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Art. 24 - Indebita percezione di erogazioni, truffa in danno dello Stato, di un ente pubblico o dell'Unione europea o per il conseguimento di erogazioni pubbliche e frode informatica in danno dello Stato o di un ente pubblico e frode nelle pubbliche forniture [6-bis]

1. In relazione alla commissione dei delitti di cui agli articoli 316-bis, 316-ter, 356, 640, comma 2, n. 1, 640-bis e 640-ter se commesso in danno dello Stato o di altro ente pubblico o dell'Unione europea, del codice penale, si applica all’ente la sanzione pecuniaria fino a cinquecento quote. [6- quater]

2. Se, in seguito alla commissione dei delitti di cui al comma 1, l’ente ha conseguito un profitto di rilevante entità o è derivato un danno di particolare gravità; si applica la sanzione pecuniaria da duecento a seicento quote.

2-bis. SI applicano all'ente le sanzioni previste ai commi precedenti in relazione alla commissione del delitto di cui all'art. 2 della legge 23 dicembre 1986, n, 898. [6-quinquies]

3. Nei casi previsti dai commi precedenti, si applicano le sanzioni interdittive previste dall’articolo 9, comma 2, lettere c), d) ed e).

[6-bis] Rubrica così modificata dall’art. 5, lett. a), n. 1), D.Lgs. 75/2020.

[6- quaterComma così modificato dall’art. 5, lett. a), n. 2), D.Lgs. 75/2020.

[6-quinquies] Comma inserito dall’art. 5, lett. b), n. 3), D.Lgs. 75/2020.

Elenco dei reati richiamati dalla norma

Art. 316-bis CP (Malversazione a danno dello Stato)

Art. 316-ter CP (Indebita percezione di erogazioni a carico dello Stato)

Art. 356 CP (Frode nelle pubbliche forniture)

Art. 640 comma 2 n. 1 CP (Truffa aggravata in danno dello Stato di altri enti pubblici)

Art. 640-bis CP (Truffa aggravata per il conseguimento di erogazioni pubbliche)

Art. 640-ter CP (Frode informatica in danno dello Stato o di altro ente pubblico)

 

Rassegna di giurisprudenza

Malversazione a danno dello Stato

Nell’ambito della struttura dell’illecito da reato ascrivibile ad enti immateriali, oltre all’esistenza di un reato/illecito presupposto espressamente previsto come tale (l’elencazione, in massima parte contenuta negli artt. 24 e ss., è tassativa e non ampliabile in via analogica) si distinguono abitualmente criteri di imputazione oggettivi (indicati dall’art. 5) e soggettivi (indicati dagli artt. 6 e 7).

L’art. 24, comma 1 ricomprende espressamente nell’elenco dei reati presupposto sia il reato di cui all’art. 640-bis CP che il reato di cui all’art. 316-ter CP.

Quanto ai criteri oggettivi d’imputazione, può ritenersi ormai pacifico che l’espressione con la quale l’art. 5, comma 1 richiama, come criterio ascrittivo della responsabilità de qua, la commissione dei reati (o degli ulteriori illeciti)-presupposto «nell’interesse o a vantaggio dell’ente», non contiene un’endiadi, perché i predetti termini indicano concetti giuridicamente diversi, ed evocano criteri concorrenti, ma alternativi: il richiamo all’interesse dell’ente valorizza una prospettiva soggettiva della condotta delittuosa posta in essere dalla persona fisica da apprezzare ex ante, per effetto di un indebito arricchimento prefigurato, ma non necessariamente realizzato, in conseguenza dell’illecito; il riferimento al vantaggio valorizza, invece, un dato oggettivo che richiede sempre una verifica ex post quanto all’obbiettivo conseguimento di esso a seguito della commissione dell’illecito presupposto, pur in difetto della sua prospettazione ex ante (Sez. 2, 3615/2006 e Sez. 5, 10265/2014, nonché, conclusivamente, SU, 38343/2014).

Si è, in proposito, evidenziato anche che i due presupposti si trovano in concorso reale: ciò implica che, ricorrendo entrambi, l’ente si troverebbe a dover rispondere di una pluralità di illeciti (situazione disciplinata dall’art. 21).

Quanto ai criteri soggettivi d’imputazione, il legislatore ha valorizzato un requisito in qualche modo assimilabile ad una sorta di “culpa in vigilando” consistente nella inesistenza di un MOG idoneo a prevenire i reati, con assonanza ai modelli statunitensi dei compliance programs di cui la Legge-delega 300/2000, articolo 11, lettera e), non faceva chiara menzione.

