dell’art. 130 della Costituzione sopra esaminato, si configurano oggettivamente come un arretramento (di almeno 50 anni) rispetto alla Costituzione vigente, ancor più stridente se si considera la nuova qualificazione dello Stato in senso regionale e federalista, sostenuta e ribadita dal Governo.

Se poi si ricorda che la Corte dei Conti, oltre alle funzioni di controllo amministrativo, svolge già, ex legge 20/94, le funzioni di controllo della gestione degli enti locali e quelle di giurisdizione nelle materie contabili, allora potremmo paradossalmente sostenere che la nuova riforma costituzionale anziché allo "Stato delle Regioni" rischia di farci pervenire allo "Stato dei Giudici (contabili)".

Comunque abbiamo un’ulteriore conferma di quel fenomeno tipico del nostro paese cui accennavamo sopra: ad un ampliamento del processo di regionalizzazione del nostro paese che ci avvicina all’Europa corrisponde un processo di accentramento del sistema dei controlli che ce ne allontana.

E’ ormai da qualche anno che stiamo assistendo ad un vero e proprio sistematico attacco che viene sferrato da diverse parti, anche tra loro molto distanti, agli organi regionali di controllo.

La situazione può essere raffigurata come quella di una diligenza attaccata da due lati: da una parte gli indiani "metropolitani" dell’autonomia spinta, dall’altro le truppe governative formate da c.d. professori e dagli altri burocrati dei ministeri: per quel fenomeno paradossale cui accennavamo sopra stranamente le loro pretese coincidono.

Cominciò l’allora ministro della Sanità De Lorenzo il quale nel suo primo disegno di legge concernente le misure di riordino delle USL, pretendeva che il controllo sulla gestione di queste ultime fosse effettuato dalle Regioni utilizzando "società specializzate".

Sull’efficacia di tale confronto basti pensare al gruppo Gardini-Ferruzzi ed alla Società specializzata che ne rivedeva e certificava i bilanci.

Il De Lorenzo, è comunque, nonostante le vicissitudini personali, riuscito nel suo intento, cioè ha ottenuto l’eliminazione del controllo dei Coreco dalla Sanità affidandolo alle Regioni, cioè a nessuno.

La Sanità quindi oggi è libera e svincolata dal controllo dei Coreco, e lasciata all’"autonomia" totale dei direttori generali di nomina regionale (veri e propri podestà senza controllo) eppure non risulta che abbia fornito grandi prove di efficienza e di trasparenza nella gestione, anzi i dati forniscono elementi contrari, né è dato sapere se altri Poggiolini o altri De Lorenzo siano o meno presenti sulla scena pubblica.

5) Controlli di gestione e di efficienza: profili generali

5.1. La nozione tradizionale del controllo sulla pubblica Amministrazione, quale la verificazione della legittimità e, talvolta, della opportunità di singoli atti, alla stregua di un preesistente parametro di valutazione ed in vista di una misura sanzionatoria, è entrata in crisi un po’ dovunque, fin dall’immediato dopoguerra, tra gli Stati più evoluti.

Anche in Italia già da qualche decennio si è sviluppato un vasto movimento di opinione rivolto all’introduzione nell’ambito dell’Amministrazione, sulla base delle esperienze già maturate all’estero, di controlli di efficienza del tipo di quelli in vigore nelle organizzazioni private.

Alla base del sistema vigente sta la natura meramente cartolare del controllo, che si svolge unicamente su singoli atti amministrativi. Ciò comporta che la situazione presa in esame dal controllore - e confrontata col parametro normativo - non è necessariamente quella reale, ma soltanto quella che emerge dai documenti che la rappresentano, documenti che generalmente provengono dalla stessa Amministrazione controllata e possono entro certi limiti anche essere "adattati" a fornire la rappresentazione che più serve.

Tutto questo spiega perché può accadere che procedimenti amministrativi sfociati in giudizi penali, che hanno responsabilità provocando clamorose reazioni nell’opinione pubblica, non abbiano dato luogo a rilievi in sede di controllo di legittimità, essendo risultati i relativi atti, nella loro consistenza cartolare, ineccepibili.

Ora il problema da risolvere non è quello di eliminare o di cercare di rendere meno efficaci i controlli, ma di adeguarli alle nuove realtà. Si tratta di stabilire quale sia lo scopo della legge e quindi definire l’attività da svolgere. Il controllo deve assicurare la stretta connessione tra l’attività amministrativa e gli obiettivi indicati dal legislatore.

L’inadeguatezza del sistema attuale dei controlli non comporta la loro eliminazione, ma un ripensamento ed una maturazione evolutiva in funzione delle nuove finalità che lo Stato moderno si propone di perseguire.

Il controllo di legittimità resta sempre condizione essenziale allo svolgimento della gestione, ma non può essere più considerato attività fine a se stesso. Esso va correlato al concetto di funzionalità dell’Amministrazione pubblica.

D’altra parte, per quanto riguarda l’amministrazione statale, la recente evoluzione dei controlli amministrativi sembra orientarsi nel senso della riduzione dell’area del controllo preventivo di legittimità della Corte dei Conti a favore di quello successivo, preferibilmente verso forme di tipo gestionale.

Oggi, infatti, è sempre più sentita l’esigenza di introdurre controlli di efficienza, operanti come controlli impulso rivolti a favorire il conseguimento degli obiettivi programmatici, in contrapposizione ai controlli freno attualmente in funzione e che si limitano a passare al vaglio i singoli atti compiuti.

Per tale ragione, si fa sempre riferimento al controllo di gestione per indicare, appunto, che il suo oggetto non è più l’atto amministrativo singolarmente considerato, ma tutta la gestione amministrativa globalmente intesa, caratterizzata non solo dagli atti emanati ma anche da quelli omessi e, soprattutto, dai risultati raggiunti.

Il controllo di gestione, in altri termini, non si propone tanto di accertare la legittimità dei singoli atti amministrativi, quanto di valutare, a posteriori, sotto il profilo della buona amministrazione e della conformità agli obiettivi prefissati, l’intera gestione. In tale ipotesi più correttamente si dovrebbe parlare di controllo sulla gestione.

5.2. Spesso nei dibattiti che si sono svolti in ordine alle riforme dei controlli i giuristi, parlando del controllo di efficienza, di efficacia e di proficuità, in relazione al controllo di gestione, si sono riferiti al controllo "sulla gestione", creando una certa difficoltà nel definire i contenuti delle due diverse espressioni.

