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Utilizzo ai fini fiscali dei dati acquisiti nell’ambito dell’attività antiriciclaggio: princìpi e modalità applicative

Use for tax purposes of the data acquired as part of the anti-money laundering activity: principles and methods of applicatio
I colori delle albe e dei tramonti
Ph. Ermes Galli / I colori delle albe e dei tramonti

Abstract

In aderenza al contenuto del D.Lgs. n. 231/2007, la diretta utilizzabilità ai fini fiscali delle informazioni acquisite nell’ambito delle attività antiriciclaggio è ormai una piena realtà, che genera una perfetta osmosi tra il procedimento antiriciclaggio e quello amministrativo-tributario.

Tuttavia, i dati derivanti dall’attività di approfondimento delle segnalazioni di operazioni sospette possono essere utilizzati solo nel rispetto delle norme poste a tutela della riservatezza del segnalante.

In compliance with the content of Legislative Decree no. 231/2007, the direct usability for tax purposes of the information acquired in the context of anti-money laundering activities is now a full reality, which generates a perfect osmosis between the anti-money laundering and administrative-tax proceedings.

However, the data deriving from the in-depth analysis of suspicious transaction reports can only be used in compliance with the rules set up to protect the confidentiality of the whistleblower.

 

Sommario

1. Premessa

2. Evoluzione normativa

3. La disciplina antiriciclaggio e gli strumenti di cooperazione

4. La trasmigrazione degli elementi probatori dal procedimento antiriciclaggio a quello amministrativo-tributario

4.1 Utilizzo dei dati acquisiti nel corso delle ispezioni e dei controlli antiriciclaggio

4.2 Utilizzo dei dati acquisiti dall’approfondimento investigativo di segnalazioni di operazioni sospette

4.3 Utilizzo dei dati relativi alle indagini finanziarie

5. Considerazioni conclusive

 

Summary

1. Introduction

2. Regulatory evolution

3. Anti-money laundering regulations and cooperation tools

4. The transfer of evidence from the anti-money laundering procedure to the administrative-tax one

4.1 Use of data acquired during inspections and anti-money laundering controls

4.2 Use of the data acquired from the analysis of suspicious transaction reports

4.3 Use of financial investigation data

5. Concluding remarks

 

1. Premessa

Com’è noto, il corpus normativo di riferimento e funzionale a costituire il presidio preventivo di contrasto al riciclaggio è incentrato, in ambito nazionale, nel D.Lgs. 21 novembre 2007, n. 231 (di seguito decreto antiriciclaggio) che, nel corso degli anni, è stato oggetto di vari interventi di restyling, principalmente finalizzati a recepire all’interno dell’ordinamento giuridico interno le molteplici Direttive europee ai fini antiriciclaggio[1].

Con riguardo al tema del presente lavoro, assume particolare rilievo – oltre al D.Lgs. n. 125/2019 con cui è stata recepita la V Direttiva dell’Unione Europea – anche il D.Lgs. 25 maggio 2017, n. 90 (con cui è stata recepita la IV Direttiva UE)[2].

Tale percorso evolutivo lungo e complesso è stato caratterizzato da un ruolo rilevante sia dalle Istituzioni internazionali – come il Gruppo di Azione Finanziaria (GAFI) unitamente all’OCSE alla luce delle correlazioni esistenti in tema di trasparenza fiscale nonché la stessa Unione Europea – sia dai singoli Stati membri, che sono stati indotti a definire, nel proprio ambito territoriale, una disciplina in grado di prevenire in modo efficace il ricorso al sistema finanziario per finalità di riciclaggio.

In tale cornice normativa nazionale e unionale, corre l’obbligo porre in risalto il ruolo centrale e di rilievo svolto dalla Guardia di Finanza (nella dimensione trasversale del contesto tributario e di antiriciclaggio), cui sono attribuite le esclusive funzioni ispettive – con l’attribuzione di poteri speciali e di polizia economico-finanziaria ai sensi dell’art. 2, co. 4 del D.Lgs. 68/2001 – a presidio della legalità e volte al controllo del corretto adempimento degli obblighi posti a carico degli operatori coinvolti.

Nel prosieguo, dopo una breve disamina dello strumentario normativo che autorizza il passaggio dei dati dall’area antiriciclaggio a quella fiscale, saranno esaminate le modalità operative attraverso le quali i dati acquisiti dagli obbligati nell’assolvimento degli obblighi antiriciclaggio, possono essere “valorizzate” e “sfruttate” dal Fisco, quale legittimo e proficuo input sia per l’attività di selezione dei contribuenti da verificare sia per lo svolgimento controlli fiscali più mirati ed incisivi, finalizzati all’individuazione di disponibilità patrimoniali o di attività produttive di reddito, in tutto o in parte, occultate.

 

2. Evoluzione normativa

In analogia con quanto già disposto dall’art. 2, co. 1, della L. 5 luglio 1991, n. 197[3], il legislatore – fin dalla prima versione – del decreto antiriciclaggio[4], nella piena consapevolezza della possibile interferenza fra fenomeni di evasione o elusione fiscale e il riciclaggio di denaro di dubbia o illegale provenienza, ha espressamente previsto (al co. 6 dell’art. 36, successivamente abrogato ad opera del legislatore del 2017) che i dati e le informazioni registrate nell’archivio unico informatico, nel registro della clientela ovvero nei sistemi informatici tenuti ai fini antiriciclaggio sono utilizzabili ai fini fiscali secondo le disposizioni vigenti[5].

Il legislatore del 2007, pur riconfermando il segreto d’ufficio già previsto dall’art. 3, co. 10, della L. n. 197/1991, aveva altresì statuito, attraverso l’allora vigente contenuto dell’art. 9, co. 1, secondo periodo, del citato decreto antiriciclaggio che “sono fatti salvi i casi di comunicazione espressamente previsti dalla legge”, secondo cui era stata individuata, ancorché indirettamente, l’operatività nel sistema antiriciclaggio della disciplina di carattere generale che permetteva il travaso di elementi probatori dall’ambito amministrativo a quello tributario[6], sulla base della regola di cui all’art. 36, co. 4, del D.P.R. n. 600/1973[7].

In base a questa norma, quindi, tutte le autorità ispettive e di vigilanza, compresa l’autorità giudiziaria penale, civile ed amministrativa, sono obbligate a segnalare elementi potenzialmente rilevanti dal punto di vista fiscale alla Guardia di finanza, per la quale pure, sono previste dalla legge anche modalità particolari per utilizzare, in tale ambito, le risultanze delle indagini di polizia giudiziaria.

Sul punto, si rileva che i militari della Guardia di finanza appartenenti al Nucleo Speciale di Polizia Valutaria ovvero ai Reparti del Corpo all’uopo delegati dalla citata componente speciale, sono individuati ope legis quali incaricati dell’attività di riscontro del corretto assolvimento degli obblighi imposti dal D.Lgs. n. 231/2007, e in quanto tali, nell’esercizio dei poteri riconosciuti dalla normativa valutaria, svolgono funzioni “ispettive” in tale materia, con la conseguente applicazione agli stessi delle disposizioni in tema di obbligo di comunicazione ex art. 36, co. 4, del D.P.R. n. 600/1973 sopra richiamato.

Com’è stato evidenziato in dottrina[8], già nel corso dei lavori di recepimento della c.d. “III Direttiva antiriciclaggio[9], emersero indicatori circa la volontà del legislatore nazionale di connotare la normativa antiriciclaggio anche con i contrassegni di una normativa antievasione fiscale. A tal riguardo, corre l’obbligo evidenziare che tale previsione fu confermata, solo nella versione definitiva del decreto antiriciclaggio, dal contenuto, oltre che delle norme sopra citate, anche delle (previgenti) disposizioni di cui agli artt. 6, co. 6, lettera e); 8, co. 4, lettere a) e b); art. 8, co. 5; 9, co. 4; 45, co. 3 e 4; 46, co. 2.

Infatti, tali disposizioni non trovavano alcun riscontro né nell’ambito citata III direttiva[10], né in seno alla legge delega, la quale prese, peraltro, solo in parte in considerazione il parere del Garante per la protezione dei dati personali il quale, con riferimento al contenuto del menzionato art. 36, co. 6 (del decreto antiriciclaggio), aveva sottolineato la necessità, al fine di assicurare il rispetto del principio di finalità nel trattamento dei dati, di consentire l’utilizzabilità degli stessi ai fini fiscali solo in caso di accertato riciclaggio[11].

