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Violazione degli obblighi di assistenza familiare

Breve rassegna giurisprudenziale sull’articolo 570 Codice Penale comma 2) punto 2)

Sempre più frequentemente nelle aule dei nostri Tribunali compaiono imputati ai quali è stato contestato il reato previsto e punito dall’art. 570 c.p. titolato “Violazione degli obblighi di assistenza familiare”.

L’articolo in questione prevede tre ipotesi criminose le quali, in base a quanto indicato dalla giurisprudenza di merito e di legittimità dominante, danno vita a tre diverse figure di reato dal momento che diversa è la nozione dei fatti e diversa è la pena prevista. Se pertanto si verifica più di una delle dette ipotesi si ha concorso di reati, poiché né la seconda né la terza ipotesi possono considerarsi forme circostanziate della prima. La giurisprudenza della Cassazione invece e parte della dottrina ritengono che le diverse fattispecie previste dall’art. 570 c.p. costituiscono un solo reato per cui la violazione prevista al primo comma - che è meno grave - resta assorbita in quelle previste dal secondo comma che sono più gravi.

Per quanto riguarda l’elemento materiale del reato, con riferimento al soggetto attivo dello stesso è stato costantemente affermato che fino a quando il matrimonio non venga dichiarato nullo o annullato e fino a quando non venga pronunciata sentenza di divorzio passata in giudicato, i coniugi non perdono la loro qualità e continuano ad essere vincolati agli obblighi derivanti dal matrimonio ed in particolare a quello della reciproca assistenza.

Dunque non si può parlare di un reato comune, ma di un reato proprio, perché a differenza del reato comune che può essere commesso da “chiunque”, questo reato può invece essere commesso soltanto da “colui che rivesta una determinata qualifica o abbia uno status precisato dalla norma, o possieda un requisito necessario per la commissione dell’illecito”.

Detto questo, analizziamo la norma. L’art. 570 c.p. prevede che “Chiunque, abbandonando il domicilio domestico, o comunque serbando una condotta contraria all’ordine o alla morale delle famiglie, si sottrae agli obblighi di assistenza inerenti alla potestà dei genitori, o alla qualità di coniuge, è punito con la reclusione fino a un anno o con la multa da lire duecentomila a due milioni.

Le dette pene si applicano congiuntamente a chi:

1) malversa o dilapida i beni del figlio minore o del pupillo o del coniuge;

2) fa mancare i mezzi di sussistenza ai discendenti di età minore, ovvero inabili al lavoro, agli ascendenti o al coniuge, il quale non sia legalmente separato per sua colpa.

Il delitto è punibile a querela della persona offesa salvo nei casi previsti dal numero 1 e, quando il reato è commesso nei confronti dei minori, dal numero 2 del precedente comma.

Le disposizioni di questo articolo non si applicano se il fatto è preveduto come più grave reato da un’altra disposizione di legge”.

Tuttavia con questo breve elaborato si concentrerà l’attenzione soltanto sull’ipotesi di cui al secondo punto del secondo comma. L’ipotesi di “far mancare i mezzi di sussistenza ai discendenti di età minore o inabili al lavoro, agli ascendenti o al coniuge non legalmente separato per sua colpa.”

In premessa, non si può, davanti a tale tipologia di reato, non analizzare, seppur brevemente, la diversa tipologia di persona offesa che ha presentato querela. In particolare, non si può sottovalutare la motivazione che muove la persona offesa a presentare querela nei confronti dei propri ex coniugi.

In tante circostanze, il Giudice penale si trova davanti persone offese (donne) che dopo anni di difficoltà economiche con bambini a carico, abbandonate da sole a pagare un affitto senza la certezza di un lavoro fisso, si sono trovate a dover chiedere l’intervento di un Tribunale penale per cercare di vedere rispettato il proprio diritto al mantenimento. Durante l’esame testimoniale queste persone mantengono sempre una grande dignità e non sono affatto soddisfatte di essersi dovute rivolgere ad un ente terzo - un Giudice - per vedere loro riconosciuto il diritto all’assegno mensile. Sono donne che, prima di tutto, non si capacitano di come l’uomo con il quale hanno convissuto per anni possa aver dimenticato, non tanto loro, ma i figli nati dal matrimonio fallito. E’ da notare che molte volte in tali categorie di persone offese è assente ogni intento lucrativo dal processo, dal momento che solitamente non si costituiscono parte civile.