Allo scopo di dare maggiori elementi di chiarezza non sembra superfluo indugiare in qualche ulteriore riflessione sui due concetti. Le espressioni di controllo di gestione o controllo di efficienza servono ad indicare operazioni non del tutto omogenee e corrispondenti a diverse finalità. Accanto ad un controllo "sulla gestione", che interviene ad attività espletata al fine di valutare i risultati raggiunti e i mezzi impiegati, esiste anche - ed è questa senz’altro la nozione più diffusa nel management privato - una funzione denominata controllo di "gestione", che si svolge in tempi concomitanti all’azione controllata per verificare la sua rispondenza agli obiettivi programmatici e per disporre contestualmente le eventuali correzioni di rotta. Nella prima concezione l’aspetto prevalente è quello del giudizio: le valutazioni dell’organo controllante, che è opportuno sia esterno e neutrale, servono a contestare responsabilità di origine sia gestionale che giuridica e rappresentano la base per successive variazioni programmatiche e normative. Nella seconda, invece, prevale l’aspetto della collaborazione e della partecipazione del controllore all’azione del controllato, che si manifesta nell’individuazione delle distorsioni quando ancora si stanno verificando e nella contemporanea indicazione dei rimedi occorrenti. Per un controllo di questo secondo tipo non occorre la neutralità del controllore, ma il suo pieno coinvolgimento e corresponsabilizzazione nella realizzazione dei programmi: esso non consiste in una revisione critica operata a posteriori per apprezzare il grado di realismo dei programmatori e valutare l’operato degli esecutori, ma in un’azione continua di indirizzo e di correzione da attuare in concomitanza alla svolgimento dell’attività immediatamente operativa.

Scopo del controllo "di gestione" è quello di governare razionalmente la gestione e di raggiungere i fini prestabiliti. Esso assolve a tale duplice funzione attraverso una costante verifica dell’andamento dell’attività aziendale che permette, durante lo svolgimento dei processi amministrativi, di accertare e di controllare la congruenza degli stessi con gli obiettivi prefissati.

Il controllo di gestione del secondo tipo è quindi un tipico controllo interno, mentre quello di primo tipo è un controllo esterno.

Ciò posto occorre osservare che il dibattito sulla riforma dei controlli in Italia, se evidenzia una pressoché generale concordanza di opinioni sulla necessità di introdurre anche da noi, in forma generalizzata, controlli di gestione, vede, peraltro, parte della dottrina attestata su posizioni di cautela.

Una tesi assai diffusa, cui va anche il nostro consenso, ritiene auspicabile l’introduzione in forma generalizzata dei nuovi controlli senza però rinunziare ai tradizionali controlli di legittimità, che, ridimensionati quanto a estensione e razionalizzati nel procedimento, possono ancora svolgere un’utile funzione.

6) La soluzione del problema: agli organi regionali il nuovo controllo

Si pone ora il problema della competenza: a quale organo va affidato il "nuovo" controllo?

Siamo perfettamente a conoscenza che l’opinione di molti sindaci e dello stesso Ministro per gli affari regionali, è per l’abrogazione dei controlli regionali. Tale opinione peraltro pare in stridente contrasto con la volontà ampiamente ribadita in tutte le sedi politiche di attuare una riforma federalista dello Stato, almeno alla luce dei sistemi federali vigenti.

Nel contempo peraltro sarebbe opportuna una riflessione su un dato di fatto statisticamente rilevante e cioè sulla circostanza che i comuni del Coreco ex art. 45 n. 1 (controllo c.d. a richiesta) molte delibere di giunta che non dovrebbero invece essere sottoposte al controllo secondo i principi della legge 142790.

Occorre pertanto individuare le linee di una riforma che sia caratterizzata dai controlli-impulso rivolti a favorire il conseguimento degli obbiettivi programmatici, in contrapposto ai controlli-freno attuali, che tendono a disincentivare l’azione, avendo di mira soltanto gli atti positivi o al più, le omissioni di atti obbligatori, sviluppando nel contempo le attività di consulenza, già di fatto svolte dai Coreco, soprattutto per i piccoli o medi comuni.

Pare opportuno infatti affrontare la questione in modo differenziato per i grandi Comuni metropolitani ed i piccoli comuni sviluppando, a favore di questi ultimi l’attività di consulenza del Coreco.

Sembra inoltre necessario che debba essere evidenziata ed accresciuta la facoltà di ricorrere al Coreco sia come organo di consulenza sia, a richiesta, come organo in condizione di prevenire la patologia dell’atto amministrativo. Non si dimentichi che nella prassi si è sviluppato un istituto, non previsto da alcuna norma di legge, quello cioè degli esposti inoltrati al Coreco da cittadini o dai dipendenti, quando si tratta di materia di impiego, che ritengono di aver subito un danno per effetto di un atto amministrativo. Essi svolgono un ruolo non secondario nell’esperienza amministrativa e consentono al cittadino di avere una risposta rapida (il Coreco è l’unico organo che si deve pronunciare entro 20 giorni sulla legittimità dell’atto gravato da esposto) che in qualche misura tende a coprire le lentezze, i tempi ormai biblici e le carenze del procedimento giurisdizionale amministrativo.

Sotto un diverso profilo si ricordi che la riforma della L. 142/90 ha ormai risolto il problema della politicizzazione del Coreco, che sono ormai oggi organi qualificati formati da alti livelli di professionalità prescelti su indicazioni degli ordini professionali: dunque la soluzione del problema c’è già, e non richiede nessuna modifica della Carta Costituzionale.

Basta introdurre il controllo successivo sull’attività dell’ente locale non previsto, ma neppure escluso, dal legislatore costituzionale (sull’ammissibilità costituzionale del controllo di gestione come controllo "atipico" cfr. A. Patumi, Studi per il decennale della sezione enti locali della Corte dei Conti, 1992, vol. I, p. 93; cfr. anche S.Buscema, Trattato di contabilità pubblica, vol. IV, Milano, 1987, p. 628 e seg.) che forse non lo conosceva neppure.

