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Art. 25-terdecies - Razzismo e xenofobia [52-ter]

1. In relazione alla commissione dei delitti di cui all’articolo 3, comma 3-bis, della legge 13 ottobre 1975, n. 654, si applica all’ente la sanzione pecuniaria da duecento a ottocento quote.

2. Nei casi di condanna per i delitti di cui al comma 1 si applicano all’ente le sanzioni interdittive previste dall’articolo 9, comma 2, per una durata non inferiore a un anno.

3. Se l’ente o una sua unità organizzativa è stabilmente utilizzato allo scopo unico o prevalente di consentire o agevolare la commissione dei delitti indicati nel comma 1, si applica la sanzione dell’interdizione definitiva dall’esercizio dell’attività ai sensi dell’articolo 16, comma 3.

[52-ter] Articolo inserito dall’ art. 5, comma 2, L. 20 novembre 2017, n. 167.

Reato richiamato dalla norma

L’art. 25-terdecies è stato introdotto nel corpo del Decreto 231 dall’art. 5 comma 2 della Legge europea del 2017, contenente disposizioni per la completa attuazione della Decisione Quadro 2008/913/GAI sulla lotta mediante il diritto penale contro talune forme ed espressioni di razzismo e xenofobia.

Il suddetto art. 5 ha al tempo stesso interpolato l’art. 3 della Legge 654/1975, introducendovi il nuovo comma 3-bis a norma del quale “Si applica la pena della reclusione da due a sei anni se la propaganda ovvero l’istigazione e l’incitamento, commessi in modo che derivi concreto pericolo di diffusione, si fondano in tutto o in parte sulla negazione, sulla minimizzazione in modo grave o sull’apologia della Shoah o dei crimini di genocidio, dei crimini contro l’umanità e dei crimini di guerra, come definiti dagli articoli 6, 7 e 8 dello statuto della Corte penale internazionale, ratificato ai sensi della legge 12 luglio 1999, n. 232”.

Il negazionismo, la grave minimizzazione e l’apologia degli eventi elencati dalla norma entrano dunque a far parte dei reati che possono dar luogo alla responsabilità degli enti.

Si può immaginare che la principale area di rischio sarà quella culturale e informativa in relazione alla pubblicazione di opere dell’ingegno o alla manifestazione di opinioni improntate a ideologie e visioni in conflitto con i valori tutelati dall’art. 3 della L. 654/1975.

È ugualmente possibile associare la previsione normativa a realtà produttive (si pensi, ad esempio, alla commercializzazione di oggetti esplicitamente destinati a diffondere e consolidare quelle stesse ideologie) o all’industria dell’intrattenimento (si pensi alla produzione di un film apologetico).

 

Rassegna di giurisprudenza

Il breve tempo decorso dall’entrata in vigore della novella normativa non è stato sufficiente per la formazione di precisi indirizzi interpretativi. Si riportano pertanto decisioni su temi affini a quello in esame.

Integra il reato di minaccia aggravato dalla circostanza della finalità di discriminazione o di odio etnico, razziale o religioso, la condotta di colui che effettui telefonate all’indirizzo della persona offesa (in specie docente di storia e studiosa delle persecuzioni razziali antisemite avvenute in Italia durante l’occupazione nazista), prospettandole alcuni mali ingiusti, rientranti nel genere di quelli praticati in un lager nazista, e manifesti odio nei confronti del popolo ebraico ed esultanza per le persecuzioni di cui è stato vittima, considerato che la finalità di odio razziale e religioso – integrante l’aggravante in questione – sussiste non solo quando il reato sia rivolto ad un appartenente al popolo ebraico, in quanto tale, ma anche quando sia indirizzato a coloro che, per le più diverse ragioni, siano accomunati dall’agente alla essenza e ai destini del detto popolo (Sez. 5, 563/2012).

Esclusa la possibilità che il coro da stadio sia destinato ad evocare sentimenti di fraternità nei confronti dei sostenitori della squadra avversaria (ad eccezione dei casi di “gemellaggi” tra tifoserie, ipotesi in alcun modo prospettata in specie), l’accostamento tra l’altrui appartenenza cittadina e la religione ebraica (nella specie, la frase incriminata, pronunciata in coro dai tifosi di una squadra e diretta alla tifoseria avversa, è “livornese ebreo”), strettamente ai richiami all’esperienza politica fascista ed alle sue derive, altro non ha comportato che accomunare nel disprezzo, ed unire nell’avversione e nell’auspicio negativo, colui che risiede ovvero parteggia per la squadra di calcio avversaria al fedele della religione ebraica.

Presupposto infatti della configurabilità del reato di propaganda di idee discriminatorie previsto dall’art. 3, comma 1 lett. a), L.654/1975, è l’effettiva sussistenza di un’idea discriminatoria fondata sulla diversità determinata da pretesa superiorità razziale o da odio etnico (Sez. 3, 13234/2008).

La “propaganda di idee” consiste nella divulgazione di opinioni finalizzata ad influenzare il comportamento o la psicologia di un vasto pubblico ed a raccogliere adesioni, l’odio razziale o etnico è integrato non da qualsiasi sentimento di generica antipatia, insofferenza o rifiuto riconducibile a motivazioni attinenti alla razza, alla nazionalità o alla religione, ma solo da un sentimento idoneo a determinare il concreto pericolo di comportamenti discriminatori, e la “discriminazione per motivi razziali” è quella fondata sulla qualità personale del soggetto, non – invece – sui suoi comportamenti (Sez. 3, 36906/2015).

La fattispecie consistente nel propagandare idee fondate sulla superiorità o sull’odio razziale o etnico, ovvero nell’istigare a commettere atti di discriminazione per motivi razziali, etnici, nazionali o religiosi (art. 3, comma primo, lett. a), legge 13 ottobre 1975, n. 654) configura un reato di pura condotta, che si perfeziona indipendentemente dalla circostanza che la propaganda o l’istigazione siano raccolte dai destinatari (Sez. 3, 37581/2008).

Ai fini della configurabilità del delitto di cui all’art. 3, lettera a), L. 654/1975, in materia di repressione della discriminazione razziale, la finalità di discriminazione o di odio etnico, nazionale, razziale o religioso è integrata solo quando la condotta posta in essere si manifesta come consapevole esteriorizzazione, immediatamente percepibile, di un sentimento connotato dalla volontà di escludere condizioni di parità per ragioni fondate sulla appartenenza della vittima ad una etnia, razza, nazionalità o religione.

Invero, la “propaganda di idee” di cui all’art. 3, comma primo, lett. a), prima parte, della citata legge deve consistere nella divulgazione di opinioni finalizzata ad influenzare il comportamento o la psicologia di un vasto pubblico ed a raccogliere adesioni; l’ "odio razziale o etnico", poi, è integrato non da qualsiasi sentimento di generica antipatia, insofferenza o rifiuto riconducibile a motivazioni attinenti alla razza, alla nazionalità o alla religione, ma solo da un sentimento idoneo a determinare il concreto pericolo di comportamenti discriminatori.

Peraltro, la “discriminazione per motivi razziali” è quella fondata sulla qualità personale del soggetto, non – invece – sui suoi comportamenti (Sez. 5, 24065/2016).