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Art. 25-duodecies - Impiego di cittadini di paesi terzi il cui soggiorno è irregolare [52]

1. In relazione alla commissione del delitto di cui all’articolo 22, comma 12-bis, del decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286, si applica all’ente la sanzione pecuniaria da 100 a 200 quote, entro il limite di 150.000 euro.

1-bis. In relazione alla commissione dei delitti di cui all’articolo 12, commi 3, 3-bis e 3-ter, del testo unico di cui al decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286, e successive modificazioni, si applica all’ente la sanzione pecuniaria da quattrocento a mille quote. [52bis]

1-ter. In relazione alla commissione dei delitti di cui all’articolo 12, comma 5, del testo unico di cui al decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286, e successive modificazioni, si applica all’ente la sanzione pecuniaria da cento a duecento quote. [52bis]

1-quater. Nei casi di condanna per i delitti di cui ai commi 1-bis e 1-ter del presente articolo, si applicano le sanzioni interdittive previste dall’articolo 9, comma 2, per una durata non inferiore a un anno. [52bis]

[52] Articolo inserito dall’art. 2, comma 1, D.Lgs. 16 luglio 2012, n. 109.

[52 bis] Comma aggiunto dall’ art. 30, comma 4, L. 17 ottobre 2017, n. 161.

Elenco dei reati richiamati dalla norma

Art. 12 commi 3, 3-bis, 3-ter e 5 D. Lgs. 286/1998 (Disposizioni contro le immigrazioni clandestine)

Art. 22 comma 12-bis D. Lgs. 286/1998 (Lavoro subordinato a tempo determinato e indeterminato)

 

Rassegna di giurisprudenza

Le fattispecie disciplinate dall’art. 12, comma 3, D. Lgs. 286/1998 non costituiscono figure autonome di reato bensì circostanze aggravanti del reato di pericolo di cui all’art. 12, comma 1 del medesimo Decreto (SU, 40982/2018).

Il reato di favoreggiamento dell’immigrazione ha natura eventualmente permanente e non richiede, per il suo perfezionamento, che l’ingresso illegale dello straniero sia effettivamente avvenuto.

Ove, tuttavia, ciò si verifichi, la permanenza cessa comunque nel luogo e nel momento in cui si realizza l’introduzione illegale nel territorio nazionale e non rileva, quindi, la destinazione finale dello straniero (Sez. 3, 25827/2005, richiamata adesivamente da Sez. 7, 47435/2018).

Il delitto di cui all’art. 12, comma 3, D. Lgs. 286/1998 è integrato – anche dopo le modifiche introdotte, nel predetto articolo, dalla L. 94/2009 – non solo dalle condotte specificamente finalizzate a consentire l’arrivo in Italia degli stranieri in posizione irregolare, ma anche da quelle, immediatamente successive, intese a garantire il buon esito dell’operazione, la sottrazione ai controlli della polizia e l’avvio dei clandestini verso la località di destinazione, nonché, in genere, da tutte quelle attività di fiancheggiamento e di cooperazione collegabili all’ingresso degli stranieri (Sez. 1, 37277/2015, richiamata da Sez. 1, 50419/2018).

In relazione al reato di favoreggiamento dell’immigrazione clandestina, vige – per effetto del comma 4-bis dell’art. 12, D. Lgs. 286/1998, introdotto dall’art. 1, comma 26, L. 94/2009, in questa parte non inciso dalla sentenza 331/2011 della Corte costituzionale, attinente al diverso profilo della «adeguatezza» della misura, qui non messo in discussione – la presunzione, relativa, di sussistenza delle esigenze cautelari; e, in tal caso, il giudice non ha l’onere di dimostrare in positivo la ricorrenza della pericolosità dell’indagato, o degli ulteriori pericula libertatis indicati dall’art. 274 CPP, essendo detta presunzione anche idonea a comprendere i caratteri di attualità e concretezza di cui alla medesima disposizione (Sez. 3, 33051/2016) ed essendo sufficiente che il giudice medesimo dia atto, assieme ai gravi indizi di colpevolezza, dell’inidoneità a superarla degli elementi eventualmente evidenziati dalla difesa, o comunque risultanti dagli atti (Sez. 1, 39483/2018).