Con riguardo a questa forma di sindacato, abbiamo visto sopra si parla appunto di controllo di gestione, per indicare che il suo oggetto non è più l’atto amministrativo singolarmente considerato, ma tutta la gestione amministrativa globalmente intesa, caratterizzata non solo dagli enti emanati ma anche da quelli omessi, e soprattutto, dai risultati raggiunti. Dell’attività amministrativa si tratta di valutare l’efficacia e l’efficienza: la prima esprime l’idoneità a raggiungere gli obiettivi prefissati, la seconda attiene al rapporto tra risorse impiegate e risultati conseguiti.

Tale sistema potrebbe ben essere affiancato ai tradizionali controlli di legittimità, che in forma maggiormente ridotta e razionalizzata anche rispetto a quella prevista dalla legge 142/90 possano ancora svolgere un’utile funzione.

Entrambi ovviamente devono essere affidati al Coreco quale organo costituzionalmente previsto ed a ciò deputato dall’art. 130 della Costituzione.

Del resto un’embrionale forma di controllo di gestione è già affidata al Coreco dall’art. 46 N. 11 della L. 142/90 (che peraltro all’art. 57 affida al collegio dei revisori la revisione economico-finanziaria dell’ente, che può essere un utile supporto al futuro controllo di efficacia e di efficienza affidato al Coreco).

Ovviamente però per svolgere tali compiti ex art. 44 N. L. 142/90 il Coreco deve essere dotato di adeguate strutture di serventi, essendo allo stato impensabile di poter effettuare un serio controllo di gestione con le strutture attualmente esistenti.

Si potrebbe pensare anche ad un controllo di gestione impostato dapprima su tematiche (ad es. personale, contratti, servizi...) preventivamente scelte dall’organo di controllo per poter svolgere un esame approfondito sulla gestione in materia dell’ente locale.

Tale attività sarebbe di grande rilievo pratico e politico in quanto consentirebbe ai cittadini di avere un immediato rapporto sull’attività dell’ente locale e verrebbe a configurare il Coreco come una vera e propria banca dati delle autonomie, con evidenti benefici per l’efficacia e l’efficienza dell’attività di queste ultime e della stessa Regione.

La soluzione da noi proposta potrebbe anche essere letta come un indispensabile adeguamento a livelli "europei" della nostra normativa in materia di controlli.

Si noti che oltre ad avvicinarci all’Europa, essa consentirebbe una notevole moralizzazione della nostra vita politica ed un vero controllo più imparziale e più efficace dell’azione amministrativa, nel totale rispetto peraltro delle autonomie locali e della carta costituzionale.

In sostanza, se si vuole arrivare, come tutti dichiariamo di volere, ad una riforma in senso federale dello Stato, essa non può che privilegiare il ruolo del Coreco, così come avviene negli stati federali a cui va affidato, dopo averlo dotato di adeguate strutture serventi, il nuovo controllo di gestione sulle autonomie, controllo quindi successivo, teso a valutare l’efficacia e l’efficienza dell’azione amministrativa limitando nel contempo il ruolo del controllo preventivo a quello sugli atti fondamentali e a quello a richiesta sia degli enti, delle minoranze, del Prefetto e del cittadino.

Riepilogando quindi al Coreco nell’ambito di una riforma razionale ed immediatamente attuabile va affidato:

1) il controllo di legittimità su atti fondamentali, da individuarsi (cfr. a es. bilanci, statuti, regolamenti), il cui invio all’organo di controllo sia previsto obbligatoriamente;

2) il controllo cd. di gestione, anch’esso da esercitarsi in via obbligatoria e successiva, peraltro da attuare gradatamente come previsto sopra;

3) il controllo di legittimità cd. a richiesta su materia di particolare importanza (appalti, concessioni di servizi pubblici, personale, contratti):

A) ad iniziativa istituzionale

a) dei consigli comunali;

b) delle Giunte;

c) dei Consiglieri comunali (il cui numero dovrà determinarsi);

d) del Prefetto (ove non venga, ma pare difficile, anch’esso abrogato);

B) ad iniziativa di quanti si dimostrino portatori di interessi comunque coinvolti nel procedimento destinato alla emanazione dell’atto da sottoporsi al controllo, (salva impregiudicata la facoltà di adire gli organi di Giustizia Amministrativa), con ciò raggiungendo il duplice scopo di ridurre il contenzioso avanti i TT.AA.RR., offrendo, nel contempo, al cittadino un mezzo efficace e solerte, per ottenere la tutela adeguata avverso atti degli EE.LL. dei quali lo stesso si trovi interessato.

4) l’attività di consulenza nelle materie di pertinenza degli EE.LL. soprattutto per i Comuni di medie-piccole dimensioni offrendo loro l’opportunità di preventive consultazioni sull’adozione di provvedimenti di particolare complessità.

Come si è detto, questa è una riforma che può essere attuata immediatamente, senza alcun bisogno di modifiche costituzionali e..., senza spesa alcuna, ci permettiamo di suggerirla al Ministero della Funzione Pubblica al quale vorremmo anche ricordare "come le riforme compiute a tempo, invece d’indebolire l’autorità la rinforzano: invece di crescere la forza dello spirito rivoluzionario, lo riducono all’impotenza" (Cavour, Discorso al Parlamento subalpino, 7/3/1850).

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Convegno su "Autonomie locali e federalismo - Nuovi controlli per nuovi poteri" 14,3,1997, Marina di Ravenna, (RA), Italia.

intervento: "PER UNA RIFORMA EUROPEA DEI CONTROLLI SUGLI ENTI LOCALI"

4) Riforma costituzionale dei controlli - Eliminazione dei Coreco e affidamento dei controlli alla Corte dei Conti - Riforma federalista e accentramento dei controlli.

4.1. Tutte le proposte di eliminazione dei Coreco si scontrano con lo scoglio dell’art. 130 della Costituzione che come è noto, prevede che il controllo di legittimità sugli atti degli enti locali deve essere esercitato da un "organo della Regione".

Ecco quindi le varie proposte di modifica dell’art. 130 della Costituzione peraltro tutte stranamente correlate ad una riforma che si pretende "federalista", anche sotto questo specifico profilo.

Ora è noto che l’idea "forte" che domina, in questo momento, il dibattito politico è quella del "federalismo".

Tutte le forze politiche, dall’estrema sinistra fino ad alleanza nazionale si dichiarano "federaliste" e tutte dicono di voler attuare nel nostro paese il federalismo (le uniche voci critiche sono quelle di Giuliano Amato in un articolo apparso su la Stampa 14/10/’96 e di Martinazzoli, sindaco di Brescia, al convegno di Venezia dell’Anci del settembre del 1996).

