Brevi riflessioni in materia di accordi tra coniugi in sede di divorzio

L’attribuzione

E’ valido l’accordo con il quale un coniuge si obbliga a trasferire all’altro un immobile di sua proprietà in sostituzione dell’assegno di divorzio ed a soddisfazione di tutti i diritti patrimoniali presenti, passati e futuri?

La questione impone una prima riflessione in ordine alla natura giuridica e al profilo causale di tali negozi.

In via generale, è da considerare che, con riguardo al tema degli accordi relativi agli effetti economici del divorzio, si distingue tra patti preventivi, stipulati in fase di separazione personale, e patti prospettati in sede di domanda congiunta di divorzio.

Secondo l’orientamento giurisprudenziale maggioritario, gli accordi precedenti al divorzio sono nulli per illiceità della causa, in forza della loro idoneità a viziare, o quanto meno a limitare, la libertà dei coniugi di difendersi in giudizio (Cass. n. 8109/00) nonchè della indisponibilità dei diritti patrimoniali conseguenti allo sciolglimento del matrimonio (Cass. n. 2955/98).

Tuttavia, si ritengono validi gli accordi "transattivi", con cui i coniugi intendono porre fine a delle controversie di natura patrimoniale senza alcun riferimento, esplicito o implicito, al futuro assetto dei rapporti economici conseguente all’eventuale pronuncia di divorzio (Cass. n. 8109/00).

Si ritengono, altresì, valide le intese economiche prospettate dalle parti con la domanda congiunta di divorzio, le quali si riferiscono, a differenza di quelle preventive, ad un divorzio non semplicemenete prefigurato, ma che i coniugi hanno già deciso di conseguire, riconoscendosi alle stesse il solo scopo di abbreviare il procedimento (Cass. n. 5244/97; Cass. n. 2180/91).

Con riferimento al quesito iniziale, è da rilevare che, ai sensi dell’art. 5 comma 8 della legge n. 898/70, su accordo delle parti , la corresponsione dell’assegno di divorzio può avvenire, anzichè in forma periodica, anche in un’unica soluzione (cd. attribuzione "una tantum"), ove il Tribunale lo ritenga equo. In tal caso, non può essere proposta alcuna successiva domanda di contenuto economico, stante il carattere dispositivo dell’attribuzione, che importerebbe la sua sottoposizione alle norme sui contratti e non più a quelle sull’assegno di divorzio (Cass. n. 122939/03).

La natura giuridica dell’accordo de quo è controversa, atteso che, secondo la giurisprudenza, si tratterebbe di un negozio transattivo e aleatorio con efficacia subordinata all’approvazione da parte del Tribunale e riferita al momento del passaggio in giudicato della sentenza di divorzio (Cass. n. 12939/03), mentre, secondo parte della dottrina , lo stesso andrebbe ricondotto alla figura della "datio in solutum" o della novazione oggettiva, escludendosi, peraltro, la qualificazione come donazione (Cass. n. 2700/95) e come contratto atipico (Cass. n. 7470/92).

Più aderente sembra la sua qualificazione come "transazione", poichè scopo principale di tale accordo pare essere quello di comporre in maniera definitiva ed esaustiva i rapporti patrimoniali tra le parti.

La giurisprudenza ritiene che la corresponsione "una tantum" possa concretizzarsi, oltre che nel pagamento di una somma capitale, anche nell’attribuzione di beni mobili o immobili in proprietà o in godimento, o nell’impegno al trasferimento di tali diritti (Cass. n. 12939/03), così come ammesso anche in sede di separazione consensuale (Cass. n. 4306/97).

L’ammissibilità dei trasferimenti immobiliari quali oggetto della corresponsione "una tantum" comporta, peraltro, il problema della idoneità della sentenza di divorzio che recepisce l’accordo a fungere da titolo idoneo al trasferimento e alla trascrizione dello stesso.

Tale questione si è posta all’attenzione della giurisprudenza già in  tema di separazione personale consensuale, atteso che il documento che recepisce la volontà dei coniugi non è una sentenza ma un verbale redatto dal cancelliere che, tuttavia, secondo l’orientamento prevelente è da considerare atto pubblico ex art. 2699 c.c., come tale tracrivibile (Cass. n. 4306/97).