Le dichiarazioni dei migranti trasportati ben possono essere valutate alla stregua di dichiarazioni testimoniali, non potendo nei loro confronti configurarsi il reato di cui all’art. 10-bis D. Lgs. 286/1998 (con conseguente necessità di riscontri alle dichiarazioni di indagato o imputato di reato connesso), trattandosi di soggetti che sono stati soccorsi in acque internazionali e legittimamente trasportati sul territorio nazionale per necessità di pubblico soccorso. Non possono, dunque, essere considerati migranti entrati illegalmente nel territorio dello Stato per fatto proprio e, d’altro canto, l’ipotesi contravvenzionale non consente di configurare il tentativo d’ingresso illegale (SU, 40517/2016).

Il nesso di causalità tra delitto di favoreggiamento dell’immigrazione clandestina e morte di alcuni dei migranti (nella specie i decessi si verificarono a causa delle pessime condizioni loro riservate durante il loro trasporto marittimo verso le coste italiane) trova un riscontro normativo nella espressa previsione del D. Lgs. 286/1998, art. 12, comma 3, lett. b), che contempla il caso in cui la persona trasportata è stata sottoposta a pericolo per la sua vita o per la sua incolumità per procurarne l’ingresso illegale (Sez. 1, 3345/2015).

La causa di esclusione della punibilità per particolare tenuità del fatto ai sensi dell’art. 131-bis CP non può essere dichiarata in relazione al reato di cui all’art. 22, comma 12, D. Lgs. 286/1998, che sanziona l’assunzione di lavoratori extracomunitari privi del permesso di soggiorno, qualora i lavoratori illegalmente assunti siano più d’uno, configurandosi, in tal caso, una particolare forma di continuazione, ostativa al riconoscimento del beneficio in quanto manifestazione di un “comportamento abituale” devianti (Sez. 1, 55450/2017).

In senso contrario: la causa di esclusione della punibilità per particolare tenuità del fatto di cui all’art. 131-bis CP può essere dichiarata anche in presenza di più reati legati dal vincolo della continuazione, giacché quest’ultima non si identifica automaticamente l’abitualità nel reato, ostativa al riconoscimento del beneficio, non individuando comportamenti di per se stessi espressivi del carattere seriale dell’attività criminosa e dell’abitudine del soggetto a violare la legge (Sez. 2, 19932/2017).

L’occupazione quale lavoratore dipendente, a tempo determinato o indeterminato, di un cittadino extracomunitario è legittima soltanto se quest’ultimo è titolare di un permesso di soggiorno a fini lavorativi. Il permesso, sempre a fini lavorativi, deve essere validamente rilasciato e deve coprire l’intera durata del rapporto, l’unica apparente eccezione prevista essendo quella riguardante la situazione di permesso lavorativo scaduto per il quale sia stata tempestivamente avanzata richiesta di rinnovo (Sez. 1, 52181/2018).

Risponde del reato di occupazione di lavoratori dipendenti stranieri privi del permesso di soggiorno non soltanto colui che procede all’assunzione di detti lavoratori, ma anche colui che, pur non avendo provveduto direttamente all’assunzione, se ne avvalga tenendoli alle sue dipendenze (Sez. 55450/2017).

La disposizione dell’art. 22, comma 10, D.Lgs. 286/1998 la quale punisce il fatto del datore di lavoro che occupa alle proprie dipendenze cittadini extracomunitari privi del permesso di soggiorno, non è speciale rispetto a quella di cui all’art. art. 12, comma 5, che prevede il reato di favoreggiamento della permanenza di stranieri nel territorio dello Stato in condizioni di illegalità. Ne consegue che i due reati possono concorrere tra di loro (Sez. 1, 51452/2017).