Cassazione: minaccia ad un corpo giudiziario
Ricordiamo che a norma dell’articolo 338 del Codice Penale in materia di "Violenza o minaccia ad un corpo politico, amministrativo o giudiziario": "Chiunque usa violenza o minaccia ad un Corpo politico, amministrativo o giudiziario o ad una rappresentanza di esso, o ad una qualsiasi pubblica Autorità costituita in collegio, per impedirne, in tutto o in parte, anche temporaneamente, o per turbarne comunque l’attivita`, e` punito con la reclusione da uno a sette anni.
In particolare, i Giudici della Cassazione hanno rilevato che:
"i giudici hanno anche sottolineato che la vaghezza delle espressioni usate, l’indeteminatezza dei mandanti, l’evidenziazione della perfetta conoscenza che essi avevano dell’identità dei giudici popolari, la giustificazione addotta da chi si presenta come nuncius ("sono stato parlato da qualcuno che non conosco", "io dovevo dirtelo ...e te l’ho detto" sono altamente evocativi di un’entità potente, territorialmente ramificata e vigilante, capace di raggiungere chiunque, in sintesi una vera e propria intimidazione che configura il delitto previsto dall’art. 338 cod. pen..
Tali conclusioni sono state assunte con corretta applicazione dell’art. 338 comma l cod. pen., che tutela l’autodeterminazione degli organi collegiali (politici, amministrativi o giudiziari) contro atti o condotte realizzate con violenza o minaccia, finalizzate ad impedirne, anche parzialmente o temporaneamente, o comunque di turbarne la regolare attività.
Ai fini della sussistenza del reato non rileva che l’impedimento o la turbativa si realizzino effettivamente, apprestando la normaa una tutela anticipata del bene nel punire ogni tentativo minatorio o violento finalizzato all’eterodirezione dell’organo o dei suoi componenti, e perciò anche l’influenza o l’orientamento indotti dall’esterno con violenza o minaccia. Quest’ultima, come in altre fattlspecie penali analoghe, consiste nella prospettazione, nel caso di rifluto di sottoposizione alla volontà minatoria, di un male futuro e ingiusto, idoneo ad eliminare o ridurre apprezzabilmente nel soggetto passivo la capacità di determinarsi e di agire secondo la propria indipendente volontà.
La minaccia può essere anche implicita, contenuta un una espressione allusiva, purché idonea, nel concreto contesto ad incutere timore e preoccupazione di subire un danno ingiusto.
L’idoneità del comportamento e dell’atteggiamento intimidatorio va valutato con riguardo alle circostanze del fatto e, quindi, innanzitutto in relazione al contesto socio-ambientale in cui esso si realizza, senza che rilevi che il soggetto passivo abbia resistito alla minaccia. Anche un comportamento o un atteggiamento che, in altri contesti possano sembrare indifferenti o costituire, ad esempio, una raccomandazione o sollecitazione, deprecabile ma non contrastante con la norma penale, in determinate circostanze possano assumere un significato fortemente minaccioso, se consapevolmente inserite in una situazione segnata da rilevanti fenomeni di condizionamento violento o intimidatorio della libertà degli organismi pubblici e delle volontà delle persone, in cui anche la specificazione di essere l’emissario da una entità pudicamente innominata ("loro", "persone che non conosco" assume idoneità di minaccia atta a turbare la regolare attività.
Nel caso in esame, la turbativa peraltro si realizzò al punto tale che i due componenti del collegio si astennero con conseguente mutamento della composizione collegiale: fu cioè fu turbata non soltanto la regolare attività, ma la stessa composizione del collegio.
Considerato che tali apprezzamenti sui fatti sono di esclusiva competenza del giudice di merito, insindacabile in sede di legittimità, quando la motivazione sia indenne da vizi logici, il motivo di ricorso va rigettato per la corretta qualificazione giuridica operata dai giudici di merito, che hanno ricostruito la vicenda con criteri razionali, indenni da ogni vizio logico."
Massima e sentenza sul sito della Cassazione.
(Corte di Cassazione - Sezione Sesta Penale, Sentenza 4 novembre 2005 - 31 gennaio 2006, n. 3828: Delitti contro la pubblica amministrazione - Minaccia ad un corpo giudiziario - Contatti con giudici popolari).
