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Art. 45 - Applicazione delle misure cautelari

1. Quando sussistono gravi indizi per ritenere la sussistenza della responsabilità dell’ente per un illecito amministrativo dipendente da reato e vi sono fondati e specifici elementi che fanno ritenere concreto il pericolo che vengano commessi illeciti della stessa indole di quello per cui si procede, il pubblico ministero può richiedere l’applicazione quale misura cautelare di una delle sanzioni interdittive previste dall’articolo 9, comma 2, presentando al giudice gli elementi su cui la richiesta si fonda, compresi quelli a favore dell’ente e le eventuali deduzioni e memorie difensive già depositate.

2. Sulla richiesta il giudice provvede con ordinanza, in cui indica anche le modalità applicative della misura. Si osservano le disposizioni dell’articolo 292 del codice di procedura penale.

3. In luogo della misura cautelare interdittiva, il giudice può nominare un commissario giudiziale a norma dell’articolo 15 per un periodo pari alla durata della misura che sarebbe stata applicata.

Stralcio della relazione ministeriale di accompagnamento al D. Lgs. 231/2001

17. Misure cautelari.

L’esigenza di apprestare un sistema di cautele con riferimento all’illecito imputabile alla persona giuridica ubbidisce a un duplice scopo: evitare la dispersione delle garanzie delle obbligazioni civili derivanti dal reato; “paralizzare” o ridurre l’attività dell’ente quando la prosecuzione dell’attività stessa possa aggravare o protrarre le conseguenze del reato ovvero agevolare la commissione di altri reati.

Si tratta di esigenze che possono essere soddisfatte ricorrendo agli strumenti del sequestro conservativo e preventivo, ma è indubitabile l’opportunità di una regolamentazione autonoma che tenga conto della specificità dell’intervento.

La legge delega sembra far riferimento a meccanismi di applicazione anticipata della sanzione, dal momento che contempla come misure cautelari le stesse sanzioni previste dalla lett. l) dell’art. 11.

Tuttavia, anche in considerazione del tenore letterale del criterio di delega, che parla di sanzioni applicabili in sede cautelare (art. 11 lett. o), si è preferito operare la scelta a favore dell’introduzione di un sistema propriamente cautelare, con alcuni correttivi.

D’altra parte, l’esigenza di anticipare alcuni effetti della decisione definitiva che riguardano l’ente, attraverso il ricorso alle misure cautelari, è in funzione dell’effettività dell’accertamento giurisdizionale.

Anche per l’accertamento della responsabilità dell’ente, le misure cautelari si caratterizzano per la loro strumentalità e provvisorietà, in quanto destinate a “servire” la decisione definitiva; inoltre l’inserimento dell’accertamento dell’illecito amministrativo nel processo penale determina l’estensione del processo di giurisdizionalizzazione delle misure cautelari anche a favore dell’ente.

Sulla scelta delle misure cautelari la delega non ha lasciato alcuno spazio al legislatore delegato ed infatti l’art. 45 dello schema di decreto si limita a richiamare l’art. 9, che menziona i diversi tipi di sanzioni interdittive applicabili, all’esito del procedimento, all’ente. Si è così operata una sostanziale sovrapposizione tra le sanzioni interdittive e le misure cautelari, attuando la direttiva contenuta nella legge-delega.

Peraltro, non tutte le sanzioni della lett. l) sembrano prestarsi in modo adeguato a svolgere funzioni di cautela, in particolare la pubblicazione della sentenza (che l’art. 9 non menziona tra le sanzioni interdittive) è apparsa sanzione intrinsecamente inidonea ad essere utilizzata per esigenze cautelari a causa della forte valenza afflittiva e stigmatizzante della condotta posta in essere, per cui si è preferito escluderla dal novero delle misure cautelari.

Desta qualche perplessità anche l’inclusione della sanzione del divieto di pubblicizzare beni o servizi, tuttavia non sembra potersi escludere la possibilità di una sua utilizzazione per finalità cautelari. In ogni caso si rimette al Parlamento ogni eventuale indicazione al riguardo.