In tale prospettiva, il legislatore è intervenuto, successivamente, con le norme introdotte dal D.L. n. 78/2009[12] che hanno aggiunto il numero 7-bis) all’ art. 32, co. 1, del D.P.R. n. 600/1973[13] e all’ art. 51, co. 2, del D.P.R. n. 633/1972, secondo le quali è permesso al Fisco, attraverso una modalità non ancora definita, e ripercorrendo una procedura autorizzativa, in sostanza, analoga a quella prevista in materia di indagini finanziarie, di richiedere alle Autorità di vigilanza (Banca d’Italia, Unità di informazione finanziaria, Isvap ecc.) anche in deroga a specifiche norme di legge, dati di natura creditizia, finanziaria e assicurativa, con la possibilità di utilizzare in sede fiscale quelli raccolti ai fini della normativa antiriciclaggio.

Un’ulteriore novità fu introdotta dall’art. 12, co. 11, della L. n. 214/2011, che modificò l’art. 51, co. 1, del decreto antiriciclaggio, aggiungendo la previsione secondo cui la comunicazione al Ministero dell’economia e delle finanze che gli obbligati sono tenuti ad inviare quando, in relazione ai loro compiti di servizio e nei limiti delle loro attribuzioni e attività, hanno notizia di infrazioni alle disposizioni dell’art. 49 in tema di limitazione dell’uso del contante e di valori assimilati, avrebbe dovuto essere veicolata immediatamente “anche alla Agenzia delle entrate che attiva i conseguenti controlli di natura fiscale[14]. Attese le citate problematiche interpretative che tale disposizione aveva generato, il D.L. n. 2 marzo 2012, n. 16 – convertito con modificazioni dalla L. 26 aprile 2012, n. 44 – attraverso l’art. 8, co. 7, sostituì – nell’art. 51, co. 1 (del decreto antiriciclaggio) – le parole “alla Agenzia delle entrate che attiva i conseguenti controlli di natura fiscale” con le seguenti: «alla Guardia di finanza la quale, ove ravvisi l’utilizzabilità di elementi ai fini dell’attività di accertamento, ne dà tempestiva comunicazione all’Agenzia delle entrate» (attualmente in vigore).

Con riferimento ai settori impositivi all’interno dei quali è consentito utilizzare i dati acquisiti nell’area dell’antiriciclaggio, la disposizione di cui al previgente art. 36, co. 6, del decreto antiriciclaggio non prevedeva restrizioni, limitandosi a specificare che gli stessi potevano essere utilizzati “secondo le disposizioni vigenti”, che sarebbero state quelle proprie di ciascun settore impositivo interessato[15]. Le medesime considerazioni possono essere estese anche ai dati oggetto di comunicazione ex art. 51, co. 1, del decreto antiriciclaggio. Con riguardo ai dati antiriciclaggio oggetto di comunicazione ex art. 36, co. 4, del D.P.R. n. 600/1973, pur in assenza di una analoga disposizione in materia di Iva e di altri tributi, si ritiene, sulla base del tenore letterale della norma (che fa riferimento ai “fatti che possano configurarsi come violazioni tributarie”), che non sussistano limitazioni al loro utilizzo anche in settori impositivi diversi da quello delle imposte dirette[16].

A tal proposito, è stato osservato che l’intenzione del Legislatore è proprio quella di riferirsi, in modo asettico, a qualsiasi fattispecie di violazione, considerato che il medesimo qualora “avesse voluto ancorare l’area operativa della previsione normativa al solo settore delle imposte sui redditi, avrebbe richiamato le violazioni previste dal D.P.R. n. 600/1973, senza effettuare un generico riferimento a tutti gli illeciti[17].

Nel contesto legislativo sopra delineato, interviene il D.Lgs. 25 maggio 2017, n. 90[18], il cui obiettivo è quello di allineare la normativa nazionale alle disposizioni contenute nella c.d. “IV direttiva antiriciclaggio”, nonché agli standards internazionali fissati nelle Raccomandazioni del Gruppo d’Azione Finanziaria Internazionale (G.A.F.I.), come revisionate nel febbraio 2012[19].

Dalla lettura della relazione di accompagnamento al provvedimento, emergono le ragioni dell’ennesimo intervento e “riguardano la necessità di rafforzare il mercato interno riducendo la complessità transfrontaliera, di contribuire alla stabilità finanziaria tutelando la solidità, il finanziamento regolare e l’integrità del sistema finanziario e di salvaguardare la prosperità economica dell’Unione Europea assicurando un efficiente contesto imprenditoriale[20].

Con specifico riguardo ai riflessi sul comparto fiscale e con riferimento al tema oggetto del presente lavoro, sia le citate raccomandazioni del G.A.F.I., sia la direttiva (UE) 849/2015 attribuiscono specifica rilevanza ai profili di contiguità tra gli aspetti di evasione fiscale e riciclaggio, tanto è vero che i reati connessi alle imposte dirette e indirette vengono per la prima volta fatti rientrare nella definizione diattività criminosa”, i cui proventi possono costituire oggetto di operazioni di money laundering[21]. Pertanto, l’aver reso le due sfere operative così fortemente comunicanti legittima, in chiave sistematica, l’utilizzo dei dati acquisiti in base alla disciplina antiriciclaggio anche in attività amministrative di natura fiscale, spesso funzionali all’accertamento di condotte delittuose produttive di proventi oggetto di possibile riciclaggio.

In tal guisa, l’art. 34, co. 1, del decreto antiriciclaggio, nella modifica prevista dal citato D.Lgs. n. 90/2017[22], riproduce integralmente la disposizione in materia di utilizzabilità a fini fiscali dei dati e delle informazioni conservate per finalità di prevenzione del riciclaggio e di finanziamento del terrorismo, confermando l’assetto disegnato sotto il vigore della previgente normativa[23].

La diversa formulazione delle due disposizioni induce a realizzare una prima considerazione, al fine di acclarare se trattasi solo di mere sfumature formali ovvero se, di contro, si è di fronte ad una differenza di natura sostanziale. In ogni caso, il riferimento alle sole disposizioni relative all’obbligo di registrazione (ora di conservazione) sembrerebbe, prima facie, escludere che le informazioni acquisite al di fuori degli obblighi di adeguata verifica della clientela e risultanti dalle registrazioni (ora conservazione) non sarebbero utilizzabili ai fini fiscali. Naturalmente, la tematica non è nuova e la dottrina[24], al riguardo, è piuttosto copiosa sebbene le conclusioni cui si è pervenuti in passato siano piuttosto divergenti.

La nuova formulazione della norma, nel richiamare sia le attribuzioni che le competenze, risulta essere più precisa[25], evitando al contempo il riferimento alla normativa vigente. Vi è da dire che quest’ultima puntualizzazione è sempre apparsa del tutto ridondante, nella misura in cui qualsiasi utilizzo in difformità dal quadro giuridico di riferimento sarebbe irrituale e, pertanto, illegittimo.

In tale contesto, assume sicuro rilievo il disposto dell’art. 9, co. 9 del novellato decreto antiriciclaggio, che, nel disciplinare le attribuzioni del Nucleo Speciale Polizia Valutaria e della Direzione Investigativa Antimafia, stabilisce che “i dati e le informazioni acquisite nell’ambito delle attività svolte ai sensi del presente articolo sono utilizzabili ai fini fiscali, secondo le disposizioni vigenti”.

Tale disposizione è:

  • da un lato, connotata senza dubbio da un maggiore perimetro applicativo rispetto a quanto disciplinato dall’attuale citato art. 34, co. 1 (ma anche dal previgente art. 36, co. 6) – che limita(va) l’utilizzabilità in campo tributario alle sole informazioni registrate dai soggetti obbligati, contenute, cioè, nell’archivio unico informatico, nel registro della clientela ovvero nei sistemi informatici tenuti ai fini antiriciclaggio – ampliando sensibilmente l’ambito oggettivo delle evidenze che si prestano ad un’utilizzazione fiscale diretta, includendovi tutte le informazioni acquisite nel contesto delleattività svolteai sensi del citato art. 9;
  • dall’altro, riprende il riferimento alle “disposizioni vigenti”.

Da ultimo, il D.Lgs. 4 ottobre 2019, n. 125[26] novella il disposto dell’art. 9, co. 9, del decreto antiriciclaggio, sancendo che “i dati e le informazioni acquisite nell’ambito delle attività svolte ai sensi del presente articolo sono utilizzabili ai fini fiscali, secondo le disposizioni e le attribuzioni vigenti”.

Come evidenzia la relazione illustrativa del D.Lgs. n. 125/2019, l’art. 1 “comma 2 interviene sul Capo Il del Titolo I, D.Lgs. n. 231/07 che detta disposizioni in materia di compiti, attribuzioni e azioni delle autorità, delle amministrazioni e degli organismi interessati e dei soggetti coinvolti nell’attività di vigilanza, controllo e sorveglianza degli adempimenti previsti in materia di prevenzione del riciclaggio e del finanziamento del terrorismo …”.

