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Porto d’armi: la maledizione tra politica e sensazionalismo

Lecce
Ph. Antonio Capodieci / Lecce

La tragedia di Ardea ha riproposto l’antica questione delle armi, ovvero la contrapposizione tra chi vorrebbe vederle sparire e chi invece, appassionato, collezionista o semplice detentore, si oppone alla limitazione di quello che considera un suo diritto.

Il problema ha varie facce e può essere esaminato da varie angolazioni.

Per prima cosa si deve avere ben presente che stiamo parlando di armi regolari ovvero detenute con apposita licenza.

Infatti credo che tutti siamo d’accordo nel ritenere che nessuno dovrebbe detenere armi senza licenza; in modo clandestino.

E questo è il primo aspetto della vicenda che deve essere esaminato senza preconcetti; l’arma di Ardea era un’arma clandestina.

Infatti sembra che una volta deceduto il padre dell’assassino, che la deteneva regolarmente come guardia giurata, l’arma avrebbe dovuto essere ritirata e sembra (in mancanza di dati certi ci si deve affidare alle voci) che per non restituirla il responsabile ne abbia denunciato la scomparsa.

Se questo è vero, e se è vero che la persona fosse ben nota per atteggiamenti violenti (non credo alle voci che lo volevano con pistola in pugno in lite con i vicini perché se fosse sarebbe gravissimo), essendo Ardea non una metropoli ma un paesino, forse le forze dell’ordine non avrebbero dovuto fidarsi di una denuncia di smarrimento, vista anche la personalità del denunciante.

Comunque quello che colpisce è che tutti i commenti che sono seguiti alla tragedia riguardano le armi regolari, e nessuno (almeno per quanto ho visto) ha rimarcato la differenza con l’arma clandestina.

Basta leggere articoli come questi “In realtà, le armi “legittimamente detenute” sono solo ed esclusivamente un pericolo per la sicurezza, non una garanzia” o addirittura “ non c’è nessun motivo valido perché un civile sia in possesso di un’arma da fuoco”, per capire come l’ignoranza, o forse addirittura la mala fede, governino l’argomento, e dimostra, oltre ad una evidente stortura ideologica, anche l’ignoranza profonda che sorregge questi commenti; sembra che non si sappiano le normative vigenti da rispettare per ottenere una licenza e poi, dopo averla ottenuta, per mantenerla.

E queste normative sono le seguenti:

 

Il porto d’armi da difesa, che permette di girare armati

il relativo permesso è valido un solo anno, rinnovabile, e consente il porto d’armi al di fuori dalla propria abitazione. Al fine di ottenere il porto d’arma per difesa personale è necessario aver raggiunto la maggiore età, possedere una ragione valida e motivata che giustifichi il bisogno di uscire armati, oltre a superare le visite mediche annuali.

Questi permessi sono poco più di 16 mila in Italia.

 

Porto d’armi da caccia

In calo sono circa 700.000

Sono richieste le visite mediche ovvero un certificato che attesti la propria idoneità psico-fisica per l’utilizzo delle armi da fuoco e assenza di particolar problemi fisici, così come la valutazione di buona condotta rilasciata dalla Pubblica Sicurezza. 

Il porto d'armi uso caccia ha oggi validità quinquennale. Scaduti i cinque anni, può comunque essere rinnovato. Tuttavia, per il primo anno di porto d'armi uso caccia, l'attività venatoria può essere svolta solo con la presenza di un cacciatore in possesso di licenza da almeno tre anni.

 

Porto ad uso sportivo

Sono in aumento e sono circa 600.000.

Tale licenza è rilasciata dal Questore e consente di impiegare la propria arma solamente per esercitare tiro a volo o tiro a segno nel contesto di un centro di esercitazione. L’arma da fuoco, nel corso del tragitto che conduce dall’abitazione del possessore al centro di esercitazione, deve risultare scarica, cioè priva di munizioni inserite. Più in dettaglio, per il tiro a segno, è necessario iscriversi presso una Sezione di Tiro a Segno Nazionale, ovvero presso un’Associazione di tiro iscritta ad una Federazione sportiva affiliata al CONI. La licenza di porto di fucile con canna ad anima liscia per il tiro a volo autorizza il titolare della licenza al porto delle uniche armi idonee all’esercizio della specifica attività di tiro. La licenza di porto d’armi per impiego sportivo ha una validità pari ad anni cinque, come anche quella per la caccia.

