Avvocato Generale UE: con gli avvocati prevale sempre la tariffa concordata
Causa C‑565/08
Commissione europea
contro
Repubblica italiana
1. Il ricorso di inadempimento in esame verte sulla normativa italiana che prevedrebbe, secondo la Commissione europea, tariffe massime obbligatorie per le attività degli avvocati.
2. Secondo la Commissione, l’obbligo degli avvocati di rispettare tariffe massime costituisce una restrizione alla libera di stabilimento ai sensi dell’art. 43 CE, nonché una restrizione alla libera prestazione dei servizi ai sensi dell’art. 49 CE. Poiché detto obbligo non sarebbe idoneo a garantire gli obiettivi di interesse generale e, in ogni caso, apparirebbe più restrittivo di quanto è necessario per conseguire detti obiettivi, si tratterebbe di una restrizione ingiustificabile.
3. La Repubblica italiana ha basato la sua difesa facendo valere in via principale che non vi è, nel proprio ordinamento giuridico, un principio che vieti di superare le tariffe massime applicabili alle attività degli avvocati. Soltanto in via sussidiaria essa ha tentato di dimostrare che la prescrizione di limiti tariffari massimi mira a garantire l’accesso alla giustizia, la tutela dei destinatari dei servizi, nonché la buona amministrazione della giustizia.
Ambito normativo nazionale
4. In generale, la retribuzione delle libere professioni, fra le quali figura anche quella degli avvocati, a titolo di un contratto di prestazione di servizi è disciplinata dall’art. 2233 del codice civile italiano, ai sensi del quale:
«Il compenso, se non è convenuto dalle parti e non può essere determinato secondo le tariffe o gli usi, è determinato dal giudice, sentito il parere dell’associazione professionale a cui il professionista appartiene.
In ogni caso la misura del compenso deve essere adeguata all’importanza dell’opera e al decoro della professione.
Sono nulli, se non redatti in forma scritta, i patti conclusi tra gli avvocati ed i praticanti abilitati con i loro clienti che stabiliscono i compensi professionali».
5. Le disposizioni concernenti specificamente il compenso degli avvocati sono contenute nel regio decreto legge 27 novembre 1933, n. 1578, convertito nella legge 22 gennaio 1934, n. 36, come modificato in seguito (in prosieguo: il «regio decreto»), che costituisce il testo di base che disciplina la professione di avvocato in Italia.
6. Ai sensi dell’art. 57 del regio decreto legge:
«I criteri per la determinazione degli onorari e delle indennità dovute agli avvocati ed ai procuratori in materia penale e stragiudiziale (2) sono stabiliti ogni biennio con deliberazione del Consiglio nazionale forense. Nello stesso modo provvede il Consiglio nazionale forense per quanto concerne la determinazione degli onorari nei giudizi penali davanti alla Corte suprema di cassazione ed al Tribunale supremo militare.
Le deliberazioni con le quali si stabiliscono i criteri di cui al comma precedente devono essere approvate dal Ministro per la grazia e giustizia».
7. Le condizioni applicabili ai criteri di cui all’art. 57 del regio decreto legge sono specificate all’art. 58 di quest’ultimo, che è così redatto:
«I criteri di cui al precedente articolo sono stabiliti con riferimento al valore delle controversie ed al grado dell’autorità chiamata a conoscerne, e, per i giudizi penali, anche alla durata di essi.
Per ogni atto o serie di atti devono essere fissati i limiti di un massimo e di un minimo.
Nelle materie stragiudiziali va tenuto conto dell’entità dell’affare».
8. Dopo aver costituito oggetto delle deliberazioni del Consiglio nazionale forense conformemente all’art. 57 del regio decreto legge, la tariffa degli onorari degli avvocati dev’essere approvata dal Ministro della Giustizia, previo parere del Comitato interministeriale dei prezzi, in forza dell’art. 14, ventesimo comma, della legge 22 dicembre 1984, n. 887, e previa consultazione del Consiglio di Stato, ai sensi dell’art. 17, n. 3, della legge 23 agosto 1988, n. 400. L’ultimo decreto ministeriale che disciplina gli onorari degli avvocati adottato conformemente al summenzionato procedimento è il decreto 8 aprile 2004, n. 127 (in prosieguo: il «decreto ministeriale n. 127/2004»).
9. Per quanto concerne la liquidazione degli onorari, l’art. 60 del regio decreto legge stabilisce che l’autorità giudiziaria liquidi gli onorari sulla base dei citati criteri, tenendo conto della gravità e del numero delle questioni trattate. Tale liquidazione deve restare entro i limiti massimi e minimi previamente fissati. Tuttavia, in casi di eccezionale importanza, tenuto conto della specialità delle controversie e qualora il valore intrinseco della prestazione lo giustifichi, il giudice può oltrepassare il limite massimo fissato dalla tariffa. Viceversa egli può, quando la causa risulti di facile trattazione, fissare onorari in misura inferiore al limite minimo. In entrambi i casi la decisione del giudice dev’essere motivata.
10. Per quanto concerne gli onorari praticati dagli avvocati nei confronti dei loro clienti, l’art. 61 del regio decreto legge dispone:
«L’onorario dell’avvocato nei confronti del proprio cliente, in materia sia giudiziale sia stragiudiziale, è determinato, salvo patto speciale, in base ai criteri di cui all’art. 57, tenuto conto della gravità e del numero delle questioni trattate.
Tale onorario, in relazione alla specialità della controversia o al pregio o al risultato dell’opera prestata, può essere anche maggiore di quello liquidato a carico della parte condannata alle spese.
(…)».
11. Quanto agli onorari degli avvocati in materia civile, l’art. 24 della legge 13 giugno 1942, n. 794, sugli onorari di avvocato per prestazioni giudiziarie in materia civile (in prosieguo: la «legge n. 794/1942»), dispone che sono inderogabili gli onorari minimi stabiliti dalla tariffa per le prestazioni giudiziarie in materia civile, a pena di nullità di qualsiasi accordo derogatorio.
12. L’art. 13 della legge 9 febbraio 1982, n. 31, sulla libera prestazione di servizi da parte degli avvocati cittadini degli Stati membri della Comunità europea, che attua la direttiva del Consiglio 22 marzo 1977, 77/249/CEE, intesa a facilitare l’esercizio effettivo della libera prestazione di servizi da parte degli avvocati (3), dispone quanto segue: «Per le attività professionali svolte sono dovute agli avvocati indicati all’articolo l i diritti e le indennità nella misura stabilita in materia giudiziale e stragiudiziale a norma del vigente ordinamento professionale».
13. Occorre rilevare che, durante la fase precontenziosa della causa in esame, la normativa italiana relativa alla retribuzione delle libere professioni e, di conseguenza, anche degli avvocati è stata modificata col decreto legge 4 luglio 2006, n. 223, convertito nella legge 4 agosto 2006, n. 248 (in prosieguo: il «decreto legge n. 223/2006»). Il suo art. 2, intitolato «Disposizioni urgenti per la tutela della concorrenza nel settore dei servizi professionali», dispone:
«1. In conformità al principio comunitario di libera concorrenza ed a quello di libertà di circolazione delle persone e dei servizi, nonché al fine di assicurare agli utenti un’effettiva facoltà di scelta nell’esercizio dei propri diritti e di comparazione delle prestazioni offerte sul mercato, dalla data di entrata in vigore del presente decreto sono abrogate le disposizioni legislative e regolamentari che prevedono con riferimento alle attività libero‑professionali e intellettuali:
a) l’obbligatorietà di tariffe fisse o minime ovvero il divieto di pattuire compensi parametrati al raggiungimento degli obiettivi perseguiti;
(...)
