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Art. 49 - Sospensione delle misure cautelari

1. Le misure cautelari possono essere sospese se l’ente chiede di poter realizzare gli adempimenti cui la legge condiziona l’esclusione di sanzioni interdittive a norma dell’articolo 17. In tal caso, il giudice, sentito il pubblico ministero, se ritiene di accogliere la richiesta, determina una somma di denaro a titolo di cauzione, dispone la sospensione della misura e indica il termine per la realizzazione delle condotte riparatorie di cui al medesimo articolo 17.

2. La cauzione consiste nel deposito presso la Cassa delle ammende di una somma di denaro che non può comunque essere inferiore alla metà della sanzione pecuniaria minima prevista per l’illecito per cui si procede. In luogo del deposito, è ammessa la prestazione di una garanzia mediante ipoteca o fideiussione solidale.

3. Nel caso di mancata, incompleta o inefficace esecuzione delle attività nel termine fissato, la misura cautelare viene ripristinata e la somma depositata o per la quale è stata data garanzia è devoluta alla Cassa delle ammende.

4. Se si realizzano le condizioni di cui all’articolo 17 il giudice revoca la misura cautelare e ordina la restituzione della somma depositata o la cancellazione dell’ipoteca; la fideiussione prestata si estingue.

Stralcio della relazione ministeriale di accompagnamento al D. Lgs. 231/2001

Collegato all’argomento in questione, ma in una prospettiva del tutto originale, si colloca l’art. 49 che prevede il caso della sospensione delle misure cautelari secondo cadenze procedimentali così riassumibili: se l’ente chiede di poter realizzare gli adempimenti che, a norma dell’art. 16, implicano l’esclusione della applicazione delle sanzioni interdittive, il giudice che ritenga di accogliere la richiesta dispone la sospensione della misura in atto, determina la cauzione da prestare, e fissa un termine per la realizzazione delle condotte riparatorie; il tutto, previo parere del pubblico ministero.

In tal caso, se le condotte riparatorie vengono poste in essere realizzando le condizioni di cui all’art. 16, la misura viene revocata ed il giudice dispone la restituzione della cauzione (se vi è stata iscrizione di ipoteca ne viene disposta la cancellazione e, se si è prestata fideiussione, questa si estingue). Qualora invece le attività non vengano eseguite nel termine fissato, ovvero vengano eseguite in modo incompleto o inefficace, si realizza un ripristino della misura e la cauzione è devoluta alla Cassa delle ammende.

 

Rassegna di giurisprudenza

Il procedimento relativo all’applicazione di misure cautelari a carico degli enti collettivi si fonda sulla previsione di un contraddittorio “anticipato” delle parti, poiché l’art. 47, comma 2 dispone che “se la richiesta di applicazione della misura cautelare è presentata fuori udienza, il giudice fissa la data dell’udienza e ne fa dare avviso al pubblico ministero, all’ente e ai difensori.

L’ente e i difensori sono altresì avvisati che, presso la cancelleria del giudice, possono esaminare la richiesta dal pubblico ministero e gli elementi sui quali la stessa si fonda”.

L’adozione della misura, dunque, non è rimessa ad una decisione de plano, pronunciata dal giudice inaudita altera parte, ma si fonda sulla valorizzazione del contributo dialettico offerto dalle parti quale strumento più efficace per porre il giudice nella condizione di adottare una misura interdittiva, che può avere conseguenze particolarmente invasive sulla vita e sulle modalità di funzionamento della persona giuridica.

Si richiede, in tal modo, un vaglio giurisdizionale penetrante sulle ragioni dell’intervento cautelare a carico dell’ente, la cui oggettiva praticabilità può richiedere un’approfondita analisi in ordine ad una serie di profili rilevanti, che investono, ad es., l’analisi dell’assetto organizzativo, la valutazione dell’adeguatezza del programma di attività riparatorie, ovvero la verifica della necessità di consentire la prosecuzione dell’attività dell’ente e disporre, in caso di accoglimento della richiesta, il commissariamento ai sensi dell’art. 45, comma 3, del citato decreto legislativo.

