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Art. 8 - Autonomia della responsabilità dell’ente

1. La responsabilità dell’ente sussiste anche quando:

a) l’autore del reato non è stato identificato o non è imputabile;

b) il reato si estingue per una causa diversa dall’amnistia.

2. Salvo che la legge disponga diversamente, non si procede nei confronti dell’ente quando è concessa amnistia per un reato in relazione al quale è prevista la sua responsabilità e l’imputato ha rinunciato alla sua applicazione.

3. L’ente può rinunciare all’amnistia.

Stralcio della relazione ministeriale di accompagnamento al D. Lgs. 231/2001

4. Autonomia della responsabilità dell’ente.

Di particolare rilievo è la disposizione dell’art. 8. Essa chiarisce in modo inequivocabile come quello dell’ente sia un titolo autonomo di responsabilità, anche se presuppone comunque la commissione di un reato.

Se infatti il meccanismo punitivo è stato congegnato in modo tale da rendere le vicende (processuali) delle persone fisiche e quelle dell’ente tra loro strettamente correlate (il simultaneus processus risponde non soltanto ad esigenze di economia, ma anche alla necessità di far fronte alla complessità dell’accertamento), ciò non toglie che in talune limitate ipotesi, l’inscindibilità tra le due possa venir meno.

Tanto accade ovviamente quando le persone  fisica e giuridica  adottino diverse strategie processuali (sul punto, infra); prima ancora, con riguardo al momento che qui interessa, la nascita del procedimento, il comma 1 dell’art. 8 lascia sussistere la responsabilità dell’ente anche quando l’autore del reato non sia stato identificato ovvero non sia imputabile.

Una scelta di tal fatta non incontra alcun ostacolo dal punto di vista del sistema. È chiaro, infatti, che in entrambi i casi ci si trova di fronte ad un reato completo di tutti i suoi elementi (oggettivi e soggettivi) e giudizialmente accertato, sebbene il reo, per l’una o l’altra ragione, non risulti punibile.

Ancora, non vi sarebbe ragione di escludere, in queste ipotesi, la responsabilità dell’ente. Se, infatti, il caso di autore non imputabile ha un sapore più teorico che pratico (è stato previsto per ragioni di completezza), quello della mancata identificazione della persona fisica che ha commesso il reato è, al contrario, un fenomeno tipico nell’ambito della responsabilità d’impresa: anzi, esso rientra proprio nel novero delle ipotesi in relazione alle quali più forte si avvertiva l’esigenza di sancire la responsabilità degli enti.

Si pensi, per fare un esempio, ai casi di cd. imputazione soggettivamente alternativa, in cui il reato (perfetto in tutti i suoi elementi) risulti senz’altro riconducibile ai vertici dell’ente e, dunque, a due o più amministratori, ma manchi o sia insufficiente la prova della responsabilità individuale di costoro.

L’omessa disciplina di tali evenienze si sarebbe dunque tradotta in una grave lacuna legislativa, suscettibile di infirmare la ratio complessiva del provvedimento.

Sicché, in tutte le ipotesi in cui, per la complessità dell’assetto organizzativo interno, non sia possibile ascrivere la responsabilità penale in capo ad uno determinato soggetto, e ciò nondimeno risulti accertata la commissione di un reato, l’ente ne dovrà rispondere sul piano amministrativo: beninteso, a condizione che sia ad esso imputabile una colpa organizzativa consistente nella mancata adozione ovvero nel carente funzionamento del modello preventivo.

La responsabilità dell’ente resta ferma anche nel caso in cui il reato sussiste, ma subisce una vicenda estintiva. Si pensi all’utile decorso del termine di sospensione condizionale della pena ovvero alla morte del reo (prima della condanna).

La configurazione della responsabilità dell’ente come un illecito amministrativo (sebbene sui generis) non poteva non implicare una conclusione di questo tipo.