Accanto a questa prima tipologia di persone offese, ne incontriamo una seconda che appare completamente diversa. Infatti, molto spesso ci si trova al cospetto di donne che trascinano l’ex marito davanti ad un Tribunale penale, non tanto per chiedere il rispetto del diritto di mantenimento per i figli, ma perché animate da un senso di rivalsa nei suoi confronti. Questa tipologia di persona solitamente si costituisce parte civile, perché vuole monetizzare e ottenere il massimo risultato possibile in danno dell’ex coniuge. Queste persone non hanno realmente sofferto sotto un profilo economico durante il periodo contestato, ma l’ex marito deve pagare un torto e quindi il Tribunale viene vissuto come l’ente che deve “fare giustizia”. Ci sono delle circostanze in cui emerge dall’istruttoria che il marito, se è vero che non ha rispettato i termini economici della separazione, è sempre stato presente con i figli, ha pagato per i loro bisogni quotidiani, ha condiviso momenti di vita e ha trascorso le ferie con loro.

Alla luce di quanto sopra, per giungere più serenamente ad una sentenza (vuoi che sia assolutoria o di condanna) è bene che il Giudice di merito si accerti preliminarmente in quale delle due situazione si versi.

Ciò detto, analizziamo la norma attraverso la giurisprudenza di merito e di legittimità.

1) Mezzi di sussistenza

Anzitutto, non si può non tenere conto che il pacifico e maggioritario orientamento giurisprudenziale (cfr. ex multis Cass. pen. Sez. 6^ n°40708/2006), specifica che l’art. 570 c.p. non ha carattere sanzionatorio del mero inadempimento del provvedimento del giudice civile, ma per integrare la fattispecie incriminatrice è necessario accertare se, per effetto della mancata corresponsione dell’assegno stabilito in sede civile, siano venuti a mancare ai beneficiari i mezzi di sussistenza, la cui nozione comprende solo ciò che è necessario per la sopravvivenza dei familiari dell’obbligato in un certo periodo storico (vestiario, cibo, abitazione).

La giurisprudenza di merito precisa sul punto che “la disposizione di cui all’art. 570 comma 2 c.p. non tutela il mantenimento stabile delle riserve finanziarie liquide di ciascuno degli aventi diritto, ma vuole evitare che a causa di inottemperanza agli obblighi di assistenza familiare l’avente diritto si venga a trovare in una situazione tale da non disporre delle risorse indispensabili al soddisfacimento delle elementari esigenze di vita. Ne consegue che l’omesso versamento delle somme determinate dal giudice civile non integra di per sè il reato di cui all’art. 570 c.p., ma occorre accertare se nella fattispecie concreta tale omesso versamento abbia determinato in capo all’avente diritto una vera e propria indisponibilità dei basilari mezzi patrimoniali necessari per il proprio sostentamento” (Trib. Milano, 27 giugno 2000).

Anche la Cassazione si era precedentemente espressa sempre nello stesso senso dicendo che “in tema di violazione degli obblighi di assistenza familiare, non vi è interdipendenza tra il reato di cui all’art. 570 comma 2 n. 2 c.p. e l’assegno liquidato dal giudice civile, sia che tale assegno venga corrisposto, sia che non venga corrisposto agli aventi diritto. L’illecito in questione è rapportato unicamente alla sussistenza dello stato di bisogno dell’avente diritto alla somministrazione dei mezzi indispensabili per vivere e al mancato apprestamento di tali mezzi da parte di chi, per legge, vi è obbligato. L’ipotesi delittuosa in questione, pur avendo come presupposto l’esistenza di un’obbligazione alimentare, non ha carattere sanzionatorio dell’inadempimento del provvedimento del giudice civile che fissa l’entità dell’obbligazione, con la conseguenza che l’operatività o meno di tale provvedimento non rileva ai fini della configurabilità del reato. Ciò è tanto vero che il provvedimento del giudice civile non fa stato nel giudizio penale né in ordine alle condizioni economiche del coniuge obbligato, né per ciò che riguarda lo stato di bisogno degli aventi diritto ai mezzi di sussistenza, circostanze queste che devono essere accertate in concreto (Cass. pen., 3450/98)”.