Con la differenza, non di lieve momento anche sotto il profilo sistematico, che tali modelli riguardano anche i reati commessi dal personale dirigente: ciò che costituisce un unicum nel panorama giuridico comparato, improntato, piuttosto, alla teoria della identificazione pura.

Non è stato quindi riprodotto dal D. Lgs. 231/2001, il principio dell’automatica derivazione della responsabilità dell’ente dal fatto illecito del suo amministratore, in deroga al principio di identificazione, pur connaturale alla rappresentanza organica, valido, in tesi generale, per ogni rapporto, negoziale e processuale.

Per quanto riguarda l’individuazione della natura giuridica della responsabilità degli enti nell’ordinamento italiano, la dottrina è estremamente divisa, potendo essere enucleate nel suo ambito ben tre linee di pensiero. Analoga diversità di posizioni è enucleabile in giurisprudenza.

Anche la già citata sentenza delle Sezioni unite 38343/2014, ad onta delle certezze esternate dalla massima ufficiale («Il sistema normativo introdotto dal D. Lgs. n. 231 del 2001, coniugando i tratti dell’ordinamento penale e di quello amministrativo, configura un tertium genus di responsabilità compatibile con i principi costituzionali di responsabilità per fatto proprio e di colpevolezza») non sembra aver fatto definitivamente luce sulla natura giuridica della responsabilità degli enti, avendo osservato quanto segue: «Il Collegio considera che, senza dubbio, il sistema di cui si discute costituisce un corpus normativo di peculiare impronta, un tertium genus, se si vuole.

Colgono nel segno, del resto le considerazioni della Relazione che accompagna la normativa in esame quando descrivono un sistema che coniuga i tratti dell’ordinamento penale e di quello amministrativo nel tentativo di contemperare le ragioni dell’efficienza preventiva con quelle, ancor più ineludibili, della massima garanzia.

Parimenti non è dubbio che il complesso normativo in esame sia parte del più ampio e variegato sistema punitivo; e che abbia evidenti ragioni di contiguità con l’ordinamento penale per via, soprattutto, della connessione con la commissione di un reato, che ne costituisce il primo presupposto, della severità dell’apparato sanzionatorio, delle modalità processuali del suo accertamento. Sicché, quale che sia l’etichetta che si voglia imporre su tale assetto normativo, è dunque doveroso interrogarsi sulla compatibilità della disciplina legale con i principi costituzionali dell’ordinamento penale, seguendo le sollecitazioni difensive».

È stata, quindi, decisamente esclusa unicamente la tesi della natura meramente amministrativa della responsabilità degli enti: ciò è, tuttavia, quanto bastava per ammettere che, in relazione alla natura (quantomeno, anche) penale della responsabilità degli enti, la disciplina dettata dal D. Lgs. 231/2001 deve essere compatibile con i principi dettati dalla Costituzione in tema di responsabilità penale. (Sez. 2, 52316/2016).

 

Differenze tra malversazione a danno dello Stato e truffa aggravata in danno dello Stato

L’art. 316-ter CP ha segnato, come già rilevato dalle Sezioni unite, allorché furono chiamate a disegnare i confini ed i termini di applicabilità delle fattispecie previste dagli artt. 316-ter e 640-bis CP (SU, 16568/2007), la messa in discussione della più risalente giurisprudenza che riconosceva il falso come idoneo ad integrare gli artifici ed i raggiri costitutivi della truffa.

La previsione contenuta nell’art. 316-ter CP sulla punibilità dell’indebita erogazione di contributi ottenuta anche mediante utilizzo o presentazione di documenti falsi o attestanti cose non vere, e quindi per condotte riconosciute come idonee a integrare gli artifici e raggiri propri della truffa, sarebbe invero chiamata a definire una ipotesi speciale di truffa in tal modo urtando, una siffatta esegesi, con l’intento del legislatore di estendere la punibilità a condotte decettive maturate ai danni dello Stato o dell’Unione europea.

Si tratta quindi di dare puntuale interpretazione al dato strutturale dell’ “induzione in errore” che, all’interno di una fattispecie di reato di cui costituisce espresso elemento costitutivo il documento falso, resta circoscritto a quelle ipotesi in cui il documento stesso, incidendo sulla rappresentazione della realtà dell’ente chiamato a dare erogazione alla sovvenzione, si inserisca nella sequenza procedimentale determinando l’Amministrazione al dispiego di attività di accertamento finalizzata al riconoscimento del beneficio.

