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Art. 25-quaterdecies - Frode in competizioni sportive, esercizio abusivo di gioco o di scommessa e giochi d’azzardo esercitati a mezzo di apparecchi vietati [52-quater]

1. In relazione alla commissione dei reati di cui agli articoli 1 e 4 della legge 13 dicembre 1989, n. 401, si applicano all’ente le seguenti sanzioni pecuniarie:

a) per i delitti, la sanzione pecuniaria fino a cinquecento quote;

b) per le contravvenzioni, la sanzione pecuniaria fino a duecentosessanta quote.

2. Nei casi di condanna per uno dei delitti indicati nel comma 1, lettera a), del presente articolo, si applicano le sanzioni interdittive previste dall’articolo 9, comma 2, per una durata non inferiore a un anno.

[52-quater] Articolo inserito dall’ art. 5, comma 1, L. 3 maggio 2019, n. 39.

Elenco dei reati richiamati dalla norma

Art. 1 L. 401/1989 (Frode in competizioni sportive)

Art. 4 L. 401/1989 (Esercizio abusivo di gioco o di scommessa)

 

Rassegna di giurisprudenza

Frode in competizioni sportive

il reato previsto e punito all’art. 1, L. 401/1989 si configura come norma a più fattispecie, individuandosi due modalità di realizzazione della condotta criminosa, 20 Corte di Cassazione, copia non ufficiale una delle quali, recte quella contemplata dal comma primo, secondo periodo, configura un delitto a forma libera in quanto, quasi a volere includere le molteplici possibilità della realtà concreta, viene fatto riferimento agli “altri atti fraudolenti”, diversi quindi dalla promessa o offerta di denaro o altra utilità, mediante i quali è perseguito lo scopo di realizzare un risultato differente rispetto a quello conseguente al corretto e leale svolgimento della competizione sportiva.

Sembra opportuno precisare che non sono sufficienti, per il superamento della soglia di rilevanza penale, mere violazioni delle regole di gioco, richiedendosi un quid pluris costituito da un artifizio o raggiro che, modificando fraudolentemente la realtà, sia idoneo ad alterare lo svolgimento della competizione e, quindi, il risultato della stessa (Sez. 2, 21324/2007), sebbene l’effettività dell’alterazione non rilevi ai fini della consumazione del delitto.

La giurisprudenza, infatti, ha qualificato la fattispecie in esame come reato di attentato di pura condotta, anticipando la consumazione al momento e al luogo in cui si verifica la promessa o l’offerta di un vantaggio indebito o la commissione di ogni altra fraudolenta condotta, non invece a quello dell’accettazione, la quale integra il reato proprio, anch’esso di mero pericolo, di cui al comma secondo nell’art. 1 suddetto (Sez. 3, 31623/2015; Sez. 3, 12562/2010).

Per la consumazione, però, è necessario che la promessa/offerta sia portata a conoscenza del destinatario-intraneus e, pertanto, qualora per cause indipendenti dalla volontà dell’agente essa non giunga a destinazione, ovvero il partecipante ne venga a conoscenza in ritardo (ad es. dopo che la competizione si sia svolta) il reato non sarà consumato, bensì tentato, ovviamente purché sussistano i requisiti della idoneità degli atti e della non equivoca direzione degli stessi a corrompere il partecipante (Sez. 3, 18844/2019).

Quanto alla configurabilità del reato di frode in competizioni sportive nel caso in cui sia l’intraneus a fare la proposta illecita, dalla lettera della disposizione normativa, laddove viene utilizzata l’espressione “chiunque”, è possibile desumere la voluntas legis di attrarre nell’orbita penale non soltanto condotte poste in essere dall’extraneus il quale miri ad alterare il risultato della competizione, ma anche quelle riconducibili all’intraneus, consentendo una estensione della fattispecie al c.d. quivis de populo, sia interno che esterno al mondo sportivo; per tale ragione, commette il reato di frode sportiva anche l’atleta che consapevolmente e volutamente abbia accettato di compiere determinati atti al fine di alterare la genuinità del risultato (Sez. 3, 21324/2007).

Non sono mancate comunque voci in dottrina che evidenziavano la direzione delle condotte criminose verso il partecipante, il quale sarebbe vittima delle stesse, configurando una diversa fattispecie criminosa l’ipotesi in cui l’intraneus avesse accettato la proposta corruttiva. Secondo tale orientamento, quindi, laddove il legislatore aveva voluto estendere l’incriminazione al partecipante, lo aveva espressamente fatto.