In tale ottica, si ritiene che l’integrazione della locuzionee le attribuzioni” nel citato art. 9, co. 9, nel colmare un evidente refuso compiuto dal legislatore del 2017, fornisce a tale disposizione la portata di un travaso globale dei dati antiriciclaggio in attività amministrative di natura fiscale, nella misura in cui supera i menzionati limiti dell’art. 34, co. 1[27], pur nel rispetto dei diritti dei contribuenti – e, in particolare, di quelli previsti dallo statuto dei diritti del contribuente – e della privacy.

 

3. La disciplina antiriciclaggio e gli strumenti di cooperazione

Nel quadro normativo sopra delineato, il citato D.Lgs. 4 ottobre 2019, n. 125 ha introdotto delle novità in tema di cooperazione tra gli attori del sistema antiriciclaggio[28].

In particolare, con riguardo alla cooperazione tra Autorità nazionali, è stato inserito il co. 1-bis, all’art. 12 del decreto antiriciclaggio, che prevede la possibilità per le Autorità di cui all’art. 21, co. 2, lett. a) dello stesso decreto (M.E.F., Autorità di Vigilanza di settore, U.I.F., D.I.A. e la Guardia di Finanza), di cooperare tra loro anche in deroga al segreto d’ufficio[29].

Lo scopo della nuova norma – che, di fatto, introduce una vera e propria fattispecie di cooperazionerafforzata” – è, nello specifico, quello di valorizzare le sinergie informative tra le Autorità ed, in tale contesto, la Guardia di Finanza interpreta un ruolo significativo, nella misura in cui favorirà l’acquisizione di un patrimonio informativo completo sui soggetti appartenenti a categorie sottoposte a vigilanza c.d. “concorrente”, permettendo di meglio orientare le correlate attività ispettive.

Fuori da tale perimetro normativo, resta ferma la segretezza delle informazioni detenute da tali Autorità e rilevanti per l’esercizio delle rispettive attribuzioni in materia antiriciclaggio.

In tale ottica occorre leggere anche, il successivo co. 4 dell’art. 12, anch’esso modificato dal legislatore del 2019, che è intervenuto a salvaguardare la segretezza delle indagini di polizia anche nel momento antecedente all’assunzione della direzione delle stesse da parte dell’Autorità Giudiziaria, nei casi in cui comunque l’informativa di reato sia già stata trasmessa.

Ulteriori deroghe al segreto d’ufficio, sempre con riguardo allo scambio delle informazioni rilevanti ai fini della prevenzione del riciclaggio e del finanziamento del terrorismo, sono sancite al co. 8 dell’art. 12, concernenti alla:

  • possibilità, già consentita dalla previgente normativa, per l’Autorità Giudiziaria e la polizia giudiziaria, di ottenerle in pendenza di procedimento penale;
  • cooperazione tra le Forze di Polizia.

Un’ulteriore novità è rappresentata dal nuovo co. 7-bis dell’art. 12, secondo il quale gli Uffici del Pubblico Ministero potranno richiedere, sempre nell’ottica di assicurare efficienza ed efficacia alle investigazioni, i risultati degli approfondimenti investigativi svolti sulle segnalazioni al Nucleo Speciale Polizia Valutaria e alla D.I.A.. In termini operativi, l’esercizio di tale facoltà è volta a migliorare il necessario coordinamento tra le attività di prevenzione dell’utilizzo del sistema finanziario a scopo di riciclaggio e di finanziamento del terrorismo e quelle repressive.

Con riferimento all’ambito della cooperazione internazionale, il citato D.Lgs. n. 125/2019, ha novellato l’art. 13 del decreto antiriciclaggio, disponendo che le citate Autorità di cui all’art. 21, co. 2 (M.E.F., Autorità di Vigilanza di settore, U.I.F., D.I.A. e la Guardia di Finanza) cooperano con le Autorità competenti degli altri Stati membri, al fine di assicurare che lo scambio di informazioni e assistenza non siano impediti dall’attinenza alla materia fiscale delle stesse, dalla diversa natura giuridica o dal diverso status dell’omologa autorità competente richiedente ovvero dall’esistenza di un accertamento investigativo, di un’indagine o di un procedimento penale.

La norma fa salvo, tuttavia, il caso in cui lo scambio o l’assistenza possano ostacolare la predetta indagine o il predetto accertamento investigativo o procedimento penale.

In ultimo, di particolare rilevanza appare essere la facoltà, per il Nucleo Speciale Polizia Valutaria e la D.I.A., di scambiare direttamente, a condizioni di reciprocità ed in deroga all’obbligo del segreto d’ufficio, dati e informazioni di polizia con omologhi organismi esteri e internazionali. La rilevanza di tale previsione risiede nel concreto rafforzamento delle attività di cooperazione internazionale, derivante dalle interconnessioni della Guardia di Finanza con i citati organismi e dalla facilitazione nell’acquisizione di informazioni connesse all’approfondimento investigativo delle SOS.

 

4. La trasmigrazione degli elementi probatori dal procedimento antiriciclaggio a quello amministrativo-tributario

Come già evidenziato, l’art. 9, co. 9 del decreto antiriciclaggio consente di utilizzare ai fini fiscali tutte le informazioni acquisite nel contesto delle attività svolte ai sensi della citata norma e, quindi, per quanto d’immediato interesse per la Guardia di Finanza, nel corso:

  1. delle ispezioni e dei controlli antiriciclaggio [comma 4, lett. a)];
  2. dell’approfondimento investigativo delle informazioni ricevute in ambito di cooperazione internazionale (art. 13) e delle segnalazioni di operazioni sospette trasmesse dall’U.I.F. [comma 4, lett. b)].

A tal riguardo, si rileva che la valenza sistematica della nuova disciplina in materia di utilizzabilità ai fini fiscali delle informazioni antiriciclaggio appare essere confermata anche dalla sua collocazione tra le disposizioni di carattere generale recate dal “Titolo I” del novellato decreto antiriciclaggio.

In tale ottica, come evidenziato anche della prassi operativa della Guardia di Finanza[30], tale disposizione incide sull’attività ispettiva dei Reparti, atteso che la previsione della diretta utilizzabilità ai fini fiscali delle informazioni acquisite nell’ambito delle attività sub a. e b. appare, in termini generali, suscettibile di assicurare una piena e immediata interazione tra il procedimento antiriciclaggio e quello amministrativo-tributario, secondo una modalità simile a quanto previsto, in base agli artt. 63 del D.P.R. 26 settembre 1972, n. 633, e 33 del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, con riferimento alla relazione che intercorre tra il procedimento penale e l’accertamento fiscale.

Naturalmente, quest’ultimo canale di trasmigrazione degli elementi probatori prevede la previa autorizzazione della competente Autorità Giudiziaria, che può essere concessa anche in deroga all’articolo 329 c.p.p.[31].

Cionondimeno, se – per un verso – è del tutto pacifico che il potenziamento degli strumenti di contrasto all’evasione fiscale, attraverso la progressiva integrazione tra il sistema fiscale e quello antiriciclaggio, rappresenta uno degli scopi della riforma; dall’altro lato, la concreta declinazione di tale obiettivo deve essere coerente, in termini:

  • generali, con la finalità primaria dei presidi in esame, vale a dire la prevenzione dell’utilizzo del sistema finanziario a scopo di riciclaggio e di finanziamento del terrorismo;
  • specifici, con alcune disposizioni contenute nel decreto antiriciclaggio che rispondono ad esigenze peculiari di settore e che, astrattamente, potrebbero risultare non sempre e incondizionatamente compatibili con la possibilità di un automatico trasferimento di contenuti dall’ambito antiriciclaggio a quello fiscale. Tale cautela riguarda, in particolare, le disposizioni che prevedono l’assoluta tutela della riservatezza del segnalante sancita dall’art. 38 del decreto antiriciclaggio, che rappresenta uno dei capisaldi del dispositivo di prevenzione.

In linea di principio, quindi, i contenuti del vigente art. 9, co. 9, in aderenza alle direttive contenute nel menzionato documento di prassi consentono ai militari della Guardia di Finanza di utilizzare in modo diretto, nell’ambito di in una verifica o di un controllo fiscale, le informazioni acquisite in esecuzione di ispezioni e controlli antiriciclaggio, ovvero in fase di sviluppo investigativo di una segnalazione di operazione sospetta (e delle informazioni ricevute in ambito di cooperazione internazionale), senza che sia necessario acquisire nuovamente tali dati attraverso l’attivazione delle potestà ispettive previste dalle disposizioni di cui ai DD.P.R. nn. 633/1972 e 600/1973.

Nel dettaglio, la direttiva della Guardia di Finanza ha declinato – anche sulla base di preliminari contatti con il Dipartimento Tesoro del M.E.F. – alle Unità operative specifiche indicazioni sulle modalità da attuare nelle ipotesi di trasferimento negli atti delle ispezioni fiscali dei dati e delle notizie acquisiti a seguito di attività antiriciclaggio.