2. Sono fatte salve le disposizioni riguardanti l’esercizio delle professioni reso nell’ambito del Servizio sanitario nazionale o in rapporto convenzionale con lo stesso, nonché le eventuali tariffe massime prefissate in via generale a tutela degli utenti. Il giudice provvede alla liquidazione delle spese di giudizio e dei compensi professionali, in caso di liquidazione giudiziale e di gratuito patrocinio, sulla base della tariffa professionale. Nelle procedure ad evidenza pubblica, le stazioni appaltanti possono utilizzare le tariffe, ove motivatamente ritenute adeguate, quale criterio o base di riferimento per la determinazione dei compensi per attività professionali.
3. Le disposizioni deontologiche e pattizie e i codici di autodisciplina, che contengono le prescrizioni di cui al comma 1, sono adeguate, anche con l’adozione di misure a garanzia della qualità delle prestazioni professionali, entro il l° gennaio 2007. In caso di mancato adeguamento, a decorrere dalla medesima data le norme in contrasto con quanto previsto dal comma l sono in ogni caso nulle».
Procedimento precontenzioso e procedimento dinanzi alla Corte
14. Considerando che la normativa italiana riguardante le attività stragiudiziali di un avvocato potrebbe essere incompatibile con l’art. 49 CE, la Commissione ha inviato il 13 luglio 2005 alla Repubblica italiana una lettera di diffida. La Repubblica italiana ha risposto con lettera del 19 settembre 2005.
15. In seguito, la Commissione ha completato due volte l’analisi effettuata con la lettera di diffida. In una prima lettera di diffida supplementare, datata 23 dicembre 2005, la Commissione ha considerato incompatibili con gli artt. 43 CE e 49 CE le norme italiane che stabilivano l’obbligo di rispettare tariffe obbligatorie per le attività giudiziarie e stragiudiziali degli avvocati. La Repubblica italiana ha risposto con lettere del 9 marzo 2006, 10 luglio 2006 nonché 17 ottobre 2006.
16. Con una seconda lettera di diffida supplementare, datata 23 marzo 2007, la Commissione ha reagito alla nuova normativa italiana in materia, vale a dire il decreto legge n. 223/2006. La Repubblica italiana ha risposto con lettera datata 21 maggio 2007.
17. In seguito, con lettera del 3 agosto 2007, la Commissione ha chiesto alle autorità italiane informazioni in merito alle modalità relative al sistema di rimborso delle spese sostenute dagli avvocati. La Repubblica italiana ha risposto con lettera del 28 settembre 2007.
18. Insoddisfatta dalle osservazioni formulate dalla Repubblica italiana, la Commissione le ha inviato un parere motivato datato 4 aprile 2008, col quale essa le ha rimproverato l’incompatibilità con gli artt. 43 CE e 49 CE delle norme nazionali che impongono agli avvocati l’obbligo di rispettare tariffe massime.
19. Malgrado gli argomenti addotti dalle autorità italiane nella loro risposta del 9 ottobre 2008 al parere motivato, la Commissione ha depositato il ricorso in esame col quale chiede alla Corte di dichiarare che, prevedendo disposizioni che impongono agli avvocati l’obbligo di rispettare tariffe massime, la Repubblica italiana è venuta meno agli obblighi impostile dagli artt. 43 CE e 49 CE e di condannare la Repubblica italiana alle spese.
20. Con ordinanza 5 giugno 2009, la Corte ha autorizzato la Repubblica di Slovenia ad intervenire a sostegno delle conclusioni della Commissione.
21. La Repubblica italiana ha chiesto l’organizzazione di un’udienza, la quale si è svolta il 24 marzo 2010, in presenza degli agenti della Repubblica italiana nonché della Commissione.
Valutazione
22. Il ricorso della Commissione muove dalla premessa secondo la quale la normativa italiana conterrebbe disposizioni che impongono agli avvocati l’obbligo di rispettare tariffe massime. Alla luce dell’argomento della Commissione esposto nel ricorso e presentato in udienza, è possibile constatare che la Commissione addebita alla Repubblica italiana non l’esistenza di tariffe massime obbligatorie in relazione alla liquidazione delle spese da parte dell’autorità giudiziaria, che è esplicitamente prevista dall’art. 60 del regio decreto legge, ma piuttosto l’obbligo di rispettare siffatte tariffe in un rapporto fra avvocato e cliente, in quanto tale obbligo limiterebbe la libertà di negoziazione del compenso degli avvocati.
23. Se ciò avvenisse, vale a dire se la normativa italiana contenesse effettivamente disposizioni che impongono agli avvocati l’obbligo di rispettare tariffe massime nei rapporti con i loro clienti, non sarebbe molto difficile, basandosi sulla sentenza Cipolla e a. (4) nella quale la Corte ha qualificato un obbligo analogo avente ad oggetto il rispetto di tariffe minime come una restrizione alla libera prestazione di servizi, ammettere che l’obbligo in questione costituirebbe una restrizione alla libera prestazione dei servizi, e persino alla libertà di stabilimento, di modo che toccherebbe quindi alla Repubblica italiana provare che tale restrizione può essere giustificata da obiettivi di interesse generale.
24. Orbene, la Repubblica italiana nega per l’appunto l’esistenza di siffatto obbligo che sarebbe imposto agli avvocati di rispettare tariffe massime nei rapporti con i loro clienti. Per tale motivo, prima di esaminare se l’obbligo per gli avvocati di rispettare tariffe massime costituisca una restrizione alla libertà di stabilimento ai sensi dell’art. 43 CE, nonché una restrizione alla libera prestazione di servizi ai sensi dell’art. 49 CE, esaminerò innanzitutto la questione se l’ordinamento giuridico italiano contenga effettivamente l’obbligo menzionato.
25. Anzitutto vorrei ricordare che la tariffa italiana per le attività degli avvocati che fissa, per ciascun atto o serie di atti, un limite massimo e un limite minimo, è già stata esaminata dalla Corte tre volte. La prima volta fu in occasione della sentenza Arduino (5), nella quale la Corte ha esaminato il procedimento di adozione della tariffa che fissa minimi e massimi rispetto agli artt. 10 CE e 81 CE, al fine di verificare se detta tariffa costituisse una misura statale o una decisione di intervento di un operatore privato in materia economica. In tale occasione, la Corte ha dichiarato che gli articoli summenzionati del Trattato CE non ostavano a che uno Stato membro adottasse una misura legislativa o regolamentare che approvasse, in base ad un progetto stabilito da un ordinamento professionale di avvocati, una tariffa che fissa minimi e massimi per gli onorari dei membri della professione (6).
26. La stessa constatazione figura nella sentenza Cipolla e a. (7). In tale sentenza, oltre alla conformità della tariffa italiana degli onorari dell’avvocato con quanto richiesto dal diritto comunitario della concorrenza, la Corte ha anche esaminato la questione del rapporto fra il divieto assoluto della deroga, in via pattizia, agli onorari minimi fissati da detta tariffa e il principio della libera prestazione di servizi. Al riguardo la Corte ha osservato che un divieto del genere costituiva una restrizione alla libera prestazione di servizi che può, in via di principio, essere giustificato dagli obiettivi di tutela dei consumatori e di buona amministrazione della giustizia. La Corte ha lasciato al giudice nazionale il compito di verificare se la normativa italiana di cui trattasi rispondesse effettivamente ai menzionati obiettivi e se le restrizioni da essa imposte non risultassero sproporzionate rispetto a detti obiettivi (8).