Tuttavia, altra dottrina aveva sostenuto il carattere omnicomprensivo dell’espressione impiegata (“chiunque”), ricomprendendovi anche il partecipante, apparendo privo di logica considerare penalmente sanzionabili comportamenti posti in essere da estranei alla competizione e negare un’analoga reazione dell’ordinamento rispetto a condotte che, essendo realizzate da soggetti interni, si presentano sicuramente connotate dalla medesima, se non maggiore, pericolosità sociale, essendo gli stessi più agevolati nell’influenzare il risultato finale dell’agone sportivo. In applicazione del canone ermeneutico di cui all’art. 12 preleggi, non può pertanto prescindersi da un’interpretazione letterale, per cui il “chiunque” indicato nel primo comma deve essere ricondotto sia al caso della corruzione sportiva che a quello della frode sportiva generica.

Relativamente all’offerta/promessa, secondo lo schema tipico del reato di corruzione, si rende necessaria un’autonoma incriminazione della condotta dell’intraneus corrotto (destinatario passivo dell’azione e non agente diretto), necessità che non sussisterebbe invece per la seconda fattispecie criminosa facente riferimento ad atti fraudolenti e quindi presupponendo l’accertamento di una condotta attiva del reo.

Evidenziandosi inoltre la ratio legis ed il dolo specifico richiesto dal legislatore, non sembra poi possibile escludere la punibilità di quei soggetti che, in quanto partecipanti alla competizione, avranno sicuramente una possibilità maggiore di alterarne il regolare svolgimento mediante artifizi e raggiri (Sez. 3, 18844/2019).

Il delitto di frode sportiva è punibile anche in riferimento a condotte di incontro della volontà tra le parti, tese ad ottenere l’alterazione (il reato di frode in competizione sportiva, nella fattispecie prevista dalla seconda parte del primo periodo dell’art. 1 L. 401/1989, ha natura di delitto di attentato, nel quale la soglia di punibilità è anticipata al mero compimento di una “qualsiasi” condotta fraudolenta idonea e diretta ad alterare il leale e corretto svolgimento della competizione agonistica) (Sez. 3, 31623/2015).

 

Esercizio abusivo di gioco o di scommessa

In tema di esercizio abusivo di attività di gioco o scommessa, l’avere posto in essere, mediante attività di intermediazione e raccolta diretta delle scommesse, la condotta prevista dall’art. 4, comma 4-bis, L. 401/1989, che non sia limitata alla mera trasmissione delle scommesse effettuate dai clienti ad un allibratore straniero/ esclude ogni profilo discriminatorio nella partecipazione dello stesso alle gare, dal momento che l’attività e la conseguente necessità di titolo autorizzativo va individuata direttamente in capo all’operatore italiano (Sez. 3, 889/2018).

Qualora il gestore di un centro scommesse italiano affiliato a un bookmaker straniero metta a disposizione dei clienti il proprio conto-giochi o un conto giochi-intestato a soggetti di comodo, consentendo la giocata senza far risultare chi la abbia realmente effettuata, il suo legame con detto bookmaker diviene irrilevante, configurandosi come una mera occasione per l’esercizio illecito della raccolta di scommesse (Sez. 3, 18590/2019).

L’attività legata alle scommesse lecite è soggetta a concessione rilasciata dalla Amministrazione Autonoma dei Monopoli di Stato (A.A.M.S.) e, ottenuta tale autorizzazione, deve essere rilasciata la licenza di pubblica sicurezza di cui all’art. 88 TULPS, con la conseguenza che il reato di cui all’art. 4 L. 401/1989 risulta integrato da qualsiasi attività, comunque organizzata, attraverso la quale si eserciti, in assenza di concessione, autorizzazione o licenza ai sensi dell’art. 88 TULPS, una funzione intermediatrice in favore di un gestore di scommesse, a nulla rilevando l’esistenza di abilitazione in capo al gestore stesso (SU, 23271/2004). 2A seguito di diversi interventi dei Giudici europei (in particolare, la sentenza Placanica e la sentenza Costa-Cifone), che hanno esaminato funditus la normativa interna per verificarne la compatibilità con quella comunitaria, la giurisprudenza di questa Corte si è attestata nel senso di ritenere che integra il reato previsto dall’art. 4 L. 401/1989 la raccolta di scommesse su eventi sportivi da parte di un soggetto che compia attività di intermediazione per conto di un allibratore straniero privo di concessione.