Il reato di indebita percezione di pubbliche erogazioni si differenzia da quello di truffa aggravata, finalizzata al conseguimento delle stesse, per la mancata inclusione, tra gli elementi costitutivi, della induzione in errore o l’indotta falsa rappresentazione della realtà dell’ente erogatore, essendo quest’ultimo chiamato solo a prendere atto dell’esistenza della formale dichiarazione del privato di possesso dei requisiti autocertificati e non a compiere una autonoma attività di accertamento (SU, 16568/2007 e, all’interno del medesimo solco interpretativo, Sez. 2, 23163/2016).

L’ente preposto eroga infatti il contributo, anche in via provvisoria, sulla base della sola dichiarazione dell’interessato, riservando ad una fase successiva, di controllo, la verifica della stabile spettanza del diritto.

Né l’indicata struttura è destinata a mutare là dove alla dichiarazione dell’interessato si accompagni una produzione documentale, diretta comunque a sostenere l’alterata rappresentazione della realtà. L’Amministrazione prende atto di un dato documentale che, formato per autocertificazione ed attestazioni o titoli di corredo, essa non viene chiamata a verificare per dar corso all’erogazione, anche provvisoria, del contributo.

Non si ha pertanto una falsa rappresentazione integrativa di induzione in errore, e quindi il reato di truffa, poiché l’ente si rappresenta quanto deve rappresentarsi ovverosia la dichiarazione del richiedente, requisito di riconoscimento del diritto (anche in termini, SU, 7537/2011).

Ove invece alla domanda, all’autocertificazione ed alla documentazione di corredo segua una fase di verifica, in contraddittorio con l’interessato, all’esito della quale soltanto l’Amministrazione si determinerà a dare corso al contributo richiesto, le false dichiarazioni e la falsa documentazione di corredo entrano nel procedimento di accertamento del diritto al contributo, integrando un’alterata rappresentazione della realtà sui cui esiti si svolge l’attività di verifica dell’ente erogatore.

L’Amministrazione è in tal caso indotta in errore perché falsamente si rappresenta, sulla scorta della documentazione prodotta, i presupposti di riconoscimento del contributo, con conseguente alterazione del processo di formazione della sua volontà.

La natura del procedimento e la rappresentazione dei requisiti di accesso al beneficio ora definiti dalla dichiarazione del privato ora esito di istruttoria avviata dall’Amministrazione consentono di integrare o escludere l’estremo dell’induzione in errore dell’ente erogante e quindi la configurabilità della truffa aggravata per gli estremi di cui all’art. 640-bis CP o dell’indebita percezione di cui all’art. 316-ter CP.

Nei rapporti tra le fattispecie di cui agli artt. 316-ter e 640-bis CP il principio di diritto destinato a valere vuole che, perché si configuri il reato di indebita percezione di erogazioni a danno dello Stato o delle Comunità europee (art. 316-ter CP.) e non la più grave fattispecie della truffa ai danni dello Stato (art. 640-bis CP) l’Amministrazione deve essere chiamata, secondo previsioni di norma, regolamentari e dettagliate di bando, ad erogare il contributo all’esito della dichiarazione e della certificazione prodotta dal privato che, destinati ad integrare i requisiti di riconoscimento del beneficio, rientrando a definire la rappresentazione della realtà di cui deve tenere conto l’ente erogante.

L’induzione in errore dell’Amministrazione, quid pluris destinato ad integrare la diversa e più grave ipotesi della truffa aggravata di cui all’art. 640-bis CP, richiede invece che l’ente, chiamato ad attivarsi ed a svolgere preventive verifiche al fine del riconoscimento del contributo al privato, risulti perturbato nel processo di formazione della sua volontà per la falsa rappresentazione della realtà conseguenza del dato falso, veicolato dal privato all’interno del procedimento (Sez. F, 43143/2017).

 

Indebita percezione di erogazioni a carico dello Stato

In tema di indebita percezione di erogazioni a carico dello Stato, allorché le erogazioni medesime siano state plurime e frazionate si ha comunque un unico reato se tutte conseguono all’originaria condotta fraudolenta e non siano necessarie ulteriori condotte illecite per il conseguimento delle ulteriori erogazioni (Sez. 5, 32050/2014).