Ricordiamo che a norma dell’articolo 338 del Codice Penale in materia di "Violenza o minaccia ad un corpo politico, amministrativo o giudiziario": "Chiunque usa violenza o minaccia ad un Corpo politico, amministrativo o giudiziario o ad una rappresentanza di esso, o ad una qualsiasi pubblica Autorità costituita in collegio, per impedirne, in tutto o in parte, anche temporaneamente, o per turbarne comunque l’attivita`, e` punito con la reclusione da uno a sette anni.
In particolare, i Giudici della Cassazione hanno rilevato che:
"i giudici hanno anche sottolineato che la vaghezza delle espressioni usate, l’indeteminatezza dei mandanti, l’evidenziazione della perfetta conoscenza che essi avevano dell’identità dei giudici popolari, la giustificazione addotta da chi si presenta come nuncius ("sono stato parlato da qualcuno che non conosco", "io dovevo dirtelo ...e te l’ho detto" sono altamente evocativi di un’entità potente, territorialmente ramificata e vigilante, capace di raggiungere chiunque, in sintesi una vera e propria intimidazione che configura il delitto previsto dall’art. 338 cod. pen..
Tali conclusioni sono state assunte con corretta applicazione dell’art. 338 comma l cod. pen., che tutela l’autodeterminazione degli organi collegiali (politici, amministrativi o giudiziari) contro atti o condotte realizzate con violenza o minaccia, finalizzate ad impedirne, anche parzialmente o temporaneamente, o comunque di turbarne la regolare attività.
Ai fini della sussistenza del reato non rileva che l’impedimento o la turbativa si realizzino effettivamente, apprestando la normaa una tutela anticipata del bene nel punire ogni tentativo minatorio o violento finalizzato all’eterodirezione dell’organo o dei suoi componenti, e perciò anche l’influenza o l’orientamento indotti dall’esterno con violenza o minaccia. Quest’ultima, come in altre fattlspecie penali analoghe, consiste nella prospettazione, nel caso di rifluto di sottoposizione alla volontà minatoria, di un male futuro e ingiusto, idoneo ad eliminare o ridurre apprezzabilmente nel soggetto passivo la capacità di determinarsi e di agire secondo la propria indipendente volontà.
La minaccia può essere anche implicita, contenuta un una espressione allusiva, purché idonea, nel concreto contesto ad incutere timore e preoccupazione di subire un danno ingiusto.
L’idoneità del comportamento e dell’atteggiamento intimidatorio va valutato con riguardo alle circostanze del fatto e, quindi, innanzitutto in relazione al contesto socio-ambientale in cui esso si realizza, senza che rilevi che il soggetto passivo abbia resistito alla minaccia. Anche un comportamento o un atteggiamento che, in altri contesti possano sembrare indifferenti o costituire, ad esempio, una raccomandazione o sollecitazione, deprecabile ma non contrastante con la norma penale, in determinate circostanze possano assumere un significato fortemente minaccioso, se consapevolmente inserite in una situazione segnata da rilevanti fenomeni di condizionamento violento o intimidatorio della libertà degli organismi pubblici e delle volontà delle persone, in cui anche la specificazione di essere l’emissario da una entità pudicamente innominata ("loro", "persone che non conosco" assume idoneità di minaccia atta a turbare la regolare attività.
Nel caso in esame, la turbativa peraltro si realizzò al punto tale che i due componenti del collegio si astennero con conseguente mutamento della composizione collegiale: fu cioè fu turbata non soltanto la regolare attività, ma la stessa composizione del collegio.
Considerato che tali apprezzamenti sui fatti sono di esclusiva competenza del giudice di merito, insindacabile in sede di legittimità, quando la motivazione sia indenne da vizi logici, il motivo di ricorso va rigettato per la corretta qualificazione giuridica operata dai giudici di merito, che hanno ricostruito la vicenda con criteri razionali, indenni da ogni vizio logico."
Massima e sentenza sul sito della Cassazione.
(Corte di Cassazione - Sezione Sesta Penale, Sentenza 4 novembre 2005 - 31 gennaio 2006, n. 3828: Delitti contro la pubblica amministrazione - Minaccia ad un corpo giudiziario - Contatti con giudici popolari).