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Art. 25-bis - Falsità in monete, in carte di pubblico credito, in valori di bollo e in strumenti o segni di riconoscimento [17] [12] [13]

1. In relazione alla commissione dei delitti previsti dal codice penale in materia di falsità in monete, in carte di pubblico credito, in valori di bollo e in strumenti o segni di riconoscimento, si applicano all’ente le seguenti sanzioni pecuniarie: [14]

a) per il delitto di cui all’articolo 453 la sanzione pecuniaria da trecento a ottocento quote;

b) per i delitti di cui agli articoli 454, 460 e 461 la sanzione pecuniaria fino a cinquecento quote;

c) per il delitto di cui all’articolo 455 le sanzioni pecuniarie stabilite dalla lettera a), in relazione all’articolo 453, e dalla lettera b), in relazione all’articolo 454, ridotte da un terzo alla metà;

d) per i delitti di cui agli articoli 457 e 464, secondo comma, le sanzioni pecuniarie fino a duecento quote;

e) per il delitto di cui all’articolo 459 le sanzioni pecuniarie previste dalle lettere a), c) e d) ridotte di un terzo;

f) per il delitto di cui all’articolo 464, primo comma, la sanzione pecuniaria fino a trecento quote;

f-bis) per i delitti di cui agli articoli 473 e 474, la sanzione pecuniaria fino a cinquecento quote. [15]

2. Nei casi di condanna per uno dei delitti di cui agli articoli 453, 454, 455, 459, 460, 461, 473 e 474 del codice penale, si applicano all’ente le sanzioni interdittive previste dall’articolo 9, comma 2, per una durata non superiore ad un anno. [16]

[12] Articolo inserito dall’art. 6, comma 1, D.L. 25 settembre 2001, n. 350, convertito, con modificazioni, dalla L. 23 novembre 2001, n. 409.

[13] A norma dell’art. 52-quinquies, comma 1, D.Lgs. 24 giugno 1998, n. 213, come inserito dall’art. 4, comma 1, D.L. 25 settembre 2001, n. 350, convertito, con modificazioni, dalla L. 23 novembre 2001, n. 409, ai delitti previsti dal presente articolo aventi ad oggetto banconote, monete metalliche in euro e valori di bollo espressi in euro non aventi ancora corso legale, si applicano le sanzioni pecuniarie stabilite diminuite di un terzo; tale diminuzione non opera nei casi di falsificazione quando il colpevole ha posto in circolazione le monete o i valori di bollo successivamente al 31 dicembre 2001.

[14] Alinea così modificato dall’art. 15, comma 7, lett. a), n. 1), L. 23 luglio 2009, n. 99.

[15] Lettera aggiunta dall’art. 15, comma 7, lett. a), n. 2), L. 23 luglio 2009, n. 99.

[16] Comma così modificato dall’art. 15, comma 7, lett. a), n. 3), L. 23 luglio 2009, n. 99.

[17] Rubrica così sostituita dall’art. 15, comma 7, lett. a), n. 4), L. 23 luglio 2009, n. 99.

Elenco dei reati richiamati dalla norma

Art. 453 CP (Falsificazione di monete, spendita e introduzione nello Stato, previo concerto, di monete falsificate)

Art. 454 CP (Alterazione di monete)

Art. 455 CP (Spendita e introduzione nello Stato, senza concerto, di monete falsificate)

Art. 457 CP (Spendita di monete falsificate ricevute in buona fede)

Art. 459 CP (Falsificazione di valori di bollo, introduzione nello Stato, acquisto, detenzione o messa in circolazione di valori di bollo falsificati)

Art. 460 CP (Contraffazione di carta filigranata in uso per la fabbricazione di carte di pubblico credito o di valori di bollo)

Art. 461 CP (Fabbricazione o detenzione di filigrane o di strumenti destinati alla falsificazione di monete, di valori di bollo o di carta filigranata)

Art. 473 CP (Contraffazione, alterazione o uso di segni distintivi di opere dell’ingegno o di prodotti industriali)

Art. 474 CP (Introduzione nello Stato e commercio di prodotti con segni falsi)

 

Rassegna di giurisprudenza

Falso nummario

Il reato di detenzione o spendita, previo concerto, di banconote falsificate, di cui all’art 453 CP, si distingue da quello - meno grave - di acquisto o detenzione senza concerto previsto dall’art. 455 CP, perché il primo richiede un rapporto anche mediato tra fabbricanti e spenditori di banconote false, non contemplato dalla seconda fattispecie incriminatrice.

Così si legge, ad esempio, in Sez. 6, 3013/1996: “A configurare l’ipotesi criminosa della spendita di monete falsificate, previo concerto con chi ha eseguito la falsificazione o con un intermediario, è sufficiente una qualsiasi intesa, anche mediata attraverso più soggetti, a nulla rilevando che gli intermediari possono essere più o meno vicini ai falsificatori e che questi ultimi ed altri precedenti intermediari siano rimasti ignoti.

