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Cassazione Penale: omessi contributi all’erario, lo stato di crisi aziendale di per sé non è una scriminante (occorre la prova, quasi diabolica)

Un imprenditore, assolto dal Tribunale di Bergamo per il reato di omessi versamenti in misura superiore alla soglia di punibilità di euro 50.000,00 (articolo 10-bis del Decreto Legislativo 74/2000), non si è visto riconoscere dalla Cassazione, ai fini dell’assenza dell’elemento soggettivo del reato o della sussistenza della scriminante della forza maggiore, la precedenza accordata “ai consistenti pagamenti verso fornitori” dell’azienda e al contestuale difficoltà a riscuotere crediti verso terzi. Il Tribunale aveva infatti concluso: “nessun rimprovero può muoversi all’amministratore, impossibilitato ad effettuare il pagamento nei termini di legge per le ragioni suesposte, che pertanto va mandato assolto per difetto dell’elemento psicologico del reato, non potendosi affermare che in capo a questi vi fosse la coscienza e volontà di evadere le imposte”.

 

Accogliendo il ricorso immediato “per saltum” della Procura Generale della Repubblica contro la pronuncia di primo grado, la Cassazione ha invece sancito come non possa operare quale scriminante l’invocato stato di necessità a norma dell’articolo 54 Codice Penale. Secondo la Procura, per configurarsi il reato sarebbe bastata la scelta consapevole di omettere i versamenti che l’imprenditore sapeva esser dovuti, a nulla rilevando che le scarse risorse aziendali fossero state destinate a pagare debiti di fornitori, il cui saldo era stato giudicato dall’imprenditore più urgente ai fini della prosecuzione dell’attività aziendale.

 

La Corte di Cassazione ha aderito alla tesi della Procura, ravvisando nel dolo generico l’elemento sufficiente ad integrare il reato e così escludendo lo stato di necessità derivante dall’illiquidità aziendale, tanto spesso invocata in ricorsi di identico tenore. Secondo la Cassazione, infatti “Poiché il sostituto di imposto, quale debitore di una somma costituente reddito per il sostituito, deve, allorché procede al versamento in favore di quest’ultimo, trattenere una percentuale di questo emolumento (c.d. ritenuta alla fonte) per poi versarlo all’erario entro il sedici del mese successivo a quello nel quale ha operato la trattenuta, è stato condivisibilmente sottolineato nella sentenza 15416/2014 e va qui ribadito che gli spazi per ritenere l’assenza dell’elemento soggettivo o la sussistenza della scriminante della forza maggiore quale conseguenza di una improvvisa ed imprevista situazione di illiquidità appaiono, all’evidenza, oggettivamente, ristretti”.

 

La Cassazione ha ricordato la casistica dei motivi di non liquidità che si assume essere incolpevole e che si chiede di poter operare quali scriminanti: “a) l’aver ritenuto di privilegiare il pagamento delle retribuzioni ai dipendenti, onde evitare dei licenziamenti; b) l’aver dovuto pagare i debiti ai fornitori pena il fallimento della società; c) la mancata riscossione dei crediti vantati e documentati, spesso nei confronti dello Stato”, concludendo che “nessuna di queste situazioni, seppure provata, può integrare ex se l’invocato stato di necessità ex art. 54 Codice Penale”, che si riferisce a beni morali e materiali connessi all’essenza primaria della vita.

Vale la pena di riportare i passaggi finali della pronuncia, con i quali la Cassazione ha affrontato il tema su un piano generale e offerto un utile orientamento agli imprenditori e ai legali.

La Cassazione ha infatti ricordato che, secondo il proprio stesso orientamento, “non è escluso che, in astratto, siano possibili casi – il cui apprezzamento è devoluto al giudice del merito e come tale è insindacabile in sede di legittimità se congruamente motivato – nei quali possa invocarsi l’assenza del dolo o l’assoluta impossibilità di adempiere l’obbligazione tributaria” (si veda la sentenza 10813 del 2014)”, “è tuttavia necessario, perché in concreto ciò si verifichi, che siano assolti gli oneri di allegazione che, per quanto attiene alla lamentata crisi di liquidità, dovranno investire non solo l’aspetto della non imputabilità a chi abbia omesso il versamento della crisi economica che ha investito l’azienda o la sua persona, ma anche la prova che tale crisi non sarebbe stata altrimenti fronteggiabile tramite il ricorso, da parte dell’imprenditore, ad idonee misure da valutarsi in concreto (non ultimo, il ricorso al credito bancario”.

“Il ricorrente che voglia giovarsi in concreto di tale esimente, evidentemente riconducibile alla forza maggiore, …, dovrà dare prova che non gli sia stato altrimenti possibile reperire le risorse necessarie a consentirgli il corretto e puntuale adempimento delle obbligazioni tributarie, pur avendo posto in essere tutte le possibili azioni, anche sfavorevoli per il suo patrimonio personale, atte a consentirgli di recuperare la necessaria liquidità, senza esseri riuscito per causa indipendenti dalla sua volontà e a lui non imputabili”.

Tornando al caso di specie, la Cassazione non ha ravvisato la presenza delle suddette prove e anzi ha giudicato come scelta imprenditoriale il pagamento di fornitori e l’acquisto di una gru, e il mancato adempimento delle obbligazioni tributarie come sostanzialmente riconosciuto doloso dallo stesso ricorrente.

La Corte ha cassato la pronuncia del Tribunale rinviando alla Corte d’appello di Brescia.