Entro tale disegno normativo trova la sua razionale collocazione l’istanza – che la società può avanzare, per l’ipotesi in cui l’interdizione sia disposta, ai sensi dell’art. 49 – di sospensione della misura cautelare per porre in essere le attività riparatorie cui viene condizionata l’esclusione delle sanzioni interdittive a norma dell’art. 17.

Se il giudice, infatti, ritiene di accogliere la richiesta dell’ente, determina una somma di denaro a titolo di cauzione e dispone la sospensione della misura, indicando il termine per la realizzazione delle condotte riparatorie di cui all’art. 17.

La finalità dell’istituto è quella di incentivare il ravvedimento post factum dell’ente secondo una logica premiale che mira a privilegiare la compensazione dell’offesa rispetto alla mera punizione dell’illecito: se la società adempie tempestivamente ed in modo corretto, il giudice revoca la misura cautelare e ordina la restituzione della somma depositata o la cancellazione dell’ipoteca, mentre in caso di mancata, incompleta o inefficace esecuzione delle attività nel termine fissato, la misura cautelare viene ripristinata e la somma depositata, o per la quale è stata data garanzia, viene devoluta alla cassa delle ammende (art. 49, comma 3).

Se si realizzano le condizioni previste dall’art. 17 interviene la fattispecie estintiva della misura, sicché il giudice ne dispone la revoca insieme alla restituzione della cauzione ovvero la cancellazione dell’ipoteca, mentre la fideiussione prestata si estingue.

Nel momento in cui il giudice prende cognizione della vicenda per valutare la condotta dell’ente alla luce dei parametri dettati dall’art. 49, può disporre la revoca della misura cautelare anche a prescindere dalla valutazione positiva di idoneità e tempestività delle attività riparatorie, ogni qual volta ritenga siano venute meno, anche alla luce di fatti sopravvenuti, le condizioni di applicabilità della cautela.

L’art. 50, comma 1 consente, infatti, un’immediata decisione liberatoria, anche d’ufficio, nelle ipotesi in cui il quadro indiziario della responsabilità sia del tutto mancante, anche per fatti sopravvenuti, ovvero quando non risulti più attuale l’originaria individuazione delle esigenze cautelari, o, ancora, al verificarsi delle condizioni stabilite dall’art. 17.

L’art. 49, comma 4, ripropone, a sua volta, all’interno del procedimento incidentale finalizzato alla sospensione della misura cautelare su richiesta dell’ente, la medesima regola fissata dalla norma generale dell’art. 50, comma 1, secondo cui s’impone la revoca della misura allorché intervengano gli adempimenti di cui al citato art. 17, ossia il risarcimento del danno, la messa a disposizione del profitto, l’adozione e l’efficace attuazione dei cd. compliance programs.

La revoca, pertanto, può costituire il risultato di una valutazione ex ante, nel senso che il giudice ritenga insussistenti ab origine i presupposti legittimanti il provvedimento cautelare, ovvero ex post, nel caso in cui questi ultimi, ancorché sussistenti al momento della disposizione della cautela, siano successivamente venuti meno: interpretazione, questa, esplicitamente desumibile dal disposto normativo, ove si specifica che la mancanza delle condizioni applicative possa derivare anche da fatti sopravvenuti.

In tal senso, ad es., assumono rilievo una eventuale evoluzione del quadro probatorio in senso favorevole all’indagato, oppure un miglioramento dello stato organizzativo aziendale, suscettibile di escludere la permanenza del periculum.

Quest’ultimo profilo risulta solo in parte assorbito dalla seconda condizione legittimante un provvedimento di revoca, ovvero dall’adempimento delle condotte di cui all’art. 17: nonostante lo stretto collegamento con l’art. 49, infatti, la revoca disciplinata nell’art. 50, comma 1, rappresenta un istituto a sé, operante anche in conseguenza dell’adempimento delle condotte riparatorie prescritte dall’art. 17, avuto riguardo al fatto che le stesse possono maturare durante tutto il periodo di applicazione della misura, anche a prescindere dalla richiesta di sospensione formulata ai sensi dell’art. 49, comma 1. 