Orbene proprio nella prospettiva della riforma in senso federale occorre svolgere alcune considerazioni sulla futura organizzazione dei controlli amministrativi esterni sugli enti locali che vanno strettamente collegati al concetto di autonomia degli enti stessi, altro concetto particolarmente di moda in questi tempi.

Due sono le alternative possibili:

1) L’istituzione di una Corte unica per tutto lo Stato (Corte dei Conti), che potrà stabilire, o meno, sezioni territoriali; o 2) la coesistenza dell’organismo di controllo centrale con quelli a carattere più territoriale.

I più importanti stati federati facenti parte della CEE (Germania e Spagna) hanno decisamente puntato sulla seconda alternativa con l’istituzione dei Landesrechnungshop o Rechnungshof regionali ovvero delle Sindacatura de comptes o Camera de cuentas regionali.

I soloni del nostro paese paiono invece, a quanto è dato di capire, e forse senza neppure aver compreso il problema, privilegiare la prima soluzione.

Si è visto sopra che il programma elettorale dell’Ulivo prevedeva che i controlli amministrativi dovessero essere affidati a "nuclei specializzati della Corte dei Conti".

D’altronde nella proposta di riforma della Commissione Iotti, ancora nel 1993-94, all’art. 130 si prevedeva al posto dell’"Organo della Regione" la competenza delle "sezioni decentrate della Corte dei Conti".

Anche la proposta di riforma del Titolo Quinto della Costituzione elaborata nel luglio 96 dalla Conferenza dei presidenti del Consigli delle Regioni prevede all’art. 127 sia in ordine al controllo preventivo di legittimità che al controllo successivo denominato finanziario, la competenza della Corte dei Conti "quale organo di competenza unitaria per l’intero ordinamento della Repubblica e perciò stesso, indipendente e portatore non di una sovraordinazione ma di funzione generale di tutela della regolarità nell’amministrazione" (introduzione p.23).

E ancora si è visto che la stessa Regione Lombardia seguita da altre propugna fra i quesiti dei referendum per il federalismo, il dodicesimo, che chiede "’abrogazione dei controlli di legittimità sugli atti amministrativi dei comuni da parte dei Coreco".

Referendum che pare fare a pugni con il concetto di federalismo: le Regioni "referendarie" in sostanza chiedono di abrogare un proprio "organo"....per affidare il controllo ad un organo "statale"!

Da ultimo la Giunta della Regione Emilia-Romagna ha avanzato una proposta di riforma dell’art. 130 della Costituzione così congeniata (art. 40 in B.U. N. 133 del 23/10/’96) "Il controllo di legittimità sugli atti degli enti locali si svolge mediante impugnazione da parte del Presidente della Regione dinnanzi al giudice competente.....La gestione delle amministrazioni locali è soggetta al controllo della Corte dei Conti secondo quanto disposto dall’art. 100 bis e a controllo interno in conformità a quanto stabilito dalle leggi regionali nonché dagli statuti locali".

Si osserva che la proposta di giurisdizionalizzazione del controllo fu avanzata e abbandonata anche ai tempi (art. 49 dell’allora DDL) dei lavori parlamentari sulla legge 142/90.

L’idea nasce dal diritto francese, in particolare dalla legge 2/3/82 relativa ai diritti e le libertà dei Comuni, dei Dipartimenti e delle Regioni che da un lato ha affermato il principio che gli atti di queste amministrazioni sono esecutivi di pieno diritto, sopprimendo quindi tutti i controlli a carattere preventivo, dall’altro ha sottoposto detti atti all’unico controllo giurisdizionale che deve essere attivato dal rappresentante dello Stato nel Comune, Dipartimento o Regione (cfr. Potoschnig Controlli e principi costituzionali sulla pubblica amministrazione, in Regione e Governo Locale, 1984, 516, p. 19 e ss.).

C’è da dire peraltro che detto istituto ha avuto scarsa applicazione concreta in Francia.

In pratica è servito soprattutto per ripristinare la tanto vituperata "tutela": il Prefetto ha preferito emanare circolari e istruzioni agli enti che, normalmente, si sono adeguati.

Solo per gli enti refrattari ad ogni "tutela" si è scelta la strada giurisdizionale.

Ora chi propugna tale proposta dimostra di non conoscere assolutamente lo stato "reale" della giustizia in Italia.

Abbiamo visto sopra che ancora alla conferenza Nazionale della Giustizia tenutasi a Bologna nel 1991, l’allora ministro in carica affermava che i tempi "medi" di un giudizio amministrativo (giudice competente per il sindaco sulla legittimità degli atti) ammontavano a 12 anni.

Da allora, 5 anni dopo, i tempi si sono ulteriormente dilatati.

Del tutto differente è invece la situazione della Giustizia amministrativa francese che funziona a tempi rapidi e non ha mai riportato alcuna condanna della Commissione Europea dei diritti dell’uomo per la lentezza dei tempi, condanna che invece è ormai usuale nei confronti dello stato italiano, tanto che l’organismo europeo è ormai letteralmente invaso dai fondati ricorsi dei cittadini italiani che chiedono ed otterranno tale condanna.

Ora è vero che si può anche sperare (?) in una riforma della giustizia amministrativa, ma rimane comunque un’obiezione di principio: in Francia il potere di impugnazione è affidato ad un organo istituzionale-tecnico quale il Prefetto, nel nostro ordinamento il Presidente della Giunta Regionale è un organo istituzionale di nomina elettiva e politica.

Quest’ultimo dunque ben potrebbe impugnare dinnanzi al Giudice competente prevalentemente gli atti di Enti locali amministrati da cittadini appartenenti a forze politiche di opposizione.

In tal caso l’obiettività del controllo, oggi assicurata dalla L. 142/96, scadrebbe per dar luogo ad una contrapposizione prevalentemente politica.

4.2. Il problema dello svincolo dei controlli dalla politica non pare risolto nemmeno con l’affidamento dei controlli alla Corte dei Conti, come dimostrano le recenti polemiche interne alla Corte dei Conti seguite dalla stampa nazionale.

Ma anche sulla pretesa mancanza di sovraordinazione della Corte dei Conti di cui alla proposta delle Regioni del luglio ’96 avremmo molto da dire.

