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Cassazioni SU Civili: ammissibile la domanda di risarcimento danni nel giudizio per risoluzione del contratto

La Cassazione, componendo un contrasto giurisprudenziale, ha elaborato il seguente principio di diritto: “La parte che, ai sensi dell’articolo 1453, secondo comma Codice Civile, chieda la risoluzione del contratto per inadempimento nel corso del giudizio della stessa promosso per ottenere l’adempimento, può domandare, contestualmente all’esercizio dello ius variandi, oltre alla restituzione della prestazione eseguita, anche il risarcimento dei danni derivanti dalla cessazione degli effetti del regolamento negoziale”.

L’importante pronuncia in oggetto trae origine dall’ordinanza interlocutoria (9 agosto 2013, n.19148), già oggetto di un nostro precedente contributo (https://www.filodiritto.com/news/1970/cassazione-civile-risoluzione-e-risarcimento-nel-medesimo-giudizio), con la quale la Sezione Seconda Civile, all’esito dell’udienza pubblica svoltasi il 4 luglio 2013, trasmetteva gli atti al Primo Presidente per l’assegnazione alle Sezioni Unite “ai fini della risoluzione del contrasto sulla questione se, convertita in corso di causa la domanda di adempimento in quella di risoluzione del contratto per inadempimento ai sensi dell’articolo 1453 comma 2 codice civile, sia consentita anche la proposizione contestuale della domanda di risarcimento danni”.

Nel caso di specie, una società, che aveva stipulato con un’altra società un contratto di appalto per l’escavazione e la coltivazione di una cava, ricorreva in giudizio per ottenere l’adempimento coattivo a tale contratto della controparte inadempiente, società committente e titolare di diritti di sfruttamento della cava, salvo richiedere, all’udienza di precisazione delle conclusioni, la risoluzione del contratto e il risarcimento del danno, sulla base dell’articolo 1453 del Codice Civile. Le domande attrici, rigettate dal Tribunale, erano accolte nel giudizio di secondo grado.

La società committente, condannata a risarcire la controparte, ricorreva in Cassazione denunciando, tra i vari motivi del ricorso, falsa applicazione dell’articolo 1453, adducendo che non era possibile introdurre, nel corso di un processo iniziato per ottenere l’adempimento coattivo, la domanda di risarcimento del danno.

A giudizio della Cassazione, l’articolo 1453 del Codice Civile deve essere interpretato in modo da permettere un esercizio dello ius variandi in modo completo affiancando alla domanda di risoluzione, non solo quella di restituzione, ma anche quella di risarcimento danni.

I giudici di legittimità motivano tale scelta interpretativa, stabilendo, innanzitutto, che: “L’articolo 1453 del Codice Civile nell’attribuire al contraente deluso la facoltà di chiedere “a sua scelta” l’adempimento o la risoluzione del contratto, offre alla parte che, con la domanda di adempimento, abbia inizialmente puntato sull’attuazione del contratto sul presupposto del suo mantenimento, anche la possibilità – a fronte di un inadempimento che, nel prolungarsi del giudizio, perdura o si aggrava – di rivedere la propria scelta, e, perduti la speranza o l’interesse rispetto alla prestazione, di reagire all’inattuazione dello scambio contrattuale passando alla domanda di risoluzione per inadempimento, onde veder cancellato e rimosso l’assetto di interessi disposto con il negozio”.

Lo ius variandi si giustifica con il fatto che le due azioni, quella di adempimento e quella di risoluzione, pur avendo un diverso oggetto, mirano a risultati coordinati e convergenti dal punto di vista dello scopo: evitare il pregiudizio derivante dall’inadempimento della controparte.

In sostanza, secondo la Cassazione, la ratio dello ius variandi – offrire giusta protezione all’interesse dell’attore vittima dell’inadempimento, specie di fronte al comportamento del debitore convenuto in giudizio, che permane inattivo nonostante sia stato sollecitato a eseguire la prestazione – richiede che, in occasione del (e contestualmente al) mutamento della domanda di adempimento in quella di risoluzione del contratto, sia ammessa l’introduzione della domanda restitutoria e della richiesta di danni da risoluzione al rimedio diretto ad ottenere la rimozione degli effetti del sinallagma.

A norma dell’articolo 1453 del Codice Civile:

Nei contratti con prestazioni corrispettive, quando uno dei contraenti non adempie le sue obbligazioni, l’altro può a sua scelta chiedere l’adempimento o la risoluzione del contratto, salvo, in ogni caso, il risarcimento del danno.

La risoluzione può essere domandata anche quando il giudizio è stato promosso per ottenere l’adempimento; ma non può più chiedersi l’adempimento quando è stata domandata la risoluzione.

Dalla data della domanda di risoluzione l’inadempiente non può più adempiere la propria obbligazione”.