Si pone, dunque, la questione del rapporto - di concorrenza o di alternatività - fra le ipotesi di revoca delle misure cautelari applicate agli enti collettivi cui fa riferimento l’art. 50: da un lato, la revoca per mancanza, anche sopravvenuta, delle condizioni di applicabilità di cui all’art. 45, dall’altro lato la revoca disposta in presenza delle condizioni disciplinate dal combinato disposto degli artt. 17 e 49 (sospensione delle misure cautelari su richiesta dell’ente di realizzare gli adempimenti di tipo riparatorio cui può essere condizionata l’esclusione delle sanzioni interdittive a norma dell’art. 17, con la successiva revoca della misura cautelare, in presenza dell’accertata verificazione della condizione sospensiva).

Non pertinente, in primo luogo, deve ritenersi il richiamo ad un precedente giurisprudenziale di questa Corte (Sez. 6, 32627/2006), che ha ravvisato l’interesse dell’ente ad impugnare l’ordinanza con la quale era stata applicata nei suoi confronti la misura cautelare interdittiva di cui all’art. 45, ancorché la stessa fosse stata revocata nelle more del procedimento di impugnazione.

Con tale pronuncia, infatti, questa Corte ha affermato che non è consentito al giudice, nel revocare la misura cautelare interdittiva, imporre all’ente l’adozione coattiva di MOG.

Dall’annullamento dell’ordinanza, invero, poteva derivare, quale sua diretta conseguenza, l’immediata inefficacia degli adempimenti coattivamente imposti con il provvedimento di revoca.

Nella specifica evenienza ivi esaminata, infatti, il giudice non si era limitato a revocare la misura cautelare interdittiva, ma aveva “ordinato” alla società di adottare i MOG predisposti dal commissario giudiziario e di risarcire il danno arrecato alle pubbliche amministrazioni appaltanti, con la restituzione del profitto illecito, dando incarico al commissario di accertare l’avvenuta ed effettiva adozione dei MOG.

Nel caso ora menzionato, dunque, il giudice cautelare aveva sostanzialmente imposto l’adozione di un MOG alla società, secondo una procedura che, come evidenziato dalla Corte, non trova appiglio nella normativa in materia di responsabilità degli enti collettivi, ove non si prevede alcuna forma di imposizione coattiva dei MOG, la cui adozione, invece, è sempre spontanea, in quanto è proprio la scelta di dotarsi di uno strumento organizzativo in grado di eliminare o ridurre il rischio di commissione di illeciti da parte della società a determinare, nella fase cautelare, la sospensione o la non applicazione delle misure interdittive (ex art. 49).

Da tale precedente, pertanto, non può logicamente inferirsi la conseguenza che il ricorrente prospetta riguardo alla permanenza dell’interesse all’impugnazione qualora la misura cautelare interdittiva sia stata revocata nelle more del relativo procedimento, così imponendosi laforma del contraddittorio camerale partecipato, ostativa all’operatività della disposizione di cui all’art. 127, comma 9, CPP.

Dal tenore letterale dell’art. 50 sembra evincersi, di contro, che il legislatore ha inteso porre in alternativa, quali fattori di revoca della misura cautelare applicata, l’effettuazione degli adempimenti in questione e la mancanza sopravvenuta delle condizioni indicate dal precedente art. 45, tra le quali è compreso anche il rischio di recidiva.

Muovendo da tale opzione ermeneutica (Sez. 6, 18635/2015) questa Corte ha conseguentemente affermato il principio secondo cui la revoca della misura interdittiva può essere disposta, nel caso di sospensione della misura cautelare concessa ai sensi dell’art. 49, anche qualora il rischio di recidiva cessi per fattori sopravvenuti e diversi dall’attuazione delle misure riparatorie volte all’eliminazione delle carenze organizzative.

L’alternatività delle ipotesi di revoca previste dall’art. 50 potrebbe indurre a ritenere, unitamente al rilievo dell’effetto immediato della vicenda estintiva della cautela, che il provvedimento debba adottarsi de plano, risultando difficile configurare, prima facie, un contraddittorio orale anticipato alla stregua di quanto previsto dall’art. 47 in sede di applicazione della misura.

