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Art. 10 - Sanzione amministrativa pecuniaria

1. Per l’illecito amministrativo dipendente da reato si applica sempre la sanzione pecuniaria.

2. La sanzione pecuniaria viene applicata per quote in un numero non inferiore a cento né superiore a mille.

3. L’importo di una quota va da un minimo di euro 258 (lire cinquecentomila) ad un massimo di euro 1.549 (lire tre milioni).

4. Non è ammesso il pagamento in misura ridotta.

Stralcio della relazione ministeriale di accompagnamento al D. Lgs. 231/2001

5.1. La sanzione pecuniaria e il sistema commisurativo “per quote”.

La sanzione pecuniaria costituisce la sanzione fondamentale e indefettibile, applicabile in relazione a tutti gli illeciti dipendenti da reato. L’ammontare della stessa è scandito da un’oscillazione (da cinquanta milioni a tre miliardi di lire) che risente dei limiti insiti nel ricorso ad una clausola generale, tendenzialmente cieca rispetto all’effettivo disvalore di ciascun illecito.

In particolare, va segnalato l’elevato importo del limite minimo edittale, che tradisce un eccessivo rigore specie se lo si riferisce alla fitta rete di piccole imprese esistenti nel nostro paese. Lo stesso criterio commisurativo indicato dalla delega, laddove impone di tenere conto anche delle condizioni economiche e patrimoniali dell’ente, non è sufficiente a scongiurare questo rischio e non appare idoneo ad evitare che la fase commisurativa si esponga ad una discrezionalità giudiziale troppo ampia.

Queste considerazioni impongono pertanto al Governo di compiere ogni sforzo che, nei limiti della delega, consenta di prefigurare un sistema di sanzioni pecuniarie equilibrato, orientato dai seguenti principi: da un lato, proteso a disegnare un sistema commisurativo effettivamente calibrato sulla capacità economica e patrimoniale degli enti; dall’altro lato, diretto a ritagliare cause di riduzione della sanzione che permettano di “degradare” in modo significativo il carico sanzionatorio in presenza di illeciti di particolare tenuità o di condotte che esternino un apprezzabile “controvalore” rispetto all’offesa.

Con riferimento alla fase commisurativa, la legge delega sembra propendere, a prima vista, in favore del tradizionale sistema “a somma complessiva”. In questo contesto, la commisurazione dovrebbe avvenire secondo i parametri dettati dall’articolo 11 della legge 689/1981, integrati dal riferimento all’entità dei proventi ricavati dal reato e, soprattutto, dalle condizioni economiche e patrimoniali dell’ente.

Il rinvio alle condizioni economiche compare, come è noto, con riferimento alla pena pecuniaria irrogata alla persona fisica, nell’articolo 133-bis del codice penale e risponde all’esigenza di valorizzare tale aspetto all’interno del rigido modello “a somma complessiva”.

Tuttavia, tale innesto non ha dato i frutti sperati, a causa dell’ambiguità strutturale che lo contrassegna. Il modello “a somma complessiva”, infatti, è strutturalmente sbilanciato verso gli indici di commisurazione che attingono alla gravità oggettiva e soggettiva dell’illecito, sia esso penale o amministrativo.

Il successivo e concorrente riferimento alle condizioni economiche e patrimoniali della persona fisica o dell’ente innesca una sorta di corto circuito commisurativo, nel quale le condizioni economiche operano contemporaneamente e sullo stesso piano rispetto ai restanti criteri di commisurazione, senza che tuttavia sia possibile discernere quale incidenza assumano le prime, da un lato, e la gravità oggettiva e soggettiva dell’illecito, dall’altro lato, nella determinazione dell’ammontare della sanzione pecuniaria.

Si tratta di un sistema, cioè, destinato a malfunzionare perché ambisce ad accomunare due fasi commisurative che, per contro, sono (e vanno tenute) distinte.

È chiaro, peraltro, che, nel contesto della responsabilità sanzionatoria degli enti, l’esigenza dell’adeguamento della sanzione pecuniaria alle condizioni economiche e patrimoniali dell’ente costituisce un aspetto irrinunciabile e fondamentale della disciplina, se si vuole evitare il rischio di rendere inefficace la sanzione.