L’unica eccezione meritevole è stata rinvenuta nell’amnistia (evidentemente, “propria”), in presenza della quale, dunque, non potrà procedersi neanche nei confronti dell’ente. Si è infatti pensato che le valutazioni politiche sottese al relativo provvedimento siano suscettibili, in linea di massima, di valere anche nei confronti degli enti: in caso contrario, sarà onere del legislatore dell’amnistia escludere tali soggetti dall’area entro cui il provvedimento di clemenza può sortire effetti, anche mediati.

Resta fermo che l’ente, il quale abbia interesse ad un’assoluzione nel merito, potrà, al pari della persona fisica, rinunciare all’effetto estintivo dell’amnistia (comma 3 dell’art. 8).

Si è anche ritenuto opportuno precisare che la rinuncia all’amnistia da parte della persona fisica non pregiudichi la posizione dell’ente; sicché  fatta salva, pure qui, una diversa volontà del legislatore  l’effetto estintivo si produrrà nei confronti dell’ente anche quando la persona fisica eserciti il suo legittimo diritto a veder accertata nel merito la responsabilità penale.

La previsione si rivela, oltre che utile, necessaria: a rigore, infatti, la rinuncia all’amnistia da parte della persona fisica interdice l’effetto estintivo del reato e, sotto il piano dei principi, lascerebbe dunque sussistere la responsabilità dell’ente.

È appena il caso di accennare al fatto che le cause di estinzione della pena (emblematici i casi di grazia o di indulto), al pari delle eventuali cause non punibilità e, in generale, alle vicende che ineriscono a quest’ultima, non reagiscono in alcun modo sulla configurazione della responsabilità in capo all’ente, non escludendo la sussistenza di un reato.

Se la responsabilità dell’ente presuppone comunque che un reato sia stato commesso, viceversa, non si è ritenuto utile specificare che la responsabilità dell’ente lascia permanere quella della persona fisica. Si tratta infatti di due illeciti, quello penale della persona fisica e quello amministrativo della persona giuridica, concettualmente distinti, talché una norma che ribadisse questo dato avrebbe avuto il sapore di un’affermazione di mero principio.

 

Rassegna di giurisprudenza

La causa di esclusione della punibilità per la particolare tenuità del fatto di cui all'art. 131-bis CP non è applicabile alla responsabilità amministrativa degli enti per i fatti commessi nel suo interesse o a suo vantaggio dai propri dirigenti o dai soggetti sottoposti alla loro direzione, in considerazione della differenza esistente tra la responsabilità penale (che, per espressa previsione legislativa può ora essere esclusa nel caso di particolare tenuità del danno e del pericolo provocati dalla condotta, nella concorrenza delle altre condizioni richieste dall'art. 131-bis CP), e quella amministrativa dell'ente per il fatto di reato commesso da chi al suo interno si trovi in posizione apicale o sia soggetto alla altrui direzione. La giurisprudenza ha ormai chiarito che quella amministrativa degli enti è un tertium genus di responsabilità, il quale, coniugando i tratti dell'ordinamento penale e di quello amministrativo, configura un sistema di responsabilità compatibile con i principi costituzionali di responsabilità per fatto proprio e di colpevolezza (SU, 38343/2014).  E' stata chiarita anche la natura autonoma della responsabilità dell'ente rispetto a quella penale della persona fisica che ponga in essere il reato-presupposto. Ai sensi dell'art. 8, rubricato per l'appunto "autonomia della responsabilità dell'ente", la responsabilità dell'ente deve essere affermata anche nel caso in cui l'autore del suddetto reato non sia stato identificato, non sia imputabile, ovvero il reato sia estinto per causa diversa dall'amnistia (Sez. 6, 28299/2015). Ciò significa che la responsabilità amministrativo-penale da organizzazione investe direttamente l'ente, trovando nella commissione di un reato da parte della persona fisica il solo presupposto, ma non già l'intera sua concretizzazione. La colpa di organizzazione, quindi, fonda una colpevolezza autonoma dell'ente, distinta anche se connessa rispetto a quella della persona fisica (Sez. 4,  38363/2018). Tale autonomia esclude che l'eventuale applicazione all'agente della causa di esclusione della punibilità per la particolare tenuità del fatto impedisca di applicare all'ente la sanzione amministrativa, dovendo egualmente il giudice procedere all'autonomo accertamento della responsabilità amministrativa della persona giuridica nel cui interesse e nel cui vantaggio l'illecito fu commesso (Sez. 3,  9072 /2018). Detta causa di esclusione della punibilità non è, poi certamente applicabile alla responsabilità amministrativa dell'ente, essendo espressamente e univocamente riferita alla realizzazione di un reato, la cui punibilità viene esclusa per la particolare tenuità dell'offesa e la non abitualità del comportamento, mentre, come evidenziato, quella dell'ente trova nella realizzazione di un reato solamente il proprio presupposto storico, ma è volta a sanzionare la colpa di organizzazione dell'ente (Sez. 3, 1420/2020).