27. Inoltre, nell’ordinanza Hospital Consulting e a. (9), la Corte ha reiterato la sua posizione quanto alla conformità della tariffa italiana degli onorari di avvocati con quanto richiesto dal diritto comunitario della concorrenza. In tale causa le questioni pregiudiziali deferite alla Corte riguardavano il divieto posto al giudice, quando si pronuncia sull’importo delle spese che la parte soccombente deve rimborsare all’altra parte, di derogare agli onorari minimi fissati da tale tariffa.
28. Mi sembra importante sottolineare che, tanto nella sentenza Cipolla e a. quanto nell’ordinanza Hospital Consulting e a., l’argomento della Corte ha riguardato soltanto il divieto di derogare agli onorari minimi. Le dette pronunce non esaminano affatto l’eventuale divieto di derogare agli onorari massimi nonostante il fatto che, nella causa che ha dato luogo alla sentenza Cipolla e a., il giudice del rinvio avesse chiesto alla Corte di pronunciarsi sulla compatibilità del principio del divieto assoluto di derogare agli onorari degli avvocati col principio della libera prestazione di servizi (10).
29. Al momento dei fatti che hanno dato luogo alle citate sentenze Arduino e Cipolla e a. nonché all’ordinanza Hospital Consulting e a., citata supra, non si poteva negare l’esistenza di un divieto di derogare agli onorari minimi. Tale divieto era esplicitamente formulato dall’art. 24 della legge n. 794/1942 e sanzionato dalla nullità di qualsiasi accordo derogatorio, nonché dall’art. 4, n. 1, del decreto ministeriale n. 127/2004, ai sensi del quale le tariffe minime stabilite per gli onorari d’avvocato sono inderogabili (11).
30. L’obbligo di rispettare tariffe minime e, quindi, l’obbligatorietà di dette tariffe sono stati aboliti dal decreto legge n. 223/2006, che deroga così, in quanto lex posterior, alla legge n. 794/1942 nonché al decreto ministeriale n. 127/2004.
31. Alla guisa dell’esistenza del divieto di derogare agli onorari minimi al momento dei fatti che hanno dato luogo alle citate sentenze Arduino e Cipolla e a. nonché all’ordinanza Hospital Consulting e a., citata supra, non si può neanche negare l’esistenza delle tariffe massime per le attività degli avvocati nella normativa italiana.
32. Tuttavia, mi sembra che ciò non sia quanto viene addebitato alla Repubblica italiana da parte della Commissione. La Commissione critica infatti l’obbligatorietà delle tariffe massime nei rapporti fra avvocati e clienti in quanto essa costituisce un limite alla libertà contrattuale di questi ultimi. Secondo la Commissione, la normativa italiana di cui trattasi vieterebbe agli avvocati di derogare, in via pattizia, alle tariffe massime.
33. Al riguardo va ricordato che la Repubblica italiana non è l’unico Stato membro il cui ordinamento giuridico preveda una tariffa che fissa limiti minimi e massimi per gli onorari di avvocati (12).
34. Ammetto che tale tariffa può svolgere un ruolo moderatore a tutela dei cittadini contro la fissazione di onorari eccessivi e consentire di conoscere in anticipo le spese legate ai servizi forniti dagli avvocati, tenuto conto in particolare dell’asimmetria di informazioni fra avvocati e clienti.
35. Come ho già osservato, l’asserita obbligatorietà delle tariffe massime che sarebbero applicabili, secondo la Commissione, alle attività degli avvocati in forza in particolare degli artt. 57 e 58 del regio decreto legge, dell’art. 24 della legge n. 794/1942, dell’art. 13 della legge 9 febbraio 1982, n. 31, delle disposizioni pertinenti del decreto ministeriale n. 127/2004 nonché del decreto legge n. 223/2006 è al centro delle preoccupazioni espresse dalla Commissione (13).
36. Ritengo, in base alla normativa italiana quale essa è stata presentata dalla Commissione e poi spiegata dalla Repubblica italiana tanto nelle loro memorie quanto nelle loro osservazioni orali in udienza, che è inesatta la premessa della Commissione relativa al divieto di derogare alle tariffe massime.
37. Risulta espressamente dall’art. 2233 del codice civile italiano, in quanto lex generalis, nonché dall’art. 61 del regio decreto legge, in quanto lex specialis, che l’accordo fra un avvocato e il suo cliente prevale sulla tariffa stabilita col decreto ministeriale n. 127/2004. Soltanto in mancanza di qualsiasi accordo la tariffa è applicata al fine di determinare gli onorari di un avvocato in un caso concreto. Ne discende che l’avvocato e il suo cliente dispongono di una possibilità di determinare, mediante accordo, gli onorari dell’avvocato, ad esempio, in funzione del tempo impiegato, del forfait o anche del risultato.
38. Tale considerazione non è neanche invalidata dall’art. 2, n. 2, del decreto legge n. 223/2006, secondo il quale l’abrogazione delle disposizioni legislative e regolamentari nel settore dei servizi professionali che prevedono tariffe fisse o minime obbligatorie fa salve eventuali tariffe massime. A mio avviso, da detta disposizione discende che il carattere delle eventuali tariffe massime è rimasto immutato. Pertanto, se le tariffe massime applicabili alle attività degli avvocati non avevano l’obbligatorietà nei rapporti fra avvocati e clienti prima dell’adozione del decreto legge n. 223/2006, esse non possono avere siffatto carattere dopo l’adozione del summenzionato decreto.
39. Inoltre, contrariamente all’art. 2, n. 1, del decreto legge n. 223/2006, il termine «obbligatorio» non figura nel n. 2 della stessa disposizione rispetto alle tariffe massime.
40. Tenuto conto della giurisprudenza secondo la quale la portata delle disposizioni legislative, regolamentari o amministrative nazionali deve valutarsi tenuto conto dell’interpretazione che ne forniscono i giudici nazionali (14), perché il ricorso della Commissione possa essere accolto, questa dovrebbe provare che i giudici nazionali intendono le tariffe massime nel senso che esse hanno un carattere obbligatorio.
41. Nel ricorso la Commissione ha sostenuto, senza citare esempi concreti, che da una giurisprudenza costante della Corte suprema di cassazione risulterebbe che il divieto di derogare alla tariffa professionale dell’avvocato implica la nullità di qualsiasi accordo in senso contrario fra le parti interessate. La Repubblica italiana ha replicato che la summenzionata giurisprudenza riguarderebbe soltanto le tariffe minime.
42. All’udienza la Commissione si è riferita alle sentenze della Corte suprema di cassazione n. 12297/2001, n. 9514/96 e n. 19014/2007, senza però fornirne copia alla Corte. Essa ha affermato che, in dette sentenze, la Corte suprema di cassazione avrebbe ritenuto che le tariffe massime e minime svolgano la funzione di limitare l’autonomia contrattuale. La Repubblica italiana ha replicato che queste sentenze riguarderebbero ambiti normativi completamente diversi.
