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Cassazione Lavoro: il giudice non può sostituirsi al datore per la progressione in carriera di un suo dipendente

La Suprema Corte ha stabilito in una recente pronuncia che il giudice, nel sindacare la correttezza del rapporto tra lavoratore e datore di lavoro, non può sostituirsi al datore nella valutazione dei requisiti a cui è subordinata la progressione in carriera del dipendente.

Nel caso di specie, il dipendente di una società bancaria ricorreva in giudizio per ottenere la condanna dell’azienda al risarcimento del danno biologico, dovuto all’aggravio di lavoro e stress, e del danno da mancata progressione in carriera, con contestuale liquidazione della maggiore retribuzione dovuta per lavoro svolto.

Il Tribunale rigettava la domanda attrice e la sentenza era confermata nel giudizio di secondo grado davanti alla Corte d’Appello.

La Corte del luogo rilevava come “era da escludere il danno per la mancata promozione a funzionario, essendo rimessa al datore di lavoro la relativa valutazione discrezionale e non potendo il giudice sostituirsi al datore di lavoro nel compimento delle operazioni di scelta”.

Avverso questa sentenza, il dipendente proponeva ricorso in Cassazione.

I giudici di legittimità, oltre a rigettare la domanda di risarcimento del danno biologico per sovraccarico di lavoro e stress per mancanza o carenza di allegazioni del ricorrente, ha rigettato anche il motivo di gravame rappresentato dalla domanda di risarcimento del danno da mancata progressione in carriera, confermando la sentenza impugnata.

Fondamentale è l’enunciazione del seguente principio di diritto: “il diritto soggettivo del lavoratore ad essere promosso ad una categoria, grado o classe superiore presuppone una disciplina collettiva che garantisca l’avanzamento come effetto immediato di determinate condizioni di fatto, delle quali sia accertata l’esistenza prescindendo da ogni indagine valutativa del datore di lavoro; pertanto, nell’ipotesi in cui la disciplina collettiva in tema di promozioni rimetta il giudizio di merito, sulle attitudini e le capacità professionali, esclusivamente al datore di lavoro” –come nel caso di specie, in cui il CCNL fa riferimento alle esigenze organizzative e funzionali d’impresa, tenendo presenti le attitudini e la capacità professionale del dipendente–il giudice, nel rispetto della libertà di iniziativa economica garantita dall’articolo 41 della Costituzione, non può sostituirsi al datore medesimo”.

(Corte di Cassazione - Sezione Lavoro, Sezione 18 giugno 2014, n. 13863)

La Suprema Corte ha stabilito in una recente pronuncia che il giudice, nel sindacare la correttezza del rapporto tra lavoratore e datore di lavoro, non può sostituirsi al datore nella valutazione dei requisiti a cui è subordinata la progressione in carriera del dipendente.

Nel caso di specie, il dipendente di una società bancaria ricorreva in giudizio per ottenere la condanna dell’azienda al risarcimento del danno biologico, dovuto all’aggravio di lavoro e stress, e del danno da mancata progressione in carriera, con contestuale liquidazione della maggiore retribuzione dovuta per lavoro svolto.

Il Tribunale rigettava la domanda attrice e la sentenza era confermata nel giudizio di secondo grado davanti alla Corte d’Appello.

La Corte del luogo rilevava come “era da escludere il danno per la mancata promozione a funzionario, essendo rimessa al datore di lavoro la relativa valutazione discrezionale e non potendo il giudice sostituirsi al datore di lavoro nel compimento delle operazioni di scelta”.

Avverso questa sentenza, il dipendente proponeva ricorso in Cassazione.

I giudici di legittimità, oltre a rigettare la domanda di risarcimento del danno biologico per sovraccarico di lavoro e stress per mancanza o carenza di allegazioni del ricorrente, ha rigettato anche il motivo di gravame rappresentato dalla domanda di risarcimento del danno da mancata progressione in carriera, confermando la sentenza impugnata.

Fondamentale è l’enunciazione del seguente principio di diritto: “il diritto soggettivo del lavoratore ad essere promosso ad una categoria, grado o classe superiore presuppone una disciplina collettiva che garantisca l’avanzamento come effetto immediato di determinate condizioni di fatto, delle quali sia accertata l’esistenza prescindendo da ogni indagine valutativa del datore di lavoro; pertanto, nell’ipotesi in cui la disciplina collettiva in tema di promozioni rimetta il giudizio di merito, sulle attitudini e le capacità professionali, esclusivamente al datore di lavoro” –come nel caso di specie, in cui il CCNL fa riferimento alle esigenze organizzative e funzionali d’impresa, tenendo presenti le attitudini e la capacità professionale del dipendente–il giudice, nel rispetto della libertà di iniziativa economica garantita dall’articolo 41 della Costituzione, non può sostituirsi al datore medesimo”.

(Corte di Cassazione - Sezione Lavoro, Sezione 18 giugno 2014, n. 13863)