In tema di responsabilità degli enti, in presenza di una declaratoria di prescrizione del reato presupposto, il giudice, ai sensi dell’art. 8, comma 1, lett. b), deve procedere all’accertamento autonomo della responsabilità amministrativa della persona giuridica nel cui interesse e nel cui vantaggio l’illecito fu commesso (Sez. 6, 21192/2013, e, più di recente, Sez. 4, 22468/2018 e Sez. 2, 2232/2019).

In presenza di una declaratoria di prescrizione del reato presupposto, il giudice, ai sensi dell’art. 8, comma primo, lett. b), deve procedere all’accertamento autonomo della responsabilità amministrativa della persona giuridica nel cui interesse e nel cui vantaggio l’illecito fu commesso che, però, non può prescindere da una verifica, quantomeno incidentale, della sussistenza del fatto di reato.

L’intervenuta prescrizione del reato presupposto successivamente alla contestazione all’ente dell’illecito non ne determina l’estinzione per il medesimo motivo, giacché, ai sensi dell’art. 22, il relativo termine, una volta esercitata l’azione, non corre fino al passaggio in giudicato della sentenza che definisce il procedimento nei confronti della persona giuridica (Sez. 5, 20060/2013).

Invero, la disciplina della prescrizione dettata dall’art. 22 attua il criterio di delega di cui alla lettera r) dell’art. 11, L. 300/2000, il quale ripropone la disciplina contenuta nell’articolo 28 L. 689/1981, rinviando attraverso essa ad una regolamentazione di stampo più civilistico che penalistico (i commi 3 e 4 dell’art. 22 ripropongono più o meno letteralmente la disciplina dettata in tema di prescrizione dell’illecito civile dall’art. 2945 CC).

Ai sensi dell’art. 22, le sanzioni amministrative si prescrivono nel termine di cinque anni dalla data di consumazione del reato; interrompono la prescrizione la richiesta di applicazione di misure cautelari interdittive e la contestazione dell’illecito amministrativo a norma dell’art. 59: per effetto della interruzione, inizia un nuovo periodo di prescrizione.

Il comma 4 della disposizione, stabilisce, inoltre, che, nel caso in cui l’interruzione è avvenuta mediante la contestazione dell’illecito amministrativo dipendente da reato, la prescrizione non corre fino al momento in cui passa in giudicato la sentenza che definisce il giudizio: trattasi di previsione peculiare del sistema della responsabilità da reato degli enti immateriali.

Detta disciplina “speciale” è già positivamente passata al vaglio di questa Corte (Sez. 6, 28299/2016), che ha dichiarato manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 22, sollevata, per asserito contrasto con gli artt. 3, 24, comma 2, e 111 Cost., in riferimento alla presunta irragionevolezza della disciplina della prescrizione prevista per gli illeciti commessi dall’ente-imputato rispetto a quella prevista per gli imputati-persone fisiche, osservando che la diversa natura dell’illecito che determina la responsabilità dell’ente, e l’impossibilità di ricondurre integralmente il sistema di responsabilità ex delicto di cui al D. Lgs. 231/2001 nell’ambito e nella categoria dell’illecito penale, giustificano il regime derogatorio della disciplina della prescrizione (ricostruzione sistematica dovuta a Sez. 2, 52316/2016).