 

Truffa aggravata

In tema di confisca per equivalente, qualora il profitto tratto da taluno dei reati sia costituito da denaro, l’adozione del sequestro preventivo non è subordinata alla verifica che le somme provengano dal delitto e siano confluite nella effettiva disponibilità dell’indagato, in quanto il denaro oggetto di ablazione deve solo equivalere all’importo che corrisponde per valore al prezzo o al profitto del reato, non sussistendo alcun nesso pertinenziale tra il reato e il bene da confiscare (fattispecie, in materia di truffa, nella quale veniva disposto il sequestro per equivalente nei confronti di una società, responsabile per illecito amministrativo ex D. Lgs. 231/2001) (Sez.  2, 21228/2014).

La truffa cosiddetta a consumazione prolungata, configurabile quando la frode è strumentale al conseguimento di erogazioni pubbliche il cui versamento viene rateizzato, e che si consuma al momento della percezione dell’ultima rata di finanziamento, necessita che tutte le erogazioni siano riconducibili all’originario ed unico comportamento fraudolento, mentre, quando per il conseguimento delle erogazioni successive alla prima è necessario il compimento di ulteriori attività fraudolente, devono ritenersi integrati altrettanti ed autonomi fatti di reato (Sez. 2, 295/2018).

Il sequestro preventivo funzionale alla confisca per equivalente del profitto del reato di truffa aggravata può incidere contemporaneamente od indifferentemente sui beni dell’ente che dal medesimo reato ha tratto vantaggio e su quelli della persona fisica che lo ha commesso, con l’unico limite per cui il vincolo cautelare non può eccedere il valore complessivo del suddetto profitto (Sez.  2, 21227/2014).

In tema di responsabilità degli enti, l’utilità economica ricavata dalla persona giuridica a seguito della consumazione di una truffa non può essere confiscata come profitto del reato, nemmeno per equivalente, quando la stessa sia stata già restituita al soggetto danneggiato (Sez. 2, 45054/2011).

Integra il concetto di interesse o vantaggio dell’ente, ai sensi dell’art. 24, l’ipotesi in cui il profitto del reato di truffa sia inizialmente conseguito dalla società indagata, attraverso l’accreditamento in suo favore delle somme erogate dalla pubblica amministrazione, restando irrilevante ai fini della responsabilità amministrativa dell’ente l’eventuale successiva distrazione delle medesime somme sui conti personali dell’amministratore (Sez. 2, 3615/2006).

Integra il concetto di interesse o vantaggio dell’ente, ai sensi dell’art. 5, l’ipotesi in cui il profitto del reato di truffa sia inizialmente conseguito dalla società indagata, attraverso l’accreditamento in suo favore delle somme erogate dalla pubblica amministrazione, restando irrilevante ai fini della responsabilità amministrativa del l’ente l’eventuale successiva distrazione delle medesime somme sui conti personali dell’amministratore (Tribunale di Lucca, 26 ottobre 2004).

 

Truffa aggravata per il conseguimento di erogazioni pubbliche

Il profitto del reato oggetto della confisca si identifica con il vantaggio economico di diretta e immediata derivazione causale dal reato presupposto ma, nel caso in cui questo venga consumato nell’ambito di un rapporto sinallagmatico, non può essere considerato tale anche l’utilità eventualmente conseguita dal danneggiato in ragione dell’esecuzione da parte dell’ente delle prestazioni che il contratto gli impone.

Il contratto stipulato in violazione di norme penali è nullo se la norma violata ha ad oggetto la stessa stipula del contratto (reato contratto), mentre è efficace, ancorché annullabile, se la norma violata è sì imperativa ma attiene al comportamento dei contraenti, che può al più essere fonte di responsabilità.

Nel caso di reato-contratto il profitto confiscabile è costituito dal ricavo lordo.

Nel caso di reati in contratto a prestazioni corrispettive, il profitto viene identificato con il vantaggio economico derivato dal reato al netto dell’effettiva utilità eventualmente conseguita dal danneggiato, nell’ambito del rapporto sinallagmatico con l’ente.

Il profitto del reato previsto dall’art. 640-bis CP, ai fini dell’applicazione della confisca per equivalente, coincide con l’intero ammontare del finanziamento qualora il rapporto contrattuale non si sarebbe perfezionato ed il progetto non sarebbe stato approvato senza le caratteristiche falsamente attestate dal percettore mentre corrisponde alla maggiore quota dei fondi non dovuti nel caso in cui siano rappresentati dal beneficiario operazioni o costi riportati in fatture o relazioni ideologicamente false.

