x

x

Art. 12 - Casi di riduzione della sanzione pecuniaria

1. La sanzione pecuniaria è ridotta della metà e non può comunque essere superiore a euro 103.291 (lire duecento milioni) se:

a) l’autore del reato ha commesso il fatto nel prevalente interesse proprio o di terzi e l’ente non ne ha ricavato vantaggio o ne ha ricavato un vantaggio minimo;

b) il danno patrimoniale cagionato è di particolare tenuità;

2. La sanzione è ridotta da un terzo alla metà se, prima della dichiarazione di apertura del dibattimento di primo grado:

a) l’ente ha risarcito integralmente il danno e ha eliminato le conseguenze dannose o pericolose del reato ovvero si è comunque efficacemente adoperato in tal senso;

b) è stato adottato e reso operativo un modello organizzativo idoneo a prevenire reati della specie di quello verificatosi.

3. Nel caso in cui concorrono entrambe le condizioni previste dalle lettere del precedente comma, la sanzione è ridotta dalla metà ai due terzi.

4. In ogni caso, la sanzione pecuniaria non può essere inferiore a euro 10.329 (lire venti milioni).

Stralcio della relazione ministeriale di accompagnamento al D. Lgs. 231/2001

5.2. I casi di riduzione della sanzione pecuniaria.

La legge delega, nella consapevolezza della ragguardevole forbice edittale che conforma la sanzione pecuniaria, ha delegato il governo a prevedere casi di riduzione della sanzione quando si è in presenza di fatti di particolare tenuità ovvero di condotte riparatorie da parte dell’ente.

Questa scelta si presenta ampiamente condivisibile, perché recupera maggiore flessibilità ed equità al sistema, specie in presenza di situazioni che attenuano sensibilmente il bisogno di pena legato alla commissione degli illeciti.

La riduzione di pena per la particolare tenuità del fatto viene disciplinata nell’articolo 12, comma 1, lettere a) e b). La riduzione di pena è pari alla metà della sanzione pecuniaria che verrebbe irrogata dal giudice e la sanzione da applicare per effetto della riduzione non potrà comunque essere superiore a duecento milioni né inferiore a venti (in coerenza con quanto si prevede nella legge delega).

La prima ipotesi di fatto tenue coinvolge interamente lo spessore lesivo dell’illecito amministrativo dell’ente. Essa sussiste quando l’autore del reato lo ha commesso nel prevalente interesse proprio o di terzi e l’ente non ne ha ricavato alcun vantaggio, oppure un vantaggio minimo (come è noto, se il reato è commesso dall’autore nell’esclusivo interesse proprio o di terzi, quest’ultimo non soggiace ad alcuna forma di responsabilità).

La particolare tenuità ha ad oggetto non il reato, che potrebbe essere tutt’altro che lieve, ma l’illecito dell’ente, segnatamente il suo grado di coinvolgimento nell’illecito: coinvolgimento minimo sia sul versante della colpevolezza, atteso che l’autore del reato ha agito per un interesse prevalentemente personale o di terzi, sia sul versante oggettivo, visto che nessun vantaggio, o comunque un vantaggio minimo, è stato ricavato dall’ente.

La seconda ipotesi di riduzione si fonda sulla particolare tenuità del danno patrimoniale. Si tratta di una formulazione che non abbisogna di dettagliate chiarificazioni, vantando più di un precedente nella legislazione penale codicistica e non. La riduzione trova inoltre una sicura legittimazione sul versante criminologico, atteso che i reati che incardinano la responsabilità amministrativa dell’ente affondano le loro radici nel profitto.

Di conseguenza, può ben riconoscersi un’attenuazione della sanzione pecuniaria quando il reato e l’illecito che ne dipende hanno provocato un danno particolarmente tenue.

La previsione di casi di riduzione della sanzione pecuniaria per la particolare tenuità del fatto impone tuttavia di derogare, sia pure in parte, all’ordinario regime di commisurazione della sanzione previsto dall’articolo 11.

La deroga coinvolge l’importo della quota, cioè il criterio funzionalmente collegato alla capacità economica e patrimoniale dell’ente.

