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Cassazione Penale: no alla “stabile organizzazione” dell’impresa in Italia in mancanza di potere decisionale autonomo

Il 30 settembre scorso la Suprema Corte, Sezione III Penale, si è pronunciata sul ricorso proposto dal legale rappresentante di una società con sede all’estero, ma operante per parte delle proprie attività di commercializzazione in territorio italiano attraverso altra società ivi residente, cassando la sentenza con la quale la Corte d’Appello di Ancona l’aveva condannato per il reato di omessa dichiarazione ai fini di evasione delle imposte sui redditi, obbligo fiscale quest’ultimo gravante su tutte le imprese o società estere che hanno in Italia una stabile organizzazione.

La pronuncia, peraltro confermando decisioni già consolidate, verte sul concetto di “stabile organizzazione” in Italia di una società estera, presupposto perché possa applicarsi il regime fiscale nazionale (dichiarazioni annuali delle imposte sui redditi) e, di conseguenza, il reato di omessa dichiarazione.

Al fine di individuare la sussistenza di tale requisito rilevano determinate attività che la società con sede all’estero deve esercitare in Italia, anche per il tramite di una società da essa controllata, ed in particolare la gestione amministrativa, le decisioni strategiche, industriali e finanziarie, nonché la programmazione di tutti gli atti necessari affinché sia raggiunto il fine sociale, non rilevando invece il luogo di adempimento degli obblighi contrattuali e l’espletamento dei servizi.

Qualora mancasse tale autonomia gestionale, intimamente riferita all’oggetto sociale ed affidata ad una sede d’affari fissa dislocata in territorio italiano, verrebbe a mancare l’elemento fondamentale che definisce il concetto di stabile organizzazione, escludendo pertanto dall’onere della dichiarazione annuale delle imposte sui redditi – e di conseguenza ai fini che qui ci interessano dall’ambito del “penalmente rilevante” – quelle società che pur esercitando parte della propria attività in Italia mantengono  il controllo decisionale effettivo nello stato di appartenenza.

Il fatto che una società di diritto italiano sia controllata da altra residente all’estero o che entrambe siano soggette al controllo di un terzo esercente attività d’impresa, non costituisce di per sé motivo sufficiente per considerare uno qualsiasi di detti soggetti una stabile organizzazione dell’altro (articolo 162 del Decreto del Presidente della Repubblica 22 dicembre 1986, n. 917) rendendosi a tal fine necessaria un’accurata indagine sull’esistenza o meno di un autonomo potere gestionale in capo alla controllante e una struttura probatoria solida che individui in modo specifico il requisito richiesto dalla legge italiana.

In perfetta sintonia con detti principi la Cassazione, pronunciandosi sul ricorso proposto, ha censurato le decisioni dei giudici di merito in virtù del difetto del requisito della stabile organizzazione sul territorio nazionale, in quanto l’attività della società controllata si espletava nel mero stoccaggio di merci presso il magazzino e nella loro spedizione a clienti intermedi, mancando di fatto un potere decisionale autonomo che restava in capo alla società madre, unica competente a determinare la tipologia o la quantità di merce da produrre, l’accettazione degli ordini e la gestione di eventuali contenziosi sulla qualità della merce.

(Corte di Cassazione - Terza Sezione Penale, Sentenza 15 aprile - 30 settembre 2014, n. 40327)

Il 30 settembre scorso la Suprema Corte, Sezione III Penale, si è pronunciata sul ricorso proposto dal legale rappresentante di una società con sede all’estero, ma operante per parte delle proprie attività di commercializzazione in territorio italiano attraverso altra società ivi residente, cassando la sentenza con la quale la Corte d’Appello di Ancona l’aveva condannato per il reato di omessa dichiarazione ai fini di evasione delle imposte sui redditi, obbligo fiscale quest’ultimo gravante su tutte le imprese o società estere che hanno in Italia una stabile organizzazione.

La pronuncia, peraltro confermando decisioni già consolidate, verte sul concetto di “stabile organizzazione” in Italia di una società estera, presupposto perché possa applicarsi il regime fiscale nazionale (dichiarazioni annuali delle imposte sui redditi) e, di conseguenza, il reato di omessa dichiarazione.

Al fine di individuare la sussistenza di tale requisito rilevano determinate attività che la società con sede all’estero deve esercitare in Italia, anche per il tramite di una società da essa controllata, ed in particolare la gestione amministrativa, le decisioni strategiche, industriali e finanziarie, nonché la programmazione di tutti gli atti necessari affinché sia raggiunto il fine sociale, non rilevando invece il luogo di adempimento degli obblighi contrattuali e l’espletamento dei servizi.

Qualora mancasse tale autonomia gestionale, intimamente riferita all’oggetto sociale ed affidata ad una sede d’affari fissa dislocata in territorio italiano, verrebbe a mancare l’elemento fondamentale che definisce il concetto di stabile organizzazione, escludendo pertanto dall’onere della dichiarazione annuale delle imposte sui redditi – e di conseguenza ai fini che qui ci interessano dall’ambito del “penalmente rilevante” – quelle società che pur esercitando parte della propria attività in Italia mantengono  il controllo decisionale effettivo nello stato di appartenenza.

Il fatto che una società di diritto italiano sia controllata da altra residente all’estero o che entrambe siano soggette al controllo di un terzo esercente attività d’impresa, non costituisce di per sé motivo sufficiente per considerare uno qualsiasi di detti soggetti una stabile organizzazione dell’altro (articolo 162 del Decreto del Presidente della Repubblica 22 dicembre 1986, n. 917) rendendosi a tal fine necessaria un’accurata indagine sull’esistenza o meno di un autonomo potere gestionale in capo alla controllante e una struttura probatoria solida che individui in modo specifico il requisito richiesto dalla legge italiana.

In perfetta sintonia con detti principi la Cassazione, pronunciandosi sul ricorso proposto, ha censurato le decisioni dei giudici di merito in virtù del difetto del requisito della stabile organizzazione sul territorio nazionale, in quanto l’attività della società controllata si espletava nel mero stoccaggio di merci presso il magazzino e nella loro spedizione a clienti intermedi, mancando di fatto un potere decisionale autonomo che restava in capo alla società madre, unica competente a determinare la tipologia o la quantità di merce da produrre, l’accettazione degli ordini e la gestione di eventuali contenziosi sulla qualità della merce.

(Corte di Cassazione - Terza Sezione Penale, Sentenza 15 aprile - 30 settembre 2014, n. 40327)