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Art. 55 - Annotazione dell’illecito amministrativo

1. Il pubblico ministero che acquisisce la notizia dell’illecito amministrativo dipendente da reato commesso dall’ente annota immediatamente, nel registro di cui all’articolo 335 del codice di procedura penale, gli elementi identificativi dell’ente unitamente, ove possibile, alle generalità del suo legale rappresentante nonché il reato da cui dipende l’illecito.

2. L’annotazione di cui al comma 1 è comunicata all’ente o al suo difensore che ne faccia richiesta negli stessi limiti in cui è consentita la comunicazione delle iscrizioni della notizia di reato alla persona alla quale il reato è attribuito.

Stralcio della relazione ministeriale di accompagnamento al D. Lgs. 231/2001

18. Indagini preliminari e udienza preliminare.

Lo svolgimento della procedura di accertamento della responsabilità è, in parte, conseguenza della scelta di equiparare la posizione dell’ente a quella dell’imputato. Pertanto, nella sezione V, si sono disciplinate soprattutto le deroghe rispetto alla disciplina in materia di indagini e di udienza preliminare.

Per quanto riguarda le indagini, l’art. 55 pone a carico del pubblico ministero l’onere di annotare immediatamente nel registro di cui all’art. 335 c.p.p. la notizia dell’illecito amministrativo dipendente da reato, realizzando una disposizione analoga a quella prevista dal codice di rito.

Dall’annotazione decorre il termine per l’accertamento dell’illecito amministrativo, che l’art. 56 individua in relazione al termine per lo svolgimento delle indagini del reato da cui l’illecito stesso dipende, comprese le proroghe. In questo modo, l’accertamento dell’illecito amministrativo deriva la sua durata direttamente dal reato che rappresenta il suo presupposto.

Nel registro dovrà essere annotato l’illecito amministrativo, la cui struttura complessa comporta anche l’indicazione del reato da cui dipende; inoltre, si farà menzione degli elementi identificativi dell’ente e, se possibile, delle generalità del legale rappresentante.

Il comma 2 dell’art. 55 consente la comunicazione dell’annotazione all’ente che ne faccia richiesta negli stessi limiti in cui è possibile la comunicazione delle iscrizioni della notizia di reato, rinviando, in sostanza, alla disciplina di cui all’art. 335 commi 3 e 3-bis c.p.p. Così, ad esempio, qualora il pubblico ministero, ai sensi dell’art. 335 comma 3-bis c.p.p., abbia disposto il segreto sulle iscrizioni riguardanti il reato, la segretazione spiegherà effetto anche sulla comunicazione dell’annotazione dell’illecito amministrativo.”

 

Rassegna di giurisprudenza

Il termine di durata delle indagini preliminari decorre dalla data in cui il PM ha iscritto nel REGE il nome della persona cui il reato è attribuito, senza che al giudice sia consentito stabilire una diversa decorrenza, sicché gli eventuali ritardi indebiti nella iscrizione, tanto della notizia di reato che del nome della persona cui il reato è attribuito, pur se abnormi, sono privi di conseguenze agli effetti di quanto previsto dall’art. 407, comma 3 CPP, fermi restando gli eventuali profili di responsabilità disciplinare o penale del magistrato del PM che abbia ritardato l’iscrizione (SU, 40538/2009).

Il termine di durata massima delle indagini preliminari, alla cui scadenza consegue l’inutilizzabilità degli atti di indagine successivi, non decorre dal momento in cui sia stata genericamente iscritta la notizia di reato nel registro di cui all’art. 335 CPP, ma solo dalla data successiva nella quale sia avvenuta l’eventuale iscrizione delle generalità della persona cui il reato stesso sia stato attribuito (Sez. 1, 5484/2006).

L’iscrizione dell’indagato nel relativo registro è attività non sindacabile e «l’omessa annotazione della “notitia criminis” nel registro previsto dall’art. 335 CPP, con l’indicazione del nome della persona raggiunta da indizi di colpevolezza e sottoposta ad indagini “contestualmente ovvero dal momento in cui esso risulta”, non determina l’inutilizzabilità degli atti di indagine compiuti sino al momento dell’effettiva iscrizione nel registro, poiché, in tal caso, il termine di durata massima delle indagini preliminari, previsto dall’art. 407 CPP, al cui scadere consegue l’inutilizzabilità degli atti di indagine successivi, decorre per l’indagato dalla data in cui il nome è effettivamente iscritto nel REGE, e non dalla presunta data nella quale il PM avrebbe dovuto iscriverla.

L’apprezzamento della tempestività dell’iscrizione, il cui obbligo nasce solo ove a carico di una persona emerga l’esistenza di specifici elementi indizianti e non di meri sospetti, rientra nell’esclusiva valutazione discrezionale del PM ed è sottratto, in ordine all’”an” e al “quando”, al sindacato del giudice (SU, 16/2000).