Tuttavia, poiché le autorizzazioni di polizia sono rilasciate unicamente ai titolari di una concessione, le eventuali irregolarità commesse nell’ambito della procedura di concessione vizierebbero anche la procedura di rilascio di autorizzazioni di polizia, la cui mancanza non potrà perciò essere addebitata a soggetti che non siano riusciti a ottenere tali autorizzazioni per il fatto che il rilascio di tale autorizzazione presuppone l’attribuzione di una concessione, di cui i detti soggetti non hanno potuto beneficiare in violazione del diritto dell’Unione (sentenza Placanica, punto 67).

Ne consegue che, in mancanza della concessione e della licenza, per escludere la configurabilità della fattispecie incriminatrice, occorre la dimostrazione che l’operatore estero non abbia ottenuto le necessarie concessioni o autorizzazioni a causa di illegittima esclusione dalle gare (Sez. 3, 40865/2012), o per effetto di un comportamento comunque discriminatorio tenuto dallo Stato nazionale nei confronti dell’operatore comunitario. In casi del genere, il giudice nazionale, a seguito della vincolante interpretazione data alle norme del trattato dalla Corte di giustizia CE, dovrà disapplicare la normativa interna per contrasto con quella comunitaria.

Ed infatti non integra il reato di cui all’art. 4 L. 401/1989 la raccolta di scommesse in assenza di licenza di pubblica sicurezza da parte di soggetto che operi in Italia per conto di operatore straniero cui la licenza sia stata negata per illegittima esclusione dai bandi di gara e/o mancata partecipazione a causa della non conformità, nell’interpretazione della Corte di giustizia CE, del regime concessorio interno agli artt. 43 e 49 del Trattato CE (Sez. 3, 28413/2012).

Tale approdo ermeneutico è stato confermato dalla sentenza Biasci, emessa dalla Corte di Giustizia UE, sez. 3^, in data 12 settembre 2013 nelle cause riunite C-660/11 e C-8/12.

Per quanto qui interessa, i giudici europei hanno affermato che gli articoli 43 CE e 49 CE devono essere interpretati nel senso che non ostano a una normativa nazionale che imponga alle società interessate a esercitare attività collegate ai giochi d’azzardo l’obbligo di ottenere un’autorizzazione di polizia, in aggiunta a una concessione rilasciata dallo Stato al fine di esercitare simili attività, e che limiti il rilascio di una siffatta autorizzazione segnatamente ai richiedenti che già sono in possesso di una simile concessione e, con ciò, legittimando il contesto normativo interno fondato sul criterio doppio binario.

In altri termini, è stata ritenuta compatibile con le norme del Trattato CE la disciplina prevista dall’art. 88 TULPS, alla stregua della quale “la licenza per l’esercizio delle scommesse può essere concessa esclusivamente a soggetti concessionari o autorizzati da parte di Ministeri o di altri enti ai quali la legge riserva la facoltà di organizzazione e gestione delle scommesse, nonché a soggetti incaricati dal concessionario o dal titolare di autorizzazione in forza della stessa concessione o autorizzazione”, e dall’art. 2, comma 1 ter, d.l. 25 marzo 2010, n. 40, convertito con I. n. 73 del 2010, in base al quale “l’articolo 88 del testo unico delle leggi di pubblica sicurezza, di cui al R.D. 18 giugno 1931, n. 773, e successive modificazioni, si interpreta nel senso che la licenza ivi prevista, ove rilasciata per esercizi commerciali nei quali si svolge l’esercizio e la raccolta di giochi pubblici con vincita in denaro, è da intendersi efficace solo a seguito del rilascio ai titolari dei medesimi esercizi di apposita concessione per l’esercizio e la raccolta di tali giochi da parte del Ministero dell’economia e delle finanze - Amministrazione autonoma dei monopoli di Stato”.