In tal guisa, nelle ipotesi di ispezioni o controlli antiriciclaggio, tale travaso deve essere realizzato soltanto e tassativamente a conclusione di tutte le attività che i Reparti sono tenuti ad eseguire al fine della verifica del corretto assolvimento, da parte dei soggetti obbligati, degli adempimenti previsti dal D.Lgs. n. 231/2007, sempreché le informazioni medesime non siano confluite in un procedimento penale, poiché, in tale ultima evenienza, il loro utilizzo ai fini fiscali è soggetto alla diversa disciplina prevista dai richiamati artt. 63 del D.P.R. n. 633/1972 e 33 del D.P.R. n. 600/1973.

Viceversa, nel caso di approfondimenti investigativi di segnalazioni di operazioni sospette (SOS) la circolare della Guardia di Finanza individua la necessità che la trasmigrazione degli elementi probatori avvenga, in primo luogo, nel rispetto del divieto di comunicazione di cui all’art. 39, co. 1, decreto antiriciclaggio[32], si concretizzi esclusivamente a seguito dell’avvenuto e definitivo completamento delle procedure di cui al citato art. 9, comma 4, lett. b)[33].

In secondo luogo, il menzionato utilizzo dei dati antiriciclaggio, in nessun caso, deve determinare l’inserimento in qualunque atto del controllo o della verifica fiscale, compresi quelli redatti in fase di programmazione o preparatoria dell’intervento ispettivo, di ogni tipo di riferimento che, anche in via indiretta, possa disvelare l’identità del segnalante.

Orbene, il rinnovato quadro normativo consente di ritenere che non sussistono preclusioni a partecipare al contribuente che gli elementi fiscalmente rilevanti oggetto di constatazione hanno tratto origine dall’esecuzione di un’ispezione o di un controllo antiriciclaggio, ovvero dall’approfondimento di una segnalazione di operazione sospetta, fermo restando che ogni eventuale specificazione dovrà, comunque, essere esclusa in tutti i casi in cui possa contribuire a disvelare, anche indirettamente, il soggetto segnalante[34].

In queste circostanze, come indicato nel menzionato documento di prassi, negli atti del controllo o della verifica, anche se relativi alle fasi della programmazione o della preparazione dell’intervento, potrà farsi ricorso a una formulazione generale del seguente tenore: “Nel corso di accertamenti finalizzati alla prevenzione dell’utilizzo del sistema finanziario a scopo di riciclaggio (o di finanziamento del terrorismo) è emersa l’esistenza di rapporti e/o operazioni rilevanti sotto il profilo tributario, in quanto potenzialmente riconducibili a fenomeni di evasione/elusione fiscale[35].

Una volta declinati i principi generali in merito all’utilizzo delle informazioni acquisite in esecuzione di attività antiriciclaggio, nell’ambito del contesto tributario, passiamo ad esaminare le concrete modalità attuative di tale travaso di dati.

 

4.1 Utilizzo dei dati acquisiti nel corso delle ispezioni e dei controlli antiriciclaggio

Riprendendo la distinzione sopra riportata, con riguardo alla tipologia di dati rinvenienti dalle ispezioni o controlli antiriciclaggio troverà piena applicazione il disposto dell’art. 34, co. 1, del decreto antiriciclaggio con la conseguenza che, nel rispetto delle disposizioni fiscali vigenti, tra cui le norme contenute nella L. n. 212/2000, i dati soggetti all’obbligo di conservazione[36] – di cui al Capo II del decreto in esame – (fascicolo del cliente ovvero sistemi informatici all’uopo tenuti dal soggetto obbligato o da autonomo centro di servizi).

In particolare, ai sensi dell’art. 31, co. 2, secondo periodo, la documentazione conservata dai soggetti obbligati deve consentire, almeno, di ricostruire univocamente i seguenti dati:

a) la data di instaurazione del rapporto continuativo o del conferimento dell'incarico;

b) i dati identificativi, ivi compresi, ove disponibili, i dati ottenuti mediante i mezzi di identificazione elettronica e i pertinenti servizi fiduciari di cui al regolamento UE n. 910/2014 o mediante procedure di identificazione elettronica sicure e regolamentate ovvero autorizzate o riconosciute dall’Agenzia per l’Italia digitale, del cliente, del titolare effettivo e dell’esecutore e le informazioni sullo scopo e la natura del rapporto o della prestazione;

b-bis) la consultazione, ove effettuata, dei registri di cui all’articolo 21, con le modalità ivi previste [registro dei titolari effettivi];

c) la data, l’importo e la causale dell’operazione;

d) i mezzi di pagamento utilizzati”.

Con specifico riguardo ai fini fiscali, l’assolvimento dei citati obblighi antiriciclaggio consente, tra l’altro, di acquisire i seguenti dati e informazioni:

  • con riferimento ai rapporti continuativi ed alla prestazione professionale: la data di instaurazione, i dati identificativi del cliente (nome e cognome, luogo e data di nascita, indirizzo, codice fiscale ed estremi del documento di identificazione o, nel caso di soggetti diversi da persona fisica, denominazione, sede legale e codice fiscale o, per le persone giuridiche, partita Iva) e del titolare effettivo, unitamente alle generalità dei delegati a operare per conto del titolare del rapporto e il codice del rapporto ove previsto;
  • scopo e natura prevista del rapporto continuativo o della prestazione professionale;
  • scritture e documentazione, consistenti nei documenti originali o nelle copie aventi analoga efficacia probatoria nei procedimenti giudiziari, relative alle operazioni, ai rapporti continuativi e alle prestazioni professionali;
  • con riferimento a tutte le operazioni di importo pari o superiore a euro 15.000,00, indipendentemente dal fatto che si tratti di un’operazione unica o di più operazioni che realizzino un’operazione frazionata: la data, la causale, l’importo, la tipologia dell’operazione, i mezzi di pagamento e i dati identificativi del soggetto che effettua l’operazione e del soggetto per conto del quale eventualmente opera.

Puntando lo sguardo ai dati sopra elencati, è di palmare evidenza come alcuni di essi possano essere particolarmente rilevanti sul piano fiscale e suscettibili di un immediato utilizzo a tali fini. A titolo esemplificativo, si considerino le seguenti ipotesi:

  • i dati identificativi del titolare effettivo di una prestazione professionale. Supponiamo di considerare l’ipotesi di una prestazione professionale richiesta da una società di capitali italiana, controllata di diritto da una società di diritto estero. In tale circostanza, all’atto dell’esecuzione della prestazione professionale, il professionista dovrà chiedere i dati identificativi del titolare effettivo, il quale potrebbe essere rappresentato da una persona fisica residente in Italia, che, nell’esempio in argomento, “controlla” la società di diritto estero. Ove questi dati fossero acquisiti dalla Guardia di Finanza, perché oggetto di riscontro in occasione di una “ispezione antiriciclaggio” ex art. 9, co. 1 e 2, del decreto antiriciclaggio, eseguita presso un professionista, gli stessi potrebbero essere utilizzati per rendere operativa la presunzione di esterovestizione societaria prevista dall’art. 73, co. 5-bis, del TUIR;
  • i dati relativi al titolare effettivo ovvero quelli relativi al delegato ad operare su un rapporto potrebbero essere utilizzati per individuare casi di interposizione ex art. 37, co. 3, del D.P.R. n. 600/1973, nella misura in cui tali informazioni siano idonee ad individuare la persona fisica o le persone fisiche, che in ultima istanza, possiedono il reddito oggetto dell’accertamento;
  • i dati riguardanti lo scopo e la natura prevista della prestazione professionale potrebbero porre in luce, con riguardo a particolari operazioni societarie, l’esistenza di motivazioni fiscali in termini di risparmio d’imposta prevalenti/esclusive rispetto alle eventuali altre ragioni economiche (extra-fiscali), con conseguente possibilità ad opera dell’Amministrazione finanziaria di qualificare, al ricorrere degli altri presupposti, l’operazione come abusiva ex art. 10-bis L. n. 212/2000;
  • i dati identificativi relativi al fiduciante che si “mimetizza” tramite il mandato fiduciario, questi potrebbero portare a ricondurre ad un determinato soggetto (il fiduciante) rilevanti elementi di capacità contributiva, utili ed idonei ad attivare l’accertamento sintetico di cui all’art. 38, co. 4, del D.P.R. n. 600/1973.

Naturalmente, ove nel corso dell’attività di ispezione e controllo antiriciclaggio vengano acquisiti anche dati connessi ad obblighi diversi da quelli di cui al citato Capo II del decreto antiriciclaggio, il legittimo utilizzo degli stessi ai fini fiscali, si ritiene debba essere veicolato non in aderenza al disposto del menzionato art. 34, co.1, bensì in base all’art. 9, co. 9 sopra richiamato.

