Delitto di ricettazione e commercio di prodotti falsi
Sempre più frequentemente si verificano ipotesi in cui le forze dell’ordine – impegnate nella repressione di delitti contro il patrimonio – si imbattono in situazioni di vendite illegittime di merce contraffatta (borse, cinture, capi di abbigliamento e accessori vari…). Le varie circostanze possono senz’altro differire l’una dall’altra, per quello che attiene le specifiche modalità di esecuzione del reato, ma le fattispecie criminose in esame sono assolutamente simili negli elementi fondamentali.
Il fatto che si verifica, solitamente, è quello di persone di origine extracomunitaria che, in possesso di un determinato quantitativo di varia merce contraffatta (alle volte anche molto consistente), viene trovata nell’atto di venderla per strada, in spiaggia, utilizzando camion (e comunque in tutti luoghi impropri per la vendita).
In tal caso, l’imputazione che ne deriva è quella prevista dal combinato disposto degli articoli 648 e 474 Codice Penale.
L’articolo 648 Codice Penale titolato “ricettazione” prevede che “fuori dei casi di concorso nel reato, chi, al fine di procurare a sè o ad altri un profitto, acquista, riceve od occulta denaro o cose provenienti da un qualsiasi delitto, o comunque si intromette nel farle acquistare, ricevere od occultare, è punito con la reclusione da due ad otto anni e con la multa da 516 euro a 10.329 euro.
La pena è della reclusione sino a sei anni e della multa sino a 516 euro, se il fatto è di particolare tenuità.
Le disposizioni di questo articolo si applicano anche quando l’autore del delitto, da cui il denaro o le cose provengono, non è imputabile o non è punibile ovvero quando manchi una condizione di procedibilità riferita a tale delitto”.
L’articolo 474 Codice Penale titolato “Introduzione nello Stato e commercio di prodotti con segni falsi” prevede che “chiunque, fuori dei casi di concorso nei delitti preveduti dall’articolo precedente, introduce nel territorio dello Stato per farne commercio, detiene per vendere, o pone in vendita, o mette altrimenti in circolazione opere dell’ingegno o prodotti industriali, con marchi o segni distintivi, nazionali o esteri, contraffatti o alterati, è punito con la reclusione fino a due anni e con la multa fino a lire quattro milioni. Si applica la disposizione dell’ultimo capoverso dell’articolo precedente”.
Riguardo alla duplicità di contestazione (prevista dagli articoli 474 e 648 Codice Penale) deve ritenersi, in premessa, che il delitto di ricettazione previsto all’articolo 648 Codice Penale e quello di commercio di prodotti con segni falsi previsto dall’articolo 474 Codice Penale "possono concorrere, in quanto, da un lato, tra le fattispecie incriminatrici non sussiste un rapporto di specialità, e dall’altro, non ricorrono gli estremi dell’assorbimento del primo delitto nel secondo" (Cass. Sez. un. 9/5/2001, n. 23427).
In particolare, affinché si realizzi il reato previsto e punito dall’articolo 648 Codice Penale è comunemente ritenuto in giurisprudenza che il presupposto materiale per la commissione di tale reato sia che anteriormente a esso sia stato commesso un altro delitto (il reato presupposto) al quale però il ricettatore non abbia in alcun modo partecipato; a ben vedere, però, dal tenore letterale della norma si richiede una connotazione aggiuntiva: il bene deve provenire da delitto, ossia il delitto deve essere lo strumento tramite il quale il bene entra nella disponibilità del dante causa. Il soggetto attivo della ricettazione può quindi essere “chiunque” ad esclusione dell’autore del delitto presupposto e naturalmente la vittima del delitto precedente.