La Corte dei conti nel nostro ordinamento è giudice della responsabilità contabile e delle pensioni, è il persecutore d’ufficio della responsabilità amministrativa ed il giudice della stessa, esercita il controllo di legittimità preventivo e successivo su singoli atti e il controllo sulla gestione sullo Stato ed enti collegati, e, con la legge 20/94, anche sugli enti locali.

Ora ad avviso di chi scrive non pare che questo organo formato da magistrati di carriera e di nomina governativa potrebbe risolvere il problema in esame.

Del resto anche sotto il profilo dell’efficienza vi sarebbe molto da ridire in proposito. Senza andare al problema delle pensioni di guerra che ancora aspettano di essere liquidate, e che il governo dell’epoca, con una norma degna della Repubblica di Vichy, ha risolto con una generale declaratoria di estinzione del giudizio (art. 6 n. 2 del DL 453/93) in mancanza di istanza per la prosecuzione del medesimo da depositarsi entro sei mesi dall’avviso di ricezione del fascicolo da parte della sezione competente, basti qui osservare alla fine di luglio 1994 risultavano ancora inevasi da esaminare 192 mila rendiconti e 792mila titoli di pagamento (Roberto Turno, Su Procura e pensioni pesano 250mila pensioni di guerra, Il Sole 24 Ore, 24/10/’93).

Si aggiunga che nel 1995 i ricorsi in materia pensionistica ancora inevasi sono diventati 291mila, secondo quanto accertato dall’On.le Raffaele Costa (in Corriere della Sera, 9/5/’96).

Neppure ha dato grandi prove di efficienza il controllo sulla gestione del bilancio dello stato e sulla gestione finanziaria degli enti a cui lo stato contribuisce in via ordinaria (art. 100, comma 2. Costituzione), se è vero che proprio con riferimento a questi ultimi sono scoppiati casi più eclatanti di Tangentopoli: si noti che per tali enti la Corte dei Conti poteva esercitare già quel controllo sui risultati che oggi tanti menti elette "auspicano".

Sembra a chi scrive che è più che sufficiente per la Corte dei Conti il controllo sulle amministrazioni dello Stato che peraltro, almeno dalle note vicende giudiziarie che sono sui giornali, non pare particolarmente efficace (vedasi ad ed. appalti ANAS, FFSS e quant’altro).

D’altronde le Regioni nell’elaborare la loro proposta si sono dimenticate che anche per gli enti locali il controllo di gestione della Corte dei Conti c’è già ed è normativamente previsto dall’art. 3 n. 4 e 5 della L. n. 20 del 14/1/’94, controllo sia nei confronti delle amministrazioni locali che quelle regionali.

Pare a chi scrive che questa norma che pur ha superato il vaglio della Corte Costituzionale (sentenza n.29 del 12-27/1/’95) si collochi esattamente in un deprecabile fenomeno di sovvertimento delle regole costituzionali attraverso un metodo strisciante che si avvale della adozione di leggi ordinarie.

D’altronde la stessa attribuzione del controllo di gestione ad un organo intrinsecamente "autoritativo" come la Corte dei Conti rappresenta ad avviso di chi scrive una lesione dell’autonomia costituzionale degli enti locali.

Un conto è infatti è che il controllo di gestione, anche quando non sia un controllo interno, sia affidato ad un "organo della regione", che fornisca un sindacato anche molto critico ma di tipo collaborativo e nell’interesse della stessa organizzazione che ne fruisce, un conto è che esso sia affidato ad un organo che si trova istituzionalmente in una posizione fondamentalmente sovraordinata, in quanto titolare costituzionale - ma non verso gli enti locali - di una funzione di controllo, ed inoltre di una funzione giurisdizionale nella stessa materia.

Si vuol dire che la posizione della Corte dei Conti è comunque quella di una "autorità", e non quella di un collaboratore: come mostra fin troppo eloquentemente il vero e proprio potere della Corte di fare osservazioni in relazione alle quali le amministrazioni devono comunicare le misure conseguenzialmente assunte (come disposto dall’art. 3 comma 6L. 20/’94), e come mostrano ancora più i penetranti poteri di ingerenza previsti dal comma 8, ove non sono statuiti i doveri delle amministrazioni di inviare qualunque atto richiesto, ed ove è statuito il potere della Corte dei Conti di effettuare e disporre ispezioni e accertamenti diretti: ove si vede chiaramente che l’organo di controllo non presta una sua attività a favore dell’ente, ma svolge un controllo sull’ente stesso.

Per non dire poi che la Corte dei Conti è, per disposizione costituzionale, il giudice della giurisdizione contabile e se con funzione di controllore delle gestioni statali e derivate dallo Stato, nell’interesse della regolarità ed equilibrio della spesa statale, certamente non si concilierebbe invece affatto la figura del controllo della gestione nel senso della consulenza e della collaborazione e quasi "partecipazione" alla gestione, cui fanno insormontabile ostacolo proprio il ruolo tipico ed indefettibile della Corte dei Conti quale garante del bilancio statale e giudice contabile.

Non risulta peraltro che tale riforma ormai vigente abbia creato alcun benefico effetto nel sistema delle autonomie locali per cui è lecito prevedere che anche la proposta delle regioni avrà uguale sorte.

Il che peraltro conferma l’esistenza, nel nostro paese, di un fenomeno paradossale: l’accentramento dei controlli è direttamente proporzionale all’espansione del processo di regionalizzazione e all’affermazione del sistema delle autonomie locali (in altre parole se da una parte lo Stato amplia i poteri delle autonomie, dall’altra accentra di più i controlli sulle medesime).

Fenomeno che ha una logica se propugnato da chi crede nell’accentramento e nello statalismo, ma che risulta inspiegabile se non in un’ottica di autoflagellazione, quando è propugnato da chi si dichiara federalista.

D’altronde anche sui controlli interni non può darsi allo Stato un giudizio positivo.

La migliore dottrina ha evidenziato anzi l’efficienza attuale degli organi interni di revisione (si veda Andreani, Profili giuridici del controllo interno degli enti pubblici, in Riv. Trim. di dir. Pubbl., 1987, 1039).

La cosa assurda è che tutti i politici dal prof. Villone, Presidente della Commissione Affari Costituzionali del Senato, al Ministro Bassanini sono ampiamente critici nei confronti della corte dei Conti, eppure il loro programma di riforma dell’art. 130 della Costituzione prevede l’affidamento dei controlli sugli enti locali a "nuclei specializzati della Corte dei Conti" (par quasi di vedere la Guardia di finanza che si presenta a sequestrare materiale cartaceo).