È il caso, tra gli altri, dei dati contenuti nella comunicazione inviata dagli obbligati al M.E.F. ex art. 51, co. 1, del decreto antiriciclaggio, relativi al trasferimento di contanti e/o valori assimilati tra soggetti diversi senza il ricorso ad intermediari abilitati.

Circa le modalità operative con le quali travasare tali informazioni nell’ambito dell’attività di accertamento fiscale, la prassi non ha fornito alcuna specifica indicazione in merito. Tuttavia, si ritiene utile differenziare le seguenti ipotesi:

  • il trasferimento delle informazioni avvenga tra diverse articolazioni poste all’interno della medesima Unità operativa della Guardia di Finanza: in tali circostanze, la gestione del patrimonio informativo da sviluppare operativamente è, di norma, un processo consolidato di ciascun Reparto del Corpo che, quindi, garantisce il raccordo informativo e la programmazione dei target operativi annuali;
  • i dati devono essere trasmessi ad altro Reparto del Corpo per competenza, territoriale ovvero per dimensione del contribuente: in tali casi, potrebbe essere opportuna la redazione, da parte del Reparto segnalante, di uno specifico appunto informativo riepilogativo e dettagliato sui dati acquisiti, la procedura operativa seguita e gli elementi indiziari e/o probatori che rendono tali informazioni suscettibili di un proficuo utilizzo ai fini fiscali.

 

4.2 Utilizzo dei dati acquisiti dall’approfondimento investigativo di segnalazioni di operazioni sospette

Con riferimento alla tipologia di dati recuperanti dagli approfondimenti investigativi di segnalazioni di operazioni sospette (SOS), fermo restando quanto già sopra evidenziato (e delle informazioni ricevute in ambito di cooperazione internazionale), troverà piena applicazione il disposto dell’art. 9, co. 9, del decreto antiriciclaggio.

In merito alle SOS, si ricorda che di recente il Comando Generale della Guardia di Finanza ha emanato una specifica direttiva volta, tra l’altro, a “velocizzare la piena fruibilità delle informazioni in chiave investigativa a favore sia dei Reparti del Corpo che delle competenti Autorità Giudiziarie, con le quali occorre intensificare le sinergie[37].

In tale precipua ottica, il citato restyling della procedura di gestione delle SOS ha quale principale obiettivo quello di assicurare un’immediata fruibilità dei contenuti delle segnalazioni stesse, che d’altronde è l’evoluzione del concetto di “approfondimento” delle medesime. In altri termini, la rinnovata procedura di gestione delle SOS è tesa a garantire concrete modalità di valorizzazione del prezioso patrimonio informativo in esse contenuto.

In tale contesto e con riguardo ai fini che qui interessano, le SOS possono essere considerate “rilevanti ai fini investigativi e/o di indagine di polizia giudiziaria” e, quindi, le relative informazioni possono condurre a rilievi di natura tributaria ovvero valorizzati in altre attività di polizia economico-finanziaria, anche già in corso.

Laddove dovessero emergere simili situazioni, rilevanti per altro Reparto del Corpo, i soggetti che hanno svolto l’attività antiriciclaggio, previo nulla osta dell’Autorità Giudiziaria per gli atti compiuti sotto il proprio coordinamento, provvedono a consentire l’utilizzo ai fini fiscali delle informazioni raccolte in tale specifico procedimento.

In dettaglio, i militari che hanno svolto le attività antiriciclaggio procederanno a redigere (con tempestività) un apposito appunto informativo[38], nel quale si riporterà, oltre all’indicazione del fascicolo SIVA che ha originato la trattazione, il contenuto della movimentazione finanziaria segnalata (senza nessun riferimento al nominativo del segnalante) e le eventuali ulteriori notizie suscettibili di ulteriori approfondimenti acquisite nel corso delle investigazioni preliminari.

Tale appunto viene inoltrato, ai sensi del citato art. 9, co. 9 del decreto antiriciclaggio:

  • per i soggetti rientranti nella competenza del Reparto operante, soprattutto laddove si tratti di un Nucleo di polizia economico-finanziaria, all’articolazione interna preposta agli sviluppi fiscali o di polizia economica e finanziaria da attivare;
  • per i soggetti fuori circoscrizione, al Reparto competente per territorio e per materia.

Corre l’obbligo rimarcare che, secondo le direttive operative fornite dalla Guardia di Finanza, tale appunto rimane riservato e non viene mai utilizzato in fase operativa per muovere rilievi o contestazioni dirette, ma solo come spunto informativo per mirare gli accertamenti in modo opportuno, ai fini della scoperta e dell’acquisizione in via autonoma di dati, elementi oggettivi, fonti di prova e riscontri di eventuali violazioni amministrative, tributarie e penali.

In ultima analisi, nella pratica ben difficilmente le informazioni contenute in una segnalazione di operazioni sospette – ma anche quelle acquisite nel corso di un’ispezione ai fini della normativa antiriciclaggio – potranno formare direttamente oggetto di una contestazione fiscale, ma sono – di certo – la preziosa e privilegiata fonte di innesco, a seguito di ulteriori approfondimenti effettuati ai sensi della normativa tributaria, per una successiva verifica o controllo.

 

4.3 Utilizzo dei dati relativi alle indagini finanziarie

È doveroso evidenziare altresì che la possibilità di utilizzare i dati acquisiti in ambito antiriciclaggio, anche ai fini fiscali, va coordinata con le prescrizioni tipiche della normativa tributaria. Il riferimento è, in particolare, se i dati bancari e finanziari acquisiti tramite l’utilizzo dei poteri di polizia valutaria (e non di polizia tributaria) possano o meno essere impiegati applicando la presunzione legale iuris tantum ai fini dell’accertamento delle imposte.

Sul punto, non si può non rilevare che qualora l’attività di polizia valutaria abbia avuto dei riflessi a carattere penale e, quindi, generato un procedimento penale è bene ricordare che, fermo restando la necessità del rilascio del citato nulla osta, l’utilizzo dei dati acquisiti nel corso delle indagini penali ai fini fiscali può avvenire anche applicando la presunzione legale relativa di cui all’art. 32, co. 1, n. 2), del D.P.R. n. 600/1973 ed all’art. 51, co. 2, n. 2), del D.P.R. n. 633/1972.

Com’è noto, l’art. 32, co. 1, n. 2), secondo periodo, del D.P.R. n. 600/1973 (analogamente ai fini Iva) sancisce che “[i dati ed elementi attinenti ai rapporti e alle operazioni acquisiti e rilevati rispettivamente a norma del numero 7) e dell’articolo 33, secondo e terzo comma,] … sono posti a base delle rettifiche e degli accertamenti previsti dagli articoli 38, 39, 40 e 41 se il contribuente non dimostra che ne ha tenuto conto per la determinazione del reddito soggetto ad imposta o che non hanno rilevanza allo stesso fine; …”.

Il rinvio all’art. 33, co. 3, contenuto nell’art. 32 consente di trasfondere i dati, notizie e documenti, attinenti ai rapporti od operazioni finanziarie acquisiti nell’ambito del procedimento penale, in quello amministrativo in modo automatico, superando ogni problematica afferente alla formalità dell’acquisizione delle prove poste a base dell’atto di accertamento[39].

Ciò significa, in particolare, che sarà possibile utilizzare il materiale probatorio acquisito dalla polizia giudiziaria nel corso delle indagini, a condizione che sussistano i requisiti sanciti dall’art. 33, co. 3, del D.P.R. n. 600/1973 e dell’art. 63, co. 1, del D.P.R. n. 633/1972, avvalendosi della presunzione iuris tantum sancita all’art. 32, co. 1, n. 2), del D.P.R. n. 600/1973 (e dall’art. 51, co. 2, punto 2) del D.P.R. n. 633/1972).

In altri termini, tale normativa sancisce una integrale omogeneità delle informazioni, dati e documenti rilevabili dalle indagini bancarie e finanziarie sia se acquisiti nell’ambito del procedimento amministrativo che in quello penale[40].

In termini squisitamente operativi, ciò significa che la Guardia di Finanza una volta acquisiti gli elementi informativi, in qualsiasi forma appresi (dichiarazioni rese in atti, documenti, fatture ecc.) – direttamente, tramite l’inoltro da parte di altre Forze di Polizia ovvero altri pubblici funzionari, nell’esercizio dei poteri di polizia giudiziaria – può utilizzarli avvalendosi della presunzione relativa, di cui al citato art. 32 del D.P.R. n. 600/1973, secondo la quale è il contribuente ad avere l’onere di provare che le movimentazioni finanziarie in entrata e/o in uscita, risultanti da tali elementi probatori, hanno concorso alla determinazione della base imponibile ovvero non sono rilevanti a tale fine.