La condanna per la responsabilità amministrativa, ancorché autonoma processualmente dalla condanna per la responsabilità penale, presuppone la commissione di un reato, perfetto in tutti i suoi elementi.

Le ipotesi previste dall’art. 8, che esprimono il principio di autonomia delle condanne, consentono, infatti, di affermare la responsabilità dell’ente nei casi nei quali l’autore del reato non sia stato identificato o non sia imputabile, ovvero il reato si sia estinto per una causa diversa dall’amnistia; dal tenore della previsione si desume che il giudizio di responsabilità amministrativa non possa prescindere dall’accertamento di tutti gli elementi costitutivi del reato.

Parimenti nel senso dell’autonoma possibilità di procedere nei confronti dell’ente a prescindere dall’accertamento della responsabilità, personale, dell’autore del reato presupposto, è l’intenzione del legislatore, quale emerge dalla relazione governativa che rimarca come la mancata identificazione della persona fisica che aveva commesso il reato rappresenti, oltre che un fenomeno tipico nell’ambito della responsabilità d’impresa, una delle evenienze in cui è anzi più forte l’esigenza di sancire la responsabilità dell’ente.

Ad analoga conclusione conduce l’analisi della ratio oggettiva della norma, quale emerge sistematicamente dal complesso delle disposizioni sulla responsabilità amministrativa degli enti, la cui evidente finalità consiste nella possibilità  di sanzionare l’ente collettivo ogni volta che le persone che rivestono funzioni di rappresentanza, di amministrazione o di direzione dell’ente (o sulle quali queste esercitano, anche di fatto, la gestione e il controllo) commettono dei reati nel suo interesse o a suo vantaggio (Sez. 4, 31641/2018).

La responsabilità dell’ente sussiste anche quando l’autore del reato non è stato identificato o non è imputabile, e dunque anche quando la persona fisica a cui era stata attribuita la responsabilità del reato presupposto è stata assolta, come nel caso in esame, per non avere commesso il fatto.

Più in particolare, è necessario che venga compiuto un reato da parte del soggetto riconducibile all’ente, ma non è anche necessario che tale reato venga accertato con individuazione e condanna del responsabile.

La responsabilità penale presupposta può essere ritenuta incidenter tantum (ad esempio perché non si è potuto individuare il soggetto responsabile o perché questi è non imputabile) e ciò non ostante può essere sanzionata in via amministrativa la società (Sez. 1, 35818/2015).

Secondo l’art. 8 “La responsabilità dell’ente sussiste anche quando: a) l’autore del reato non è stato identificato o non è imputabile (...)”. Il senso letterale della norma è chiarissimo nell’evidenziare non tanto l’autonomia delle due fattispecie (che anzi l’illecito amministrativo presuppone - e quindi dipende da - quello penale), quanto piuttosto l’autonomia delle due condanne sotto il profilo processuale.

Per la responsabilità amministrativa, cioè, è necessario che venga compiuto un reato da parte del soggetto riconducibile all’ente, ma non è anche necessario che tale reato venga accertato con individuazione e condanna del responsabile.

La responsabilità penale presupposta può essere ritenuta incidenter tantum (ad esempio perché non si è potuto individuare il soggetto responsabile o perché questi è non imputabile) e ciò nonostante può essere sanzionata in via amministrativa la società.

Anche l’intenzione soggettiva del legislatore (che, in questo caso, emerge dalla relazione governativa, trattandosi di decreto legislativo) è chiara in tal senso, affermando che il titolo di responsabilità dell’ente, anche se presuppone la commissione di un reato, è autonomo rispetto a quello penale, di natura personale. Dice la relazione ministeriale che non vi sarebbe ragione di escludere, in queste ipotesi, la responsabilità dell’ente.

Quello della mancata identificazione della persona fisica che ha commesso il reato è, infatti, un fenomeno tipico nell’ambito della responsabilità d’impresa: anzi, esso rientra proprio nel novero delle ipotesi in relazione alle quali più forte si avvertiva l’esigenza di sancire la responsabilità degli enti.