Analogamente, la giurisprudenza di merito (Tribunale di Verona, 16-11-87) ha ritenuto che la sentenza di divorzio costituisca titolo idoneo  sia al trasferimento immediato dei diritti immobiliari sia alla trascrizione, in quanto il Tribunale, in sede di omologa dell’accordo, svolgerebbe una funzione analoga a quella dell’ufficiale rogante.

Tale problema non sorgerebbe, comunque, laddove la sentenza di divorzio recepisse un accordo obbligatorio, stante la necessità, in tal caso , di un successivo atto pubblico di trasferimento con effetti reali.

Alla luce di tali considerazioni può concludersi che, quanto alla validità ed efficacia dell’accordo in questione, lo stesso è da ritenersi nullo per illiceità della causa se stipulato in vista del divozio; mentre è da considerarsi ammissibile, ex art. 5 comma 8 della legge n. 898/70, se prospettato in sede di domanda congiunta di divorzio, con efficacia subordinata all’accertamento giudiziale della sua congruità e riferita al momento del passaggio in giudicato della sentenza di divorzio.

Con riguardo alla natura giuridica e al profilo causale l’accordo deve qualificarsi come transazione, avendo lo scopo di comporre in maniera definitiva ed esaustiva i rapporti patrimoniali tra le parti.

Nell’ipotesi di accordo di tipo obbligatorio, lo stesso sarà destinatoa produrre effetti reali solo al momento del successivo trasferimento per atto pubblico o scrittura privata, salva comunque l’esecuzione in forma specifica ex art. 2932 c.c., in caso di inadempimento dell’obbligo.

E’ da notare, infine, che dal momento del passaggio in giudicato della sentenza di divorzio, stante il carattere definitivo dell’attribuzione patrimoniale, le successive vicende personali dei coniugi diventano irrilevanti rispetto ai diritti che ne formano oggetto, dovendosi applicare le norma sui contratti e non le norme in tema di assegno periodico di divorzio.

E’ valido l’accordo con il quale un coniuge si obbliga a trasferire all’altro un immobile di sua proprietà in sostituzione dell’assegno di divorzio ed a soddisfazione di tutti i diritti patrimoniali presenti, passati e futuri?

La questione impone una prima riflessione in ordine alla natura giuridica e al profilo causale di tali negozi.

In via generale, è da considerare che, con riguardo al tema degli accordi relativi agli effetti economici del divorzio, si distingue tra patti preventivi, stipulati in fase di separazione personale, e patti prospettati in sede di domanda congiunta di divorzio.

Secondo l’orientamento giurisprudenziale maggioritario, gli accordi precedenti al divorzio sono nulli per illiceità della causa, in forza della loro idoneità a viziare, o quanto meno a limitare, la libertà dei coniugi di difendersi in giudizio (Cass. n. 8109/00) nonchè della indisponibilità dei diritti patrimoniali conseguenti allo sciolglimento del matrimonio (Cass. n. 2955/98).

Tuttavia, si ritengono validi gli accordi "transattivi", con cui i coniugi intendono porre fine a delle controversie di natura patrimoniale senza alcun riferimento, esplicito o implicito, al futuro assetto dei rapporti economici conseguente all’eventuale pronuncia di divorzio (Cass. n. 8109/00).

Si ritengono, altresì, valide le intese economiche prospettate dalle parti con la domanda congiunta di divorzio, le quali si riferiscono, a differenza di quelle preventive, ad un divorzio non semplicemenete prefigurato, ma che i coniugi hanno già deciso di conseguire, riconoscendosi alle stesse il solo scopo di abbreviare il procedimento (Cass. n. 5244/97; Cass. n. 2180/91).