Fuori da tali circostanze, tali dati non potranno essere utilizzati attribuendo loro valore di presunzione iuris tantum, salvo che la stessa documentazione non venga nuovamente acquisita in forza della prescritta autorizzazione ai fini fiscali. Pertanto, i dati e le informazioni acquisiti nel corso dell’attività ispettiva svolta ai fini antiriciclaggio potranno, comunque, avere un peso e non di poco conto in ambito fiscale, potendo essere utilizzati quale indizio di violazioni tributarie per motivare, ad esempio, futuri atti di indagine: in tale chiave di lettura potrà esso stesso costituire, unitamente ad altri elementi, supporto motivazionale dell’autorizzazione del Direttore centrale – o regionale – dell’Agenzia delle Entrate o del Comandante regionale della Guardia di finanza all’accesso ai dati bancari del contribuente[41], parte dei quali è già stata ottenuta attraverso l’esercizio dei poteri di polizia valutaria.

Per le modalità operative di utilizzo di tali informazioni si rinvia a quanto sopra evidenziato.

In tale contesto operativo, l’unità organizzativa della Guardia di Finanza destinataria della comunicazione della violazione tributaria (o di polizia economico-finanziaria) effettuerà, in primo luogo, un’attenta analisi del contenuto del citato appunto informativo, sia sotto il profilo quantitativo che qualitativo e, quindi, deciderà se procedere o meno alle attività ispettive, per acclarare il corretto adempimento degli obblighi imposti dalla normativa tributaria, utilizzando il modulo ispettivo ritenuto più idoneo al caso specifico.

Nel caso in cui tali informazioni abbiano un concreto sviluppo operativo, è di fondamentale importanza che i verificatori fiscali adottino tutte le precauzioni e le misure cautelative possibili per garantire la concreta applicazione del precetto normativo – di cui all’art. 38 del D.Lgs. n. 231/2007 – finalizzato ad assicurare la massima riservatezza dell’identità delle persone che effettuano la SOS[42]. Analogamente, i verificatori fiscali – soprattutto nelle ipotesi in cui le ragioni giustificative della verifica fiscale risiedono nelle informazioni acquisite nel corso di un’attività ispettiva ai fini antiriciclaggio svolta, per esempio, nei confronti di un professionista – dovranno adottare condotte ispettive che, nel garantire il perseguimento delle violazioni tributarie, tutelino sempre l’integrità del soggetto destinatario del controllo in materia di antiriciclaggio a monte.

 

5. Considerazioni conclusive

A conclusione di questa analisi, anche alla luce dei conformi orientamenti della giurisprudenza[43] in merito, è possibile sostenere, senza alcun dubbio e nel rispetto della procedura sopra esaminata, il legittimo utilizzo ai fini tributari delle informazioni acquisite nell’ambito dell’attività ispettiva svolta in materia di antiriciclaggio e finanziamento al terrorismo.

Verso il potenziamento di tale canale di acquisizione di input info-investigativi sono da considerare anche le recenti modifiche normative in tema di cooperazione nazionale ed internazionale di cui si è fatto cenno.

A conclusione di questo contributo, prendendo spunto anche dai numerosi e recenti articoli di stampa che narrano diverse indagini, soprattutto quelle che vedono coinvolti personaggi pubblici, ci preme evidenziare il pericolo per la tenuta dell’intero sistema antiriciclaggio costituito dalla “scarsaefficacia della tutela del segnalante.

Come evidenziato, l’art. 38 del decreto antiriciclaggio recante la “Tutela del segnalante”, prevede l’obbligo di adottare, da parte dei soggetti obbligati e degli organismi di autoregolamentazione “tutte le misure idonee ad assicurare la riservatezza dell’identità delle persone che effettuano la segnalazione” (co. 1) e stabilisce altresì che “In ogni fase del procedimento, l’Autorità giudiziaria adotta le misure necessarie ad assicurare che l’identità del segnalante sia mantenuta riservata” (co. 3).

Vieppiù, il successivo art. 39 sancisce il “Divieto di comunicazioni inerenti le segnalazioni di operazioni sospette” a carico sia dei soggetti tenuti alla segnalazione che di “chiunque ne sia comunque a conoscenza”.

Non sembra superfluo, in questa sede, ricordare che il legislatore ha inteso tutelare, attraverso il disposto dell’art. 38, la riservatezza del segnalante, anche ai fini della sua incolumità morale, fisica e professionale e, mediante l’art. 39, le attività investigative connesse agli sviluppi delle SOS che, in assenza di tale precetto, rischierebbero di essere danneggiate da una precipitosa divulgazione – come, purtroppo, spesso accade anche mediaticamente – dei contenuti delle stesse segnalazioni.

A parere di chi scrive, il disposto dell’art. 39, che fa divieto a chiunque sia conoscenza dell’avvenuta SOS di darne comunicazione, tanto al soggetto segnalato quanto a terzi è un precetto di fondamentale rilevanza per la tenuta dell’intero sistema di prevenzione in commento, la cui violazione è, peraltro, penalmente rilevante ai sensi dell’art. 55, co. 3 del decreto antiriciclaggio.

In altri termini, pur rispettando ed apprezzando le inchieste giornalistiche foriere anche di nuovi casi di sospetto riciclaggio e/o finanziamento del terrorismo, è doveroso arginare la condotta di coloro che, nel narrare legittimamente fattispecie di illeciti, in alcuni casi anche oggetto di indagini giudiziarie, finiscono per “esporre” – ricordiamo, in violazione dei citati artt. 38 e 39 – l’autore della SOS, in nome di un “avventato” esercizio del diritto di cronaca.

 

[1] Per una puntuale analisi dell’evoluzione normativa nazionale ed unionale in materia, si rinvia a B. Bartoloni, L. Galluccio, A. Mancazzo e G. Putzu, Obblighi antiriciclaggio per i professionisti, in “Guida Pratica Fiscale”, Il Sole 24 Ore, Ed. Frizzera, 2011, pag. 5 e ss.

[2] Per completezza, si ricorda anche il D.Lgs. 25 maggio 2017, n. 92, che ha introdotto disposizioni specifiche ai fini antiriciclaggio per i compro oro.

[3] Sul punto, si rinvia a L. Galluccio e G. Putzu, Antiriciclaggio: modalità e procedura di utilizzo dei dati ai fini fiscali, in “Guida ai controlli fiscali”, n. 5/2008 dove si è avuto modo di osservare che “sotto la vigenza della L. 197/1991, l’art. 2 prevedeva che i dati registrati nell’archivio unico potevano essere utilizzati ai fini fiscali nei limiti previsti dalle «disposizioni vigenti»”.

[4] Si fa riferimento al D.Lgs. 21 novembre 2007, n. 231 recante misure di “Attuazione della direttiva 2005/60/CE concernente la prevenzione dell’utilizzo del sistema finanziario a scopo di riciclaggio dei proventi di attività criminose e di finanziamento del terrorismo nonché della direttiva 2006/70/CE che ne reca misure di esecuzione” (c.d. III direttiva antiriciclaggio), pubblicato nella G.U. n. 290 del 14.12.2007 ed entrato in vigore il 29.12.2007. Per un primo commento sul tema, si rinvia a L. Galluccio e G. Putzu, Antiriciclaggio: modalità e procedura di utilizzo dei dati ai fini fiscali, in “Guida ai controlli fiscali”, n. 5/2008.

[5] In merito, si evidenzia che la Relazione di accompagnamento al decreto antiriciclaggio precisava che la norma era conforme al principio generale in materia di accertamenti tributari di cui all’art. 36, comma 4, del D.P.R. n. 600/1973, e che non atteneva alla riservatezza del segnalante, la cui identità era tutelata dalla disposizione dell’art. 45 del D.Lgs. n. 231/2007. Sul punto, L. Starola, L’utilizzo dei dati antiriciclaggio ai fini fiscali, in Le nuove regole antiriciclaggio, Milano, 2007, pagg. 141-142, osservava che, qualora si fosse acceduto alla tesi sopra evidenziata, si sarebbe dovuto concludere che la norma introdotta sarebbe stata inutiliter data, posto che non avrebbe aggiunto nulla di nuovo rispetto alle disposizioni fiscali vigenti. L’autrice, invece, sosteneva che la novella legislativa introduceva una facoltà che gli uffici finanziari, diversamente, non avrebbero potuto esercitare, nella considerazione che era consentito l’utilizzo a fini diversi (fiscali, N.d.r.), e senza alcuna autorizzazione, dei dati raccolti ai fini antiriciclaggio i quali, avendo “immediatamente una proiezione penale”, avrebbero necessitato, analogamente a quanto previsto per l’utilizzo del materiale istruttorio acquisito in sede penale, dell’autorizzazione da parte dell’autorità giudiziaria ex artt. 33, comma 3, del D.P.R. n. 600/1973 e 63, comma 1, del D.P.R. n. 633/1972 come modificati dall’art. 23 del D.Lgs. n. 74/2000.

[6] In tal senso, si era posizionato il Comando Generale della Guardia di finanza con la circolare n. 1/2008, Istruzione sull’attività di verifica, Volume I, Cap. 5, par. 8, pag. 39.