L’omessa disciplina di tali evenienze – prosegue la relazione – si sarebbe dunque tradotta in una grave lacuna legislativa, suscettibile di infirmare la ratio complessiva del provvedimento.

Sicché, in tutte le ipotesi in cui, per la complessità dell’assetto organizzativo interno, non sia possibile ascrivere la responsabilità penale in capo ad uno determinato soggetto, e ciò nondimeno risulti accertata la commissione di un reato, l’ente ne dovrà rispondere – ricorrendone tutte le condizioni di legge – sul piano amministrativo.

Infine, anche la ratio oggettiva della norma – quale emerge sistematicamente dal complesso delle disposizioni sulla responsabilità amministrativa degli enti – persegue la finalità di sanzionare l’ente collettivo ogni volta che le persone che rivestono funzioni di rappresentanza, di amministrazione o di direzione dell’ente (o sulle quali queste esercitano, anche di fatto, la gestione e il controllo) commettono dei reati nel suo interesse o a suo vantaggio (Sez. 5, 20060/2013).

Il simultaneo processo nei confronti del responsabile del reato e dell’ente per l’illecito ad esso collegato non è condizione essenziale per procedere nei confronti del secondo, non essendovi ragione per discostarsi, in materia, dalle regole generali del processo di cognizione che ammettono in ogni ipotesi di connessione, persino nei confronti di coimputati del medesimo fatto, la possibilità di procedere separatamente quando lo sviluppo processuale determina la divaricazione delle singole posizioni (soccorrendo eventualmente i rimedi previsti per il conflitto teorico di giudicati).

La lettura sistematica delle partizioni del comma 1 riferite ad autore non identificato o non imputabile (lett. a) e a reato estinto (lett. b) rende assolutamente ragionevole un’interpretazione non frazionata del dato normativo: nel senso, cioè, che ove si proceda in via autonoma nei confronti dell’ente perché è ignoto l’autore del reato, la (vera o presunta) identificazione dello stesso successiva alla scadenza del termine di prescrizione non richiede che l’azione nei confronti dell’ente debba avere nuovo corso.

Non si ha, infatti, in questo caso immutazione del fatto generatore della responsabilità dell’ente né del titolo della stessa. L’individuazione del possibile autore del reato non incide sulla natura e sull’ampiezza dell’accertamento incidentale in ordine all’esistenza dello stesso demandato al giudice penale chiamato a pronunciarsi sulla sola responsabilità dell’ente, né sull’esercizio del diritto di difesa di questo, che, lungi dal risultarne menomato, ne è semmai agevolato.

Mentre, diversamente opinando, alla ingiustificata frustrazione del principio di ragionevole durata si sommerebbe la sostanziale elusione del regime della prescrizione specificamente previsto, per la responsabilità dell’ente, dall’art. 59 (Sez. 1, 35818/2015).

Non è possibile affermare una diretta incidenza (giudicato) della sentenza di applicazione dell’art. 131-bis, CP, nel giudizio relativo alla responsabilità della persona giuridica. Infatti l’art. 651-bis CPP limita l’effetto della decisione al giudizio civile o amministrativo di danno.

L’interprete non può estendere l’effetto di giudicato se non previsto espressamente dalla legge. Si violerebbe il diritto di difesa della persona giuridica in modo irrimediabile.

Conseguentemente può affermarsi il seguente principio di diritto: “In tema di responsabilità degli enti, in presenza di una sentenza di applicazione della particolare tenuità del fatto, nei confronti della persona fisica responsabile della commissione del reato, il giudice deve procedere all’accertamento autonomo della responsabilità amministrativa della persona giuridica nel cui interesse e nel cui vantaggio il reato fu commesso; accertamento di responsabilità che non può prescindere da una opportuna verifica della sussistenza in concreto del fatto reato, in quanto l’applicazione dell’art. 131-bis, CP non esclude la responsabilità dell’ente, in via astratta, ma la stessa deve essere accertata effettivamente in concreto; non potendosi utilizzare, allo scopo, automaticamente la decisione di applicazione della particolare tenuità del fatto, emessa nei confronti della persona fisica” (Sez. 3, 9072/2018).