Per l’applicazione delle misure, l’art. 45 richiede la sussistenza di una serie di presupposti, in parte mutuati dalla corrispondente disciplina codicistica. Innanzitutto, si prevede che debbano sussistere “gravi indizi” sulla responsabilità dell’ente per l’illecito amministrativo, replicando in parte la disposizione sulle condizioni generali di applicabilità delle misure di cui all’art. 273 c.p.p.

La vasta casistica relativa agli elementi che possono trasformarsi in indizi della responsabilità dell’ente giustificanti l’adozione di una misura cautelare, viene bilanciata dal riferimento alla gravità, che riduce l’ambito applicativo di misure che, naturalmente, non hanno ad oggetto il bene della libertà personale.

In ogni caso, per individuare il connotato della gravità potrà farsi ricorso alla giurisprudenza formatasi con il nuovo codice, secondo cui la valenza probatoria dei gravi indizi può essere inferiore a quella necessaria per giustificare il giudizio dibattimentale o l’affermazione della responsabilità, nel senso che deve trattarsi comunque di indizi che devono essere valutati nell’ottica di un giudizio prognostico per verificare - allo stato degli atti - il fumus commissi delicti, cioè una probabilità di colpevolezza alta, qualificata, ragionevole e capace di resistere ad interpretazioni alternative (Cass., sez. un., 21 aprile 1995, Costantino; Cass., 3 marzo 1992, Biacca; Cass., 26 gennaio 1994, Damiani).

Il requisito della gravità puntualizza la capacità dimostrativa del dato rispetto al thema probandum, con la conseguenza della inutilizzabilità dell’indizio al quale sia attribuibile un significato diverso da quello di inferenza.

Ciò significa che prima deve essere verificata la sussistenza della circostanza probatoria, escludendo che la misura possa fondarsi su un mero sospetto o una congettura, per poi individuare il diretto collegamento con l’oggetto dell’accertamento.

Naturalmente la verifica dei gravi indizi riferiti all’applicabilità delle misure deve considerare la particolare natura e struttura dell’illecito amministrativo in questione, per cui la responsabilità dell’ente è per così dire “derivata” da quella dell’imputato-persona fisica.

Pertanto, la gravità degli indizi dovrà riguardare il complesso meccanismo di imputazione della responsabilità all’ente di cui all’art. 5: in sostanza, la valutazione in ordine alla sussistenza dei gravi indizi andrà riferita al reato posto in essere, alla verifica dell’interesse o del vantaggio derivante all’ente e al ruolo dei soggetti indicati nelle lett. a) e b) del citato art. 5.

L’accertamento del fumus relativo alla sussistenza dell’illecito deve essere accompagnato dalla verifica del periculum e, quindi, delle esigenze cautelari che giustificano l’adozione di una misura. L’art. 45 richiama i presupposti per l’applicazione, con la sentenza di condanna, delle sanzioni interdittive (art. 13 comma 1), adattandoli alla fase della cautela.

Gli elementi che possono giustificare una prognosi di periculum devono essere fondati e specifici. Il riferimento alla concretezza del pericolo rivela l’esigenza di una probabilità effettiva ed attuale, riscontrata attraverso elementi oggettivi e specifici, circa il verificarsi della commissione di illeciti della stessa indole di quello per cui si procede.

Il riferimento è alla pericolosità dell’ente, desunta dalla condotta recidivante. In questo caso le esigenze di cautela devono considerare la “personalità” dell’ente, o meglio la sua politica imprenditoriale: in presenza di reiterazione degli illeciti si giustifica l’adozione di una misura.

Presupposto è anche qui un pericolo concreto, inteso non come realizzazione delittuosa in itinere, ma come dato da desumere da fatti e condotte già accaduti o posti in essere.

Per il procedimento applicativo si è replicato il sistema previsto dal codice di rito per le misure cautelari nei confronti della persona fisica, con i necessari adattamenti. È il giudice che, su richiesta del pubblico ministero, può disporre con ordinanza la misura cautelare.

L’ordinanza è quella dell’art. 292 c.p.p., norma che viene richiamata espressamente nell’art. 45 e che trova applicazione anche per quanto riguarda la nullità di cui al comma 2-ter. Inoltre, in considerazione della natura delle misure, si è previsto che debbano esserne indicate anche le modalità applicative, nonché che il giudice possa, in luogo della misura interdittiva, provvedere alla nomina di un commissario giudiziale a norma dell’art. 15 per un periodo pari alla durata della sanzione applicabile in via cautelare.”

