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Art. 11 - Criteri di commisurazione della sanzione pecuniaria

1. Nella commisurazione della sanzione pecuniaria il giudice determina il numero delle quote tenendo conto della gravità del fatto, del grado della responsabilità dell’ente nonché dell’attività svolta per eliminare o attenuare le conseguenze del fatto e per prevenire la commissione di ulteriori illeciti.

2. L’importo della quota è fissato sulla base delle condizioni economiche e patrimoniali dell’ente allo scopo di assicurare l’efficacia della sanzione.

3. Nei casi previsti dall’articolo 12, comma 1, l’importo della quota è sempre di euro 103 (lire duecentomila).

Stralcio della relazione ministeriale di accompagnamento al D. Lgs. 231/2001

Il successivo articolo 11, dedicato ai criteri commisurativi, stabilisce che il numero delle quote, in sede di individuazione della sanzione pecuniaria, viene determinato dal giudice sulla scorta della gravità del fatto (poniamo, ad esempio, 500 quote con riferimento ad un illecito di media gravità oggettiva e soggettiva, per il quale fosse prevista la sanzione da quattrocento a ottocento quote).

Per determinare il valore monetario della singola quota il giudice tiene conto delle condizioni economiche e patrimoniali dell’ente, allo scopo di assicurare l’efficacia della sanzione (così, nell’esempio posto, il giudice determinerà l’importo della quota orientandosi verso il minimo  pari a cinquecentomila lire  se ha a che fare con un ente di ridotte capacità economiche; o verso il massimo, nel caso contrario).

La somma finale è frutto della moltiplicazione tra l’importo della singola quota e il numero complessivo delle quote che cristallizzano il disvalore dell’illecito.

Sul versante del rapporto di compatibilità di un tale sistema con la delega, è agevole notare che esso rispetta i vincoli imposti da quest’ultima. Il numero delle quote e l’importo minimo e massimo stabilito per la singola quota fanno sì che, da un lato il limite minimo di cinquanta milioni di lire imposto dalla delega corrisponda all’importo della quota minima (cioè alla condanna a cento quote, in cui l’importo della singola quota viene fissato dal giudice in lire cinquecento mila); dall’altro lato, anche il limite massimo imposto dalla delega (pari a tre miliardi di lire) coincide con l’importo massimo attribuito alla singola quota (tre milioni di lire) moltiplicato per il numero massimo di quote irrogabili (pari a mille).

I valori prescelti sembrano dunque valorizzare la teleologia del sistema sanzionatorio pecuniario: permettono, infatti, di apprezzare la gravità dell’illecito secondo la tradizionale logica commisurativa (che sfocia nella determinazione del numero complessivo delle quote irrogate) e, successivamente, di calibrare l’efficacia della sanzione alle condizioni economiche e patrimoniali dell’ente (attraverso l’individuazione dell’importo della singola quota).

Più concretamente: a parità di disvalore di un illecito amministrativo dipendente, ad esempio, dal reato di corruzione, punito in concreto con l’irrogazione di una sanzione pari a quattrocento quote, il giudice dovrà determinare il valore della singola quota sulla scorta delle condizioni economiche dell’ente per assicurare l’equilibrio e l’efficacia della sanzione. Individuando detto valore in lire cinquecentomila (perché si ha a che fare con un ente di ridottissime capacità economiche e patrimoniali), la condanna ammonterà a duecento milioni di lire; se, invece, le ragguardevoli condizioni economiche dell’ente suggeriscono di attestarsi sul massimo del valore della quota (pari a tre milioni), la condanna ammonterà a un miliardo e duecento milioni di lire.

Per un ente che denoti condizioni intermedie, il giudice potrà stimare, ad esempio, il valore della quota in un milione e cinquecentomila lire, così da condannarlo alla somma complessiva di lire seicento milioni.

Il risultato è, dunque, quello di un sistema sanzionatorio in cui la commisurazione giudiziale risulta maggiormente conformata e trasparente, che si pone in apprezzabile sintonia con le finalità della sanzione.

Quanto alle modalità di accertamento delle condizioni economiche e patrimoniali dell’ente, il giudice potrà avvalersi dei bilanci o delle altre scritture comunque idonee a fotografare tali condizioni. In taluni casi, la prova potrà essere conseguita anche tenendo in considerazioni le dimensioni dell’ente e la sua posizione sul mercato.