Mentre il reato di cui all’articolo 474 Codice Penale sussiste ogniqualvolta venga accertato lo svolgimento del commercio con marchio contraffatto, non essendo oltretutto necessaria una situazione tale da trarre in inganno il cliente sulla genuinità della merce (cfr, ex plurimis, Cass. Sez. 5, sent. 15 gennaio - 5 marzo 1999, n. 3028, Derretti). Difatti la fattispecie di reato prevista dalla suddetta norma è volta a tutelare, in via principale e diretta, non tanto la libera determinazione dell’acquirente ma la pubblica fede, intesa come affidamento dei cittadini nei marchi o segni distintivi, che individuano le opere dell’ingegno o i prodotti industriali e ne garantiscono la circolazione, trattandosi di reato di pericolo, per la cui configurazione non è necessaria l’avvenuta realizzazione dell’inganno (Corte di Cassazione Sezione 2 Penale, Sentenza del 2 luglio 2010, n. 25073).
Nel caso specifico della doppia imputazione così come contestata (combinato disposto degli articoli 648 Codice Penale e 474 Codice Penale), secondo l’insegnamento della Suprema Corte (cfr. Cass. pen. SS.UU. n°23427/2001) è configurabile il delitto di ricettazione in quanto la cosa nella quale il falso segno è impresso, è provento della condotta delittuosa di falsificazione prevista e punita dall’articolo 473 Codice Penale.
In ordine all’ipotesi che stiamo analizzando (di persona che vende la merce al di fuori dei canali ordinari e a prezzi inferiori) non possono sussistere dubbi in ordine alla consapevolezza della provenienza delittuosa della stessa, poiché la merce offerta in vendita non viene solitamente commercializzata per la sua qualità né sui marciapiedi, né nel contesto di mercatini, ma all’interno di negozi di lusso, dato anche il loro elevato costo.
Ciò detto, con il presente breve elaborato vorrei soffermarmi su uno specifico punto: ovvero se, ai fini della condanna, possa essere o meno determinante la predisposizione di una perizia tecnica in merito alla falsità della merce contraffatta.
Difatti, può capitare che, durante la fase delle indagini preliminari, il Pubblico Ministero delegato per le indagini non sempre valuti l’opportunità, alla luce delle condizioni di vendita in cui è stato sorpreso l’imputato, di espletare una perizia atta a dimostrare la fondatezza della valutazione, già effettuata da parte degli organi di polizia intervenuti, in merito alla falsità della merce sequestrata.
Infatti, da una parte l’esperienza degli organi di polizia e dall’altra la circostanza che beni considerati di “lusso” vengono venduti a prezzi molto inferiori rispetto a quelli normali di mercato e al di fuori dai normali canali di vendita sono elementi di per sé sufficienti per presumere che la merce rinvenuta sia effettivamente contraffatta.
Quanto sopra, viene considerato da parte della difesa un valido elemento per evidenziare la mancanza della prova della contraffazione della merce, non essendo stato, sul punto, espresso un parere autorevole da parte di uno specifico perito.
In realtà, la giurisprudenza ha chiarito il punto e si è consolidata nel senso di affermare che le condizioni di vendita (da parte di stranieri extracomunitari, mediante offerta ambulante in strada, e in relazione ad un numero differenziato di marche, e ad un prezzo del tutto inferiore a quelli di mercato), in difformità dalle modalità di vendita delle note case produttrici, indicano che i marchi in questione sono stati falsificati.
La norma che incrimina l’introduzione nello Stato e commercio di prodotti con segni falsi tutela il bene della pubblica fede, intesa come “affidamento collettivo nei marchi o segni distintivi”, e quindi protegge l’interesse non solo dello specifico compratore occasionale, ma della generalità dei possibili destinatari dei prodotti, oltre che delle imprese titolari dei marchi e dei segni contraffatti a mantenere certa la funzione distintiva e la garanzia di provenienza dei beni in commercio (Cass. Sez. II, 11/10/2005, n. 44297).
Ne consegue che “la realizzazione di un inganno nel singolo acquisto non è elemento integrativo della fattispecie”. Infatti occorre avere riguardo alla “potenzialità lesiva del marchio connaturata all’azione di diffusione in riferimento a un numero indeterminato e indeterminabile di consociati nel corso della loro successiva utilizzazione e circolazione” (Cass. Sez. II, 22/9/2005, n. 34652).
