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Cessione temporanea del contratto di prestazione sportiva del calciatore professionista e ipotesi di "distacco" a beneficio di altro datore di lavoro

Cessione temporanea del contratto di prestazione sportiva del calciatore professionista (art. 103 Norme Organizzative Interne F.I.G.C.) e ipotesi di “distacco” o “comando” a beneficio di altro datore di lavoro (società sportiva cessionaria)

La cessione temporanea di un contratto di prestazione sportiva di un calciatore (c.d. prestito) da parte di una società (cedente) in favore di altro club (cessionario) determina l’estinzione dell’originario rapporto di lavoro vigente con la prima e ad esso se ne sostituisce uno nuovo e distinto con il secondo.

Pertanto, l’eventuale grave inadempienza posta in essere dall’atleta nel corso del rapporto contrattuale di durata temporanea non rileva, né incide, sulla possibilità di prosecuzione di quello originario, al contrario di quanto si verificherebbe in ipotesi di vero e proprio “distacco” o “comando” del lavoratore dipendente.

In ambito calcistico può accadere che, in presenza di contratti di prestazione sportiva pluriennali e particolarmente onerosi tra società calcistica e tesserato, la prima si determini, in base ad una valutazione operata, evidentemente, a posteriori, a ricercare un qualche pretesto al fine di porre termine, in via anticipata, al vincolo giuridico in essere.

Quanto sopra, può verificarsi per i più diversi motivi, ma, in generale, è sempre il profilo economico a risultare decisivo, unitamente ad una valutazione tecnica non più rispondente alle aspettative iniziali.

E’ chiaro che, da un lato, non è ammissibile una risoluzione unilaterale di un contratto valido ed efficace tra le parti, dall’altro, un atleta, parte di un accordo economico molto favorevole, non ha interesse a risolverlo consensualmente.

Il club interessato, in tali ipotesi, dunque, per sbarazzarsi dell’ingombrante fardello, non può che tentare di far ricorso ad artifici giuridici, per così dire, e, tra questi, sembra potersene annoverare uno del tutto singolare.

La vicenda in argomento trae origine dalla cessione temporanea di un calciatore (di seguito X) il quale, in possesso di un contratto di prestazione sportiva, pluriennale e piuttosto esoso, sottoscritto con la società A (cedente), veniva da questa trasferito (temporaneamente, appunto) in favore del club B (cessionario).

Tuttavia, alla scadenza del prestito, A evocava X in giudizio dinanzi al Collegio Arbitrale c/o la Lega di competenza, per ivi sentir accogliere la richiesta di risoluzione dell’originario accordo economico pluriennale che, spirato il termine di validità della cessione temporanea, aveva riacquistato piena efficacia.

Il club A, in sostanza, attribuiva al tesserato gravi inadempienze perpetrate nel corso del rapporto con il sodalizio cessionario B, in favore del quale, peraltro, A medesima aveva accordato un diritto di opzione ai fini del riscatto del calciatore, ad un prezzo di rilevante ammontare.

B, in effetti, non esercitava quel diritto, e di tale circostanza, o meglio, del conseguente ingente danno economico determinatosi in capo ad A, veniva ritenuto responsabile, in definitiva, l’atleta X, proprio a causa di quelle condotte inadempienti nei riguardi di B; di qui, l’intento di risolvere l’accordo originariamente stipulato.

A tal fine, la società A, in maniera molto acuta, riconduceva il fondamento della domanda di risoluzione, strumentalmente, ad avviso di chi scrive, al c.d. “distacco” o “comando”, istituto di derivazione giuslavoristica.

Infatti, si verte in ipotesi di “distacco”, quando il datore di lavoro, avendone interesse, pone il lavoratore dipendente a disposizione di altro soggetto per l’esplicazione dell’attività lavorativa, rimanendo il distaccante l’unico titolare del rapporto di lavoro.

Ne discende che, qualunque vicenda riconducibile alla prestazione lavorativa svolta in favore del terzo beneficiario del distacco, si riverbera, inevitabilmente, sull’esclusivo rapporto di lavoro in essere.