[7] L’art. 36, co. 4, del D.P.R. n. 600/1973 recita che “I soggetti pubblici incaricati istituzionalmente di svolgere attività ispettive o di vigilanza nonché gli organi giurisdizionali, requirenti e giudicanti, penali, civili e amministrativi e, previa autorizzazione, gli organi di polizia giudiziaria che, a causa o nell’esercizio delle loro funzioni, vengono a conoscenza di fatti che possono configurarsi come violazioni tributarie devono comunicarli direttamente ovvero, ove previste, secondo le modalità stabilite da leggi o norme regolamentari per l’inoltro della denuncia penale, al comando della Guardia di finanza competente in relazione al luogo di rilevazione degli stessi, fornendo l’eventuale documentazione atta a comprovarli”. Per un dettagliato approfondimento sulle modalità applicative dell’acquisizione delle informazioni ai sensi dell’art. 36 del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600 cfr. Circolare n. 1/2018 del Comando Generale della Guardia di Finanza recante “Manuale operativo in materia di contrasto all’evasione e alle frodi fiscali”, Vol. II, parte IV, Cap. 2, pag. 189 e ss..

[8] Sul punto, si rinvia a S. Capolupo, in Antiriciclaggio: obblighi per professionisti, intermediari ed altri soggetti, a cura di S. Capolupo-M. Carbone-G. Sturzo, IPSOA, Milano, 2011, pag. 406, che sostiene come “proprio la mancata omogeneizzazione delle misure di contrasto (al riciclaggio e all’evasione fiscale, n.d.r.) deve essere considerata la causa principale non solo della loro sopravvivenza ma, in molti casi, anche della loro crescita”. Vieppiù, l’Autore evidenzia come debba riconoscersi che “la tendenza a tenere distinte le misure di contrasto al riciclaggio da quelle volte al contrasto all’evasione fiscale si pone in chiaro contrasto con l’esperienza operativa che evidenza, man mano che si consolida il sistema della globalizzazione economica, un legame oggettivo tra i due fenomeni la cui contemporanea realizzazione non costituisce ipotesi scolastica ma una triste realtà”.

[9] Direttiva n. 2005/60 CE del Parlamento europeo e del Consiglio in data 26 ottobre 2005.

[10] Sul punto, si precisa che la ratio legis che emergeva dal 1° considerando e dall’art. 1 della Direttiva era chiara e univoca, ed era quella di evitare che flussi ingenti di denaro provenienti da attività criminose potessero danneggiare la stabilità del settore finanziario e minacciare il mercato unico.

[11] In particolare, il legislatore del 2007 non ritenne necessario modificare la formulazione normativa, limitandosi a inserire nell’art. 3, tra i principi generali applicabili, un sintetico richiamo alla normativa in materia di protezione dei dati personali, ritenuto da L. Starola, op. ult. cit., pag. 144, una “risposta generica e pressoché inutile”.

[12] Cfr. art. 15, commi 8-quinquies e 8-sexies.

[13] La novella legislativa introdotta prevede la possibilità per gli uffici finanziari di “7-bis) richiedere, con modalità stabilite con decreto di natura non regolamentare del Ministro dell’economia e delle finanze, da adottare d'intesa con l’Autorità di vigilanza in coerenza con le regole europee e internazionali in materia di vigilanza e, comunque, previa autorizzazione del direttore centrale dell’accertamento dell’Agenzia delle entrate o del direttore regionale della stessa, ovvero, per il Corpo della guardia di finanza, del comandante regionale, ad autorità ed enti, notizie, dati, documenti e informazioni di natura creditizia, finanziaria e assicurativa, relativi alle attività di controllo e di vigilanza svolte dagli stessi, anche in deroga a specifiche disposizioni di legge”.

[14] Cfr. C. Bartelli, Stretta contanti: bancomat per tutti, in “Italia Oggi” del 6 dicembre 2011 e N. Borzi, Contrasto al “cash” più serrato, in “Il Sole 24 Ore” del 7 dicembre 2011; secondo i citati primi commentatori gli obbligati avrebbero dovuto procedere direttamente alla comunicazione all’Agenzia delle Entrate delle infrazioni rilevate alle disposizioni che limitano l’utilizzo di contanti e valori assimilati; in senso contrario, cfr. P. Russo, Decreto Salva Italia (D.L. 6 dicembre 2011, n. 201, convertito) – L’utilizzo a fini fiscali dei dati antiriciclaggio anche alla luce delle novità introdotte dal Decreto “Salva Italia”, in “il fisco” n. 4 del 2012, pag. 1-523, dove l’Autore sostiene che «dal tenore letterale della novità normativa in commento e dalla sua collocazione al termine del periodo di cui al comma 1 dell’art. 51 del D.Lgs. n. 231/2007, appare più corretta una lettura secondo cui la comunicazione, entro 30 giorni, è sempre indirizzata al MEF, il quale provvederà alla contestazione e agli altri adempimenti previsti dall’art. 14 della L. n. 689/1981 e alla “immediata comunicazione della infrazione anche all’Agenzia delle entrate che attiva i conseguenti controlli di natura fiscale”. Per cui il destinatario della comunicazione resterebbe unicamente il MEF e per il suo tramite la comunicazione sarebbe veicolata all’Agenzia delle Entrate per i controlli di competenza. A tal riguardo, pur essendo prevista una immediata comunicazione, apparirebbe opportuno che il MEF comunicasse l’infrazione solo dopo un vaglio critico della comunicazione ricevuta dagli obbligati ovvero, se tempestiva, dopo l’avvenuta contestazione dell’infrazione, in modo tale da attribuire alle informazioni veicolate all’Agenzia delle Entrate una maggiore forza probatoria».

[15] Ad analoghe conclusioni, come si può evincere successivamente, si giunge anche nell’attuale versione della norma in commento.

[16] In merito, si rinvia a B. Bartoloni, L. Galluccio, A. Mancazzo e G. Putzu, Obblighi antiriciclaggio per i professionisti, in “Guida Pratica Fiscale”, Il Sole 24 Ore, Ed. Frizzera, 2011, pag. 172; in senso analogo, cfr. P. Russo, Decreto Salva Italia (D.L. 6 dicembre 2011, n. 201, convertito) – L’utilizzo a fini fiscali dei dati antiriciclaggio anche alla luce delle novità introdotte dal Decreto “Salva Italia”, in “il fisco” n. 4 del 2012, pag. 1-523.

[17] In tal senso, si rinvia a quanto analizzato in dottrina, S. Capolupo, Riciclaggio ed evasione fiscale, in “il fisco”, n. 33/2007.

[18] Pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 140 del 19 giugno 2017, in vigore dal 4 luglio 2017.

[19] La traduzione degli standard in italiano riveste carattere divulgativo ed è stata effettuata a cura della Direzione V del Dipartimento del Tesoro (MEF), si veda www.dt.tesoro.it/prevenzionereatifinanziari.

[20] Lo stringente rapporto esistente tra il regime giuridico del settore antiriciclaggio e quello fiscale è di palmare evidenza, allorquando si consideri che un più severo contrasto alla variegata crescita del mercato criminale riflette effetti positivi sull’economia legale ed assicura una doverosa corretta concorrenza tra gli operatori economici. Appare altrettanto chiaro, che l’enorme quantità di denaro illecito immesso nei circuiti finanziari, da un lato, può compromettere la stabilità e l’integrità del settore e, dall’altro, rappresenta una pericolosa, concreta e provata minaccia per il mercato interno dell’Unione e dei singoli Stati membri. In merito, cfr. S. Capolupo, I nuovi rapporti tra normativa antiriciclaggio e fiscale, in “il fisco” n. 14 del 2017, pag. 1-1338.

[21] Il considerando 11 della IV direttiva antiriciclaggio afferma, per quanto di interesse, che “(…) in linea con le raccomandazioni riviste del GAFI, i reati fiscali connessi alle imposte dirette e indirette rientrano nell’ampia definizione di attività criminosa ai sensi della presente direttiva (…)”.

[22] Tale norma recita “Nel rispetto del vigente quadro di attribuzioni e competenze, i dati e le informazioni conservate secondo le norme di cui al presente Capo sono utilizzabili a fini fiscali”.

[23] Il previgente art. 36, co. 6 disponeva che “i dati e le informazioni registrate ai sensi delle norme di cui al presente Capo sono utilizzabili ai fini fiscali secondo le disposizioni vigenti”.

[24] Cfr., per tutti, S. Capolupo, I nuovi rapporti tra normativa antiriciclaggio e fiscale, in “il fisco” n. 14 del 2017, pag. 1-1338.