Si aggiunga che l’istituzione delle nuove sezioni regionali di controllo della Corte dei Conti comporterà un’ingente spesa per le derelitte casse del nostro povero Stato.

Dovranno essere reperite nuove sedi, pagati gli ingenti stipendi dei magistrati e assunto nuovo personale d’ordine, mentre i Coreco ci sono già: funzionano e costano pochissimo alle Regioni (si pensi alla differenza fra lo stipendio di un magistrato e la modesta indennità del componente del Coreco).

Non vogliamo scadere nel banale, ma la differenza balza agli occhi.

Ma vi è di più.

In forza della nuova composizione ex L. 142/90 i Coreco sono composti da componenti dotati di elevata professionalità; professori universitari, avvocati, commercialisti, alti funzionari, tutte professionalità il cui impegno richiesto in forma privata comporterebbe spese non indifferenti per il bilancio degli enti (si pensi alle enormi spese sostenute dagli enti per ottenere qualificate consulenze).

Orbene questo coacervo di elevate professionalità gli enti locali se lo trovano a disposizione per una cifra simbolica (l’indennità) sostenuta dalla Regione.

Riteniamo pertanto che le proposte di modifica dell’art. 130 della Costituzione sopra esaminato, si configurano oggettivamente come un arretramento (di almeno 50 anni) rispetto alla Costituzione vigente, ancor più stridente se si considera la nuova qualificazione dello Stato in senso regionale e federalista, sostenuta e ribadita dal Governo.

Se poi si ricorda che la Corte dei Conti, oltre alle funzioni di controllo amministrativo, svolge già, ex legge 20/94, le funzioni di controllo della gestione degli enti locali e quelle di giurisdizione nelle materie contabili, allora potremmo paradossalmente sostenere che la nuova riforma costituzionale anziché allo "Stato delle Regioni" rischia di farci pervenire allo "Stato dei Giudici (contabili)".

Comunque abbiamo un’ulteriore conferma di quel fenomeno tipico del nostro paese cui accennavamo sopra: ad un ampliamento del processo di regionalizzazione del nostro paese che ci avvicina all’Europa corrisponde un processo di accentramento del sistema dei controlli che ce ne allontana.

E’ ormai da qualche anno che stiamo assistendo ad un vero e proprio sistematico attacco che viene sferrato da diverse parti, anche tra loro molto distanti, agli organi regionali di controllo.

La situazione può essere raffigurata come quella di una diligenza attaccata da due lati: da una parte gli indiani "metropolitani" dell’autonomia spinta, dall’altro le truppe governative formate da c.d. professori e dagli altri burocrati dei ministeri: per quel fenomeno paradossale cui accennavamo sopra stranamente le loro pretese coincidono.

Cominciò l’allora ministro della Sanità De Lorenzo il quale nel suo primo disegno di legge concernente le misure di riordino delle USL, pretendeva che il controllo sulla gestione di queste ultime fosse effettuato dalle Regioni utilizzando "società specializzate".

Sull’efficacia di tale confronto basti pensare al gruppo Gardini-Ferruzzi ed alla Società specializzata che ne rivedeva e certificava i bilanci.

Il De Lorenzo, è comunque, nonostante le vicissitudini personali, riuscito nel suo intento, cioè ha ottenuto l’eliminazione del controllo dei Coreco dalla Sanità affidandolo alle Regioni, cioè a nessuno.

La Sanità quindi oggi è libera e svincolata dal controllo dei Coreco, e lasciata all’"autonomia" totale dei direttori generali di nomina regionale (veri e propri podestà senza controllo) eppure non risulta che abbia fornito grandi prove di efficienza e di trasparenza nella gestione, anzi i dati forniscono elementi contrari, né è dato sapere se altri Poggiolini o altri De Lorenzo siano o meno presenti sulla scena pubblica.

5) Controlli di gestione e di efficienza: profili generali

5.1. La nozione tradizionale del controllo sulla pubblica Amministrazione, quale la verificazione della legittimità e, talvolta, della opportunità di singoli atti, alla stregua di un preesistente parametro di valutazione ed in vista di una misura sanzionatoria, è entrata in crisi un po’ dovunque, fin dall’immediato dopoguerra, tra gli Stati più evoluti.

Anche in Italia già da qualche decennio si è sviluppato un vasto movimento di opinione rivolto all’introduzione nell’ambito dell’Amministrazione, sulla base delle esperienze già maturate all’estero, di controlli di efficienza del tipo di quelli in vigore nelle organizzazioni private.

Alla base del sistema vigente sta la natura meramente cartolare del controllo, che si svolge unicamente su singoli atti amministrativi. Ciò comporta che la situazione presa in esame dal controllore - e confrontata col parametro normativo - non è necessariamente quella reale, ma soltanto quella che emerge dai documenti che la rappresentano, documenti che generalmente provengono dalla stessa Amministrazione controllata e possono entro certi limiti anche essere "adattati" a fornire la rappresentazione che più serve.

Tutto questo spiega perché può accadere che procedimenti amministrativi sfociati in giudizi penali, che hanno responsabilità provocando clamorose reazioni nell’opinione pubblica, non abbiano dato luogo a rilievi in sede di controllo di legittimità, essendo risultati i relativi atti, nella loro consistenza cartolare, ineccepibili.

Ora il problema da risolvere non è quello di eliminare o di cercare di rendere meno efficaci i controlli, ma di adeguarli alle nuove realtà. Si tratta di stabilire quale sia lo scopo della legge e quindi definire l’attività da svolgere. Il controllo deve assicurare la stretta connessione tra l’attività amministrativa e gli obiettivi indicati dal legislatore.

L’inadeguatezza del sistema attuale dei controlli non comporta la loro eliminazione, ma un ripensamento ed una maturazione evolutiva in funzione delle nuove finalità che lo Stato moderno si propone di perseguire.

Il controllo di legittimità resta sempre condizione essenziale allo svolgimento della gestione, ma non può essere più considerato attività fine a se stesso. Esso va correlato al concetto di funzionalità dell’Amministrazione pubblica.

D’altra parte, per quanto riguarda l’amministrazione statale, la recente evoluzione dei controlli amministrativi sembra orientarsi nel senso della riduzione dell’area del controllo preventivo di legittimità della Corte dei Conti a favore di quello successivo, preferibilmente verso forme di tipo gestionale.