Il “previo concerto”, d’altro canto, può desumersi in via indiziarla dalla quantità delle banconote oggetto dell’azione, dalla frequenza e dalla ripetitività dei rapporti di fornitura”. In senso conforme: Sez. 5, 26189/2010, secondo la quale: “Ai fini della configurazione del delitto di spendita di monete falsificate, nella specie buoni del Tesoro, (art. 453, comma 3 CP), previo concerto con colui che ha eseguito fa falsificazione o con un intermediario, è sufficiente una qualsiasi intesa, anche mediata attraverso più soggetti, a nulla rilevando che gli intermediari possono essere più o meno vicini ai falsificatori e che questi ultimi e altri precedenti intermediari siano rimasti ignoti.

Il “previo concerto”, d’altro canto, può desumersi in via indiziaria dalla quantità delle banconote oggetto dell’azione, dalla frequenza e dalla ripetitività dei rapporti di fornitura.

Né, in tal caso, ricorre la più lieve ipotesi di cui all’art. 455 (spendita e introduzione nello Stato, senza concerto, di monete falsificate), per l’integrazione della quale non si richiede l’intesa fra il falsificatore e lo spenditore, ancorché realizzata attraverso l’opera di uno o più mediatori, essendo sufficiente la scienza della falsità al momento dell’acquisto” (decisioni richiamata da Sez. 5, 34994/2016).

In tema di falso nummario, il “concerto  che caratterizza il reato di cui all’art. 453, comma primo, n. 3, CP, distinguendolo dall’ipotesi più lieve di cui all’art. 455 CP   può essere desunto dalle modalità di confezionamento delle banconote detenute, dal luogo di rinvenimento delle stesse nonché dalle inverosimili spiegazioni fornite dall’imputato (Sez. 5, 11092/2015); è peraltro sufficiente una qualsiasi intesa, anche mediata attraverso più soggetti, a nulla rilevando che gli intermediari possono essere più o meno vicini ai falsificatori e che questi ultimi e altri precedenti intermediari siano rimasti ignoti (Sez. 7, 40155/2018).

In tema di falso nummario   il numero, ancorché rilevante, di banconote, non è sufficiente ad integrare da solo la prova del previo concerto, anche mediato, dell’agente con colui che ha eseguito la falsificazione, costitutivo della fattispecie incriminatrice di cui all’art. 453 CP, ma è necessaria la presenza di più indizi sintomatici del concerto e, quindi, ad esempio, oltre al numero delle banconote, la frequenza e ripetitività delle forniture (Sez. 5, 54482/2018).

 

Falsificazione di valori di bollo, introduzione nello Stato, acquisto, detenzione o messa in circolazione di valori di bollo falsificati

Al fine della sussistenza del delitto di cui all’art. 459 CP, la messa in circolazione si identifica con il compimento di qualsiasi attività con la quale il detentore intenda trasferire ad altri il valore di bollo contraffatto; e l’intendimento può essere dimostrato dal fatto stesso della detenzione, senza necessità della accettazione dell’eventuale interessato all’acquisto allorché manchi o sia ritenuta inattendibile una plausibile indicazione circa un fine della detenzione diverso da quello della messa in circolazione del valore di bollo falsificato.

Solo allorché, fuori delle ipotesi di concorso nella contraffazione ed alterazione dei valori bollati, l’uso non assuma i connotati della messa in circolazione e la detenzione di essi sia caratterizzata dal fine di un uso conforme alla loro naturale destinazione, si realizza la minore figura criminosa prevista dall’art. 464 CP (Sez, 5, 12 aprile 1989).

 

Contraffazione di carta filigranata in uso per la fabbricazione di carte di pubblico credito o di valori di bollo

La tentata contraffazione dei valori di bollo (artt. 56 e 459 CP) va distinta dalla contraffazione della carta filigranata (art. 460 CP). La prima figura delittuosa, infatti, presuppone il compimento di atti diretti in modo non equivoco allo specifico risultato; la seconda, invece, punisce una condotta meramente preparatoria, giudicata dal legislatore penalmente rilevante in relazione alla sua intrinseca pericolosità e, quindi, prescindendo da qualsiasi indagine concreta sull’idoneità funzionale al conseguimento della contraffazione delle monete e dei valori a queste assimilati (Sez. 5, 14 marzo 1994).

 

Contraffazione, alterazione o uso di segni distintivi di opere dell’ingegno o di prodotti industriali

L’interesse giuridico tutelato dagli artt. 473 e 474 CP è la pubblica fede in senso oggettivo, intesa come affidamento dei cittadini nei marchi o segni distintivi che individuano le opere dell’ingegno o i prodotti industriali e ne garantiscono la circolazione, e non l’affidamento del singolo, sicché, ai fini dell’integrazione dei reati non è necessaria la realizzazione di una situazione tale da indurre il cliente in errore sulla genuinità del prodotto; al contrario, in presenza di una contraffazione, i reati sono configurabili anche se il compratore sia stato messo a conoscenza dallo stesso venditore della non autenticità del marchio (Sez. 7, 33976/2018).