Ebbene, A ha ritenuto che tale dinamica si potesse individuare anche in ipotesi di cessione temporanea di contratto, nel senso che, con riferimento a tale fattispecie, avrebbe continuato ad operare funzionalmente la causa del contratto di prestazione sportiva sorto con il distaccante (nel nostro caso, la società calcistica A).

Persistendo, dunque, un unico vincolo obbligatorio di potere-soggezione fra datore di lavoro distaccante (A) e lavoratore (X), il primo sarebbe stato legittimato a invocare un eventuale scioglimento dell’accordo vigente, pur in presenza di inadempimenti posti in essere nei riguardi dell’asserito distaccatario (B).

Il Collegio Arbitrale adito, però, non ha accolto l’assunto di A, e ciò sulla base di una preliminare e semplice considerazione: il club A, argomentando in tema di “distacco”, non aveva tenuto affatto presente il profondo mutamento della disciplina sottesa al richiamato istituto giuridico a seguito dell’entrata in vigore del D. Lgs n. 276 del 10 settembre 2003.

Infatti, tutte le argomentazioni enucleate dalla società sportiva ricorrente in tema specifico, avevano trovato un qualche riscontro, nemmeno troppo pacifico, peraltro, in precedenti giurisprudenziali di molto anteriori all’anno 2003, con la conseguenza che i medesimi avrebbero dovuto ritenersi ormai superati avuto riguardo alla controversia insorta tra A e X.

Tuttavia, anche a voler assumere l’applicabilità del novellato regime giuridico alla fattispecie che ci occupa - ha osservato il Collegio Arbitrale giudicante -, dovrebbe in ogni caso escludersi qualsiasi ipotesi di “distacco” o comando” così come invocati da A con riferimento alla richiamata fattispecie.

In effetti, l’art. 30 del D.Lgs n. 276/03, ad esempio, nulla dice sulla natura dell’interesse che deve essere sotteso all’effettivo distacco, cioé se esso debba rivestire natura economica, organizzativa o altro, senza considerare, però, che per l’ordinamento federale non rileva affatto la specificazione di qualsivoglia interesse sotteso alla cessione temporanea di contratto del calciatore da parte del sodalizio cedente, né detta specificazione é richiesta.

Inoltre, l’art. 30, comma 2, D.Lgs n. 276/03, stabilisce che il datore di lavoro distaccante resta responsabile del trattamento economico del lavoratore, mentre la cessione temporanea di contratto comporta la stipula di un nuovo contratto di prestazione sportiva tra calciatore e club cessionario, con la possibilità di negoziare nuove condizioni contrattuali, e rispetto a tale nuovo vincolo la società cedente si pone in rapporto di assoluta estraneità.

Parimenti, inoltre, quest’ultima nemmeno è tenuta ad assolvere gli obblighi assicurativi e previdenziali in favore dell’atleta ceduto, mentre il datore di lavoro distaccante, ai sensi e per gli effetti della nuova disciplina giuridica richiamata in tema di “distacco”, non potrebbe sottrarsi a detto obbligo.

Last but not least, si fa solo osservare come la cessione temporanea del contratto di prestazione sportiva richieda il necessario consenso dell’atleta, dovendosi escludere, pertanto, che questi possa essere trasferito per “distacco” o “comando”, sic et simpliicter, dalla società di originaria appartenenza ad altra nuova.

Al contrario, infatti, in ipotesi di “distacco” vero e proprio, è esclusa la necessità di qualsivoglia consenso da parte del lavoratore, poiché questi sarebbe in ogni caso tenuto ad eseguire la propria prestazione secondo le modalità indicate dal datore di lavoro, in ossequio al dovere di obbedienza ex art. 2104 c.c..

Ma se, dunque, non si può prescindere dal consenso del calciatore ai fini di cui sopra, è allora pacifico che, mancando quella volontà, qualsivoglia interesse del datore di lavoro alla dislocazione del dipendente, per quanto concreto e giuridicamente apprezzabile, verrebbe comunque irrimediabilmente posto nel nulla, con buona pace dell’applicabilità, alla fattispecie di cessione temporanea del contratto di prestazione sportiva, dell’istituto giuridico del “distacco” o “comando” sul quale un po’ troppo velleitariamente, forse, il club A ha ritenuto di poter fondare la domanda di risoluzione poi respinta.

