Avvocato corrompe Giudice di Pace con un cesto natalizio

Corruzione
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La Corte di Cassazione ha affermato che l’avvocato che dona denaro o altra utilità ad un organo giurisdizionale commette il reato di corruzione in atti giudiziari, in quanto tale gesto potrebbe condizionare l’autorità competente nei suoi orientamenti valutativi.

 

Il caso

Nel caso in esame, la Corte di Appello di Lecce aveva confermato la sentenza di condanna emessa dal Giudice del Tribunale di Lecce, il quale aveva condannato un avvocato per avere commesso il delitto di corruzione in atti giudiziari, consistente nell’aver corrisposto, nella qualità di difensore di più persone “sorvegliate speciali”, utilità non dovute al Giudice di Pace competente a decidere in occasione delle festività natalizie, tra le quali una confezione contenente 7-8 aragoste, salmone, caviale e champagne.

Secondo l’accusa, il Giudice di Pace aveva riservato alle cause dell’avvocato una corsia preferenziale, attraverso l’alterazione del meccanismo di assegnazione del contenzioso, mettendosi a disposizione dello stesso a soddisfacimento delle sue aspettative.

L’avvocato del difensore ha proposto ricorso per Cassazione, chiedendo l’annullamento della sentenza. Il legale dell’imputato ha ritenuto che la Corte di Appello avesse fondato il proprio convincimento su ipotesi che non trovavano conferma probatoria. Inoltre, dalle intercettazioni telefoniche non era emerso alcun patto corruttivo tra il difensore ed il giudice, ma solo contatti connotati da una certa familiarità e che, quindi, si era in presenza di un travisamento delle prove.

Ha proseguito l’avvocato di controparte affermando che il cesto era stato inviato e donato dal difensore al giudice in occasione del Natale nell’ambito di una relazione di amicizia e di frequentazione tra gli stessi, che la Corte di Appello aveva del tutto trascurato. La sentenza impugnata, secondo il ricorrente, non dimostrava alcun collegamento causale, né tanto meno dolo, tra il dono ed i precedenti atti posti in essere dal giudice.

La decisione della Suprema Corte

La Corte di Appello aveva rilevato, a fondamento del reato di corruzione, come fossero stati posti in essere da parte del Giudice di Pace atti contrari ai propri doveri d’ufficio, riservando a sé e ad un altro collega la trattazione di dodici ricorsi proposti dal ricorrente, in violazione della disciplina tabellare che regola le assegnazioni degli affari.

La Cassazione ha affermato che dalle prove era, inoltre, emerso che in tutti i ricorsi proposti dal difensore e decisi dal Giudice di Pace e dal collega, i ricorrenti avevano ottenuto in tempi brevi la sospensione dei provvedimenti prefettizi di revoca della patente. Tali soggetti, infatti, erano rientrati in possesso del titolo abilitativo alla guida pur ritrovandosi nel periodo di sottoposizione alla misura della sorveglianza speciale di Pubblica Sicurezza.

La Corte ha confermato quanto rilevato dalla Corte di Appello di Lecce, ribadendo che: “Non era il contenuto dell’atto giudiziario in sé a qualificare come propria o impropria la corruzione, ma il metodo mediante il quale si era giunti alla decisione, che, pur formalmente corretta in ipotesi, era risultata compromessa a priori. Nel delitto di corruzione in atti giudiziari, infatti, per stabilire se la decisione giurisdizionale sia conforme o contraria ai doveri di ufficio deve aversi riguardo non al suo contenuto ma al metodo con cui a essa si perviene”.

Quindi, il Giudice che riceve da una parte in causa denaro o altra utilità, ha proseguito la Corte, rimane inevitabilmente condizionato nei suoi orientamenti valutativi, e la soluzione del caso portato al suo esame soffre comunque dell’inquinamento metodologico a monte.

Pertanto, la Cassazione ha dichiarato il ricorso inammissibile ed ha condannato il difensore ricorrente al pagamento delle spese processuali.

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(Corte di Cassazione - Sezione Sesta Penale, Sentenza 20 aprile 2018, n. 17987)