I modelli ornamentali, costituiti dalla forma e dai colori tipici di un marchio, che individuano la provenienza del prodotto da un determinato produttore o da una società calcistica, possono essere sì oggetto di falsificazione, ma è necessario accertare in concreto la possibilità di indurre il pubblico ad identificare il prodotto come proveniente da una certa impresa o da una squadra di calcio: «Il reato di falso [...] è applicabile anche alla contraffazione o alterazione dei c.d. modelli ornamentali disciplinati dall’articolo 2593 CC, che sono indicativi della provenienza del prodotto dall’impresa che l’ha brevettato. In tal caso la contraffazione consiste nel dare al prodotto quella forma e quei colori particolari che possono indurre il pubblico ad identificarlo come proveniente da una certa impresa, anche contro le eventuali indicazioni dei marchi con i quali venga contrassegnato.

Ed invero quando il modello contraffatto sia legittimamente contrassegnato anche da un marchio di provenienza, per la consumazione del reato è necessario che sia integralmente riprodotta per imitazione una forte capacità identificativa del modello, pur riconoscendosi autonoma rilevanza penale alla contraffazione del modello a norma dell’articolo 473, secondo comma, CP (Sez. 5, 8758/1999; si veda anche Sez. 5, 16709/2016) (le decisioni sono citate per adesione da Sez. 3, 54356/2018).

La contraffazione di marchi, modelli e segni distintivi ben può essere accertata in via testimoniale mediante escussione di soggetti qualificati, in virtù delle conoscenze acquisite nel corso di abituale e specifica attività (Sez. 2, 52452/2018).

Allorché si tratti di marchio di larghissimo uso e di incontestata utilizzazione da parte delle relative società produttrici, non è richiesta la prova della sua registrazione, gravando in tal caso l’onere di provare la insussistenza dei presupposti per la sua protezione su chi tale insussistenza deduce (Sez. 2, 36139/2017).

Ai fini della configurabilità dell’elemento oggettivo del reato di cui all’art. 473 CP, non è sufficiente la mera confondibilità tra due marchi regolarmente registrati, ma è necessario un quid pluris rappresentato dalla materiale contraffazione o alterazione dell’altrui marchio (Sez. 1, 30774/2015).

 

Introduzione nello Stato e commercio di prodotti con segni falsi

L’art. 474 CP è una norma rivolta alla tutela, in via principale e diretta, non dell’acquirente dei prodotti recanti i marchi contraffatti, ma della pubblica fede intesa come affidamento dei cittadini nei marchi e nei segni distintivi che individuano le opere dell’ingegno ed i prodotti industriali e ne garantiscono la circolazione; la norma in esame configura un reato di pericolo, per la cui integrazione non occorre la realizzazione dell’inganno, non potendosi, neppure, ritenere sussistente l’ipotesi del reato impossibile qualora la grossolanità della contraffazione e le condizioni di vendita siano tali da escludere la possibilità che gli acquirenti siano tratti in inganno (Sez. 5 33324/2008).

Integra il delitto di cui all’art. 474 CP la detenzione per la vendita di prodotti recanti marchio contraffatto senza che abbia rilievo la configurabilità della contraffazione grossolana, considerato che l’art. 474 CP tutela, in via principale e diretta, non già la libera determinazione dell’acquirente, ma la fede pubblica, intesa come affidamento dei cittadini nei marchi e segni distintivi, che individuano le opere dell’ingegno e i prodotti industriali e ne garantiscono la circolazione anche a tutela del titolare del marchio; si tratta, pertanto, di un reato di pericolo, per la cui configurazione non occorre la realizzazione dell’inganno non ricorrendo quindi l’ipotesi del reato impossibile qualora la grossolanità della contraffazione e le condizioni di vendita siano tali da escludere la possibilità che gli acquirenti siano tratti in inganno (Sez. 7, 44814/2018).

Ai fini della sussistenza del delitto previsto dall’art. 474 CP, solamente allorquando si tratti di marchio di larghissimo uso e di incontestata utilizzazione da parte delle relative società produttrici, non è richiesta la prova della sua registrazione, gravando in tal caso l’onere di provare la insussistenza dei presupposti per la sua protezione su chi tale insussistenza deduce (Sez. 2, 36139/2017).

È configurabile il reato di cui all’art. 474 CP anche laddove, come nel caso di specie, siano state apposte delle locandine che avvertono della falsità del prodotto offerto in vendita, sulla cui confezione – che riproduce i marchi originali – figura la scrittura “falso d’autore” (Sez. 5, 5260/2013).

Il delitto di ricettazione e quello di commercio di prodotti con segni falsi possono concorrere, atteso che le fattispecie incriminatrici descrivono condotte diverse sotto il profilo strutturale e cronologico, tra le quali non può configurarsi un rapporto di specialità, e che non risulta dal sistema una diversa volontà espressa o implicita del legislatore (SU, 23427/2001).