Vi sono poi armi detenute di cui è vietato il porto in mancanza di licenza e tra esse rientrano anche quelle ereditate, che per essere trasferite ad un erede devono comunque seguire un procedimento che ne valuti l’affidabilità.

Per i semplici detentori di armi è necessaria la presentazione del certificato medico ogni cinque anni, esibendo un certificato dal quale risulti che l’individuo non sia affetto da “malattie mentali oppure da vizi che ne diminuiscono, anche temporaneamente, la capacità di intendere e di volere”.

Competente al rilascio del certificato in questione è la ASL territoriale competente, ovvero un medico militare o della Polizia di Stato o del Corpo nazionale dei Vigili del fuoco. Consegue che, il certificato medico, al pari di quanto avviene per la patente di guida, potrà essere rilasciato finanche da medici in quiescenza ovvero in congedo, in considerazione della circostanza che nel decreto del 2018 non vengono specificati requisiti particolari sullo stato di servizio. In tale caso, quindi, il certificato risulta necessario ai fini del rilascio dell’autorizzazione per la detenzione di armi, ed è pertanto sufficiente presentare un certificato medico, con cadenza quinquennale, tramite il quale si accerta di non essere affetti da “malattie mentali o da vizi che ne diminuiscono, anche temporaneamente, la capacità di intendere e di volere”.

Diversamente, per il rilascio del porto d’armi, il certificato di idoneità psichica e fisica può essere rilasciato, in modo esclusivo, da medici specialisti in medicina legale, distretti sanitari delle aziende sanitarie locali, ovvero dalle strutture sanitarie militari o della Polizia di Stato o dai singoli medici della Polizia di Stato, dai vigili del fuoco o da medici militari, purché siano in servizio permanente ed effettivamente in servizio.

In altre parole, per il rilascio del porto d’armi occorre il Certificato di idoneità psico-fisica che potrà essere rilasciato esclusivamente da:

  • uffici medico-legali;
  • distretti Sanitari delle Aziende Sanitarie locali o dalle strutture sanitarie militari o della Polizia di Stato;
  • singoli medici della Polizia di Stato, dei Vigili del Fuoco o da medici militari, purché siano in servizio permanente e in attività di servizio.

Queste sono a grandi linee le condizioni per avere e portare armi in Italia.

Deve poi ricordarsi che l’Autorità di Pubblica Sicurezza gode di un potere pienamente discrezionale (financo eccessivo come molte sentenze hanno ampiamente dimostrato) nella valutazione del soggetto richiedente, che può vedersi revocato o negato il permesso anche senza la commissione di alcun reato o addirittura di alcun fatto; bastando valutazioni al limite dell’arbitrio.

Quindi appare strano che ogni qual volta capiti un fatto di sangue ci si scagli non contro la mancanza o la superficialità di chi doveva controllare e non sembra averlo fatto (in un paese piccolo le forze dell’ordine dovrebbero avere il polso della situazione non dico di tutti i residenti ma quasi) ma si chiede a gran voce la limitazione delle armi regolari (già in numero limitatissimo) senza peraltro argomentare sulle ragioni per cui tale limitazione si invoca né indicare le eventuali criticità a cui si vorrebbe porre rimedio; ma ripetendo come un mantra che le armi sono troppe.

Appare evidente che dire le armi uccidono sia una frase senza senso; le armi in sé sono neutre e uccidono come moltissime altre cose se si usano in modo sbagliato; anche le auto uccidono ma a nessuno passa per la testa di abolirle, si cerca di contrastare l’uso scorretto.

Forse la tragedia di Ardea dovrebbe insegnarci a vedere esattamente il problema non ad usarla per spingere le nostre personali convinzioni.