Cessione temporanea del contratto di prestazione sportiva del calciatore professionista (art. 103 Norme Organizzative Interne F.I.G.C.) e ipotesi di “distacco” o “comando” a beneficio di altro datore di lavoro (società sportiva cessionaria)

La cessione temporanea di un contratto di prestazione sportiva di un calciatore (c.d. prestito) da parte di una società (cedente) in favore di altro club (cessionario) determina l’estinzione dell’originario rapporto di lavoro vigente con la prima e ad esso se ne sostituisce uno nuovo e distinto con il secondo.

Pertanto, l’eventuale grave inadempienza posta in essere dall’atleta nel corso del rapporto contrattuale di durata temporanea non rileva, né incide, sulla possibilità di prosecuzione di quello originario, al contrario di quanto si verificherebbe in ipotesi di vero e proprio “distacco” o “comando” del lavoratore dipendente.

In ambito calcistico può accadere che, in presenza di contratti di prestazione sportiva pluriennali e particolarmente onerosi tra società calcistica e tesserato, la prima si determini, in base ad una valutazione operata, evidentemente, a posteriori, a ricercare un qualche pretesto al fine di porre termine, in via anticipata, al vincolo giuridico in essere.

Quanto sopra, può verificarsi per i più diversi motivi, ma, in generale, è sempre il profilo economico a risultare decisivo, unitamente ad una valutazione tecnica non più rispondente alle aspettative iniziali.

E’ chiaro che, da un lato, non è ammissibile una risoluzione unilaterale di un contratto valido ed efficace tra le parti, dall’altro, un atleta, parte di un accordo economico molto favorevole, non ha interesse a risolverlo consensualmente.

Il club interessato, in tali ipotesi, dunque, per sbarazzarsi dell’ingombrante fardello, non può che tentare di far ricorso ad artifici giuridici, per così dire, e, tra questi, sembra potersene annoverare uno del tutto singolare.

La vicenda in argomento trae origine dalla cessione temporanea di un calciatore (di seguito X) il quale, in possesso di un contratto di prestazione sportiva, pluriennale e piuttosto esoso, sottoscritto con la società A (cedente), veniva da questa trasferito (temporaneamente, appunto) in favore del club B (cessionario).

Tuttavia, alla scadenza del prestito, A evocava X in giudizio dinanzi al Collegio Arbitrale c/o la Lega di competenza, per ivi sentir accogliere la richiesta di risoluzione dell’originario accordo economico pluriennale che, spirato il termine di validità della cessione temporanea, aveva riacquistato piena efficacia.

Il club A, in sostanza, attribuiva al tesserato gravi inadempienze perpetrate nel corso del rapporto con il sodalizio cessionario B, in favore del quale, peraltro, A medesima aveva accordato un diritto di opzione ai fini del riscatto del calciatore, ad un prezzo di rilevante ammontare.

B, in effetti, non esercitava quel diritto, e di tale circostanza, o meglio, del conseguente ingente danno economico determinatosi in capo ad A, veniva ritenuto responsabile, in definitiva, l’atleta X, proprio a causa di quelle condotte inadempienti nei riguardi di B; di qui, l’intento di risolvere l’accordo originariamente stipulato.

A tal fine, la società A, in maniera molto acuta, riconduceva il fondamento della domanda di risoluzione, strumentalmente, ad avviso di chi scrive, al c.d. “distacco” o “comando”, istituto di derivazione giuslavoristica.

Infatti, si verte in ipotesi di “distacco”, quando il datore di lavoro, avendone interesse, pone il lavoratore dipendente a disposizione di altro soggetto per l’esplicazione dell’attività lavorativa, rimanendo il distaccante l’unico titolare del rapporto di lavoro.

Ne discende che, qualunque vicenda riconducibile alla prestazione lavorativa svolta in favore del terzo beneficiario del distacco, si riverbera, inevitabilmente, sull’esclusivo rapporto di lavoro in essere.