Una volta appurato che il fatto è di particolare tenuità, ha poco senso una commisurazione orientata sulla condizione economica dell’ente: un illecito di esiguo disvalore merita una risposta sanzionatoria parimenti esigua, qualunque ente sia stato a commetterlo. In questi casi, il riferimento alle condizioni economiche e patrimoniali dell’ente è del tutto superfluo: quello che conta è commisurare la sanzione al grado di tenuità dell’illecito.

Si è così provveduto, nel terzo comma dell’articolo 11, a stabilire che, in tutti i casi di particolare tenuità, l’importo della quota deve attestarsi invariabilmente sul minimo, pari, in questo caso, non già a lire cinquecentomila, bensì a lire duecentomila, visto che la delega prevede che possa irrogarsi una sanzione non inferiore a lire venti milioni e, dunque, minore di quella prevista in via generale come limite minimo delle cornici edittali (che ammonta a lire cinquanta milioni).

In tal modo viene sterilizzata la possibilità di orientare la sanzione sulla capacità economica dell’ente; restano fermi, ovviamente, la commisurazione della sanzione in punto di individuazione del numero delle quote, da effettuare secondo i criteri di cui al comma 1 della citata disposizione, e i limiti inferiori e superiori della sanzione pecuniaria irrogabile nei confronti dell’ente, a norma dell’articolo 12, commi 1 e 4.

Nel comma 2 dell’articolo 12, viene disciplinata una ulteriore ipotesi di riduzione di pena, legata al compimento di condotte riparatorie. La riduzione va da un terzo alla metà della sanzione pecuniaria se l’ente, prima dell’apertura del dibattimento, dimostra di aver risarcito il danno e di aver eliminato le conseguenze dannose o pericolose del reato o che comunque si è efficacemente adoperato in entrambe le direzioni.

L’integrazione dell’attenuante è condizionata all’esistenza di due requisiti. Il primo, di ordine temporale, postula che l’attività riparatoria sia stata realizzata entro un determinato termine, da rinvenire nella fase antecedente all’apertura del giudizio di primo grado.

L’individuazione del termine è funzionale all’esigenza che la condotta riparatoria, come condotta antagonistica rispetto all’offesa, avvenga entro un lasso di tempo che, seppure non immediatamente prossimo alla commissione del fatto, non risulti troppo diluito nel tempo così da vanificare il valore insito nella tempestiva e riconoscibile attività di operosa resipiscenza meritevole di sanzione positiva.

Il secondo requisito concerne la sfera delle attività riparatorie: queste debbono abbracciare non solo il risarcimento del danno ma anche le conseguenze dannose o pericolose del reato. Peraltro, è parso giusto tenere conto del fatto che, in alcuni casi, un integrale adempimento dell’obbligo risarcitorio e riparatorio non è possibile, magari perché l’ente, a causa delle sue condizioni economiche, non è in grado di poter adempiere integralmente.

La soluzione proposta nella lettera a) del comma 2 dell’articolo 12 è quella di riconoscere comunque la riduzione di pena a condizione che l’ente si sia efficacemente adoperato in direzione del risarcimento e della riparazione, abbia cioè compiuto tutti gli sforzi concretamente esigibili.

Il secondo caso di riduzione della sanzione da un terzo alla metà opera a beneficio dell’ente che, prima del giudizio, abbia adottato e reso operativi i modelli di prevenzione del reato disciplinati dagli articoli 6 e 7. Si tratta anche in questo caso di una condotta lato sensu iscrivibile al genere delle condotte riparatorie, atteso che l’adozione dei modelli organizzativi, ove efficace, è in grado di disinnescare o ridurre sensibilmente il rischio della commissione di reati.

Si prevede, infine, un abbattimento della sanzione pecuniaria dalla metà ai due terzi se concorrono il compimento delle attività risarcitorie e riparatorie poc’anzi illustrate e l’adozione dei modelli di prevenzione dei reati. 

In tutti i casi di riduzione della sanzione previsti dall’articolo 12, la sanzione pecuniaria non potrà comunque scendere al di sotto di lire venti milioni.

