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Bologna: la strage e il processo “rassicurante”

Strage di Bologna
Strage di Bologna

Il 16 aprile prossimo si aprirà il nuovo processo sulla strage di Bologna del 2 agosto 1980, nei confronti del “quinto” uomo presente, secondo l’accusa, alla stazione di Bologna e indirettamente si processeranno anche i “mandanti, finanziatori, organizzatori e depistatori” oramai defunti.

Indirettamente perché solo le anime di Licio Gelli, Umberto Ortolani, Federico Umberto D’Amato e Mario Tedeschi sono chiamate alla sbarra nella veste di finanziatori, depistatori e inquinatori prezzolati delle indagini e dei processi post-strage.

Il processo è stato anticipato da una serie di servizi televisivi e articoli che hanno sposato senza un minimo di critica la tesi della Procura Generale di Bologna (giova ricordare che inizialmente la Procura della Repubblica aveva chiesto l’archiviazione poi è subentrata la Procura Generale), in questi casi la presunzione d’innocenza non esiste.

L’ipotesi investigativa, presentata come una verità indicibile, in realtà è molto rassicurante per tutti.

L’ennesima verità preconfezionata partorita da schemi mentali radicati in modo profondo nella cultura politica del nostro paese e nei mezzi di informazione.

La soluzione della strage compiuta da terroristi di destra imbeccati e protetti dalla P2 e dai servizi deviati è uno schema utile a tutti. In particolar modo ora che si processeranno i defunti.

Se passiamo dalla teoria ai fatti accertati si adombra l’ennesima elaborazione di un teorema giudiziario, che non tiene conto che non furono Gelli, i servizi deviati, Tedeschi a parlare per primi di pista internazionale per l’eccidio di Bologna.

Senza particolari problemi è stato sufficiente consultare l’archivio dei lavori del Senato per trovare il resoconto stenografico della seduta del 4 agosto 1980 e leggere l’interrogazione n. 8481 di Giovanni Spadolini che chiede al Governo di conoscere:” … ogni possibile valutazione utile a chiarire il capitolo dei possibili collegamenti fra il terrorismo italiano ed il terrorismo internazionale, in particolare per quanto riguarda finanziamenti, coperture, appoggi logistici.

Il cattivo vezzo di partire da un postulato per poi ricercare fatti, connessioni e verità preconfezionate è purtroppo una costante in molti processi ed è anche in questo come segnalato nel lontano 2010 da Rosario Priore, un magistrato che ha seguito i casi Moro, Ustica, indagini sull’eversione nera e rossa e sull’attentato al Papa.

Priore dice: “Posso dire una cosa un po' controcorrente? L’esito giudiziario di quelle stragi, a mio parere, è stato condizionato da certe interpretazioni che hanno nuociuto moltissimo al lavoro investigativo di polizia e magistratura (si riferisce alle stragi compiute in Italia tra il 1969-1974). Si tratta di stragi dalla matrice ancora incerta. E la stessa cosa mi sentirei di dirla, andando avanti negli anni, per la strage alla stazione di Bologna … Allo stato, comunque, non c’è ancora una verità storica su quelle stragi”. Gli domanda Giovanni Fasanella: “Non c’è nemmeno una verità giudiziaria”, il magistrato puntualizza: “Anche la verità giudiziaria è molto traballante. Perché spesso quelle indagini hanno sofferto di teorizzazioni che hanno impedito che si arrivasse alla verità. Questo è il mio punto di vista, del tutto scevro da condizionamenti. Era il tempo in cui certe procure prima elaboravano un teorema, anzi a parer mio dei veri e propri postulati, da cui facevano discendere le interpretazioni dei fatti, le connessioni, la realtà tutta.”

Queste dichiarazioni sono state rese nel libro Intrigo Internazionale di Giovanni Fasanella (pagine 16 e 17) edito nel 2010, all’epoca si erano conclusi i processi nei confronti di Fioravanti, Mambro e Ciavardini.