E infatti, ancora la Cassazione precisa che “In tema di violazione degli obblighi di assistenza per aver fatto mancare ai familiari i mezzi di sussistenza, la mancata corresponsione dell’assegno stabilito dal giudice civile non è sufficiente a dimostrare la responsabilità penale in assenza della prova che in ragione dell’omissione siano venuti meno ai familiari i mezzi di sussistenza e che l’obbligato sia in condizione di corrispondere quanto dovuto o quantomeno che tale disponibilità sia venuta meno per colpa dello stesso obbligato (Cass. pen., 8419/97)”.

Quindi, sotto questo primo profilo, si può concludere che il reato di cui trattasi si può ritenere perfezionato se ai familiari sono venuti a mancare i c.d. mezzi di sussistenza.

Circostanza importante da non sottovalutare, anche alla luce di quanto indicato in premessa- descrivendo le due diverse categorie di persone offese - è che il pagamento delle varie spese da parte di uno solo dei due coniugi non esclude che per l’altro coniuge inadempiente possa dirsi integrato il reato di cui all’art. 570 c.p. Infatti si ricorda a tale proposito che la Cassazione si è espressa dicendo che “in tema di obblighi di assistenza familiare, entrambi i genitori sono tenuti a ovviare allo stato di bisogno del figlio che non sia in grado di procurarsi un proprio reddito. Commette pertanto il reato di cui all’art. 570 c.p., il genitore che non adempie a tale obbligo; né lo stato di bisogno può ritenersi soddisfatto se al mantenimento provveda in via sussidiaria l’altro genitore, specialmente se quest’ultimo non abbia risorse ordinarie e per tale motivo non possa compiutamente provvedervi, incontrando difficoltà nel mantenimento del minore” (Cass. pen., 10216/98).

Dunque, quando durante un esame testimoniale la persona offesa del reato riferisce di aver fatto di tutto perché ai propri figli non mancasse alcunché, ciò non esclude che nei confronti dell’altro coniuge inadempiente agli obblighi possa dirsi comunque integrato il reato in questione.

Ancora, è sempre la Suprema Corte a precisare che “Il delitto di violazione degli obblighi di assistenza familiare, di cui all’art. 570 c.p. sussiste in tutti i casi in cui il genitore venga meno al dovere di mantenimento della prole su lui incombenti, a nulla rilevando che, in concreto, i figli non si trovino in stato di bisogno, perché ad essi provveda l’ altro coniuge, ovvero altri parenti” (Cass. pen., 27245/02).

Ciò detto, va anche precisato che quando si parla di minori, la giurisprudenza di legittimità ha affermato il principio secondo il quale la minore età dei discendenti, destinatari dei mezzi di sussistenza, rappresenta "in re ipsa" una “condizione soggettiva dello stato di bisogno, con il conseguente obbligo per i genitori di contribuire al loro mantenimento, assicurando ad essi detti mezzi di sussistenza” (Cass. Sez. 6, 2-5-2007 n. 20636; Cass. Sez. 6, 15-1-2004 n. 715).

2) capacità economica dell’imputato

Oltre a tale elemento, il Giudice di merito, per valutare se il reato contestato all’imputato possa dirsi integrato in tutti i suoi elementi, è necessario che accerti la capacità economica dell’imputato, che, qualora insussistente, fa venir meno l’obbligo alla prestazione dei mezzi di sussistenza, in ossequio al principio ad impossibilia nemo tenetur (cfr. Cass. pen. n°37419/2001).

La Corte, a tale proposito, ha precisato che “in tema di violazione degli obblighi di assistenza familiare la condizione di impossibilità economica dell’obbligato vale come scriminante soltanto se essa si estenda a tutto il periodo di tempo nel quale si sono reiterate le inadempienze e se consista in una situazione incolpevole di indisponibilità di introiti sufficienti a soddisfare le esigenze minime di vita degli aventi diritto” (Cass. pen., 7806/98).