Più in generale, per fugare allarmismi in ordine alla difficoltà di tali accertamenti, va ricordato che la responsabilità degli enti presuppone la mancata adozione dei modelli di prevenzione, sì che per verificare questo estremo il giudice non potrà comunque fare a meno di calarsi, con l’ausilio di consulenti, nella realtà dell’impresa, dove potrà attingere anche le informazioni relative allo stato di solidità economica, finanziaria e patrimoniale dell’ente.

Quello delineato nel decreto non è ovviamente – lo si era anticipato – un sistema per quote giornaliere “puro”, come quello adottato in altri paesi europei. Non lo è perché, negli altri paesi, il modello per quote fa della sanzione pecuniaria una sanzione “di durata”, adeguata alle possibilità del condannato di farvi fronte in un certo periodo di tempo e, perciò, destinato a rivelarsi incompatibile con un sistema, come quello prefigurato nel decreto, che si ispira comunque a valori assoluti, compresi tra un minimo ed un massimo.

Tuttavia, l’introduzione, senz’altro innovativa, nel nostro ordinamento di un sistema “per quote”, sia pure nell’orbita di un decreto che detta valori assoluti, permette, come si è visto, di orientare e vincolare la commisurazione della pena entro una cornice dotata di maggiore equilibrio ed efficacia. Il ricorso al tradizionale modello commisurativo rischia di incrementare in modo eccessivo la discrezionalità del giudice e, perciò, di fomentare commisurazioni corrive, in cui una sanzione pecuniaria risulta magari perfettamente adeguata alla gravità dell’illecito sulla carta, ma inefficace o iper-efficace in concreto, vuoi perché destinata a non incidere significativamente sulle “sostanze” dell’ente (che la percepisce alla stregua di un costo facilmente sopportabile e scaricabile all’esterno), vuoi perché produttiva di effetti dirompenti verso una piccola societas.”

 

Rassegna di giurisprudenza

È corretta, e incensurabile in sede di legittimità, la commisurazione della sanzione che tenga conto della gravità del fatto, del grado di responsabilità dell’ente, dell’attività svolta per eliminare o attenuare le conseguenze del fatto e delle condizioni economiche e patrimoniali dell’ente.

Tale sanzione è altrettanto correttamente aumentata ex art. 21, essendosi in presenza di una pluralità di illeciti, e poi ridotta a norma dell’art. 12, comma 2, essendo avvenuto il risarcimento del danno. Non essendovi tuttavia prova del fatto che la società abbia adottato un MOG idoneo ad impedire altri reati, correttamente è stata esclusa la maggiore riduzione prevista dall’art. 12, comma 3.

A fronte di tali dati pacifici, del tutto generica si mostra la censura elevata dalla ricorrente, che si limita ad affermare la sussistenza di una situazione patrimoniale della società incerta e critica, senza tuttavia offrire alcuna prova concreta di tale asserzione, né allegare, anche ai fini dell’autosufficienza del ricorso, alcun documento che possa deporre in tal senso (Sez. 4, 49593/2018).

La graduazione della sanzione, anche in relazione agli aumenti ed alle diminuzioni previsti dall’articolo 21 in conseguenza della pluralità di illeciti commessi, rientra nella discrezionalità del giudice di merito, che la esercita, così come per fissare la pena base, in aderenza ai principi enunciati dagli artt. 11 e 12; ne discende che è inammissibile la censura che, nel giudizio di cassazione, miri ad una nuova valutazione della congruità della pena la cui determinazione non sia frutto di mero arbitrio o di ragionamento illogico che – nel caso di specie – non ricorre.

Invero, una specifica e dettagliata motivazione in ordine alla determinazione della quota e alla parametrazione della sanzione, è necessaria soltanto se la pena sia di gran lunga superiore alla misura media di quella edittale, potendo altrimenti essere sufficienti a dare conto dell’impiego dei criteri di cui agli artt. 11 e 12 citati il riferimento alla congruità della pena, come pure il richiamo alla gravità del fatto, alla sussistenza – al momento dell’illecito – di situazioni qualificanti il grado di responsabilità dell’ente quali ad esempio la presenza o assenza di un MOG, come puntualmente avvenuto nel caso in oggetto (Sez. 2, 26521/2017).