Il dottor Priore denuncia il rischio di costruire a posteriori una verità processuale partendo da un postulato e sottolinea la “convenienza” di non dimostrare processualmente le responsabilità di “potenze straniere nostre amiche e alleate. Se però fossimo riusciti a dimostrare sul piano giudiziario la colpa di quegli stati, il governo italiano non avrebbe certo potuto chiudere gli occhi: si sarebbe trovato nella non facile condizione di contestare, quantomeno sul piano politico, la responsabilità di quei paesi amici. In qualche caso anche di reagire concretamente, dando una risposta adeguata sul piano del diritto internazionale. Ma il nostro governo non ne avrebbe avuto la forza. Né la volontà. Anche perché avevamo la coda di paglia, visto che pure noi ci eravamo mossi con una certa disinvoltura, oltre i nostri limiti e al di fuori dei nostri confini, urtando la suscettibilità altrui. Per questo la nostra inchiesta fu ostacolata, per impedire che si delineasse l’intero quadro della strage. E tentarono di circoscrivere l’area delle indagini alle piccole formazioni di bombaroli d’accatto. Insomma, puntavano a una soluzione minima che consentisse un’uscita onorevole a magistrati e governanti”.

Il magistrato si riferisce nello specifico a Ustica e a tutte le stragi silenti, mai rivendicate da nessuno. Quindi i depistatori o servizi deviati si sarebbero mossi, secondo il pensiero di Priore, nel nome di una pretesa ragion di stato per preservarlo da verità non gestibili.

Nel precedente articolo, pubblicato su Filodiritto.com, il 30 dicembre 2020, si evidenziava una strana coincidenza.

Le accuse mosse oggi a Mario Tedeschi sono le medesime che gli muoveva l’Unità in data 24 novembre 1991. A quelle accuse di essere un depistatore, Tedeschi rispose a modo suo con una lettera aperta indirizzata al Dottor Antonio Brancaccio allora Presidente della Corte di Cassazione.

Noi ci limitiamo ad annotare che i morti sono i personaggi che più convengono come imputati, indiziati e testimoni. Essi, infatti, non parlano o meglio parlano con il linguaggio che meglio conviene a chi accusa.

Dall’aldilà non è semplice difendersi ed allora esaminiamo gli atti processuali fin qui acclarati, per scoprire che le certezze sono ben poche.

Andiamo in ordine: nell’ordinanza di 129 pagine a firma della dott.ssa Francesca Zavaglia Gip del Tribunale di Bologna che, nel gennaio del 2021, ha respinto la richiesta di arresti avanzata dalla Procura Generale felsinea nei confronti di Paolo Bellini, il “quinto uomo” presente alla stazione, si legge che sono molti i punti da chiarire.

In primis il “documento Bologna” sequestrato il 17 marzo 1981 a Licio Gelli è indicato come la prova regina dei pagamenti ai terroristi neri e al duo Federico Umberto D’Amato e Mario Tedeschi, secondo il Gip non basta per dimostrare l’avvenuta consegna del milione di dollari in contanti a titolo di “acconto” a Francesca Mambro e Giusva Fioravanti e tantomeno approvare i pagamenti successivi.

Le stesse considerazioni sono sottolineate dal Giudice Dott.ssa Zavaglia in ordine alla somma di 850 mila dollari destinata al prefetto D’Amato e per i 20 mila dollari destinati a Mario Tedeschi.

Seconda considerazione del giudice in merito al “documento Bologna”, l’appunto è circondato da troppi punti oscuri che non permettono la sua piena comprensione. Sottolinea il giudice che non è certa la data di quando effettivamente fu scritto e il motivo della sua stesura.

Terza considerazione del giudice che ha respinto la richiesta di arresto di Bellini, la sua presenza in stazione non è sufficiente per dimostrare che abbia partecipato alla strage di Bologna.

A queste tre valutazioni indicate nell’ordinanza che ha respinto la richiesta di arresti per Bellini noi aggiungiamo la seguente osservazione. L’appunto di Gelli è stato sequestrato il 17 marzo 1981 nel corso della famigerata perquisizione di Castiglion Fibocchi ordinata dai Pm di Milano Turone e Colombo.

Pertanto, dovremmo credere che il direttore del Borghese Tedeschi riceva 20 mila dollari in data antecedente, quantomeno al marzo del 1981, per scrivere degli articoli pubblicati dal 6 marzo 1988 al 1992. A distanza di almeno 7 anni dal “pagamento”. Questo dato di fatto sembra sfuggito agli investigatori e alla procura.

Per la cronaca il corpo del reato è racchiuso in un supplemento al settimanale “il Borghese” il n. 42 del 15 ottobre 1989, dal titolo “Le mani sulla strage”:

Bologna inserto "il Borghese" n. 42, 15 ottobre 1989, "Le mani sulla strage"

L’ultima considerazione riguarda la domanda da un milione di dollari. Cosa ne avrebbe ricavato Gelli nell’organizzare l’attentato alla stazione? La risposta è secondo la tesi accusatoria: “Il ricatto allo Stato”, ma che bisogna aveva di ricattarlo se la vulgata propinata fino ad oggi è che lo avrebbe “controllato a suo piacimento?”.