La giurisprudenza si è ulteriormente espressa precisando che “per la sussistenza del reato di violazione degli obblighi di assistenza familiare, di cui all’art. 570 comma 2 n. 2 c.p., deve concorrere, oltre allo stato di effettivo bisogno del soggetto passivo, anche la disponibilità di risorse sufficienti da parte dell’obbligato, con la conseguenza che la impossibilità assoluta di somministrare i mezzi di sussistenza esclude il reato, quando sia derivata da un evento che il soggetto sia costretto a subire e che sia tale da rendere inevitabile una certa condotta, escludendone la punibilità in virtù della causa di giustificazione della forza maggiore (nella fattispecie, lo stato di detenzione del soggetto obbligato) ex art. 45 c.p.” (Cass. pen., 10539/97).

Sul punto, la giurisprudenza è unanime nel ritenere che “In tema di violazione degli obblighi di assistenza familiare, l’ipotesi aggravata consistente nel far mancare ai familiari i mezzi di sussistenza, non ha carattere meramente sanzionatorio dell’obbligo civile derivante dalla sentenza di separazione; occorre perciò verificare che la mancata corresponsione delle somme dovute non sia da attribuire ad uno stato di indigenza assoluta da parte dell’obbligato. In tal caso infatti la indisponibilità di mezzi, se accertata e verificatasi incolpevolmente, esclude il reato in parola, valendo come esimente” (Cass. pen., 5969/97).

Su questo punto, durante l’istruttoria dibattimentale il Giudice di merito deve valutare bene se lo stato di indigenza sia reale o indotto. Infatti, si sono verificati anche casi in cui l’imputato aveva simulato un suo licenziamento (in realtà era rimasto a lavorare senza che però la circostanza emergesse in modo formale) per dimostrare, durante il processo, di non essere in condizione di poter assolvere al proprio obbligo.

Sul punto la Corte ha chiarito il proprio orientamento precisando che mera disoccupazione può non sempre essere un elemento scriminante per la sussistenza del reato in parola. Nella sentenza della Cassazione si precisa che “Il delitto di violazione degli obblighi di assistenza familiare, di cui all’art. 570 c.p., non è escluso dalla circostanza che il reo sia disoccupato, a meno che la disoccupazione sia incolpevole (Cass. pen., 27245/02)”.

Sempre più frequentemente nelle aule dei nostri Tribunali compaiono imputati ai quali è stato contestato il reato previsto e punito dall’art. 570 c.p. titolato “Violazione degli obblighi di assistenza familiare”.

L’articolo in questione prevede tre ipotesi criminose le quali, in base a quanto indicato dalla giurisprudenza di merito e di legittimità dominante, danno vita a tre diverse figure di reato dal momento che diversa è la nozione dei fatti e diversa è la pena prevista. Se pertanto si verifica più di una delle dette ipotesi si ha concorso di reati, poiché né la seconda né la terza ipotesi possono considerarsi forme circostanziate della prima. La giurisprudenza della Cassazione invece e parte della dottrina ritengono che le diverse fattispecie previste dall’art. 570 c.p. costituiscono un solo reato per cui la violazione prevista al primo comma - che è meno grave - resta assorbita in quelle previste dal secondo comma che sono più gravi.

Per quanto riguarda l’elemento materiale del reato, con riferimento al soggetto attivo dello stesso è stato costantemente affermato che fino a quando il matrimonio non venga dichiarato nullo o annullato e fino a quando non venga pronunciata sentenza di divorzio passata in giudicato, i coniugi non perdono la loro qualità e continuano ad essere vincolati agli obblighi derivanti dal matrimonio ed in particolare a quello della reciproca assistenza.

Dunque non si può parlare di un reato comune, ma di un reato proprio, perché a differenza del reato comune che può essere commesso da “chiunque”, questo reato può invece essere commesso soltanto da “colui che rivesta una determinata qualifica o abbia uno status precisato dalla norma, o possieda un requisito necessario per la commissione dell’illecito”.

Detto questo, analizziamo la norma. L’art. 570 c.p. prevede che “Chiunque, abbandonando il domicilio domestico, o comunque serbando una condotta contraria all’ordine o alla morale delle famiglie, si sottrae agli obblighi di assistenza inerenti alla potestà dei genitori, o alla qualità di coniuge, è punito con la reclusione fino a un anno o con la multa da lire duecentomila a due milioni.