Oggi, infatti, è sempre più sentita l’esigenza di introdurre controlli di efficienza, operanti come controlli impulso rivolti a favorire il conseguimento degli obiettivi programmatici, in contrapposizione ai controlli freno attualmente in funzione e che si limitano a passare al vaglio i singoli atti compiuti.

Per tale ragione, si fa sempre riferimento al controllo di gestione per indicare, appunto, che il suo oggetto non è più l’atto amministrativo singolarmente considerato, ma tutta la gestione amministrativa globalmente intesa, caratterizzata non solo dagli atti emanati ma anche da quelli omessi e, soprattutto, dai risultati raggiunti.

Il controllo di gestione, in altri termini, non si propone tanto di accertare la legittimità dei singoli atti amministrativi, quanto di valutare, a posteriori, sotto il profilo della buona amministrazione e della conformità agli obiettivi prefissati, l’intera gestione. In tale ipotesi più correttamente si dovrebbe parlare di controllo sulla gestione.

5.2. Spesso nei dibattiti che si sono svolti in ordine alle riforme dei controlli i giuristi, parlando del controllo di efficienza, di efficacia e di proficuità, in relazione al controllo di gestione, si sono riferiti al controllo "sulla gestione", creando una certa difficoltà nel definire i contenuti delle due diverse espressioni.

Allo scopo di dare maggiori elementi di chiarezza non sembra superfluo indugiare in qualche ulteriore riflessione sui due concetti. Le espressioni di controllo di gestione o controllo di efficienza servono ad indicare operazioni non del tutto omogenee e corrispondenti a diverse finalità. Accanto ad un controllo "sulla gestione", che interviene ad attività espletata al fine di valutare i risultati raggiunti e i mezzi impiegati, esiste anche - ed è questa senz’altro la nozione più diffusa nel management privato - una funzione denominata controllo di "gestione", che si svolge in tempi concomitanti all’azione controllata per verificare la sua rispondenza agli obiettivi programmatici e per disporre contestualmente le eventuali correzioni di rotta. Nella prima concezione l’aspetto prevalente è quello del giudizio: le valutazioni dell’organo controllante, che è opportuno sia esterno e neutrale, servono a contestare responsabilità di origine sia gestionale che giuridica e rappresentano la base per successive variazioni programmatiche e normative. Nella seconda, invece, prevale l’aspetto della collaborazione e della partecipazione del controllore all’azione del controllato, che si manifesta nell’individuazione delle distorsioni quando ancora si stanno verificando e nella contemporanea indicazione dei rimedi occorrenti. Per un controllo di questo secondo tipo non occorre la neutralità del controllore, ma il suo pieno coinvolgimento e corresponsabilizzazione nella realizzazione dei programmi: esso non consiste in una revisione critica operata a posteriori per apprezzare il grado di realismo dei programmatori e valutare l’operato degli esecutori, ma in un’azione continua di indirizzo e di correzione da attuare in concomitanza alla svolgimento dell’attività immediatamente operativa.

Scopo del controllo "di gestione" è quello di governare razionalmente la gestione e di raggiungere i fini prestabiliti. Esso assolve a tale duplice funzione attraverso una costante verifica dell’andamento dell’attività aziendale che permette, durante lo svolgimento dei processi amministrativi, di accertare e di controllare la congruenza degli stessi con gli obiettivi prefissati.

Il controllo di gestione del secondo tipo è quindi un tipico controllo interno, mentre quello di primo tipo è un controllo esterno.

Ciò posto occorre osservare che il dibattito sulla riforma dei controlli in Italia, se evidenzia una pressoché generale concordanza di opinioni sulla necessità di introdurre anche da noi, in forma generalizzata, controlli di gestione, vede, peraltro, parte della dottrina attestata su posizioni di cautela.

Una tesi assai diffusa, cui va anche il nostro consenso, ritiene auspicabile l’introduzione in forma generalizzata dei nuovi controlli senza però rinunziare ai tradizionali controlli di legittimità, che, ridimensionati quanto a estensione e razionalizzati nel procedimento, possono ancora svolgere un’utile funzione.

6) La soluzione del problema: agli organi regionali il nuovo controllo

Si pone ora il problema della competenza: a quale organo va affidato il "nuovo" controllo?

Siamo perfettamente a conoscenza che l’opinione di molti sindaci e dello stesso Ministro per gli affari regionali, è per l’abrogazione dei controlli regionali. Tale opinione peraltro pare in stridente contrasto con la volontà ampiamente ribadita in tutte le sedi politiche di attuare una riforma federalista dello Stato, almeno alla luce dei sistemi federali vigenti.

Nel contempo peraltro sarebbe opportuna una riflessione su un dato di fatto statisticamente rilevante e cioè sulla circostanza che i comuni del Coreco ex art. 45 n. 1 (controllo c.d. a richiesta) molte delibere di giunta che non dovrebbero invece essere sottoposte al controllo secondo i principi della legge 142790.

Occorre pertanto individuare le linee di una riforma che sia caratterizzata dai controlli-impulso rivolti a favorire il conseguimento degli obbiettivi programmatici, in contrapposto ai controlli-freno attuali, che tendono a disincentivare l’azione, avendo di mira soltanto gli atti positivi o al più, le omissioni di atti obbligatori, sviluppando nel contempo le attività di consulenza, già di fatto svolte dai Coreco, soprattutto per i piccoli o medi comuni.

Pare opportuno infatti affrontare la questione in modo differenziato per i grandi Comuni metropolitani ed i piccoli comuni sviluppando, a favore di questi ultimi l’attività di consulenza del Coreco.

Sembra inoltre necessario che debba essere evidenziata ed accresciuta la facoltà di ricorrere al Coreco sia come organo di consulenza sia, a richiesta, come organo in condizione di prevenire la patologia dell’atto amministrativo. Non si dimentichi che nella prassi si è sviluppato un istituto, non previsto da alcuna norma di legge, quello cioè degli esposti inoltrati al Coreco da cittadini o dai dipendenti, quando si tratta di materia di impiego, che ritengono di aver subito un danno per effetto di un atto amministrativo. Essi svolgono un ruolo non secondario nell’esperienza amministrativa e consentono al cittadino di avere una risposta rapida (il Coreco è l’unico organo che si deve pronunciare entro 20 giorni sulla legittimità dell’atto gravato da esposto) che in qualche misura tende a coprire le lentezze, i tempi ormai biblici e le carenze del procedimento giurisdizionale amministrativo.

