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Beni culturali e collezionismo di cimeli militari

lecce
Ph. Antonio Capodieci / lecce

Nel corso degli anni, seguendo una strada già ampiamente battuta in Europa e negli Stati Uniti d’America, anche l’Italia si è andata ritagliando un proprio spazio all’interno dell’antiquariato e del collezionismo la raccolta di cimeli militari.

Si tratta di raccogliere e preservare oggetti e materiale vario relativo alla storia militare sia Italiana che straniera, che in questo modo vengono salvati (dato lo scarso se non quasi nullo interesse che la pubblica Autorità riversa in questa attività), studiati, catalogati e non di rado resi fruibili alla popolazione attraverso mostre a tema e pubblicazioni pregevoli.

Si tratta di un settore del collezionismo che nonostante gli innegabili meriti per la cultura della Nazione, spesso si scontra con vari aspetti della legislazione (e purtroppo anche di pura burocrazia), tali da far cadere le braccia se non spinti da vera e irrefrenabile passione.

In questo mio scritto vorrei, partendo da un caso realmente seguito, esaminare la disciplina dei cimeli relativamente a quella che regola i beni culturali e a quella specifica per il periodo della I Guerra Mondiale.

Il caso da cui prendiamo spunto è relativo alla detenzione di alcuni volantini di propaganda stampati dal regio Esercito Italiano durante la I Guerra Mondiale e lanciati a mezzo di un proiettile Stokers modificato sulle trincee austro-ungariche.

Il proiettile con ancora i volantini era stato trovato con l’uso di un magnete nelle acque di un fiume.

Orbene la notizia aveva attirato l’attenzione dei Carabinieri del nucleo tutela patrimonio artistico che, ritenendo trattarsi di materiale vincolato, in ciò sostenuti da un parere di funzionario della soprintendenza archivistica del Friuli (e qui si potrebbe aprire una parentesi sulla responsabilità per danni causati da chi non è in grado di svolgere con professionalità il proprio lavoro, ma magari in altra occasione...) hanno sostenuto fino al processo non solo l’interesse storico dei volantini e questo, dato il parere ricevuto era anche comprensibile, ma anche – e dispiace che questa posizione si stata sostenuta da un Ufficiale dell’Arma – che erano di proprietà statale per il solo fatto che li aveva stampati un secolo prima una stamperia dello Stato.

A scanso di equivoci, si trattava di volantini assolutamente comuni e generici, stampati probabilmente in milioni di copie e abitualmente reperibili presso le fiere di militaria o i siti d’asta.

Per esaminare la fattispecie occorre in via preliminare ricordare che in Italia l’attività di collezione di materiale militare d’epoca è del tutto libera e non soggiace a nessun vincolo specifico se non quelli particolari in materia di armi; con la conseguenza che se è libera la detenzione è libera anche la vendita e la ricerca.

Gli oggetti ritrovati in loco o comunque acquisiti non hanno alcun vincolo se non quelli normali di proprietà.

Il legislatore si è interessato al settore solo nel 2001 con la legge n. 78 che riguarda il patrimonio storico della Grande Guerra (quindi è relativa solo a materiali del conflitto 1915-18 e non per esempio a materiale risorgimentale, del ventennio fascista e della II Guerra Mondiale)

Tale normativa all’articolo 9 stabilisce che chiunque possieda o rinvenga reperti relativi alla I Guerra di notevole interesse storico o possiede collezioni di simili materiali deve darne comunicazione al Sindaco.

Da tale articolo intanto si evince che la collezione è libera e che, contrariamente a quanto avviene per i reperti archeologici, ciò che si rinviene nel terreno non è di proprietà statale.

Inoltre si evince che la comunicazione al Sindaco non riguarda ogni cosa, ma solo quelle di notevole valore storico o documentaristico, se si fosse voluto indicare l’obbligo di denuncia per tutti i materiali questo inciso non sarebbe stato apposto.

Ma cosa si deve intendere per “notevole valore storico”?

La domanda non è peregrina: il rischio di sequestri e sanzioni è ben chiaro a chi colleziona e quindi questo aspetto deve essere affrontato. A titolo di termine di paragone ci si può rifare all’articolo 6 del Decreto Ministeriale 14/4/1982 in materia di armi antiche che testualmente stabilisce che: “sono rare e di importanza storica se si rinvengono in numero limitato e sono collegate a personaggi ed eventi di particolare rilevanza storico culturale”.

Ma per la legge sui cimeli della prima guerra ci vuole un quid pluris, ovvero una NOTEVOLE importanza storica, con il che si comprende che oggetto di denuncia e quindi di tutela sono solo oggetti e cimeli prodotti in pochissimi esemplari o appartenuti a personaggi o avvenimenti rilevanti della nostra storia nazionale.

Ovviamente lo stesso criterio vale per cimeli fuori dal periodo della I Guerra Mondiale; che di per sé non hanno alcun obbligo di denuncia. In merito si deve far riferimento al Decreto Legislativo 42 del 22 gennaio 2004 che indica in modo specifico le categorie dei beni da considerarsi beni culturali.

Per quello che ci riguarda qui “le cose immobili e mobili, a chiunque appartenenti, che rivestono un interesse particolarmente importante a causa del loro riferimento con la storia politica, militare, della letteratura, dell'arte e della cultura in genere, ovvero quali testimonianze dell'identità e della storia delle istituzioni pubbliche, collettive o religiose”.

È evidente che anche in questo caso la discriminante è l’interesse dell’oggetto o del documento. Deve insomma trattarsi di materiale che o per la sua peculiarità (rarità) o per l’essere parte di un insieme (collezione) rilevante per se stessa, riveste una particolare valenza storico culturale.

Quindi non è l’età del cimelio o la sua essenza intrinseca a renderlo suscettibile di tutela né, per tornare al caso da cui siamo partiti, che la sua produzione o stampa siano avvenute per opera di aziende o artigiani privati o statali, ma rileva l’importanza che lo stesso assume per la cultura e la storia nazionale.

Alla luce della ricostruzione emerge chiaramente la ragionevolezza della pronuncia che ha mandato assolto l’imputato.