La tutela penale è accordata al fine di escludere la “possibilità di confusione”, nei confronti della generalità dei consociati, tra prodotto originale e prodotto contraffatto, a prescindere dal “grado di incompiutezza del marchio usato o della concreta capacità di inganno verso il singolo compratore” ed anche qualora la falsificazione fosse imperfetta o parziale (Cass. Sez. II, 15/11/05 n. 518).
Detta tutela penale potrebbe essere esclusa e dunque il reato dovrebbe ritenersi insussistente, solo nel caso possa ritenersi esistente una grossolanità di grado elevato, che prescinda comunque dalle concrete situazioni di vendita e che dunque “non può essere desunta sulla base dei soli elementi circostanziali delle condizioni di vendita, del prezzo o della qualità dell’offerente, che rendono solo probabile, ma non incontrovertibile, l’impossibilità di lesione della fede pubblica” (Cass. Sez. II, 15/11/05 n. 518).
La contraffazione grossolana non punibile è soltanto quella che è riconoscibile "ictu oculi" , senza necessità di particolari indagini, e che si concreta in “un’imitazione così ostentata e macroscopica per il grado di incompiutezza da non poter ingannare nessuno” e da ingenerare dunque confusione tra prodotti falsi e originali con lesione del bene della pubblica fede (Cass. Sez. II, 15/11/05 n. 518).
Tale grossolanità di grado elevato deve inoltre essere oggetto di prova certa e rigorosa e nella fattispecie non vi è elemento che possa dimostrare che i prodotti fossero stati oggetto di una falsificazione assolutamente macroscopica, essendo emerse soltanto delle “fattezze diverse da quelle degli originali”.
Quindi, alla luce di quanto sopra, non si può che concludere affermando che la perizia può non essere necessaria ai fini di una eventuale condanna, perché tutti gli altri elementi sono talmente tanto indicativi che il bene commercializzato non può essere originale che una perizia di falsità sarebbe totalmente superflua.
Sempre più frequentemente si verificano ipotesi in cui le forze dell’ordine – impegnate nella repressione di delitti contro il patrimonio – si imbattono in situazioni di vendite illegittime di merce contraffatta (borse, cinture, capi di abbigliamento e accessori vari…). Le varie circostanze possono senz’altro differire l’una dall’altra, per quello che attiene le specifiche modalità di esecuzione del reato, ma le fattispecie criminose in esame sono assolutamente simili negli elementi fondamentali.
Il fatto che si verifica, solitamente, è quello di persone di origine extracomunitaria che, in possesso di un determinato quantitativo di varia merce contraffatta (alle volte anche molto consistente), viene trovata nell’atto di venderla per strada, in spiaggia, utilizzando camion (e comunque in tutti luoghi impropri per la vendita).
In tal caso, l’imputazione che ne deriva è quella prevista dal combinato disposto degli articoli 648 e 474 Codice Penale.
L’articolo 648 Codice Penale titolato “ricettazione” prevede che “fuori dei casi di concorso nel reato, chi, al fine di procurare a sè o ad altri un profitto, acquista, riceve od occulta denaro o cose provenienti da un qualsiasi delitto, o comunque si intromette nel farle acquistare, ricevere od occultare, è punito con la reclusione da due ad otto anni e con la multa da 516 euro a 10.329 euro.
La pena è della reclusione sino a sei anni e della multa sino a 516 euro, se il fatto è di particolare tenuità.
Le disposizioni di questo articolo si applicano anche quando l’autore del delitto, da cui il denaro o le cose provengono, non è imputabile o non è punibile ovvero quando manchi una condizione di procedibilità riferita a tale delitto”.