 

Rassegna di giurisprudenza

Presupposti applicativi

In tema di responsabilità da reato degli enti, l’applicazione in via cautelare delle sanzioni interdittive è subordinata, alternativamente e non congiuntamente, al conseguimento da parte dell’ente di un profitto di rilevante entità ovvero alla reiterazione nel tempo dell’illecito (Sez. 2, 4703/2012).

Il profitto, nel sequestro preventivo funzionale alla confisca, è costituito dal vantaggio economico di diretta e immediata derivazione causale dal reato, al netto di quanto fisiologicamente acquisito per l’opera prestata nell’ambito del rapporto sinallagmatico (Sez. 6, 42300/2008).

Qualora non sia possibile individuare il profitto, occorre trarne le dovute conseguenze in ordine all’inattuabilità della confisca.

Né, d’altronde, può ritenersi che la misura cautelare reale possa avere una latitudine applicativa più ampia di quella del provvedimento ablatorio emesso all’esito del giudizio di cognizione, poiché è la disciplina della confisca a cristallizzare l’oggetto del vincolo reale interinale, ciò comportando un’anticipazione al momento dell’adozione del sequestro preventivo di tutte le questioni inerenti all’applicazione del provvedimento definitivo (SU, 26654/2008, richiamata da Sez. 6, 655/2017).

 

Individuazione dell’ente destinatario della misura cautelare nel caso di gruppi societari

Ai sensi dell’articolo 45, comma 2, il contenuto dell’ordinanza che irroga le misure cautelari è disciplinato dall’articolo 292 CPP. In ragione di tale rinvio il soggetto passivo della misura cautelare va individuato, in primo luogo, con efficacia vincolante per tutte le pubbliche amministrazioni, avendo riguardo al contenuto della stessa ordinanza che dispone la sanzione.

L’ordinanza deve, infatti, indicare, specificamente l’ente o gli enti nei cui confronti è adottata la misura, adattandosi alla materia in esame la previsione del comma 2, lett. a, dell’articolo 292, che impone di precisare a pena di nullità “le generalità dell’imputato o quanto altro valga a identificarlo”, sicché le pubbliche amministrazioni sarebbero senz’altro tenute a dare esecuzione a misure interinali che, nel caso di gruppi societari ed in relazione alla responsabilità della capogruppo, estendessero espressamente il divieto di contrattare anche nei confronti di società diverse dalla capofila. In termini più generali, le pubbliche amministrazioni sono senz’altro tenute ad osservare in modo puntuale i provvedimenti, cautelari e definitivi, adottati dall’AG ai sensi del D.Lgs. 231/2001.

Diverso è il caso in cui l’ordinanza che applica una misura interdittiva indichi quale soggetto passivo esclusivamente la società capogruppo, senza fare riferimento alcuno alle società controllate o partecipate appartenenti al gruppo societario. In un caso del genere, si ritiene che il divieto di contrattare con la pubblica amministrazione riguardi esclusivamente quest’ultima e non le società partecipate o controllate.

La limitazione della responsabilità amministrativa discendente da reato alla sola società nei cui confronti si siano realizzati i relativi presupposti comporta che le altre società appartenenti al gruppo, ossia nel caso di specie le società partecipate o controllate dalla capofila, non essendo assoggettate alla misura interdittiva in parola, così come possono stipulare individualmente contratti con pubbliche amministrazioni, possono anche operare a tal fine nell’ambito di associazioni temporanee di imprese o di GEIE, ovvero in consorzi stabili di imprese (Consiglio di Stato, Sez. 3, parere dell’11 gennaio 2005 a richiesta del Ministero delle attività produttive).

 

Estensione degli effetti della misura interdittiva

Si domanda se gli effetti interdettivi si applichino anche ad attività per le quali è stata perfezionata la fase di contrattazione. In proposito deve evidenziarsi che la misura cautelare del divieto di contrattare con la pubblica amministrazione, essendo preordinata – come già rilevato – a prevenire il rischio di commissione di illeciti della stessa indole (art. 45, comma 1) -, non può che riguardare la futura attività negoziale che il soggetto passivo intenda porre in essere dopo l’adozione del provvedimento interdittivo.