Il testo della sentenza in esame è liberamente consultabile sul sito istituzionale della Corte di Cassazione:

http://www.cortedicassazione.it/corte-di-cassazione/it/sentenze.page?frame4_item=2

(Corte di Cassazione - Sezioni Unite Civili, Sentenza 11 aprile 2014, n.8510)

La Cassazione, componendo un contrasto giurisprudenziale, ha elaborato il seguente principio di diritto: “La parte che, ai sensi dell’articolo 1453, secondo comma Codice Civile, chieda la risoluzione del contratto per inadempimento nel corso del giudizio della stessa promosso per ottenere l’adempimento, può domandare, contestualmente all’esercizio dello ius variandi, oltre alla restituzione della prestazione eseguita, anche il risarcimento dei danni derivanti dalla cessazione degli effetti del regolamento negoziale”.

L’importante pronuncia in oggetto trae origine dall’ordinanza interlocutoria (9 agosto 2013, n.19148), già oggetto di un nostro precedente contributo (https://www.filodiritto.com/news/1970/cassazione-civile-risoluzione-e-risarcimento-nel-medesimo-giudizio), con la quale la Sezione Seconda Civile, all’esito dell’udienza pubblica svoltasi il 4 luglio 2013, trasmetteva gli atti al Primo Presidente per l’assegnazione alle Sezioni Unite “ai fini della risoluzione del contrasto sulla questione se, convertita in corso di causa la domanda di adempimento in quella di risoluzione del contratto per inadempimento ai sensi dell’articolo 1453 comma 2 codice civile, sia consentita anche la proposizione contestuale della domanda di risarcimento danni”.

Nel caso di specie, una società, che aveva stipulato con un’altra società un contratto di appalto per l’escavazione e la coltivazione di una cava, ricorreva in giudizio per ottenere l’adempimento coattivo a tale contratto della controparte inadempiente, società committente e titolare di diritti di sfruttamento della cava, salvo richiedere, all’udienza di precisazione delle conclusioni, la risoluzione del contratto e il risarcimento del danno, sulla base dell’articolo 1453 del Codice Civile. Le domande attrici, rigettate dal Tribunale, erano accolte nel giudizio di secondo grado.

La società committente, condannata a risarcire la controparte, ricorreva in Cassazione denunciando, tra i vari motivi del ricorso, falsa applicazione dell’articolo 1453, adducendo che non era possibile introdurre, nel corso di un processo iniziato per ottenere l’adempimento coattivo, la domanda di risarcimento del danno.

A giudizio della Cassazione, l’articolo 1453 del Codice Civile deve essere interpretato in modo da permettere un esercizio dello ius variandi in modo completo affiancando alla domanda di risoluzione, non solo quella di restituzione, ma anche quella di risarcimento danni.

I giudici di legittimità motivano tale scelta interpretativa, stabilendo, innanzitutto, che: “L’articolo 1453 del Codice Civile nell’attribuire al contraente deluso la facoltà di chiedere “a sua scelta” l’adempimento o la risoluzione del contratto, offre alla parte che, con la domanda di adempimento, abbia inizialmente puntato sull’attuazione del contratto sul presupposto del suo mantenimento, anche la possibilità – a fronte di un inadempimento che, nel prolungarsi del giudizio, perdura o si aggrava – di rivedere la propria scelta, e, perduti la speranza o l’interesse rispetto alla prestazione, di reagire all’inattuazione dello scambio contrattuale passando alla domanda di risoluzione per inadempimento, onde veder cancellato e rimosso l’assetto di interessi disposto con il negozio”.

Lo ius variandi si giustifica con il fatto che le due azioni, quella di adempimento e quella di risoluzione, pur avendo un diverso oggetto, mirano a risultati coordinati e convergenti dal punto di vista dello scopo: evitare il pregiudizio derivante dall’inadempimento della controparte.

In sostanza, secondo la Cassazione, la ratio dello ius variandi – offrire giusta protezione all’interesse dell’attore vittima dell’inadempimento, specie di fronte al comportamento del debitore convenuto in giudizio, che permane inattivo nonostante sia stato sollecitato a eseguire la prestazione – richiede che, in occasione del (e contestualmente al) mutamento della domanda di adempimento in quella di risoluzione del contratto, sia ammessa l’introduzione della domanda restitutoria e della richiesta di danni da risoluzione al rimedio diretto ad ottenere la rimozione degli effetti del sinallagma.

A norma dell’articolo 1453 del Codice Civile:

Nei contratti con prestazioni corrispettive, quando uno dei contraenti non adempie le sue obbligazioni, l’altro può a sua scelta chiedere l’adempimento o la risoluzione del contratto, salvo, in ogni caso, il risarcimento del danno.

La risoluzione può essere domandata anche quando il giudizio è stato promosso per ottenere l’adempimento; ma non può più chiedersi l’adempimento quando è stata domandata la risoluzione.

Dalla data della domanda di risoluzione l’inadempiente non può più adempiere la propria obbligazione”.

Il testo della sentenza in esame è liberamente consultabile sul sito istituzionale della Corte di Cassazione:

http://www.cortedicassazione.it/corte-di-cassazione/it/sentenze.page?frame4_item=2

(Corte di Cassazione - Sezioni Unite Civili, Sentenza 11 aprile 2014, n.8510)