La Corte di Giustizia è pervenuta a tale conclusione (punti 21 e 23) sul rilievo che l’obiettivo attinente alla lotta contro la criminalità collegata ai giochi d’azzardo è idoneo a giustificare le restrizioni alle libertà fondamentali derivanti da una normativa nazionale contenente il divieto, penalmente sanzionato, di esercitare attività in tale settore, in assenza di concessione o di autorizzazione di polizia rilasciata dallo Stato, purché tali restrizioni, siccome comportano limitazioni alla libertà di stabilimento e alla libera prestazione dei servizi (sentenza Placanica, punto 42), soddisfino il principio di proporzionalità e nella misura in cui i mezzi impiegati siano coerenti e sistematici (v., in tal senso, sentenze Placanica, punti da 52 a 55, nonché Costa e Cifone, punti da 61 a 63).

Di conseguenza, “il fatto che un operatore debba disporre sia di una concessione sia di un’autorizzazione di polizia per poter accedere al mercato di cui trattasi non è, in sé, sproporzionata rispetto all’obiettivo perseguito dal legislatore nazionale, ossia quello della lotta alla criminalità collegata ai giochi d’azzardo” (punto 27 sentenza Biasci).

La Corte Europea ha poi precisato che negli artt. 43 CE e 49 CE devono essere interpretati “nel senso che, allo stato attuale del diritto dell’Unione, la circostanza che un operatore disponga, nello Stato membro in cui è stabilito, di un’autorizzazione che gli consente di offrire giochi d’azzardo non osta a che un altro Stato membro, nel rispetto degli obblighi posti dal diritto dell’Unione, subordini al possesso di un’autorizzazione rilasciata dalle proprie autorità la possibilità, per un tale operatore, di offrire siffatti servizi a consumatori che si trovino nel suo territorio” (punto 43 sentenza Biasci). 2.4.

Va ricordato come, anche alla luce della sentenza della Corte di Giustizia Europea del 12 febbraio 2012, Costa e Cifone, cause riunite C-72/10 e C-77/10, questa Corte abbia riaffermato (Sez. 3, 19462/2014) che non vi è incompatibilità assoluta tra fattispecie incriminatrice e i principi di libertà di stabilimento e di libera circolazione dei servizi in ambito comunitario (artt. 43 e 49 Trattato CE).

In particolare è passibile di rilevanza penale l’attività del soggetto che non abbia richiesto la concessione e la licenza in Italia o di chi, già abilitato all’estero alla raccolta di scommesse, agisca in Italia tramite collaboratori o rappresentanti che non hanno chiesto alle autorità nazionali le necessarie autorizzazioni (Sez. 2, 24656/2012).

Sulla base dei principi affermati dalla sentenza della Corte di Giustizia, è possibile formulare un quadro interpretativo della disciplina contenuta nel Trattato che contribuisce a definire l’applicazione della disciplina domestica in materia di scommesse su eventi sportivi, presupposto della fattispecie penale, nel senso che: 1) le libertà di insediamento e di prestazione dei servizi costituiscono per il diritto dell’Unione principi fondamentali di cui gli operatori economici devono poter usufruire indipendentemente dal Paese membro in cui sono insediati; 2) tali principi possono conoscere restrizioni nei campo delle attività commerciali connesse ai giochi telematici e alle scommesse su eventi sportivi esclusivamente quando si tratta di limiti, anche consistenti nella previsione di un regime concessorio e di controlli di pubblica sicurezza, che sono fondati su “motivi imperativi di interesse generale” e che rispondono a principi di proporzionalità, non discriminazione, trasparenza e chiarezza; 3) qualora le restrizioni non rispondano ai requisiti ora ricordati, le libertà previste dagli artt. 43 e 49 del Trattato conservano piena espansione e la disciplina nazionale in contrasto con esse deve essere disapplicata.

Ne consegue che la mancanza di concessione rilasciata dalla Amministrazione Autonoma dei Monopoli di Stato (A.A.M.S.) comporta l’impossibilità per l’operatore italiano o straniero di ottenere la licenza di pubblica sicurezza di cui all’art. 88 del TULPS e ha quale conseguenza l’esercizio abusivo del gioco di scommesse.

Per concludere sul punto, va perciò ribadito il principio secondo cui integra il reato previsto dall’art. 4 L. 401/1989, la raccolta di scommesse su eventi sportivi da parte di un soggetto che compia attività di intermediazione per conto di un allibratore straniero senza il preventivo rilascio della prescritta licenza di pubblica sicurezza o la dimostrazione che l’operatore estero non abbia ottenuto le necessarie concessioni o autorizzazioni a causa di illegittima esclusione dalle gare (Sez. 3, 51843/2018).