È pur vero, tuttavia, che il vaglio delibativo in ordine alla ricorrenza delle condizioni previste dall’art. 17 potrebbe esigere una puntuale verifica circa l’effettivo adempimento delle condotte riparatorie da parte dell’ente e che il giudice, attraverso il richiamo alla possibilità prevista nell’ordinamento processuale dall’art. 299, comma 4-ter, CPP – ove tale norma sia ritenuta compatibile con la disciplina degli enti collettivi ai sensi dell’art. 34 – potrebbe disporre tutti gli accertamenti necessari al fine di valutare il rispetto delle condizioni sottostanti alla realizzazione delle condotte di cui all’art. 17.

Sotto altro, ma connesso profilo, deve rilevarsi, infatti, che il procedimento di applicazione delle misure cautelari a carico degli enti collettivi mostra connotati tipicamente “dialogici” e si fonda sulla esigenza di un contraddittorio anticipato rispetto all’adozione della cautela, senza alcuna manifestazione di rinuncia preventiva dell’ente alla contestazione dei presupposti di legittimità della misura nel caso in cui venga avanzata la richiesta di realizzazione degli adempimenti riparatori al cui perfezionamento la legge condiziona l’esclusione delle sanzioni interdittive.

In tal senso, dunque, potrebbe ritenersi la permanenza dell’interesse ad impugnare, al fine di ottenere una decisione sulla legittimità della misura interdittiva anche in presenza della sua intervenuta revoca, allorché ad una eventuale pronuncia in sede di gravame possa ricollegarsi, come si è già osservato, una situazione di vantaggio, ovvero una concreta ed attuale incidenza sulla posizione complessiva del ricorrente, con effetti significativi, ad es., sul mantenimento o meno di cauzioni provvisorie prestate a mezzo di fideiussioni per la partecipazione a gare d’appalto, sulla eventuale restituzione di cospicue somme di denaro già versate per ottenere la sospensione della misura interdittiva, ovvero per dimostrare l’insussistenza del profitto, o, infine, sulla rimozione di tutte le possibili conseguenze dannose derivanti per la società dall’applicazione della cautela.

Il sopravvenire della fattispecie estintiva della misura cautelare potrebbe richiedere inoltre, quale causa non originaria di inammissibilità del ricorso, lo svolgimento di una puntuale opera di verifica in ordine alla realizzazione delle condizioni previste dalla connessa disposizione di cui all’art. 17, sì da imporre un approfondito accertamento sulla persistenza o meno dell’interesse ad impugnare, che solo un contraddittorio camerale in forma partecipata consentirebbe di realizzare nel pieno rispetto dei diritti e delle garanzie della difesa.

Sulla base delle su esposte considerazioni s’impone, dunque, in ragione del contrasto giurisprudenziale formatosi riguardo alle forme procedimentali prodromiche alla declaratoria di inammissibilità dell’impugnazione, la rimessione degli atti alle Sezioni Unite di questa Corte ai sensi dell’art. 618 CPP, in relazione al seguente quesito: «se l’appello avverso un’ordinanza applicativa di una misura cautelare  nella specie, una misura interdittiva disposta a carico di una società  possa essere dichiarato inammissibile “anche senza formalità”, ex art. 127, comma 9, CPP, dal tribunale che ritenga la sopravvenuta mancanza di interesse a seguito della revoca della misura stessa» (ordinanza di rimessione alle SU emessa da Sez. 6, 26032/2018).

Il predetto conflitto è stato risolto dalle Sezioni unite le quali hanno osservato che l’appello avverso una misura interdittiva, che nelle more sia stata revocata a seguito delle condotte riparatorie ex art. 17 poste in essere dalla società indagata, non può essere dichiarato inammissibile de plano, secondo la procedura prevista dall’art. 127, comma 9, CPP, ma, considerando che la revoca può implicare valutazioni di ordine discrezionale, deve essere deciso nell’udienza camerale e nel contraddittorio tra le parti, previamente avvisate.

Difatti, la revoca della misura interdittiva disposta a seguito delle condotte riparatorie poste in essere ex art. 17, intervenuta nelle more dell’appello cautelare proposto nell’interesse della società indagata, non determina autonomamente la sopravvenuta carenza di interesse all’impugnazione (SU, 51515/2018).