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Brevetti e vaccini: fare chiarezza

Prospettive capovolte, Genova
Ph. Simona Balestra / Prospettive capovolte, Genova

Il primo spunto di riflessione sul rapporto tra salute e brevetti che la crisi Covid ci offre viene dal fatto che i vaccini ci sono e sono arrivati molto prima (e più numerosi) di quanto si prevedesse. Se questo risultato, niente affatto scontato, è stato raggiunto, è perché i vaccini poggiano anche su ricerche e brevetti anteriori alla crisi, rivelatisi utili per questa sfida. Esattamente come avvenne per lo sbarco sulla Luna, traguardo raggiunto dagli Americani e non dai Russi, nonostante il gap iniziale, perché l’industria civile statunitense aveva conseguito strumenti rivelatisi indispensabili anche per l’astronautica.

In entrambi i casi l’ambiente competitivo creato dai brevetti, e quindi dalla possibilità di trarre profitto dalle proprie ricerche, si è cioè dimostrato decisivo per promuovere l’innovazione e quindi disporre in anticipo di tasselli importanti per fronteggiare le emergenze.

Né si dica che più finanziamenti alla ricerca pubblica potrebbero supplire a quella privata: anche nei Paesi che, a differenza del nostro, vi dedicano una parte rilevante del loro bilancio (e dai quali dovremmo prendere esempio!), il coinvolgimento dell’industria privata è risultato indispensabile, anche perché è lì che risiede il know how produttivo.

Proprio nella prospettiva, anche costituzionale, della miglior tutela del diritto alla salute, allora, abolizione dei brevetti, espropri d’uso e licenze obbligatorie non sono scorciatoie: sono strade senza uscita. Le best practices da imitare sono invece quelle di chi ha lavorato insieme e non contro i titolari dei diritti, individuando alleanze strategiche con le imprese le cui ricerche sembravano più promettenti.

Soprattutto, occorre avere la Visione del Futuro che è sinora mancata, e non solo sulla guerra alla pandemia. Un virus mutante come il Covid rischia infatti di durare a lungo, obbligandoci a vaccinarci più volte: occorre quindi aumentare stabilmente la capacità produttiva dei vaccini a livello mondiale (anche perché lasciare sole l’Africa o certe aree dell’Asia e del Centro e Sud America significa innescare bombe a orologeria), collaborando con gli innovatori e incoraggiandoli attraverso la remunerazione che le esclusive assicurano loro. Il mercato, infatti, creando concorrenza tra innovatori (che infatti c’è già stata, con plurimi vaccini che usano tecnologie diverse tra loro), genera più scelta, soddisfacendo anche esigenze diverse, costi inferiori e più qualità, perché essi competeranno per aggiudicarsi quote di mercato: anche tramite il licensing (cui Moderna si è già detta disponibile), che è la soluzione ideale quando la domanda supera l’offerta, ma richiede che si identifichino i siti produttivi (e in Italia ci sono) e si affronti in modo collaborativo il tema della compliance regolatoria, che richiede gravosi processi di validazione per inderogabili ragioni di sicurezza. Senza la proprietà intellettuale si scatenerebbe invece una “guerra al ribasso”, in cui vince non il migliore, ma chi ha le protezioni politiche per operare senza responsabilità in caso di fallimenti, come già sta accadendo in Russia o in Cina, con risultati non certo tranquillizzanti.

La concorrenza deve del resto operare anche tra le istituzioni: ben venga quindi la scelta della Germania (ma anche quella del Veneto) di affiancare alle forniture europee accordi-ponte collaterali, che comunque faranno aumentare la disponibilità complessiva di vaccini. Capire che in questa battaglia i veri nemici di tutti sono la burocrazia, l’inefficienza, la mediazione politica, e non i brevetti, significa quindi gettare le basi per una nuova crescita.