Ciò che rileva è l’incidenza dell’artifizio e raggiro nella fase genetica della procedura d’ammissione alle agevolazioni economiche ovvero nella fase esecutiva (Sez. 2, 25980/2018).

La condotta del reato di truffa aggravata per il conseguimento di erogazioni pubbliche può essere integrata anche da fatti consistenti in una “immutatio veri” di per sé non costituente il reato di falso (nella fattispecie è stato creato un fittizio soggetto societario che altrettanto fittiziamente si interponeva tra una società venditrice e l’acquirente finale, allo scopo di inscenare le condizioni per l’applicazione della normativa sulle agevolazioni al credito all’esportazione) (Sez. 2, 52316/2016).

Il reato di truffa in danno degli enti previdenziali per ricezione di indebite prestazioni di emolumenti e previdenze maturate periodicamente è normalmente un reato a consumazione prolungata, poiché l’agente, sin dall’inizio, ha la volontà di realizzare un evento destinato a protrarsi nel tempo; tuttavia, in caso di svolgimento da parte di un medico di attività professionale privata senza informare e senza farsi autorizzare dall’ente di appartenenza, in violazione della normativa in tema di c.d. “intra moenia”, la condotta ingannatoria riveste carattere meramente omissivo, e si ripete in occasione di ogni percezione dello stipendio ovvero di illecito utilizzo di personale o di risorse dell’ente (Sez. 2, 47247/2015).

In tema di responsabilità da reato degli enti, qualora l’illecito penale presupposto sia quello di indebita percezione di erogazioni a danno dello Stato, è obbligatorio procedere alla confisca per equivalente del profitto del reato (ed è quindi legittimo il sequestro preventivo funzionale alla medesima), non trovando applicazione il disposto di cui al primo comma dell’art. 322-ter CP, per cui, in relazione ai delitti contro la P.A., può procedersi alla confisca di valore solo in riferimento al prezzo del reato (Sez. 6, 14973/2009).

Il D. Lgs. 231/2001 parte dal presupposto che un efficace MOG può essere violato (e dunque il reato che si vuole scongiurare può essere commesso) solo se le persone che rivestono funzioni di rappresentanza, di amministrazione o di direzione dell’ente (art. 5 comma 1 lett. a) abbiano operato eludendo fraudolentemente il MOG stesso.

Dunque la natura fraudolenta della condotta del soggetto apicale (persona fisica) costituisce, per così dire, un indice rivelatore della validità del MOG, nel senso che solo una condotta fraudolenta appare atta a forzarne le misure di sicurezza. Occorre dunque chiarire che cosa sia una condotta fraudolenta, essendo evidente che essa non può consistere nella mera violazione delle prescrizioni contenute nel MOG.

Il concetto di frode, pur se non necessariamente coincidente con gli artifizi e i raggiri di cui all’art. 640-bis CP, deve quanto meno consistere in una condotta ingannevole, falsificatrice, obliqua, subdola, ovvero in una condotta di “aggiramento” di una norma imperativa, non di una semplice e “frontale” violazione della stessa.

Non può, pertanto, ritenersi idoneo ad esimere la società da responsabilità amministrativa da reato, il MOG che prevede la istituzione di un OIV sul funzionamento e sulla osservanza delle prescrizioni adottate non provvisto di autonomi ed effettivi poteri di controllo, ma sottoposto alle dirette dipendenze del soggetto controllato.  (Sez. 5, 4677/2014, richiamata da Sez. 2, 52316/2016).

La truffa ai danni dello Stato per percezione di prestazioni indebite di finanziamenti e contributi, erogati in ratei periodici, è reato a consumazione prolungata, perché il soggetto agente manifesta sin dall’inizio la volontà di realizzare un evento destinato a durare nel tempo, e quindi il momento consumativo del reato coincide con quello della cessazione dei pagamenti, che segna la fine dell’aggravamento del danno (Sez. 2, 3615/2006).

Il profitto del reato previsto dall’art. 640-bis CP, ai fini dell’applicazione della confisca per equivalente, coincide con l’intero ammontare del finanziamento qualora il rapporto contrattuale non si sarebbe perfezionato ed il progetto non sarebbe stato approvato senza le caratteristiche falsamente attestate dal percettore, mentre corrisponde alla maggiore quota dei fondi non dovuti nel caso in cui siano rappresentati dal beneficiario operazioni o costi riportati in fatture o relazioni ideologicamente false (Sez. 3,  17451/2012).