L’articolo 474 Codice Penale titolato “Introduzione nello Stato e commercio di prodotti con segni falsi” prevede che “chiunque, fuori dei casi di concorso nei delitti preveduti dall’articolo precedente, introduce nel territorio dello Stato per farne commercio, detiene per vendere, o pone in vendita, o mette altrimenti in circolazione opere dell’ingegno o prodotti industriali, con marchi o segni distintivi, nazionali o esteri, contraffatti o alterati, è punito con la reclusione fino a due anni e con la multa fino a lire quattro milioni. Si applica la disposizione dell’ultimo capoverso dell’articolo precedente”.
Riguardo alla duplicità di contestazione (prevista dagli articoli 474 e 648 Codice Penale) deve ritenersi, in premessa, che il delitto di ricettazione previsto all’articolo 648 Codice Penale e quello di commercio di prodotti con segni falsi previsto dall’articolo 474 Codice Penale "possono concorrere, in quanto, da un lato, tra le fattispecie incriminatrici non sussiste un rapporto di specialità, e dall’altro, non ricorrono gli estremi dell’assorbimento del primo delitto nel secondo" (Cass. Sez. un. 9/5/2001, n. 23427).
In particolare, affinché si realizzi il reato previsto e punito dall’articolo 648 Codice Penale è comunemente ritenuto in giurisprudenza che il presupposto materiale per la commissione di tale reato sia che anteriormente a esso sia stato commesso un altro delitto (il reato presupposto) al quale però il ricettatore non abbia in alcun modo partecipato; a ben vedere, però, dal tenore letterale della norma si richiede una connotazione aggiuntiva: il bene deve provenire da delitto, ossia il delitto deve essere lo strumento tramite il quale il bene entra nella disponibilità del dante causa. Il soggetto attivo della ricettazione può quindi essere “chiunque” ad esclusione dell’autore del delitto presupposto e naturalmente la vittima del delitto precedente.
Mentre il reato di cui all’articolo 474 Codice Penale sussiste ogniqualvolta venga accertato lo svolgimento del commercio con marchio contraffatto, non essendo oltretutto necessaria una situazione tale da trarre in inganno il cliente sulla genuinità della merce (cfr, ex plurimis, Cass. Sez. 5, sent. 15 gennaio - 5 marzo 1999, n. 3028, Derretti). Difatti la fattispecie di reato prevista dalla suddetta norma è volta a tutelare, in via principale e diretta, non tanto la libera determinazione dell’acquirente ma la pubblica fede, intesa come affidamento dei cittadini nei marchi o segni distintivi, che individuano le opere dell’ingegno o i prodotti industriali e ne garantiscono la circolazione, trattandosi di reato di pericolo, per la cui configurazione non è necessaria l’avvenuta realizzazione dell’inganno (Corte di Cassazione Sezione 2 Penale, Sentenza del 2 luglio 2010, n. 25073).
Nel caso specifico della doppia imputazione così come contestata (combinato disposto degli articoli 648 Codice Penale e 474 Codice Penale), secondo l’insegnamento della Suprema Corte (cfr. Cass. pen. SS.UU. n°23427/2001) è configurabile il delitto di ricettazione in quanto la cosa nella quale il falso segno è impresso, è provento della condotta delittuosa di falsificazione prevista e punita dall’articolo 473 Codice Penale.
In ordine all’ipotesi che stiamo analizzando (di persona che vende la merce al di fuori dei canali ordinari e a prezzi inferiori) non possono sussistere dubbi in ordine alla consapevolezza della provenienza delittuosa della stessa, poiché la merce offerta in vendita non viene solitamente commercializzata per la sua qualità né sui marciapiedi, né nel contesto di mercatini, ma all’interno di negozi di lusso, dato anche il loro elevato costo.
Ciò detto, con il presente breve elaborato vorrei soffermarmi su uno specifico punto: ovvero se, ai fini della condanna, possa essere o meno determinante la predisposizione di una perizia tecnica in merito alla falsità della merce contraffatta.
Difatti, può capitare che, durante la fase delle indagini preliminari, il Pubblico Ministero delegato per le indagini non sempre valuti l’opportunità, alla luce delle condizioni di vendita in cui è stato sorpreso l’imputato, di espletare una perizia atta a dimostrare la fondatezza della valutazione, già effettuata da parte degli organi di polizia intervenuti, in merito alla falsità della merce sequestrata.