Le dette pene si applicano congiuntamente a chi:

1) malversa o dilapida i beni del figlio minore o del pupillo o del coniuge;

2) fa mancare i mezzi di sussistenza ai discendenti di età minore, ovvero inabili al lavoro, agli ascendenti o al coniuge, il quale non sia legalmente separato per sua colpa.

Il delitto è punibile a querela della persona offesa salvo nei casi previsti dal numero 1 e, quando il reato è commesso nei confronti dei minori, dal numero 2 del precedente comma.

Le disposizioni di questo articolo non si applicano se il fatto è preveduto come più grave reato da un’altra disposizione di legge”.

Tuttavia con questo breve elaborato si concentrerà l’attenzione soltanto sull’ipotesi di cui al secondo punto del secondo comma. L’ipotesi di “far mancare i mezzi di sussistenza ai discendenti di età minore o inabili al lavoro, agli ascendenti o al coniuge non legalmente separato per sua colpa.”

In premessa, non si può, davanti a tale tipologia di reato, non analizzare, seppur brevemente, la diversa tipologia di persona offesa che ha presentato querela. In particolare, non si può sottovalutare la motivazione che muove la persona offesa a presentare querela nei confronti dei propri ex coniugi.

In tante circostanze, il Giudice penale si trova davanti persone offese (donne) che dopo anni di difficoltà economiche con bambini a carico, abbandonate da sole a pagare un affitto senza la certezza di un lavoro fisso, si sono trovate a dover chiedere l’intervento di un Tribunale penale per cercare di vedere rispettato il proprio diritto al mantenimento. Durante l’esame testimoniale queste persone mantengono sempre una grande dignità e non sono affatto soddisfatte di essersi dovute rivolgere ad un ente terzo - un Giudice - per vedere loro riconosciuto il diritto all’assegno mensile. Sono donne che, prima di tutto, non si capacitano di come l’uomo con il quale hanno convissuto per anni possa aver dimenticato, non tanto loro, ma i figli nati dal matrimonio fallito. E’ da notare che molte volte in tali categorie di persone offese è assente ogni intento lucrativo dal processo, dal momento che solitamente non si costituiscono parte civile.

Accanto a questa prima tipologia di persone offese, ne incontriamo una seconda che appare completamente diversa. Infatti, molto spesso ci si trova al cospetto di donne che trascinano l’ex marito davanti ad un Tribunale penale, non tanto per chiedere il rispetto del diritto di mantenimento per i figli, ma perché animate da un senso di rivalsa nei suoi confronti. Questa tipologia di persona solitamente si costituisce parte civile, perché vuole monetizzare e ottenere il massimo risultato possibile in danno dell’ex coniuge. Queste persone non hanno realmente sofferto sotto un profilo economico durante il periodo contestato, ma l’ex marito deve pagare un torto e quindi il Tribunale viene vissuto come l’ente che deve “fare giustizia”. Ci sono delle circostanze in cui emerge dall’istruttoria che il marito, se è vero che non ha rispettato i termini economici della separazione, è sempre stato presente con i figli, ha pagato per i loro bisogni quotidiani, ha condiviso momenti di vita e ha trascorso le ferie con loro.

Alla luce di quanto sopra, per giungere più serenamente ad una sentenza (vuoi che sia assolutoria o di condanna) è bene che il Giudice di merito si accerti preliminarmente in quale delle due situazione si versi.

Ciò detto, analizziamo la norma attraverso la giurisprudenza di merito e di legittimità.

1) Mezzi di sussistenza

Anzitutto, non si può non tenere conto che il pacifico e maggioritario orientamento giurisprudenziale (cfr. ex multis Cass. pen. Sez. 6^ n°40708/2006), specifica che l’art. 570 c.p. non ha carattere sanzionatorio del mero inadempimento del provvedimento del giudice civile, ma per integrare la fattispecie incriminatrice è necessario accertare se, per effetto della mancata corresponsione dell’assegno stabilito in sede civile, siano venuti a mancare ai beneficiari i mezzi di sussistenza, la cui nozione comprende solo ciò che è necessario per la sopravvivenza dei familiari dell’obbligato in un certo periodo storico (vestiario, cibo, abitazione).