43. Nonostante il fatto che le summenzionate sentenze non siano state acquisite agli atti, ho esaminato una di esse, vale a dire la sentenza n. 12297/2001, accessibile su Internet. Da questo esame risulta che essa riguarda soltanto la liquidazione delle spese giudiziarie e non la libertà contrattuale di fissare un onorario nel rapporto fra il cliente e il suo avvocato.
44. Alla luce delle precedenti considerazioni, mi è possibile effettuare una ricapitolazione.
45. In primo luogo, spetta alla Commissione provare l’esistenza di un obbligo che sarebbe imposto agli avvocati di rispettare tariffe massime e che vieterebbe loro di derogare in via pattizia a dette tariffe massime.
46. La Commissione ha provato l’esistenza di limiti massimi in materia. In realtà, tale elemento non è stato contestato dalla Repubblica italiana. Tuttavia, la Commissione non è riuscita a dimostrare che detti limiti sono obbligatori nel senso che essi vietano agli avvocati di derogare ad essi mediante accordo concluso con i loro clienti. L’esame della normativa italiana relativa al compenso degli avvocati non evidenzia l’esistenza di siffatto divieto espresso di derogare alle tariffe massime, alla guisa del divieto di derogare alle tariffe minime applicabile fino al cambiamento avvenuto col decreto legge n. 223/2006.
47. In secondo luogo, la Commissione non ha dimostrato che, nonostante la mancanza di siffatto divieto espresso, i giudici nazionali interpretano la normativa di cui trattasi nel senso che le tariffe massime costituiscono i limiti della libertà contrattuale degli avvocati e dei loro clienti. Per quanto ne sappia, le sentenze della Corte suprema di cassazione citate dalla Commissione in udienza (15), ma che non sono state acquisite agli atti, non corroborano l’affermazione della Commissione. Inoltre, giustamente la Repubblica italiana ha osservato che le sentenze di cui trattasi riguardano ambiti normativi diversi da quello esaminato nella causa in esame.
48. Dalla ricapitolazione che precede discende che il ricorso della Commissione dovrebbe essere dichiarato infondato.
49. Per quanto riguarda le spese, ai sensi dell’art. 69, n. 2, del regolamento di procedura, la parte soccombente è condannata alle spese se ne è stata fatta domanda. In mancanza di domanda della Repubblica italiana in tal senso, ciascuna delle parti dovrà sopportare le proprie spese.
50. Ai sensi dell’art. 69, n. 4, primo comma, dello stesso regolamento, lo Stato membro che è intervenuto nella controversia sopporta le proprie spese. La Repubblica di Slovenia sopporterà di conseguenza le proprie spese.
Conclusione
51. Alla luce dei precedenti elementi propongo alla Corte di statuire come segue:
«1) Il ricorso è respinto.
2) La Repubblica italiana sopporta le proprie spese.
3) La Commissione europea sopporta le proprie spese.
4) La Repubblica di Slovenia sopporta le proprie spese».
2 – Detta disposizione, nonostante menzioni espressamente soltanto gli onorari e le indennità in materia penale e stragiudiziale, nella giurisprudenza della Corte è citata costantemente in quanto concernente, del pari, gli onorari e le indennità in materia civile (v., ad esempio, sentenze 19 febbraio 2002, causa C‑35/99, Arduino, Racc. pag. I‑1529, punto 6; 5 dicembre 2006, cause riunite C‑94/04 e C‑202/04, Cipolla e a., Racc. pag. I‑11421, punto 4, nonché ordinanza 5 maggio 2008, causa C‑386/07, Hospital Consulting e a., punto 5).
3 – GU L 78, pag. 17.
4 – Cit. supra.
5 – Cit. supra.
6 – Per contro, quanto ad una tariffa italiana obbligatoria per tutti gli spedizionieri doganali, la Corte ha considerato la normativa italiana che impone ad un’organizzazione professionale l’adozione di detta tariffa in contrasto con l’art. 85 CE, poiché si tratta di una decisione di associazione di imprese e non di una misura statale (sentenza 18 giugno 1998, causa C‑35/96, Commissione/Italia, Racc. pag. I‑3851).
7 – Cit. supra.
8 – Nel ricorso la Commissione ha richiamato l’attenzione sulla considerazione della Corte d’appello di Torino, giudice del rinvio nella causa Cipolla, operata nella sua sentenza 26 marzo 2008 (causa Cipolla contro Portolese in Fazari), secondo la quale «la previsione di onorari minimi inderogabili non è strumento funzionale alla tutela dei consumatori, ai quali – ordinariamente – non si prospettano i costi della tariffa professionale, ed i quali – in ragione dell’asimmetria d’informazione (...) – non sono in grado di apprezzare l’effetto moltiplicatore giocato dalla frammentazione delle voci dei diritti e degli onorari in relazione alla durata del processo, sul risultato finale del costo della prestazione, compensata a prescindere dalla qualità del servizio reso, il che ridonda in pregiudizio della buona amministrazione della giustizia».
9 – Cit. supra.
10 – È vero che l’avvocato generale Maduro, al paragrafo 66 delle sue conclusioni nella causa che ha dato luogo alla sentenza Cipolla e a., cit. supra, ha constatato che la tariffa italiana conteneva anche onorari massimi che gli avvocati che esercitano in Italia non potevano superare. L’avvocato generale Léger si è pronunciato in modo analogo, al paragrafo 94 delle sue conclusioni nella causa che ha dato luogo alla sentenza Arduino, cit. supra, in merito al decreto ministeriale 5 ottobre 1994, n. 585, che ha preceduto il decreto ministeriale n. 127/2004. Tuttavia, tenuto conto della normativa italiana citata nelle summenzionate conclusioni, non risulta chiaro il fondamento esatto di tali considerazioni, al pari della soluzione della questione se tali considerazioni si applichino unicamente alla liquidazione delle spese da parte dell’autorità giudiziaria o valgano anche per i rapporti fra avvocati e clienti.
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11 – Nel ricorso la Commissione a torto afferma che la summenzionata disposizione vieta qualsiasi deroga agli onorari e ai diritti fissati per le prestazioni degli avvocati. In realtà, detto divieto riguarda soltanto le tariffe minime.
12 – In via esemplificativa, posso citare la tariffa tedesca descritta al punto 7 della sentenza 11 dicembre 2003, causa C-289/02, AMOK (Racc. pag. I‑15059), ceca (vyhláška Ministerstva spravedlnosti č. 177/1996 Sb. o odměnách advokátů a náhradách advokátů za poskytování právních služeb) nonché solvacca (vyhláška Ministerstva spravodlivosti Slovenskej republiky č. 655/2004 Z. z. o odmenách a náhradách advokátov za poskytovanie právnych služieb).
13 – Al riguardo, mi sembra necessario esprimere i miei dubbi quanto alla questione relativa al modo in cui l’obbligatorietà delle tariffe massime possa essere dedotta dall’art. 24 della legge n. 794/1942, che si limita a stabilire il divieto di derogare agli onorari minimi fissati dalla tariffa per le prestazioni giudiziarie in materia civile, a pena di nullità di qualsiasi accordo derogatorio.
14 – Sentenza 9 dicembre 2003, causa C‑129/00, Commissione/Italia (Racc. pag. I‑14637, punto 30).
15 – Ricordo che nel ricorso la Commissione si è limitata ad affermare che risulterebbe dalla giurisprudenza costante della Corte suprema di cassazione che «il divieto di derogare alla tariffa professionale dell’avvocato comporta la nullità di qualsiasi accordo contrario tra le parti interessate in qualunque modo dalla prestazione», senza però fornirne alcun esempio concreto.