Infatti, da una parte l’esperienza degli organi di polizia e dall’altra la circostanza che beni considerati di “lusso” vengono venduti a prezzi molto inferiori rispetto a quelli normali di mercato e al di fuori dai normali canali di vendita sono elementi di per sé sufficienti per presumere che la merce rinvenuta sia effettivamente contraffatta.
Quanto sopra, viene considerato da parte della difesa un valido elemento per evidenziare la mancanza della prova della contraffazione della merce, non essendo stato, sul punto, espresso un parere autorevole da parte di uno specifico perito.
In realtà, la giurisprudenza ha chiarito il punto e si è consolidata nel senso di affermare che le condizioni di vendita (da parte di stranieri extracomunitari, mediante offerta ambulante in strada, e in relazione ad un numero differenziato di marche, e ad un prezzo del tutto inferiore a quelli di mercato), in difformità dalle modalità di vendita delle note case produttrici, indicano che i marchi in questione sono stati falsificati.
La norma che incrimina l’introduzione nello Stato e commercio di prodotti con segni falsi tutela il bene della pubblica fede, intesa come “affidamento collettivo nei marchi o segni distintivi”, e quindi protegge l’interesse non solo dello specifico compratore occasionale, ma della generalità dei possibili destinatari dei prodotti, oltre che delle imprese titolari dei marchi e dei segni contraffatti a mantenere certa la funzione distintiva e la garanzia di provenienza dei beni in commercio (Cass. Sez. II, 11/10/2005, n. 44297).
Ne consegue che “la realizzazione di un inganno nel singolo acquisto non è elemento integrativo della fattispecie”. Infatti occorre avere riguardo alla “potenzialità lesiva del marchio connaturata all’azione di diffusione in riferimento a un numero indeterminato e indeterminabile di consociati nel corso della loro successiva utilizzazione e circolazione” (Cass. Sez. II, 22/9/2005, n. 34652).
La tutela penale è accordata al fine di escludere la “possibilità di confusione”, nei confronti della generalità dei consociati, tra prodotto originale e prodotto contraffatto, a prescindere dal “grado di incompiutezza del marchio usato o della concreta capacità di inganno verso il singolo compratore” ed anche qualora la falsificazione fosse imperfetta o parziale (Cass. Sez. II, 15/11/05 n. 518).
Detta tutela penale potrebbe essere esclusa e dunque il reato dovrebbe ritenersi insussistente, solo nel caso possa ritenersi esistente una grossolanità di grado elevato, che prescinda comunque dalle concrete situazioni di vendita e che dunque “non può essere desunta sulla base dei soli elementi circostanziali delle condizioni di vendita, del prezzo o della qualità dell’offerente, che rendono solo probabile, ma non incontrovertibile, l’impossibilità di lesione della fede pubblica” (Cass. Sez. II, 15/11/05 n. 518).
La contraffazione grossolana non punibile è soltanto quella che è riconoscibile "ictu oculi" , senza necessità di particolari indagini, e che si concreta in “un’imitazione così ostentata e macroscopica per il grado di incompiutezza da non poter ingannare nessuno” e da ingenerare dunque confusione tra prodotti falsi e originali con lesione del bene della pubblica fede (Cass. Sez. II, 15/11/05 n. 518).
Tale grossolanità di grado elevato deve inoltre essere oggetto di prova certa e rigorosa e nella fattispecie non vi è elemento che possa dimostrare che i prodotti fossero stati oggetto di una falsificazione assolutamente macroscopica, essendo emerse soltanto delle “fattezze diverse da quelle degli originali”.
Quindi, alla luce di quanto sopra, non si può che concludere affermando che la perizia può non essere necessaria ai fini di una eventuale condanna, perché tutti gli altri elementi sono talmente tanto indicativi che il bene commercializzato non può essere originale che una perizia di falsità sarebbe totalmente superflua.