Ebbene, A ha ritenuto che tale dinamica si potesse individuare anche in ipotesi di cessione temporanea di contratto, nel senso che, con riferimento a tale fattispecie, avrebbe continuato ad operare funzionalmente la causa del contratto di prestazione sportiva sorto con il distaccante (nel nostro caso, la società calcistica A).

Persistendo, dunque, un unico vincolo obbligatorio di potere-soggezione fra datore di lavoro distaccante (A) e lavoratore (X), il primo sarebbe stato legittimato a invocare un eventuale scioglimento dell’accordo vigente, pur in presenza di inadempimenti posti in essere nei riguardi dell’asserito distaccatario (B).

Il Collegio Arbitrale adito, però, non ha accolto l’assunto di A, e ciò sulla base di una preliminare e semplice considerazione: il club A, argomentando in tema di “distacco”, non aveva tenuto affatto presente il profondo mutamento della disciplina sottesa al richiamato istituto giuridico a seguito dell’entrata in vigore del D. Lgs n. 276 del 10 settembre 2003.

Infatti, tutte le argomentazioni enucleate dalla società sportiva ricorrente in tema specifico, avevano trovato un qualche riscontro, nemmeno troppo pacifico, peraltro, in precedenti giurisprudenziali di molto anteriori all’anno 2003, con la conseguenza che i medesimi avrebbero dovuto ritenersi ormai superati avuto riguardo alla controversia insorta tra A e X.

Tuttavia, anche a voler assumere l’applicabilità del novellato regime giuridico alla fattispecie che ci occupa - ha osservato il Collegio Arbitrale giudicante -, dovrebbe in ogni caso escludersi qualsiasi ipotesi di “distacco” o comando” così come invocati da A con riferimento alla richiamata fattispecie.

In effetti, l’art. 30 del D.Lgs n. 276/03, ad esempio, nulla dice sulla natura dell’interesse che deve essere sotteso all’effettivo distacco, cioé se esso debba rivestire natura economica, organizzativa o altro, senza considerare, però, che per l’ordinamento federale non rileva affatto la specificazione di qualsivoglia interesse sotteso alla cessione temporanea di contratto del calciatore da parte del sodalizio cedente, né detta specificazione é richiesta.

Inoltre, l’art. 30, comma 2, D.Lgs n. 276/03, stabilisce che il datore di lavoro distaccante resta responsabile del trattamento economico del lavoratore, mentre la cessione temporanea di contratto comporta la stipula di un nuovo contratto di prestazione sportiva tra calciatore e club cessionario, con la possibilità di negoziare nuove condizioni contrattuali, e rispetto a tale nuovo vincolo la società cedente si pone in rapporto di assoluta estraneità.

Parimenti, inoltre, quest’ultima nemmeno è tenuta ad assolvere gli obblighi assicurativi e previdenziali in favore dell’atleta ceduto, mentre il datore di lavoro distaccante, ai sensi e per gli effetti della nuova disciplina giuridica richiamata in tema di “distacco”, non potrebbe sottrarsi a detto obbligo.

Last but not least, si fa solo osservare come la cessione temporanea del contratto di prestazione sportiva richieda il necessario consenso dell’atleta, dovendosi escludere, pertanto, che questi possa essere trasferito per “distacco” o “comando”, sic et simpliicter, dalla società di originaria appartenenza ad altra nuova.

Al contrario, infatti, in ipotesi di “distacco” vero e proprio, è esclusa la necessità di qualsivoglia consenso da parte del lavoratore, poiché questi sarebbe in ogni caso tenuto ad eseguire la propria prestazione secondo le modalità indicate dal datore di lavoro, in ossequio al dovere di obbedienza ex art. 2104 c.c..

Ma se, dunque, non si può prescindere dal consenso del calciatore ai fini di cui sopra, è allora pacifico che, mancando quella volontà, qualsivoglia interesse del datore di lavoro alla dislocazione del dipendente, per quanto concreto e giuridicamente apprezzabile, verrebbe comunque irrimediabilmente posto nel nulla, con buona pace dell’applicabilità, alla fattispecie di cessione temporanea del contratto di prestazione sportiva, dell’istituto giuridico del “distacco” o “comando” sul quale un po’ troppo velleitariamente, forse, il club A ha ritenuto di poter fondare la domanda di risoluzione poi respinta.