Apparirebbe, invece, estranea alla ratio della norma un’estensione del divieto anche all’esecuzione di contratti già conclusi prima della misura cautelare.

Ad ulteriore conferma di tale conclusione può osservarsi che il “divieto di contrattare”, anche dal punto di vista lessicale, si connota come divieto di stipulare nuovi contratti, in ciò risolvendosi l’attività di contrattazione, e non come divieto di portare ad esecuzione o ad ulteriore esecuzione contratti già precedentemente perfezionati.

Resta, comunque, impregiudicata la possibilità per l’Amministrazione di procedere all’annullamento in via di autotutela dei pregressi atti di aggiudicazione, ove ne ricorrano gli specifici presupposti (Consiglio di Stato, Sez. 3, parere dell’11 gennaio 2005 a richiesta del Ministero delle attività produttive).

L’Amministrazione riferente chiede chiarimenti in ordine alla tipologia di contratti la cui stipulazione è vietata dalla cennata misura interdittiva, in particolare domandando se il divieto si estenda anche alla stipulazione di contratti aventi ad oggetto attività accessorie (di tipo “service”) rispetto all’oggetto del contratto principale vietato.

A tale riguardo occorre premettere che il divieto di contrattare con la pubblica amministrazione, ai sensi dell’articolo 14, comma 2, “può anche essere limitato a determinati tipi di contratto o a determinate amministrazioni”.

Nel caso in cui l’ordinanza che irroga la sanzione interdittiva contenga una siffatta limitazione e circoscriva il divieto di stipulazione solo ad un determinato tipo di contratto, deve, tuttavia, ritenersi che il divieto si estenda implicitamente anche alla conclusione di nuovi contratti accessori rispetto al negozio principale vietato (es. contratti di manutenzione di un bene oggetto di un nuovo contratto di fornitura vietato).

In tal senso va rilevato, per un verso, che il contratto accessorio è legato da un nesso di collegamento funzionale con il contratto principale e, per altro verso, che il contratto principale stipulato in contrasto con il divieto di contrattazione con la pubblica amministrazione è da qualificare come invalido, ed in particolare come affetto da nullità ai sensi dell’articolo 1418, comma 1, CC.

Da tali premesse discende, in conformità ai consolidati orientamenti della giurisprudenza in materia di collegamento negoziale funzionale, che la nullità contratto principale si estende anche ai suoi contratti accessori, che sono, quindi, anch’essi colpiti dal divieto di stipulazione.

Occorre, tuttavia, precisare che il divieto di contrattazione e la sanzione della nullità concerne solo i nuovi contratti accessori legati da un nesso di collegamento funzionale rispetto a nuovi contratti principali vietati, e non preclude alla società destinataria della misura interdittiva l’ulteriore esecuzione di contratti accessori conclusi prima dell’applicazione della misura cautelare.

Inoltre sembra lecito ritenere che la società destinataria del divieto, ove il provvedimento cautelare non lo vieti espressamente, possa stipulare con la pubblica amministrazione nuovi contratti accessori, quando questi siano collegati con nuovi contratti principali validi perché conclusi dall’amministrazione con un’altra società, non colpita dalla misura interdittiva (es. nuovi contratti di manutenzione di un bene fornito da un’altra società, non assoggettata al divieto di fornitura), oppure siano collegati a vecchi contratti principali validi perché conclusi prima dell’irrogazione del divieto (es. nuovi contratti di manutenzione di beni forniti in esecuzione di contratti di fornitura precedenti al divieto) (Consiglio di Stato, Sez. 3, parere dell’11 gennaio 2005 a richiesta del Ministero delle attività produttive).

 

Chiarimenti sulla nozione di pubblica amministrazione da applicare nel caso di divieto di contrattare

La nozione di “pubblica amministrazione” rilevante ai fini dell’applicazione della sanzione interdittiva in parola deve intendersi in senso ampio e tale da ricomprendere l’insieme di tutti i soggetti, ivi inclusi i privati concessionari di servizi pubblici, le imprese pubbliche e gli organismi di diritto pubblico secondo la terminologia comunitaria, che sono chiamati ad operare, in relazione all’ambito di attività considerato, nell’esercizio di una pubblica funzione Consiglio di Stato, Sez. 3, parere dell’11 gennaio 2005 a richiesta del Ministero delle attività produttive).