Causa C‑565/08
Commissione europea
contro
Repubblica italiana
1. Il ricorso di inadempimento in esame verte sulla normativa italiana che prevedrebbe, secondo la Commissione europea, tariffe massime obbligatorie per le attività degli avvocati.
2. Secondo la Commissione, l’obbligo degli avvocati di rispettare tariffe massime costituisce una restrizione alla libera di stabilimento ai sensi dell’art. 43 CE, nonché una restrizione alla libera prestazione dei servizi ai sensi dell’art. 49 CE. Poiché detto obbligo non sarebbe idoneo a garantire gli obiettivi di interesse generale e, in ogni caso, apparirebbe più restrittivo di quanto è necessario per conseguire detti obiettivi, si tratterebbe di una restrizione ingiustificabile.
3. La Repubblica italiana ha basato la sua difesa facendo valere in via principale che non vi è, nel proprio ordinamento giuridico, un principio che vieti di superare le tariffe massime applicabili alle attività degli avvocati. Soltanto in via sussidiaria essa ha tentato di dimostrare che la prescrizione di limiti tariffari massimi mira a garantire l’accesso alla giustizia, la tutela dei destinatari dei servizi, nonché la buona amministrazione della giustizia.
Ambito normativo nazionale
4. In generale, la retribuzione delle libere professioni, fra le quali figura anche quella degli avvocati, a titolo di un contratto di prestazione di servizi è disciplinata dall’art. 2233 del codice civile italiano, ai sensi del quale:
«Il compenso, se non è convenuto dalle parti e non può essere determinato secondo le tariffe o gli usi, è determinato dal giudice, sentito il parere dell’associazione professionale a cui il professionista appartiene.
In ogni caso la misura del compenso deve essere adeguata all’importanza dell’opera e al decoro della professione.
Sono nulli, se non redatti in forma scritta, i patti conclusi tra gli avvocati ed i praticanti abilitati con i loro clienti che stabiliscono i compensi professionali».
5. Le disposizioni concernenti specificamente il compenso degli avvocati sono contenute nel regio decreto legge 27 novembre 1933, n. 1578, convertito nella legge 22 gennaio 1934, n. 36, come modificato in seguito (in prosieguo: il «regio decreto»), che costituisce il testo di base che disciplina la professione di avvocato in Italia.
6. Ai sensi dell’art. 57 del regio decreto legge:
«I criteri per la determinazione degli onorari e delle indennità dovute agli avvocati ed ai procuratori in materia penale e stragiudiziale (2) sono stabiliti ogni biennio con deliberazione del Consiglio nazionale forense. Nello stesso modo provvede il Consiglio nazionale forense per quanto concerne la determinazione degli onorari nei giudizi penali davanti alla Corte suprema di cassazione ed al Tribunale supremo militare.
Le deliberazioni con le quali si stabiliscono i criteri di cui al comma precedente devono essere approvate dal Ministro per la grazia e giustizia».
7. Le condizioni applicabili ai criteri di cui all’art. 57 del regio decreto legge sono specificate all’art. 58 di quest’ultimo, che è così redatto:
«I criteri di cui al precedente articolo sono stabiliti con riferimento al valore delle controversie ed al grado dell’autorità chiamata a conoscerne, e, per i giudizi penali, anche alla durata di essi.
Per ogni atto o serie di atti devono essere fissati i limiti di un massimo e di un minimo.
Nelle materie stragiudiziali va tenuto conto dell’entità dell’affare».
8. Dopo aver costituito oggetto delle deliberazioni del Consiglio nazionale forense conformemente all’art. 57 del regio decreto legge, la tariffa degli onorari degli avvocati dev’essere approvata dal Ministro della Giustizia, previo parere del Comitato interministeriale dei prezzi, in forza dell’art. 14, ventesimo comma, della legge 22 dicembre 1984, n. 887, e previa consultazione del Consiglio di Stato, ai sensi dell’art. 17, n. 3, della legge 23 agosto 1988, n. 400. L’ultimo decreto ministeriale che disciplina gli onorari degli avvocati adottato conformemente al summenzionato procedimento è il decreto 8 aprile 2004, n. 127 (in prosieguo: il «decreto ministeriale n. 127/2004»).
9. Per quanto concerne la liquidazione degli onorari, l’art. 60 del regio decreto legge stabilisce che l’autorità giudiziaria liquidi gli onorari sulla base dei citati criteri, tenendo conto della gravità e del numero delle questioni trattate. Tale liquidazione deve restare entro i limiti massimi e minimi previamente fissati. Tuttavia, in casi di eccezionale importanza, tenuto conto della specialità delle controversie e qualora il valore intrinseco della prestazione lo giustifichi, il giudice può oltrepassare il limite massimo fissato dalla tariffa. Viceversa egli può, quando la causa risulti di facile trattazione, fissare onorari in misura inferiore al limite minimo. In entrambi i casi la decisione del giudice dev’essere motivata.
10. Per quanto concerne gli onorari praticati dagli avvocati nei confronti dei loro clienti, l’art. 61 del regio decreto legge dispone:
«L’onorario dell’avvocato nei confronti del proprio cliente, in materia sia giudiziale sia stragiudiziale, è determinato, salvo patto speciale, in base ai criteri di cui all’art. 57, tenuto conto della gravità e del numero delle questioni trattate.
Tale onorario, in relazione alla specialità della controversia o al pregio o al risultato dell’opera prestata, può essere anche maggiore di quello liquidato a carico della parte condannata alle spese.
(…)».
11. Quanto agli onorari degli avvocati in materia civile, l’art. 24 della legge 13 giugno 1942, n. 794, sugli onorari di avvocato per prestazioni giudiziarie in materia civile (in prosieguo: la «legge n. 794/1942»), dispone che sono inderogabili gli onorari minimi stabiliti dalla tariffa per le prestazioni giudiziarie in materia civile, a pena di nullità di qualsiasi accordo derogatorio.
12. L’art. 13 della legge 9 febbraio 1982, n. 31, sulla libera prestazione di servizi da parte degli avvocati cittadini degli Stati membri della Comunità europea, che attua la direttiva del Consiglio 22 marzo 1977, 77/249/CEE, intesa a facilitare l’esercizio effettivo della libera prestazione di servizi da parte degli avvocati (3), dispone quanto segue: «Per le attività professionali svolte sono dovute agli avvocati indicati all’articolo l i diritti e le indennità nella misura stabilita in materia giudiziale e stragiudiziale a norma del vigente ordinamento professionale».
13. Occorre rilevare che, durante la fase precontenziosa della causa in esame, la normativa italiana relativa alla retribuzione delle libere professioni e, di conseguenza, anche degli avvocati è stata modificata col decreto legge 4 luglio 2006, n. 223, convertito nella legge 4 agosto 2006, n. 248 (in prosieguo: il «decreto legge n. 223/2006»). Il suo art. 2, intitolato «Disposizioni urgenti per la tutela della concorrenza nel settore dei servizi professionali», dispone:
«1. In conformità al principio comunitario di libera concorrenza ed a quello di libertà di circolazione delle persone e dei servizi, nonché al fine di assicurare agli utenti un’effettiva facoltà di scelta nell’esercizio dei propri diritti e di comparazione delle prestazioni offerte sul mercato, dalla data di entrata in vigore del presente decreto sono abrogate le disposizioni legislative e regolamentari che prevedono con riferimento alle attività libero‑professionali e intellettuali:
a) l’obbligatorietà di tariffe fisse o minime ovvero il divieto di pattuire compensi parametrati al raggiungimento degli obiettivi perseguiti;
(...)