Sotto un diverso profilo si ricordi che la riforma della L. 142/90 ha ormai risolto il problema della politicizzazione del Coreco, che sono ormai oggi organi qualificati formati da alti livelli di professionalità prescelti su indicazioni degli ordini professionali: dunque la soluzione del problema c’è già, e non richiede nessuna modifica della Carta Costituzionale.

Basta introdurre il controllo successivo sull’attività dell’ente locale non previsto, ma neppure escluso, dal legislatore costituzionale (sull’ammissibilità costituzionale del controllo di gestione come controllo "atipico" cfr. A. Patumi, Studi per il decennale della sezione enti locali della Corte dei Conti, 1992, vol. I, p. 93; cfr. anche S.Buscema, Trattato di contabilità pubblica, vol. IV, Milano, 1987, p. 628 e seg.) che forse non lo conosceva neppure.

Con riguardo a questa forma di sindacato, abbiamo visto sopra si parla appunto di controllo di gestione, per indicare che il suo oggetto non è più l’atto amministrativo singolarmente considerato, ma tutta la gestione amministrativa globalmente intesa, caratterizzata non solo dagli enti emanati ma anche da quelli omessi, e soprattutto, dai risultati raggiunti. Dell’attività amministrativa si tratta di valutare l’efficacia e l’efficienza: la prima esprime l’idoneità a raggiungere gli obiettivi prefissati, la seconda attiene al rapporto tra risorse impiegate e risultati conseguiti.

Tale sistema potrebbe ben essere affiancato ai tradizionali controlli di legittimità, che in forma maggiormente ridotta e razionalizzata anche rispetto a quella prevista dalla legge 142/90 possano ancora svolgere un’utile funzione.

Entrambi ovviamente devono essere affidati al Coreco quale organo costituzionalmente previsto ed a ciò deputato dall’art. 130 della Costituzione.

Del resto un’embrionale forma di controllo di gestione è già affidata al Coreco dall’art. 46 N. 11 della L. 142/90 (che peraltro all’art. 57 affida al collegio dei revisori la revisione economico-finanziaria dell’ente, che può essere un utile supporto al futuro controllo di efficacia e di efficienza affidato al Coreco).

Ovviamente però per svolgere tali compiti ex art. 44 N. L. 142/90 il Coreco deve essere dotato di adeguate strutture di serventi, essendo allo stato impensabile di poter effettuare un serio controllo di gestione con le strutture attualmente esistenti.

Si potrebbe pensare anche ad un controllo di gestione impostato dapprima su tematiche (ad es. personale, contratti, servizi...) preventivamente scelte dall’organo di controllo per poter svolgere un esame approfondito sulla gestione in materia dell’ente locale.

Tale attività sarebbe di grande rilievo pratico e politico in quanto consentirebbe ai cittadini di avere un immediato rapporto sull’attività dell’ente locale e verrebbe a configurare il Coreco come una vera e propria banca dati delle autonomie, con evidenti benefici per l’efficacia e l’efficienza dell’attività di queste ultime e della stessa Regione.

La soluzione da noi proposta potrebbe anche essere letta come un indispensabile adeguamento a livelli "europei" della nostra normativa in materia di controlli.

Si noti che oltre ad avvicinarci all’Europa, essa consentirebbe una notevole moralizzazione della nostra vita politica ed un vero controllo più imparziale e più efficace dell’azione amministrativa, nel totale rispetto peraltro delle autonomie locali e della carta costituzionale.

In sostanza, se si vuole arrivare, come tutti dichiariamo di volere, ad una riforma in senso federale dello Stato, essa non può che privilegiare il ruolo del Coreco, così come avviene negli stati federali a cui va affidato, dopo averlo dotato di adeguate strutture serventi, il nuovo controllo di gestione sulle autonomie, controllo quindi successivo, teso a valutare l’efficacia e l’efficienza dell’azione amministrativa limitando nel contempo il ruolo del controllo preventivo a quello sugli atti fondamentali e a quello a richiesta sia degli enti, delle minoranze, del Prefetto e del cittadino.

Riepilogando quindi al Coreco nell’ambito di una riforma razionale ed immediatamente attuabile va affidato:

1) il controllo di legittimità su atti fondamentali, da individuarsi (cfr. a es. bilanci, statuti, regolamenti), il cui invio all’organo di controllo sia previsto obbligatoriamente;

2) il controllo cd. di gestione, anch’esso da esercitarsi in via obbligatoria e successiva, peraltro da attuare gradatamente come previsto sopra;

3) il controllo di legittimità cd. a richiesta su materia di particolare importanza (appalti, concessioni di servizi pubblici, personale, contratti):

A) ad iniziativa istituzionale

a) dei consigli comunali;

b) delle Giunte;

c) dei Consiglieri comunali (il cui numero dovrà determinarsi);

d) del Prefetto (ove non venga, ma pare difficile, anch’esso abrogato);

B) ad iniziativa di quanti si dimostrino portatori di interessi comunque coinvolti nel procedimento destinato alla emanazione dell’atto da sottoporsi al controllo, (salva impregiudicata la facoltà di adire gli organi di Giustizia Amministrativa), con ciò raggiungendo il duplice scopo di ridurre il contenzioso avanti i TT.AA.RR., offrendo, nel contempo, al cittadino un mezzo efficace e solerte, per ottenere la tutela adeguata avverso atti degli EE.LL. dei quali lo stesso si trovi interessato.

4) l’attività di consulenza nelle materie di pertinenza degli EE.LL. soprattutto per i Comuni di medie-piccole dimensioni offrendo loro l’opportunità di preventive consultazioni sull’adozione di provvedimenti di particolare complessità.

Come si è detto, questa è una riforma che può essere attuata immediatamente, senza alcun bisogno di modifiche costituzionali e..., senza spesa alcuna, ci permettiamo di suggerirla al Ministero della Funzione Pubblica al quale vorremmo anche ricordare "come le riforme compiute a tempo, invece d’indebolire l’autorità la rinforzano: invece di crescere la forza dello spirito rivoluzionario, lo riducono all’impotenza" (Cavour, Discorso al Parlamento subalpino, 7/3/1850).