 

Il commissariamento giudiziale

Il commissariamento giudiziale è una misura finalizzata ad evitare che, in determinate situazioni, l’accertamento della responsabilità dell’ente si risolva in un pregiudizio per la collettività: al posto della sanzione o della misura cautelare interdittiva, idonea ad interrompere l’attività dell’ente, si prevede, per un periodo temporaneo, una sorta di “espropriazione” dei poteri direttivi e gestionali che sono assunti dal commissario, sulla base delle indicazioni impartite dall’autorità giurisdizionale.

In questo senso, si giustifica anche l’onere del commissario di attuare i MOG, in quanto la sostituzione trova la sua ragione d’essere anche nel far recuperare una situazione di legalità organizzativa all’ente, evitando che si possano ripetere gli stessi illeciti.

Peraltro, come evidenziato dalla giurisprudenza di legittimità (Sez. 6, 43108/2011), in occasione della nomina in sede cautelare del commissario giudiziale, il giudice deve indicare i “compiti ed i poteri” dello stesso, tenendo conto della specifica attività svolta dall’ente e della situazione in cui si trovava il vertice della società.

Si tratta di indicazioni funzionali per la corretta gestione dell’ente nella delicata fase cautelare, ma che acquistano un rilievo particolare anche in relazione alla valutazione di adeguatezza della misura sostitutiva in questione: dinanzi alla forte invasività delle misure interdittive nella vita dell’ente il legislatore ha voluto che il giudice tenga conto della realtà organizzativa dell’ente sia per “neutralizzare il luogo nel quale si è originato l’illecito”, sia per applicare la misura valorizzandone l’adeguatezza e la proporzionalità, nel rispetto del criterio dell’extrema ratio, limitando, ove possibile, la misura solo ad alcuni settori dell’attività dell’ente.

Ed è quindi alla luce del ruolo e dei poteri conferiti al commissario nominato nella fase cautelare che va verificato il perimetro esatto della sua attività, con l’individuazione degli organi societari che devono essere sostituiti (Sez. 6, 54036/2017).

Qualora nel corso del procedimento per l’accertamento della sua responsabilità amministrativa da reato l’ente venga commissariato ai sensi dell’art. 45, comma 3, l’acconto sul compenso liquidato al commissario non può essere posto a carico dell’ente medesimo fino alla sua eventuale definitiva condanna e la relativa spesa deve nel frattempo essere anticipata dall’erario ai sensi dell’art. 4 d.P.R. n. 115 del 2002, norma applicabile anche nel suddetto procedimento (Sez. 4, 15157/2008).

A norma dell’art. 4 del T.U. sulle spese di giustizia infatti «le spese del processo penale sono anticipate dall’erario, ad eccezione di quelle relative agli atti chiesti dalle parti private e di quelle relative alla pubblicazione della sentenza, ai sensi dell’articolo 694, comma 1, del codice di procedura penale e dell’articolo 76, del decreto legislativo 8 giugno 2001, n. 231».

Soltanto una volta divenuta esecutiva la condanna, l’art. 79 pone le spese relative all’attività svolta dal commissario e al suo compenso a carico dell’ente. Gli stessi principi valgono naturalmente, ai sensi dell’art. 4 citato, anche per il coadiutore del commissario, la cui opera è integrativa dell’attività di quest’ultimo, svolgendo funzioni di collaborazione e di assistenza nell’ambito e per gli scopi della procedura (Sez. 6, 54036/2017).

Nella fase cautelare, il provvedimento di nomina del commissario, a differenza del procedimento previsto dal disposto degli artt. 15 e 79, è contestuale alla verifica dei presupposti che giustificano la prosecuzione dell’attività dell’ente, sicché è il giudice della cautela che, nello stesso provvedimento con cui dispone la prosecuzione, nomina anche il commissario (Sez. 6, 20560/2010).

Sicché il contraddittorio anticipato spiega i suoi effetti anche sulla nomina del commissario giudiziale in fase cautelare (Sez. 6, 54036/2017).