Tuttavia, l’eventuale ricorso ad un correttivo analogo a quello previsto dall’articolo 133-bis del codice penale risulta impraticabile. La forbice edittale “generale” contenuta nella delega pregiudica l’operatività di un simile meccanismo che, ove profilato, costringerebbe a costruire cornici edittali di parte speciale troppo “ravvicinate” tra di loro. L’articolo 133-bis prevede un aumento della pena pecuniaria sino al triplo o una diminuzione fino a un terzo quando il giudice ritiene che, per le condizioni economiche del reo, la misura massima sia inefficace o quella minima troppo gravosa.

Dovendosi rispettare, per i limiti imposti dalla delega, il compasso edittale 50 milioni/3 miliardi di lire, le singole cornici di “parte speciale” dovrebbero subire una significativa compressione (con un minimo ed un massimo estremamente “ravvicinati”), idonea a garantire che il ricorso all’aumento sino al triplo o la diminuzione dei un terzo non provochi uno “sforamento” verso l’alto o verso il basso dei limiti indicati dalla delega.

È di intuitiva evidenza, però, che un’eccessiva compressione delle forbici edittali dei singoli illeciti rischia di irrigidire il sistema sanzionatorio sul versante della traduzione normativa del disvalore generale ed astratto da ricondurre a ciascuna violazione di parte speciale (con il paradosso di dover costruire minimi edittali magari troppo elevati e massimi, per contro, attestati su una anodina soglia media).

Per operare con una qualche efficacia, il meccanismo in esame dovrebbe contemplare la possibilità di scavalcare sia verso l’alto che verso il basso i limiti edittali imposti dalla delega. Opzione, questa, da scartare per ragioni facilmente intuibili.

Il sistema “per quote” delineato nello schema di decreto prende dunque atto dell’impossibilità di riprodurre la soluzione delineata nel codice penale, ma muove pur sempre dall’intento di salvaguardare l’istanza adeguatrice presente nell’articolo 133-bis del codice penale e di valorizzarne l’efficacia operativa, attraverso un cambiamento del paradigma applicativo che riconosca autonomia alla fase della valutazione delle condizioni economiche e patrimoniali dell’ente.

Istanza adeguatrice che si atteggia in modo se possibile più pressante nel contesto della responsabilità sanzionatoria degli enti collettivi.

A ben vedere, essa condiziona decisivamente il grado di afflittività e di efficacia delle sanzioni pecuniarie e, dunque, l’equilibrio complessivo del sistema. La realtà economica del nostro paese è caratterizzata da realtà imprenditoriali assai diversificate, in cui convivono piccole e medie imprese accanto a mega-gruppi industriali e multinazionali.

Prescindere da questa trama economico-sociale, significa aprire il campo ad un modello di responsabilità cieco, che parla lo stesso linguaggio a soggetti estremamente differenziati, provvisti di un diverso coefficiente di reattività e di sopportabilità dinanzi ai costi imposti dalla sanzione.

È chiaro, infatti, che, a parità di gravità complessiva di un illecito, la sanzione commisurata solo su un tale coefficiente potrebbe risultare estremamente gravosa, fino al limite della non-sopportabilità economica, per un ente di piccole dimensioni, e rivelarsi per contro ineffettiva nei confronti di un ente di grandi dimensioni, munito di ragguardevoli risorse economiche e patrimoniali. In definitiva, la scelta del modello commisurativo conforma la l’efficacia della sanzione.

Per queste ragioni, il Governo ha adottato, nell’articolo 10, un modello commisurativo “per quote”, che ricalca, solo in parte, il sistema dei “tassi giornalieri” collaudato con successo in molti paesi europei (si pensi, per tutti, al Tagessatzsystem tedesco). La disciplina privilegiata nel decreto mutua dal sistema per tassi giornalieri la struttura bifasica.

Viene all’opera, infatti, una duplice scansione: dapprima, il giudice determina l’ammontare del numero delle quote sulla scorta dei tradizionali indici di gravità dell’illecito; poi, determina il valore monetario della singola quota tenendo conto delle condizioni economiche dell’ente.