 

Rassegna di giurisprudenza

È corretta, e incensurabile in sede di legittimità, la commisurazione della sanzione che tenga conto della gravità del fatto, del grado di responsabilità dell’ente, dell’attività svolta per eliminare o attenuare le conseguenze del fatto e delle condizioni economiche e patrimoniali dell’ente.

Tale sanzione è altrettanto correttamente aumentata ex art. 21, essendosi in presenza di una pluralità di illeciti, e poi ridotta a norma dell’art. 12, comma 2, essendo avvenuto il risarcimento del danno.

Non essendovi tuttavia prova del fatto che la società abbia adottato un MOG idoneo ad impedire altri reati, correttamente è stata esclusa la maggiore riduzione prevista dall’art. 12, comma 3.

A fronte di tali dati pacifici, del tutto generica si mostra la censura elevata dalla ricorrente, che si limita ad affermare la sussistenza di una situazione patrimoniale della società incerta e critica, senza tuttavia offrire alcuna prova concreta di tale asserzione, né allegare, anche ai fini dell’autosufficienza del ricorso, alcun documento che possa deporre in tal senso (Sez. 4, 49593/2018).

Gli artt. 12 comma 1 e 13 che, rispettivamente, prevedono una diminuzione delle sanzioni pecuniarie e l’inapplicabilità di quelle interdittive nell’ipotesi in cui il reato presupposto venga commesso nel prevalente interesse del suo autore o di terzi e l’ente non ne abbia ricavato alcun vantaggio ovvero un vantaggio minimo, confermano che, nel sistema delineato dal legislatore delegato, il reato presupposto può essere funzionale al soddisfacimento dell’interesse concorrente di una pluralità di soggetti e può, pertanto, essere un interesse “misto” (Sez. 5, 38243/2018).

La graduazione della sanzione, anche in relazione agli aumenti ed alle diminuzioni previsti dall’articolo 21 in conseguenza della pluralità di illeciti commessi, rientra nella discrezionalità del giudice di merito, che la esercita, così come per fissare la pena base, in aderenza ai principi enunciati dagli artt. 11 e 12; ne discende che è inammissibile la censura che, nel giudizio di cassazione, miri ad una nuova valutazione della congruità della pena la cui determinazione non sia frutto di mero arbitrio o di ragionamento illogico che – nel caso di specie – non ricorre. Invero, una specifica e dettagliata motivazione in ordine alla determinazione della quota e alla parametrazione della sanzione, è necessaria soltanto se la pena sia di gran lunga superiore alla misura media di quella edittale, potendo altrimenti essere sufficienti a dare conto dell’impiego dei criteri di cui agli artt. 11 e 12 citati il riferimento alla congruità della pena, come pure il richiamo alla gravità del fatto, alla sussistenza – al momento dell’illecito – di situazioni qualificanti il grado di responsabilità dell’ente quali ad esempio la presenza o assenza di un MOG, come puntualmente avvenuto nel caso in oggetto (Sez. 2, 26521/2017).

Non può essere concessa la circostanza attenuante di cui all’art. 12 lettere a) e b) se il danno è grave e il profitto rilevante (Tribunale di Milano, 28 dicembre 2011).

Deve essere ridotta, ai sensi dell’art. 12, la sanzione pecuniaria irrogata nei confronti di una società a titolo di responsabilità amministrativa per il reato di istigazione alla corruzione commesso dal suo legale rappresentante, qualora l’ente, prima dell’apertura del dibattimento abbia integralmente risarcito il danno alla pubblica amministrazione e abbia adottato un modello organizzativo idoneo a prevenire la commissione di ulteriori reati (Tribunale di Pordenone, 4 novembre 2002).

Non è configurabile nei confronti dell’ente l’attenuante del risarcimento del danno di cui all’art. 12, comma 2, lett. a) qualora il risarcimento sia stato operato dalla persona fisica imputata del reato presupposto (Sez. 6, 36083/2009).

La mancanza di idonei accorgimenti strumentali a prevenire in futuro la commissione di reati della stessa specie di quelli precedentemente realizzati non consente di valutare positivamente il modello organizzativo adottato ex novo dalla società ai fini della riduzione della sanzione pecuniaria ex art. 12, comma 2 (Tribunale di Taranto, 25 marzo 2014).