La giurisprudenza di merito precisa sul punto che “la disposizione di cui all’art. 570 comma 2 c.p. non tutela il mantenimento stabile delle riserve finanziarie liquide di ciascuno degli aventi diritto, ma vuole evitare che a causa di inottemperanza agli obblighi di assistenza familiare l’avente diritto si venga a trovare in una situazione tale da non disporre delle risorse indispensabili al soddisfacimento delle elementari esigenze di vita. Ne consegue che l’omesso versamento delle somme determinate dal giudice civile non integra di per sè il reato di cui all’art. 570 c.p., ma occorre accertare se nella fattispecie concreta tale omesso versamento abbia determinato in capo all’avente diritto una vera e propria indisponibilità dei basilari mezzi patrimoniali necessari per il proprio sostentamento” (Trib. Milano, 27 giugno 2000).

Anche la Cassazione si era precedentemente espressa sempre nello stesso senso dicendo che “in tema di violazione degli obblighi di assistenza familiare, non vi è interdipendenza tra il reato di cui all’art. 570 comma 2 n. 2 c.p. e l’assegno liquidato dal giudice civile, sia che tale assegno venga corrisposto, sia che non venga corrisposto agli aventi diritto. L’illecito in questione è rapportato unicamente alla sussistenza dello stato di bisogno dell’avente diritto alla somministrazione dei mezzi indispensabili per vivere e al mancato apprestamento di tali mezzi da parte di chi, per legge, vi è obbligato. L’ipotesi delittuosa in questione, pur avendo come presupposto l’esistenza di un’obbligazione alimentare, non ha carattere sanzionatorio dell’inadempimento del provvedimento del giudice civile che fissa l’entità dell’obbligazione, con la conseguenza che l’operatività o meno di tale provvedimento non rileva ai fini della configurabilità del reato. Ciò è tanto vero che il provvedimento del giudice civile non fa stato nel giudizio penale né in ordine alle condizioni economiche del coniuge obbligato, né per ciò che riguarda lo stato di bisogno degli aventi diritto ai mezzi di sussistenza, circostanze queste che devono essere accertate in concreto (Cass. pen., 3450/98)”.

E infatti, ancora la Cassazione precisa che “In tema di violazione degli obblighi di assistenza per aver fatto mancare ai familiari i mezzi di sussistenza, la mancata corresponsione dell’assegno stabilito dal giudice civile non è sufficiente a dimostrare la responsabilità penale in assenza della prova che in ragione dell’omissione siano venuti meno ai familiari i mezzi di sussistenza e che l’obbligato sia in condizione di corrispondere quanto dovuto o quantomeno che tale disponibilità sia venuta meno per colpa dello stesso obbligato (Cass. pen., 8419/97)”.

Quindi, sotto questo primo profilo, si può concludere che il reato di cui trattasi si può ritenere perfezionato se ai familiari sono venuti a mancare i c.d. mezzi di sussistenza.

Circostanza importante da non sottovalutare, anche alla luce di quanto indicato in premessa- descrivendo le due diverse categorie di persone offese - è che il pagamento delle varie spese da parte di uno solo dei due coniugi non esclude che per l’altro coniuge inadempiente possa dirsi integrato il reato di cui all’art. 570 c.p. Infatti si ricorda a tale proposito che la Cassazione si è espressa dicendo che “in tema di obblighi di assistenza familiare, entrambi i genitori sono tenuti a ovviare allo stato di bisogno del figlio che non sia in grado di procurarsi un proprio reddito. Commette pertanto il reato di cui all’art. 570 c.p., il genitore che non adempie a tale obbligo; né lo stato di bisogno può ritenersi soddisfatto se al mantenimento provveda in via sussidiaria l’altro genitore, specialmente se quest’ultimo non abbia risorse ordinarie e per tale motivo non possa compiutamente provvedervi, incontrando difficoltà nel mantenimento del minore” (Cass. pen., 10216/98).

Dunque, quando durante un esame testimoniale la persona offesa del reato riferisce di aver fatto di tutto perché ai propri figli non mancasse alcunché, ciò non esclude che nei confronti dell’altro coniuge inadempiente agli obblighi possa dirsi comunque integrato il reato in questione.