L’intera operazione si risolve nel combinarsi aritmetico di un moltiplicatore fissato dal fatto illecito con un moltiplicando ricavato dalla capacità economica dell’ente. Il tutto avviene nel rigoroso rispetto dell’ammontare minimo e massimo della sanzione pecuniaria fissato dalla delega. Così, si è previsto, nel comma 2 dell’articolo 10, che la sanzione pecuniaria viene applicata per quote non inferiori a cento né superiori a mille.

Questa banda di oscillazione costituisce il riferimento a cui attingere nella parte speciale per concretizzare le comminatorie editali per i singoli illeciti (ad esempio: per l’illecito relativo a un certo reato, è prevista la sanzione pecuniaria da duecento a seicento quote). Nel secondo comma della stessa disposizione, si stabilisce che l’importo di una singola quota va da un minimo di lire cinquecentomila ad un massimo di tre milioni.

L’importo della singola quota  lo si vedrà meglio tra breve  è funzionale all’adeguamento della sanzione alle condizioni economiche e patrimoniali dell’ente. Rispetto all’articolo 133-bis del codice penale che - come si è detto - prevede un aumento della pena pecuniaria fino al triplo o una diminuzione di un terzo, nel paradigma “per quote” il valore di ciascuna quota presenta un rapporto da “uno a sei” (cinquecentomila lire/tre milioni), evidentemente più ampio rispetto al modello penalistico: questa maggiore oscillazione serve proprio a garantire un adeguamento effettivo alla condizione dell’ente, in considerazione del carattere estremamente variegato della realtà economica dell’impresa nel nostro paese.

 

Rassegna di giurisprudenza

Applicazione di sanzioni pecuniarie e responsabilità degli enti

Con il D. Lgs. 37/2016, il legislatore nazionale ha dato attuazione alla Decisione quadro 2005/214/GAI, con la quale gli Stati membri dell’UE hanno fissato – disciplinandone l’operatività – il principio del reciproco riconoscimento delle decisioni applicative di sanzioni pecuniarie, quale ulteriore strumento di cooperazione giudiziaria nell’Unione tanto in materia civile quanto in materia penale, testualmente “al fine di facilitare l’esecuzione di dette sanzioni in uno Stato membro diverso dallo Stato in cui sono state comminate” (v. il Considerando n. 2 della predetta Decisione quadro).

Come si evince dalla lettura della Decisione quadro e del Decreto 37/2016 che vi ha dato attuazione, il riconoscimento della decisione straniera – poggiando sul reciproco affidamento fra gli ordinamenti dei Paesi membri – non è subordinato alla condizione che l’ordinamento processuale straniero e quello italiano siano del tutto simili o assimilabili e che la decisione cui sarà data esecuzione in Italia sia stata resa all’esito di un giudizio disciplinato da regole procedurali sovrapponibili a quelle dello Stato membro di esecuzione.

Proprio per prevenire possibili ostacoli di natura processuale derivanti dalle disomogeneità nella previsione delle autorità competenti ad applicare le diverse pene pecuniarie, il legislatore comunitario ha, inoltre, espressamente previsto che possano essere riconosciute le decisioni applicative di sanzioni pecuniarie rese tanto dall’autorità giudiziaria, quanto dall’autorità amministrativa, ed in senso conforme si è orientato il legislatore nazionale nell’art. 2 D. Lgs. 37/2016.

Secondo la disciplina tracciata dalla legislazione comunitaria e nazionale, ai fini del riconoscimento della decisione straniera, non hanno alcun rilievo eventuali errores in iudicando o in procedendo in ipotesi compiuti nel procedimento celebrato dinanzi all’autorità richiedente, né vizi dell’apparato argomentativo della decisione stessa, salvo si tratti di difetti così radicali che impediscano di effettuare il vaglio del collegio distrettuale sugli aspetti rilevanti e strumentali al riconoscimento a mente del Decreto 37/2016, ovvero ricorra uno degli specifici motivi di rifiuto previsti dalla legge.