(Corte di Cassazione - Terza Sezione Penale, Sentenza 15 maggio 2014, n. 20266)

 

 

Un imprenditore, assolto dal Tribunale di Bergamo per il reato di omessi versamenti in misura superiore alla soglia di punibilità di euro 50.000,00 (articolo 10-bis del Decreto Legislativo 74/2000), non si è visto riconoscere dalla Cassazione, ai fini dell’assenza dell’elemento soggettivo del reato o della sussistenza della scriminante della forza maggiore, la precedenza accordata “ai consistenti pagamenti verso fornitori” dell’azienda e al contestuale difficoltà a riscuotere crediti verso terzi. Il Tribunale aveva infatti concluso: “nessun rimprovero può muoversi all’amministratore, impossibilitato ad effettuare il pagamento nei termini di legge per le ragioni suesposte, che pertanto va mandato assolto per difetto dell’elemento psicologico del reato, non potendosi affermare che in capo a questi vi fosse la coscienza e volontà di evadere le imposte”.

 

Accogliendo il ricorso immediato “per saltum” della Procura Generale della Repubblica contro la pronuncia di primo grado, la Cassazione ha invece sancito come non possa operare quale scriminante l’invocato stato di necessità a norma dell’articolo 54 Codice Penale. Secondo la Procura, per configurarsi il reato sarebbe bastata la scelta consapevole di omettere i versamenti che l’imprenditore sapeva esser dovuti, a nulla rilevando che le scarse risorse aziendali fossero state destinate a pagare debiti di fornitori, il cui saldo era stato giudicato dall’imprenditore più urgente ai fini della prosecuzione dell’attività aziendale.

 

La Corte di Cassazione ha aderito alla tesi della Procura, ravvisando nel dolo generico l’elemento sufficiente ad integrare il reato e così escludendo lo stato di necessità derivante dall’illiquidità aziendale, tanto spesso invocata in ricorsi di identico tenore. Secondo la Cassazione, infatti “Poiché il sostituto di imposto, quale debitore di una somma costituente reddito per il sostituito, deve, allorché procede al versamento in favore di quest’ultimo, trattenere una percentuale di questo emolumento (c.d. ritenuta alla fonte) per poi versarlo all’erario entro il sedici del mese successivo a quello nel quale ha operato la trattenuta, è stato condivisibilmente sottolineato nella sentenza 15416/2014 e va qui ribadito che gli spazi per ritenere l’assenza dell’elemento soggettivo o la sussistenza della scriminante della forza maggiore quale conseguenza di una improvvisa ed imprevista situazione di illiquidità appaiono, all’evidenza, oggettivamente, ristretti”.

 

La Cassazione ha ricordato la casistica dei motivi di non liquidità che si assume essere incolpevole e che si chiede di poter operare quali scriminanti: “a) l’aver ritenuto di privilegiare il pagamento delle retribuzioni ai dipendenti, onde evitare dei licenziamenti; b) l’aver dovuto pagare i debiti ai fornitori pena il fallimento della società; c) la mancata riscossione dei crediti vantati e documentati, spesso nei confronti dello Stato”, concludendo che “nessuna di queste situazioni, seppure provata, può integrare ex se l’invocato stato di necessità ex art. 54 Codice Penale”, che si riferisce a beni morali e materiali connessi all’essenza primaria della vita.

Vale la pena di riportare i passaggi finali della pronuncia, con i quali la Cassazione ha affrontato il tema su un piano generale e offerto un utile orientamento agli imprenditori e ai legali.

La Cassazione ha infatti ricordato che, secondo il proprio stesso orientamento, “non è escluso che, in astratto, siano possibili casi – il cui apprezzamento è devoluto al giudice del merito e come tale è insindacabile in sede di legittimità se congruamente motivato – nei quali possa invocarsi l’assenza del dolo o l’assoluta impossibilità di adempiere l’obbligazione tributaria” (si veda la sentenza 10813 del 2014)”, “è tuttavia necessario, perché in concreto ciò si verifichi, che siano assolti gli oneri di allegazione che, per quanto attiene alla lamentata crisi di liquidità, dovranno investire non solo l’aspetto della non imputabilità a chi abbia omesso il versamento della crisi economica che ha investito l’azienda o la sua persona, ma anche la prova che tale crisi non sarebbe stata altrimenti fronteggiabile tramite il ricorso, da parte dell’imprenditore, ad idonee misure da valutarsi in concreto (non ultimo, il ricorso al credito bancario”.

“Il ricorrente che voglia giovarsi in concreto di tale esimente, evidentemente riconducibile alla forza maggiore, …, dovrà dare prova che non gli sia stato altrimenti possibile reperire le risorse necessarie a consentirgli il corretto e puntuale adempimento delle obbligazioni tributarie, pur avendo posto in essere tutte le possibili azioni, anche sfavorevoli per il suo patrimonio personale, atte a consentirgli di recuperare la necessaria liquidità, senza esseri riuscito per causa indipendenti dalla sua volontà e a lui non imputabili”.

Tornando al caso di specie, la Cassazione non ha ravvisato la presenza delle suddette prove e anzi ha giudicato come scelta imprenditoriale il pagamento di fornitori e l’acquisto di una gru, e il mancato adempimento delle obbligazioni tributarie come sostanzialmente riconosciuto doloso dallo stesso ricorrente.

La Corte ha cassato la pronuncia del Tribunale rinviando alla Corte d’appello di Brescia.

(Corte di Cassazione - Terza Sezione Penale, Sentenza 15 maggio 2014, n. 20266)