2. Sono fatte salve le disposizioni riguardanti l’esercizio delle professioni reso nell’ambito del Servizio sanitario nazionale o in rapporto convenzionale con lo stesso, nonché le eventuali tariffe massime prefissate in via generale a tutela degli utenti. Il giudice provvede alla liquidazione delle spese di giudizio e dei compensi professionali, in caso di liquidazione giudiziale e di gratuito patrocinio, sulla base della tariffa professionale. Nelle procedure ad evidenza pubblica, le stazioni appaltanti possono utilizzare le tariffe, ove motivatamente ritenute adeguate, quale criterio o base di riferimento per la determinazione dei compensi per attività professionali.
3. Le disposizioni deontologiche e pattizie e i codici di autodisciplina, che contengono le prescrizioni di cui al comma 1, sono adeguate, anche con l’adozione di misure a garanzia della qualità delle prestazioni professionali, entro il l° gennaio 2007. In caso di mancato adeguamento, a decorrere dalla medesima data le norme in contrasto con quanto previsto dal comma l sono in ogni caso nulle».
Procedimento precontenzioso e procedimento dinanzi alla Corte
14. Considerando che la normativa italiana riguardante le attività stragiudiziali di un avvocato potrebbe essere incompatibile con l’art. 49 CE, la Commissione ha inviato il 13 luglio 2005 alla Repubblica italiana una lettera di diffida. La Repubblica italiana ha risposto con lettera del 19 settembre 2005.
15. In seguito, la Commissione ha completato due volte l’analisi effettuata con la lettera di diffida. In una prima lettera di diffida supplementare, datata 23 dicembre 2005, la Commissione ha considerato incompatibili con gli artt. 43 CE e 49 CE le norme italiane che stabilivano l’obbligo di rispettare tariffe obbligatorie per le attività giudiziarie e stragiudiziali degli avvocati. La Repubblica italiana ha risposto con lettere del 9 marzo 2006, 10 luglio 2006 nonché 17 ottobre 2006.
16. Con una seconda lettera di diffida supplementare, datata 23 marzo 2007, la Commissione ha reagito alla nuova normativa italiana in materia, vale a dire il decreto legge n. 223/2006. La Repubblica italiana ha risposto con lettera datata 21 maggio 2007.
17. In seguito, con lettera del 3 agosto 2007, la Commissione ha chiesto alle autorità italiane informazioni in merito alle modalità relative al sistema di rimborso delle spese sostenute dagli avvocati. La Repubblica italiana ha risposto con lettera del 28 settembre 2007.
18. Insoddisfatta dalle osservazioni formulate dalla Repubblica italiana, la Commissione le ha inviato un parere motivato datato 4 aprile 2008, col quale essa le ha rimproverato l’incompatibilità con gli artt. 43 CE e 49 CE delle norme nazionali che impongono agli avvocati l’obbligo di rispettare tariffe massime.
19. Malgrado gli argomenti addotti dalle autorità italiane nella loro risposta del 9 ottobre 2008 al parere motivato, la Commissione ha depositato il ricorso in esame col quale chiede alla Corte di dichiarare che, prevedendo disposizioni che impongono agli avvocati l’obbligo di rispettare tariffe massime, la Repubblica italiana è venuta meno agli obblighi impostile dagli artt. 43 CE e 49 CE e di condannare la Repubblica italiana alle spese.
20. Con ordinanza 5 giugno 2009, la Corte ha autorizzato la Repubblica di Slovenia ad intervenire a sostegno delle conclusioni della Commissione.
21. La Repubblica italiana ha chiesto l’organizzazione di un’udienza, la quale si è svolta il 24 marzo 2010, in presenza degli agenti della Repubblica italiana nonché della Commissione.
Valutazione
22. Il ricorso della Commissione muove dalla premessa secondo la quale la normativa italiana conterrebbe disposizioni che impongono agli avvocati l’obbligo di rispettare tariffe massime. Alla luce dell’argomento della Commissione esposto nel ricorso e presentato in udienza, è possibile constatare che la Commissione addebita alla Repubblica italiana non l’esistenza di tariffe massime obbligatorie in relazione alla liquidazione delle spese da parte dell’autorità giudiziaria, che è esplicitamente prevista dall’art. 60 del regio decreto legge, ma piuttosto l’obbligo di rispettare siffatte tariffe in un rapporto fra avvocato e cliente, in quanto tale obbligo limiterebbe la libertà di negoziazione del compenso degli avvocati.
23. Se ciò avvenisse, vale a dire se la normativa italiana contenesse effettivamente disposizioni che impongono agli avvocati l’obbligo di rispettare tariffe massime nei rapporti con i loro clienti, non sarebbe molto difficile, basandosi sulla sentenza Cipolla e a. (4) nella quale la Corte ha qualificato un obbligo analogo avente ad oggetto il rispetto di tariffe minime come una restrizione alla libera prestazione di servizi, ammettere che l’obbligo in questione costituirebbe una restrizione alla libera prestazione dei servizi, e persino alla libertà di stabilimento, di modo che toccherebbe quindi alla Repubblica italiana provare che tale restrizione può essere giustificata da obiettivi di interesse generale.
24. Orbene, la Repubblica italiana nega per l’appunto l’esistenza di siffatto obbligo che sarebbe imposto agli avvocati di rispettare tariffe massime nei rapporti con i loro clienti. Per tale motivo, prima di esaminare se l’obbligo per gli avvocati di rispettare tariffe massime costituisca una restrizione alla libertà di stabilimento ai sensi dell’art. 43 CE, nonché una restrizione alla libera prestazione di servizi ai sensi dell’art. 49 CE, esaminerò innanzitutto la questione se l’ordinamento giuridico italiano contenga effettivamente l’obbligo menzionato.
25. Anzitutto vorrei ricordare che la tariffa italiana per le attività degli avvocati che fissa, per ciascun atto o serie di atti, un limite massimo e un limite minimo, è già stata esaminata dalla Corte tre volte. La prima volta fu in occasione della sentenza Arduino (5), nella quale la Corte ha esaminato il procedimento di adozione della tariffa che fissa minimi e massimi rispetto agli artt. 10 CE e 81 CE, al fine di verificare se detta tariffa costituisse una misura statale o una decisione di intervento di un operatore privato in materia economica. In tale occasione, la Corte ha dichiarato che gli articoli summenzionati del Trattato CE non ostavano a che uno Stato membro adottasse una misura legislativa o regolamentare che approvasse, in base ad un progetto stabilito da un ordinamento professionale di avvocati, una tariffa che fissa minimi e massimi per gli onorari dei membri della professione (6).
26. La stessa constatazione figura nella sentenza Cipolla e a. (7). In tale sentenza, oltre alla conformità della tariffa italiana degli onorari dell’avvocato con quanto richiesto dal diritto comunitario della concorrenza, la Corte ha anche esaminato la questione del rapporto fra il divieto assoluto della deroga, in via pattizia, agli onorari minimi fissati da detta tariffa e il principio della libera prestazione di servizi. Al riguardo la Corte ha osservato che un divieto del genere costituiva una restrizione alla libera prestazione di servizi che può, in via di principio, essere giustificato dagli obiettivi di tutela dei consumatori e di buona amministrazione della giustizia. La Corte ha lasciato al giudice nazionale il compito di verificare se la normativa italiana di cui trattasi rispondesse effettivamente ai menzionati obiettivi e se le restrizioni da essa imposte non risultassero sproporzionate rispetto a detti obiettivi (8).