Ancora, è sempre la Suprema Corte a precisare che “Il delitto di violazione degli obblighi di assistenza familiare, di cui all’art. 570 c.p. sussiste in tutti i casi in cui il genitore venga meno al dovere di mantenimento della prole su lui incombenti, a nulla rilevando che, in concreto, i figli non si trovino in stato di bisogno, perché ad essi provveda l’ altro coniuge, ovvero altri parenti” (Cass. pen., 27245/02).

Ciò detto, va anche precisato che quando si parla di minori, la giurisprudenza di legittimità ha affermato il principio secondo il quale la minore età dei discendenti, destinatari dei mezzi di sussistenza, rappresenta "in re ipsa" una “condizione soggettiva dello stato di bisogno, con il conseguente obbligo per i genitori di contribuire al loro mantenimento, assicurando ad essi detti mezzi di sussistenza” (Cass. Sez. 6, 2-5-2007 n. 20636; Cass. Sez. 6, 15-1-2004 n. 715).

2) capacità economica dell’imputato

Oltre a tale elemento, il Giudice di merito, per valutare se il reato contestato all’imputato possa dirsi integrato in tutti i suoi elementi, è necessario che accerti la capacità economica dell’imputato, che, qualora insussistente, fa venir meno l’obbligo alla prestazione dei mezzi di sussistenza, in ossequio al principio ad impossibilia nemo tenetur (cfr. Cass. pen. n°37419/2001).

La Corte, a tale proposito, ha precisato che “in tema di violazione degli obblighi di assistenza familiare la condizione di impossibilità economica dell’obbligato vale come scriminante soltanto se essa si estenda a tutto il periodo di tempo nel quale si sono reiterate le inadempienze e se consista in una situazione incolpevole di indisponibilità di introiti sufficienti a soddisfare le esigenze minime di vita degli aventi diritto” (Cass. pen., 7806/98).

La giurisprudenza si è ulteriormente espressa precisando che “per la sussistenza del reato di violazione degli obblighi di assistenza familiare, di cui all’art. 570 comma 2 n. 2 c.p., deve concorrere, oltre allo stato di effettivo bisogno del soggetto passivo, anche la disponibilità di risorse sufficienti da parte dell’obbligato, con la conseguenza che la impossibilità assoluta di somministrare i mezzi di sussistenza esclude il reato, quando sia derivata da un evento che il soggetto sia costretto a subire e che sia tale da rendere inevitabile una certa condotta, escludendone la punibilità in virtù della causa di giustificazione della forza maggiore (nella fattispecie, lo stato di detenzione del soggetto obbligato) ex art. 45 c.p.” (Cass. pen., 10539/97).

Sul punto, la giurisprudenza è unanime nel ritenere che “In tema di violazione degli obblighi di assistenza familiare, l’ipotesi aggravata consistente nel far mancare ai familiari i mezzi di sussistenza, non ha carattere meramente sanzionatorio dell’obbligo civile derivante dalla sentenza di separazione; occorre perciò verificare che la mancata corresponsione delle somme dovute non sia da attribuire ad uno stato di indigenza assoluta da parte dell’obbligato. In tal caso infatti la indisponibilità di mezzi, se accertata e verificatasi incolpevolmente, esclude il reato in parola, valendo come esimente” (Cass. pen., 5969/97).

Su questo punto, durante l’istruttoria dibattimentale il Giudice di merito deve valutare bene se lo stato di indigenza sia reale o indotto. Infatti, si sono verificati anche casi in cui l’imputato aveva simulato un suo licenziamento (in realtà era rimasto a lavorare senza che però la circostanza emergesse in modo formale) per dimostrare, durante il processo, di non essere in condizione di poter assolvere al proprio obbligo.

Sul punto la Corte ha chiarito il proprio orientamento precisando che mera disoccupazione può non sempre essere un elemento scriminante per la sussistenza del reato in parola. Nella sentenza della Cassazione si precisa che “Il delitto di violazione degli obblighi di assistenza familiare, di cui all’art. 570 c.p., non è escluso dalla circostanza che il reo sia disoccupato, a meno che la disoccupazione sia incolpevole (Cass. pen., 27245/02)”.