Con riferimento al quesito iniziale, è da rilevare che, ai sensi dell’art. 5 comma 8 della legge n. 898/70, su accordo delle parti , la corresponsione dell’assegno di divorzio può avvenire, anzichè in forma periodica, anche in un’unica soluzione (cd. attribuzione "una tantum"), ove il Tribunale lo ritenga equo. In tal caso, non può essere proposta alcuna successiva domanda di contenuto economico, stante il carattere dispositivo dell’attribuzione, che importerebbe la sua sottoposizione alle norme sui contratti e non più a quelle sull’assegno di divorzio (Cass. n. 122939/03).

La natura giuridica dell’accordo de quo è controversa, atteso che, secondo la giurisprudenza, si tratterebbe di un negozio transattivo e aleatorio con efficacia subordinata all’approvazione da parte del Tribunale e riferita al momento del passaggio in giudicato della sentenza di divorzio (Cass. n. 12939/03), mentre, secondo parte della dottrina , lo stesso andrebbe ricondotto alla figura della "datio in solutum" o della novazione oggettiva, escludendosi, peraltro, la qualificazione come donazione (Cass. n. 2700/95) e come contratto atipico (Cass. n. 7470/92).

Più aderente sembra la sua qualificazione come "transazione", poichè scopo principale di tale accordo pare essere quello di comporre in maniera definitiva ed esaustiva i rapporti patrimoniali tra le parti.

La giurisprudenza ritiene che la corresponsione "una tantum" possa concretizzarsi, oltre che nel pagamento di una somma capitale, anche nell’attribuzione di beni mobili o immobili in proprietà o in godimento, o nell’impegno al trasferimento di tali diritti (Cass. n. 12939/03), così come ammesso anche in sede di separazione consensuale (Cass. n. 4306/97).

L’ammissibilità dei trasferimenti immobiliari quali oggetto della corresponsione "una tantum" comporta, peraltro, il problema della idoneità della sentenza di divorzio che recepisce l’accordo a fungere da titolo idoneo al trasferimento e alla trascrizione dello stesso.

Tale questione si è posta all’attenzione della giurisprudenza già in  tema di separazione personale consensuale, atteso che il documento che recepisce la volontà dei coniugi non è una sentenza ma un verbale redatto dal cancelliere che, tuttavia, secondo l’orientamento prevelente è da considerare atto pubblico ex art. 2699 c.c., come tale tracrivibile (Cass. n. 4306/97).

Analogamente, la giurisprudenza di merito (Tribunale di Verona, 16-11-87) ha ritenuto che la sentenza di divorzio costituisca titolo idoneo  sia al trasferimento immediato dei diritti immobiliari sia alla trascrizione, in quanto il Tribunale, in sede di omologa dell’accordo, svolgerebbe una funzione analoga a quella dell’ufficiale rogante.

Tale problema non sorgerebbe, comunque, laddove la sentenza di divorzio recepisse un accordo obbligatorio, stante la necessità, in tal caso , di un successivo atto pubblico di trasferimento con effetti reali.

Alla luce di tali considerazioni può concludersi che, quanto alla validità ed efficacia dell’accordo in questione, lo stesso è da ritenersi nullo per illiceità della causa se stipulato in vista del divozio; mentre è da considerarsi ammissibile, ex art. 5 comma 8 della legge n. 898/70, se prospettato in sede di domanda congiunta di divorzio, con efficacia subordinata all’accertamento giudiziale della sua congruità e riferita al momento del passaggio in giudicato della sentenza di divorzio.

Con riguardo alla natura giuridica e al profilo causale l’accordo deve qualificarsi come transazione, avendo lo scopo di comporre in maniera definitiva ed esaustiva i rapporti patrimoniali tra le parti.

Nell’ipotesi di accordo di tipo obbligatorio, lo stesso sarà destinatoa produrre effetti reali solo al momento del successivo trasferimento per atto pubblico o scrittura privata, salva comunque l’esecuzione in forma specifica ex art. 2932 c.c., in caso di inadempimento dell’obbligo.

E’ da notare, infine, che dal momento del passaggio in giudicato della sentenza di divorzio, stante il carattere definitivo dell’attribuzione patrimoniale, le successive vicende personali dei coniugi diventano irrilevanti rispetto ai diritti che ne formano oggetto, dovendosi applicare le norma sui contratti e non le norme in tema di assegno periodico di divorzio.