Licio Gelli, da sempre dipinto come uomo assai accorto, che ha fatto la sua fortuna economica utilizzando le informazioni possedute e spesso millantando informazioni e agganci che non aveva, avrebbe organizzato l’attentato esponendosi alle “pressioni” della manovalanza utilizzata per eseguirlo. In questi casi i primi ad essere eliminati sono i “testimoni scomodi” che in realtà sono gli unici sopravvissuti.

Leggendo le carte si scopre che questa ennesima teoria accusatoria è tutta da dimostrare e per adesso “esiste” soltanto nei suoi onirismi, trasferiti dalle carte della Procura agli articoli e nei servizi televisivi di giornalisti accondiscendenti al credo inquisitorio.

La celebrazione del procedimento servirà a verificare “l’ipotesi del ricatto allo stato”, per adesso il processo istruito ricorda la figura di Papa Formoso che morì nell’896 e la sua salma venne sepolta nei sotterranei di San Pietro.

Formoso era inviso ai Duchi di Spoleto perché aveva consacrato come imperatore Arnolfo re di Germania cercando in lui un aiuto per contrastare l’invadenza negli affari di Roma e della Chiesa del casato spoletano.

A Formoso successe Bonifacio VI, morto in pochi giorni, e poi Stefano VI. Quest’ultimo timoroso per la sua incolumità per ingraziarsi i duchi spoletani si prestò al più orrendo e macabro dei processi.

Il Concilio Cadaverico, meglio noto in latino con il nome Synodus Horrenda, fu un processo ecclesiastico postumo contro Papa Formoso. Nei primi mesi del 987, Papa Stefano VI ordinò che il cadavere di Papa Formoso, fosse riesumato dalla sua tomba e vestito dei parametri pontificiali, fu seduto, se così si può dire, su una seggiola a braccioli e nella Basilica di Palazzo Laterano. Così iniziò il più macabro dei processi che la storia ha tramandato.

Formoso venne sottoposto a un macabro interrogatorio, alle domande rivolte all’imputato cadavere rispondeva un giovane e sparuto diacono, e infine venne giudicato colpevole. 

Dopo essere stato giudicato colpevole il suo corpo venne strappato dalle vestimenta papali e gli vennero tagliate le tre dita con cui il Pontefice soleva benedire, volendo rendere invalido il suo papato e rendere il suo pontificato nullo. 

Il suo corpo venne oltretutto bruciato seppellito, fatto riesumare per poi venirgli applicati dei pesi addosso e venire gettato nel fiume Tevere.

Dal macabro processo alla salma di Formoso richiamato dall’aldilà per difendersi, torniamo ai giorni nostri e ricordiamo le parole di Giacomo Pacini autore del recente e documentatissimo libro: “La spia intoccabile. Federico Umberto D’Amato e l’ufficio affari riservati” Einaudi.

Il 20 febbraio del 2021 in una intervista sul quotidiano Il Tirreno, Pacini, che nel libro non è certamente tenero con il prefetto D’Amato, risponde così alla domanda: “Ma davvero D’Amato sarebbe arrivato a ordire una strage e di tali proporzioni e per quale motivo?

«L’Italia – spiega Pacini – all’epoca era visto come un Paese di frontiera tra l’ovest e l’est comunista, ma anche tra il nord e il sud, Paese di confine per le risorse energetiche. D’Amato voleva impedire che l’Italia divenisse terreno di pascolo dei servizi segreti esteri durante la guerra fredda, che è stata una guerra di spie. Sosteneva che la politica fosse troppo debole, che non fosse in grado di proteggere il Paese. Da qui, diceva, la necessità di tenere “un piede nella legalità e tre fuori”. Poi, ad oggi, una prova definitiva del suo coinvolgimento nella strage di Bologna non c’è. Parte di quei soldi furono usati per acquistare l’appartamento di Parigi ma sul resto non si hanno prove. Che fosse un uomo oscuro sì, ma uno stragista penso di no. Credo che la strage di Bologna abbia semmai matrici mediorientali. E questo, credo, sarà l’argomento del mio prossimo libro».

Concludiamo con un pensiero di Eraclito: Non troverai mai la verità, se non sei disposto ad accettare anche ciò che non ti aspettavi di trovare.