27. Inoltre, nell’ordinanza Hospital Consulting e a. (9), la Corte ha reiterato la sua posizione quanto alla conformità della tariffa italiana degli onorari di avvocati con quanto richiesto dal diritto comunitario della concorrenza. In tale causa le questioni pregiudiziali deferite alla Corte riguardavano il divieto posto al giudice, quando si pronuncia sull’importo delle spese che la parte soccombente deve rimborsare all’altra parte, di derogare agli onorari minimi fissati da tale tariffa.
28. Mi sembra importante sottolineare che, tanto nella sentenza Cipolla e a. quanto nell’ordinanza Hospital Consulting e a., l’argomento della Corte ha riguardato soltanto il divieto di derogare agli onorari minimi. Le dette pronunce non esaminano affatto l’eventuale divieto di derogare agli onorari massimi nonostante il fatto che, nella causa che ha dato luogo alla sentenza Cipolla e a., il giudice del rinvio avesse chiesto alla Corte di pronunciarsi sulla compatibilità del principio del divieto assoluto di derogare agli onorari degli avvocati col principio della libera prestazione di servizi (10).
29. Al momento dei fatti che hanno dato luogo alle citate sentenze Arduino e Cipolla e a. nonché all’ordinanza Hospital Consulting e a., citata supra, non si poteva negare l’esistenza di un divieto di derogare agli onorari minimi. Tale divieto era esplicitamente formulato dall’art. 24 della legge n. 794/1942 e sanzionato dalla nullità di qualsiasi accordo derogatorio, nonché dall’art. 4, n. 1, del decreto ministeriale n. 127/2004, ai sensi del quale le tariffe minime stabilite per gli onorari d’avvocato sono inderogabili (11).
30. L’obbligo di rispettare tariffe minime e, quindi, l’obbligatorietà di dette tariffe sono stati aboliti dal decreto legge n. 223/2006, che deroga così, in quanto lex posterior, alla legge n. 794/1942 nonché al decreto ministeriale n. 127/2004.
31. Alla guisa dell’esistenza del divieto di derogare agli onorari minimi al momento dei fatti che hanno dato luogo alle citate sentenze Arduino e Cipolla e a. nonché all’ordinanza Hospital Consulting e a., citata supra, non si può neanche negare l’esistenza delle tariffe massime per le attività degli avvocati nella normativa italiana.
32. Tuttavia, mi sembra che ciò non sia quanto viene addebitato alla Repubblica italiana da parte della Commissione. La Commissione critica infatti l’obbligatorietà delle tariffe massime nei rapporti fra avvocati e clienti in quanto essa costituisce un limite alla libertà contrattuale di questi ultimi. Secondo la Commissione, la normativa italiana di cui trattasi vieterebbe agli avvocati di derogare, in via pattizia, alle tariffe massime.
33. Al riguardo va ricordato che la Repubblica italiana non è l’unico Stato membro il cui ordinamento giuridico preveda una tariffa che fissa limiti minimi e massimi per gli onorari di avvocati (12).
34. Ammetto che tale tariffa può svolgere un ruolo moderatore a tutela dei cittadini contro la fissazione di onorari eccessivi e consentire di conoscere in anticipo le spese legate ai servizi forniti dagli avvocati, tenuto conto in particolare dell’asimmetria di informazioni fra avvocati e clienti.
35. Come ho già osservato, l’asserita obbligatorietà delle tariffe massime che sarebbero applicabili, secondo la Commissione, alle attività degli avvocati in forza in particolare degli artt. 57 e 58 del regio decreto legge, dell’art. 24 della legge n. 794/1942, dell’art. 13 della legge 9 febbraio 1982, n. 31, delle disposizioni pertinenti del decreto ministeriale n. 127/2004 nonché del decreto legge n. 223/2006 è al centro delle preoccupazioni espresse dalla Commissione (13).
36. Ritengo, in base alla normativa italiana quale essa è stata presentata dalla Commissione e poi spiegata dalla Repubblica italiana tanto nelle loro memorie quanto nelle loro osservazioni orali in udienza, che è inesatta la premessa della Commissione relativa al divieto di derogare alle tariffe massime.
37. Risulta espressamente dall’art. 2233 del codice civile italiano, in quanto lex generalis, nonché dall’art. 61 del regio decreto legge, in quanto lex specialis, che l’accordo fra un avvocato e il suo cliente prevale sulla tariffa stabilita col decreto ministeriale n. 127/2004. Soltanto in mancanza di qualsiasi accordo la tariffa è applicata al fine di determinare gli onorari di un avvocato in un caso concreto. Ne discende che l’avvocato e il suo cliente dispongono di una possibilità di determinare, mediante accordo, gli onorari dell’avvocato, ad esempio, in funzione del tempo impiegato, del forfait o anche del risultato.
38. Tale considerazione non è neanche invalidata dall’art. 2, n. 2, del decreto legge n. 223/2006, secondo il quale l’abrogazione delle disposizioni legislative e regolamentari nel settore dei servizi professionali che prevedono tariffe fisse o minime obbligatorie fa salve eventuali tariffe massime. A mio avviso, da detta disposizione discende che il carattere delle eventuali tariffe massime è rimasto immutato. Pertanto, se le tariffe massime applicabili alle attività degli avvocati non avevano l’obbligatorietà nei rapporti fra avvocati e clienti prima dell’adozione del decreto legge n. 223/2006, esse non possono avere siffatto carattere dopo l’adozione del summenzionato decreto.
39. Inoltre, contrariamente all’art. 2, n. 1, del decreto legge n. 223/2006, il termine «obbligatorio» non figura nel n. 2 della stessa disposizione rispetto alle tariffe massime.
40. Tenuto conto della giurisprudenza secondo la quale la portata delle disposizioni legislative, regolamentari o amministrative nazionali deve valutarsi tenuto conto dell’interpretazione che ne forniscono i giudici nazionali (14), perché il ricorso della Commissione possa essere accolto, questa dovrebbe provare che i giudici nazionali intendono le tariffe massime nel senso che esse hanno un carattere obbligatorio.
41. Nel ricorso la Commissione ha sostenuto, senza citare esempi concreti, che da una giurisprudenza costante della Corte suprema di cassazione risulterebbe che il divieto di derogare alla tariffa professionale dell’avvocato implica la nullità di qualsiasi accordo in senso contrario fra le parti interessate. La Repubblica italiana ha replicato che la summenzionata giurisprudenza riguarderebbe soltanto le tariffe minime.
42. All’udienza la Commissione si è riferita alle sentenze della Corte suprema di cassazione n. 12297/2001, n. 9514/96 e n. 19014/2007, senza però fornirne copia alla Corte. Essa ha affermato che, in dette sentenze, la Corte suprema di cassazione avrebbe ritenuto che le tariffe massime e minime svolgano la funzione di limitare l’autonomia contrattuale. La Repubblica italiana ha replicato che queste sentenze riguarderebbero ambiti normativi completamente diversi.
43. Nonostante il fatto che le summenzionate sentenze non siano state acquisite agli atti, ho esaminato una di esse, vale a dire la sentenza n. 12297/2001, accessibile su Internet. Da questo esame risulta che essa riguarda soltanto la liquidazione delle spese giudiziarie e non la libertà contrattuale di fissare un onorario nel rapporto fra il cliente e il suo avvocato.