[25] In merito, con riferimento alla vigenza del citato art. 36, co. 6, cfr. P. Russo, Decreto Salva Italia (D.L. 6 dicembre 2011, n. 201, convertito) – L’utilizzo a fini fiscali dei dati antiriciclaggio anche alla luce delle novità introdotte dal Decreto “Salva Italia”, in “il fisco” n. 4 del 2012, pag. 1-523, dove l’Autore puntualizza che “…il “patrimonio informativo” acquisito dagli obbligati nell’osservanza delle disposizioni del D.Lgs. n. 231/2007 è “accessibile” per gli organi investigativi (e in particolare, per quanto qui di più stretto interesse, per la Guardia di finanza), in via diretta e con specifica richiesta, solo per le finalità di controllo proprie della normativa antiriciclaggio, che a tal fine subordina l’esercizio dei poteri di polizia valutaria. Conseguentemente, laddove l’attività ispettiva non sia finalizzata al riscontro della corretta osservanza delle disposizioni di cui al D.Lgs. n. 231/2007, ma sia motivata da ragioni di carattere esclusivamente fiscale, si ritiene che l’organo di controllo non possa procedere all’acquisizione dei dati in questione, e quindi al loro successivo utilizzo a fini fiscali …”.

[26] Recante “Modifiche ed integrazioni ai decreti legislativi 25 maggio 2017, n. 90 e n. 92, recanti attuazione della direttiva (UE) 2015/849, nonché attuazione della direttiva (UE) 2018/843 che modifica la direttiva (UE) 2015/849 relativa alla prevenzione dell’uso del sistema finanziario ai fini di riciclaggio o finanziamento del terrorismo e che modifica le direttive 2009/138/CE e 2013/36/UE” e pubblicato in G.U. S.G. n. 252 del 26-10-2019.

[27] Sul tema, cfr. M. Carbone, P. Bianchi e V. Vallefuoco, Le nuove regole antiriciclaggio, IPSOA, 2020, Cap. X, pag. 822, dove l’Autore sostiene che tale disposizione “… assurge a norma di carattere generale nelle procedure di accertamento tributario …”.

[28] Cfr. Circolare n. 371277/2019 datata 31.12.2019 del Comando Generale della Guardia di Finanza.

[29] Per “segreto d’ufficio” si intende il dovere, imposto agli impiegati pubblici, di non comunicare all’esterno dell’amministrazione notizie o informazioni di cui siano venuti a conoscenza nell’esercizio delle loro funzioni, ovvero che riguardino l’attività amministrativa in corso di svolgimento o già conclusa. Com’è noto, la violazione del segreto d’ufficio può rilevare sotto il profilo penale, qualora si verifichi la fattispecie di reato di cui all’art. 326 c.p..

[30] Cfr. Circolare n. 1/2018 del Comando Generale della Guardia di Finanza recante “Manuale operativo in materia di contrasto all’evasione e alle frodi fiscali”, Vol. II, parte IV, Cap. 2, pag. 182.

[31] Secondo la disciplina dell’art. 329 c.p.p. “Obbligo del segreto”, il segreto si articola in due ambiti, quali, segnatamente, il divieto di partecipazione – c.d. “segretezza interna” – che inibisce ai soggetti privati del procedimento di venire a conoscenza delle attività dell’indagine preliminare ed il divieto di divulgazione – c.d. “segretezza esterna” – che impedisce la diffusione delle notizie acquisite nel corso delle indagini stesse fra tutti coloro a queste estranee.

Secondo l’orientamento ormai consolidato della Corte di Cassazione (ex plurimis, Sez. V, 17 giugno 2016, n. 12549; Sez. V, 19 settembre 2014, n. 19756; Sez. V, 31 gennaio 2013, n. 2352), che l’autorizzazione della magistratura è prevista a salvaguardia del segreto delle indagini penali e non ha – diversamente da quella del Procuratore della Repubblica, prevista per l’accesso ai fini fiscali dall’art. 52, 2° e 3° comma, del D.P.R. n. 633/1972 – alcuna finalità di stretta tutela nei confronti del contribuente ovvero dei soggetti coinvolti nel procedimento penale. Pertanto, anche in mancanza di espressa autorizzazione, gli elementi acquisiti nell’ambito di attività di polizia giudiziaria sono pienamente utilizzabili in sede amministrativa.

[32] La norma prevede che “Fuori dai casi previsti dal presente decreto, è fatto divieto ai soggetti tenuti alla segnalazione di un’operazione sospetta e a chiunque ne sia a conoscenza, di dare comunicazione al cliente interessato o a terzi dell’avvenuta segnalazione, dell’invio di ulteriori informazioni richieste dalla UIF o dell’esistenza ovvero della probabilità di indagini o approfondimenti in materia di riciclaggio o di finanziamento del terrorismo”.

[33] Tale indicazione, a parere di chi scrive, è valevole anche nel caso di sviluppo investigativo delle informazioni ricevute in ambito di cooperazione internazionale.

[34] A titolo esemplificativo, tale condizione può ricorrere nel caso di segnalazioni originate da un notaio a fronte dell’atteggiamento mantenuto dalle parti in occasione della stipula di un atto o da un professionista depositario dei libri contabili per informazioni tratte dalle scritturazioni obbligatorie.

[35] Sotto il profilo ispettivo, prima dell’esecuzione di qualsiasi attività ispettiva nel settore del contrasto all’evasione fiscale, è prassi che i verificatori consultino la banca dati Si.Va.2, per rilevare se nei confronti del soggetto selezionato sussistano segnalazioni di operazioni sospette antiriciclaggio allo scopo di mirare o ampliare l’oggetto dell’intervento ispettivo.

[36] Al fine di comprendere l’ampiezza del “patrimonio informativo” suscettibile di utilizzo a fini fiscali, ai sensi del citato art. 34, co. 1, occorre far riferimento ai dati, notizie e documenti acquisiti dai soggetti obbligati nell’assolvimento degli obblighi di conservazione disciplinati dall’art. 31 del D.Lgs. n. 231/2007.

[37] Cfr. circolare della Guardia di finanza n. 40237/256 del 12 febbraio 2021 recante “Riclassificazione delle segnalazioni di operazioni sospette”, con la quale direttiva si è proceduto ad elaborare una nuova classificazione delle SOS.

[38] Sul punto, cfr. circolare della Guardia di finanza n. 83607/2012 del 19 marzo 2012 “Attività della Guardia di finanza a tutela del mercato dei capitali” Vol. I, Parte II, Cap. 4, par. 4, pag. 146. In particolare, il facsimile del citato appunto è l’allegato n. 20 del Volume IV recante “Manualistica e documentazione di supporto”.

[39] Sul punto, cfr. la Corte di Cassazione SS.UU., sentenza n. 16424 del 21 novembre 2002, secondo la quale viene sancito con rigore che il principio della “inutilizzabilità [degli atti illegittimamente acquisiti] non abbisogna di un’espressa disposizione sanzionatoria, derivando dalla regola generale secondo cui l’assenza del presupposto di un procedimento amministrativo infirma tutti gli atti nei quali si articola”. In senso difforme, cfr. Corte di Cassazione Sez. trib., sentenza n. 8344 del 19 giugno 2001.

[40] Per ulteriori approfondimenti sull’argomento, si veda Galluccio L., Accertamento: elementi probatori acquisiti dalla polizia giudiziaria novità sull’utilizzo ai fini fiscali, in “La Settimana Fiscale” n. 26/2005; in tale ambito, si è evidenziato che la previgente normativa, pur consentendo di utilizzare ai fini tributari i dati e gli elementi acquisiti in sede penale, applicando l’inversione dell’onere della prova a carico del contribuente, limitava tale possibilità esclusivamente per “i singoli dati ed elementi risultanti dai conti…” e non per ogni altro elemento probatorio acquisito nel corso delle indagini di polizia giudiziaria, così come – di contro – consentito dalla vigente legislazione in materia (art. 32, co. 1, n. 2), del D.P.R. n. 600/1973) grazie al rinvio all’ultimo periodo del co. 3, del citato art. 33 “dati e notizie acquisiti, direttamente o riferiti ed ottenuti dalle altre Forze di polizia, nell’esercizio dei poteri di polizia giudiziaria”.

[41] TOMA D., Riciclaggio, indagini, evasione fiscale e… “gli addetti ai lavori”, Evento formativo a cura del Consiglio nazionale dei dottori commercialisti, Roma 11 luglio 2007.

[42] In tali circostanze, il modus operandi dei verbalizzanti dovrebbe, a titolo esemplificativo, evitare di allegare ai processi verbali di verifica ovvero di constatazione e/o documentazione dalla quale si possa, in qualsiasi modo, risalire al nominativo del soggetto segnalante.

[43] Cfr., per tutti, Commissione tributaria regionale di Roma Sent. n. 44 del 20 maggio-24 settembre 2004, per la giurisprudenza di merito, e Corte Cass., Sez. trib., 30 maggio 2005, n. 11487, per quella di legittimità.