Per un verso, la Decisione quadro prevede che non si faccia luogo al riconoscimento nel caso in cui ricorrano “elementi oggettivi per ritenere che le sanzioni pecuniarie si prefiggono di punire una persona per motivi di sesso, razza, religione, origine etnica, nazionalità, lingua, opinione politica o tendenze sessuali, oppure che la posizione di tale persona possa risultare pregiudicata per uno di tali motivi” (Considerando n. 5 alla Decisione quadro 2005/214/GAI); che nulla “osta a che gli Stati membri applichino le loro norme costituzionali relative al giusto processo, alla libertà di associazione, alla libertà di stampa e alla libertà di espressione negli altri mezzi di comunicazione” (Considerando n. 6 della stessa Decisione quadro) e che comunque la decisione quadro “non modifica l’obbligo di rispettare i diritti fondamentali e i principi giuridici fondamentali sancito dall’articolo 6 del trattato” (v. art. 3 della stessa Decisione quadro e conforme art. 1 D. Lgs. 37/2016).

In conclusione, l’art. 2 D. Lgs. 37/2016 consente – in perfetta armonia con le indicazioni del legislatore comunitario – il riconoscimento delle decisioni emesse non soltanto dall’autorità giudiziaria, ma anche dall’autorità amministrativa, e dunque in caso di sanzioni pecuniarie conseguenti non solo da “reato”, ma anche da illecito amministrativo.

Costituisce pertanto aspetto del tutto irrilevante ai fini del riconoscimento sub iudice che la violazione al codice della strada in oggetto costituisca, nell’ordinamento straniero, soltanto una violazione amministrativa anziché un “reato”. D’altra parte, non è revocabile in dubbio che, a prescindere dalla natura dell’illecito, l’infrazione posta a base della decisione olandese consenta il riconoscimento.

Ed invero, l’art. 10, comma 1 lett. nn) del citato Decreto, prevede espressamente  in conformità all’art. 5 della Decisione quadro 2005/214/GAI  che possa disporsi il riconoscimento indipendentemente dalla doppia incriminazione, e dunque dalla previsione quale reato, in caso di decisione applicativa di una sanzione pecuniaria per una violazione al codice della strada. Nulla rileva, pertanto, che l’omologa violazione del codice della strada (eccesso di velocità) oggetto della decisione, costituisca in Italia soltanto un illecito amministrativo.

Né, infine, può ritenersi di ostacolo al riconoscimento la circostanza che la decisione sia stata resa nei confronti di una persona giuridica, anziché di una persona fisica. Non v’è dubbio che, nel nostro ordinamento, la “responsabilità amministrativa” delle persone giuridiche sia soggetta – giusta la disciplina del D. Lgs. 231/2001 – a rigorosi presupposti, là dove può derivare soltanto da una rosa tassativa di reati (quelli previsti dagli artt. 24 e seguenti dello stesso decreto) e richiede l’esistenza di specifiche condizioni e criteri di imputazione della responsabilità all’ente (puntualmente definiti dagli artt. 5 - 7 dello stesso decreto).

Nondimeno, tale disciplina non costituisce impedimento normativo al riconoscimento della decisione applicativa di una sanzione pecuniaria nei confronti di una persona giuridica che sia stata resa dall’autorità giudiziaria o amministrativa di uno Stato membro in conformità alla Decisione quadro 2005/214/GAI e, dunque, in ossequio al principio del mutuo riconoscimento delle decisioni applicative di sanzioni pecuniarie nell’ambito della cooperazione giudiziaria fra gli Stati dell’UE.

Come si è già notato, il legislatore comunitario e, di conseguenza, il legislatore nazionale – entrambi intervenuti dopo l’entrata in vigore del Decreto 231 – hanno espressamente previsto che possano essere oggetto di riconoscimento anche le decisioni applicative di una sanzione pecuniaria nei confronti di una “persona giuridica”. In termini inequivocabili, l’art. 9, comma 3, della Decisione quadro dispone che “La sanzione pecuniaria inflitta ad una persona giuridica riceve esecuzione anche se lo Stato di esecuzione non ammette il principio della responsabilità penale delle persone giuridiche”, di tal che – a maggior ragione – la sanzione può essere eseguita quando l’ordinamento (come appunto il nostro) già preveda detta responsabilità, sia pure formalmente denominata quale “amministrativa” e soggetta a rigorosi criteri di operatività.

Ne discende che il riconoscimento della decisione applicativa di una sanzione pecuniaria nei confronti di una società è subordinato alle sole condizioni previste dal D. Lgs. 37/2016, e, dunque, prescinde dai presupposti e dai limiti di cui al D. Lgs. 231/2001 (Sez. 6, 22334/2018).