44. Alla luce delle precedenti considerazioni, mi è possibile effettuare una ricapitolazione.
45. In primo luogo, spetta alla Commissione provare l’esistenza di un obbligo che sarebbe imposto agli avvocati di rispettare tariffe massime e che vieterebbe loro di derogare in via pattizia a dette tariffe massime.
46. La Commissione ha provato l’esistenza di limiti massimi in materia. In realtà, tale elemento non è stato contestato dalla Repubblica italiana. Tuttavia, la Commissione non è riuscita a dimostrare che detti limiti sono obbligatori nel senso che essi vietano agli avvocati di derogare ad essi mediante accordo concluso con i loro clienti. L’esame della normativa italiana relativa al compenso degli avvocati non evidenzia l’esistenza di siffatto divieto espresso di derogare alle tariffe massime, alla guisa del divieto di derogare alle tariffe minime applicabile fino al cambiamento avvenuto col decreto legge n. 223/2006.
47. In secondo luogo, la Commissione non ha dimostrato che, nonostante la mancanza di siffatto divieto espresso, i giudici nazionali interpretano la normativa di cui trattasi nel senso che le tariffe massime costituiscono i limiti della libertà contrattuale degli avvocati e dei loro clienti. Per quanto ne sappia, le sentenze della Corte suprema di cassazione citate dalla Commissione in udienza (15), ma che non sono state acquisite agli atti, non corroborano l’affermazione della Commissione. Inoltre, giustamente la Repubblica italiana ha osservato che le sentenze di cui trattasi riguardano ambiti normativi diversi da quello esaminato nella causa in esame.
48. Dalla ricapitolazione che precede discende che il ricorso della Commissione dovrebbe essere dichiarato infondato.
49. Per quanto riguarda le spese, ai sensi dell’art. 69, n. 2, del regolamento di procedura, la parte soccombente è condannata alle spese se ne è stata fatta domanda. In mancanza di domanda della Repubblica italiana in tal senso, ciascuna delle parti dovrà sopportare le proprie spese.
50. Ai sensi dell’art. 69, n. 4, primo comma, dello stesso regolamento, lo Stato membro che è intervenuto nella controversia sopporta le proprie spese. La Repubblica di Slovenia sopporterà di conseguenza le proprie spese.
Conclusione
51. Alla luce dei precedenti elementi propongo alla Corte di statuire come segue:
«1) Il ricorso è respinto.
2) La Repubblica italiana sopporta le proprie spese.
3) La Commissione europea sopporta le proprie spese.
4) La Repubblica di Slovenia sopporta le proprie spese».
2 – Detta disposizione, nonostante menzioni espressamente soltanto gli onorari e le indennità in materia penale e stragiudiziale, nella giurisprudenza della Corte è citata costantemente in quanto concernente, del pari, gli onorari e le indennità in materia civile (v., ad esempio, sentenze 19 febbraio 2002, causa C‑35/99, Arduino, Racc. pag. I‑1529, punto 6; 5 dicembre 2006, cause riunite C‑94/04 e C‑202/04, Cipolla e a., Racc. pag. I‑11421, punto 4, nonché ordinanza 5 maggio 2008, causa C‑386/07, Hospital Consulting e a., punto 5).
3 – GU L 78, pag. 17.
4 – Cit. supra.
5 – Cit. supra.
6 – Per contro, quanto ad una tariffa italiana obbligatoria per tutti gli spedizionieri doganali, la Corte ha considerato la normativa italiana che impone ad un’organizzazione professionale l’adozione di detta tariffa in contrasto con l’art. 85 CE, poiché si tratta di una decisione di associazione di imprese e non di una misura statale (sentenza 18 giugno 1998, causa C‑35/96, Commissione/Italia, Racc. pag. I‑3851).
7 – Cit. supra.
8 – Nel ricorso la Commissione ha richiamato l’attenzione sulla considerazione della Corte d’appello di Torino, giudice del rinvio nella causa Cipolla, operata nella sua sentenza 26 marzo 2008 (causa Cipolla contro Portolese in Fazari), secondo la quale «la previsione di onorari minimi inderogabili non è strumento funzionale alla tutela dei consumatori, ai quali – ordinariamente – non si prospettano i costi della tariffa professionale, ed i quali – in ragione dell’asimmetria d’informazione (...) – non sono in grado di apprezzare l’effetto moltiplicatore giocato dalla frammentazione delle voci dei diritti e degli onorari in relazione alla durata del processo, sul risultato finale del costo della prestazione, compensata a prescindere dalla qualità del servizio reso, il che ridonda in pregiudizio della buona amministrazione della giustizia».
9 – Cit. supra.
10 – È vero che l’avvocato generale Maduro, al paragrafo 66 delle sue conclusioni nella causa che ha dato luogo alla sentenza Cipolla e a., cit. supra, ha constatato che la tariffa italiana conteneva anche onorari massimi che gli avvocati che esercitano in Italia non potevano superare. L’avvocato generale Léger si è pronunciato in modo analogo, al paragrafo 94 delle sue conclusioni nella causa che ha dato luogo alla sentenza Arduino, cit. supra, in merito al decreto ministeriale 5 ottobre 1994, n. 585, che ha preceduto il decreto ministeriale n. 127/2004. Tuttavia, tenuto conto della normativa italiana citata nelle summenzionate conclusioni, non risulta chiaro il fondamento esatto di tali considerazioni, al pari della soluzione della questione se tali considerazioni si applichino unicamente alla liquidazione delle spese da parte dell’autorità giudiziaria o valgano anche per i rapporti fra avvocati e clienti.
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11 – Nel ricorso la Commissione a torto afferma che la summenzionata disposizione vieta qualsiasi deroga agli onorari e ai diritti fissati per le prestazioni degli avvocati. In realtà, detto divieto riguarda soltanto le tariffe minime.
12 – In via esemplificativa, posso citare la tariffa tedesca descritta al punto 7 della sentenza 11 dicembre 2003, causa C-289/02, AMOK (Racc. pag. I‑15059), ceca (vyhláška Ministerstva spravedlnosti č. 177/1996 Sb. o odměnách advokátů a náhradách advokátů za poskytování právních služeb) nonché solvacca (vyhláška Ministerstva spravodlivosti Slovenskej republiky č. 655/2004 Z. z. o odmenách a náhradách advokátov za poskytovanie právnych služieb).
13 – Al riguardo, mi sembra necessario esprimere i miei dubbi quanto alla questione relativa al modo in cui l’obbligatorietà delle tariffe massime possa essere dedotta dall’art. 24 della legge n. 794/1942, che si limita a stabilire il divieto di derogare agli onorari minimi fissati dalla tariffa per le prestazioni giudiziarie in materia civile, a pena di nullità di qualsiasi accordo derogatorio.
14 – Sentenza 9 dicembre 2003, causa C‑129/00, Commissione/Italia (Racc. pag. I‑14637, punto 30).
15 – Ricordo che nel ricorso la Commissione si è limitata ad affermare che risulterebbe dalla giurisprudenza costante della Corte suprema di cassazione che «il divieto di derogare alla tariffa professionale dell’avvocato comporta la nullità di qualsiasi accordo contrario tra le parti interessate in qualunque modo dalla prestazione», senza però fornirne alcun esempio concreto.