L’inquirente è tenuto a procedere immediatamente ad una nuova iscrizione nel REGE ogni qualvolta, nei confronti della stessa persona, acquisisca elementi in ordine ad un fatto costituente reato ulteriore e diverso da quello già iscritto; deve invece limitarsi al mero aggiornamento della notizia di reato già iscritta allorquando si renda necessario modificarne la qualificazione giuridica ovvero precisare l’esistenza di elementi circostanziali.

Da tale impostazione consegue che, mentre nel caso di iscrizione di nuovi fatti di reato, è pacifico che il termine per le indagini preliminari, previsto dall’art. 405 decorra in modo autonomo per ciascuna iscrizione, nel caso in cui si tratti di “aggiornamento” della notitia criminis originaria (in relazione al nomen iuris ed agli elementi circostanziali) il termine delle indagini decorre dalla prima e, dunque, unica iscrizione per detto fatto (Sez. 6, 29151/2017).

Deve escludersi, in linea generale, che sia consentita la comunicazione informale di quanto risulta dai registri di un ufficio giudiziario.

Né tale principio è derogabile se la notizia abbia ad oggetto l’eventuale iscrizione nel registro delle notizie di reato e sia richiesta dal diretto interessato.

Quest’ultimo, infatti non ha, di per sé, un diritto incondizionato a ricevere tale tipo di notizia: il combinato disposto di cui agli artt. 335 CPP e 110-bis Att. CPP non solo riserva specificamente all’ufficio del PM la comunicazione delle informazioni concernenti eventuali iscrizioni nel registro delle notizie di reato, e previa formale richiesta, ma prevede espressamente che il PM, a fronte di una istanza di informazioni dell’interessato o del suo difensore, possa anche disporre il segreto sulle iscrizioni fino a tre mesi, ove ricorrano specifiche esigenze attinenti all’attività di indagine.

Deve perciò concludersi che solo la segreteria della competente Procura della Repubblica può fornire notizia circa eventuali iscrizioni a carico, sempre se il destinatario ne abbia fatto espressa richiesta e se la comunicazione dell’informazione sia stata autorizzata dal magistrato del PM, e che, quindi, fino al rilascio di tale autorizzazione, la notizia in ordine all’esistenza di iscrizioni a carico è segreta anche nei confronti del diretto interessato (Sez. 6, 49526/2017).

Il programma REGE, operativo presso ogni Procura della Repubblica, prevede, fino al provvedimento di chiusura dell’indagine preliminare, la sua diretta gestione dalla segreteria del PM, cui spetta l’esecuzione dell’iscrizione, disposta dal magistrato ai sensi dell’art. 335 CPP, di ogni notizia di reato pervenuta o acquisita di iniziativa «nonché, contestualmente o dal momento in cui risulta, il nome della persona alla quale il reato stesso è attribuito» e dei successivi aggiornamenti, oltre al rilascio delle certificazioni sulle iscrizioni.

Queste, non essendo di libera fruibilità per il pubblico, sono circondate dalle limitazioni previste sia dal citato art. 335 (commi 3 e 3-bis) sia dall’art. 110-bis Att. secondo il quale: “Quando vi è richiesta di comunicazione delle iscrizioni contenute nel registro delle notizie di reato a norma dell’articolo 335, comma 3, del codice, la segreteria della procura della Repubblica, se la risposta è positiva, e non sussistono gli impedimenti a rispondere di cui all’articolo 335, commi 3 e 3-bis del codice, fornisce le informazioni richieste precedute dalla formula: “Risultano le seguenti iscrizioni suscettibili di comunicazione”.

In caso contrario, risponde con la formula: “Non risultano iscrizioni suscettibili di comunicazione”».

L’importanza e la delicatezza dell’insieme di iscrizioni nel REGE, delle relative certificazioni e dell’inserimento dei riferimenti ad atti di indagine per ciascun procedimento giustificano la necessità che il sistema informatico, in quanto registro di cancelleria, sia posto sotto il diretto controllo del procuratore della Repubblica, capo dell’ufficio, nella qualità di responsabile del trattamento e sicurezza dei dati, ai sensi del D. Lgs. 196/2003, e di titolare del potere di opporre, se del caso, il segreto investigativo, negando l’accesso ad atti, anche in sede di ispezione o inchiesta dell’Ispettorato Generale del Ministero della giustizia. In ogni caso, l’amministratore dei servizi informatici (ADSI) garantisce che il capo dell’ufficio giudiziario, o un suo delegato, possa accedere alla infrastruttura logistica condivisa per verificare il rispetto degli standard di sicurezza e della normativa sulla tenuta informatizzata dei registri.

Nella materia della tenuta dei registri informatizzati è intervenuto, in sostituzione del DM 24 maggio 2001, il DM 27 aprile 2009, il quale prevede l’organizzazione centrale e periferica del sistema informatico del Ministero della giustizia, in particolare la D.G.S.I.A. con a capo il Responsabile S.I.A., le strutture interdistrettuali, distrettuali e locali. All’art. 8 dell’allegato è previsto che venga definita e gestita dal Responsabile S.I.A., con aggiornamenti periodici, la individuazione delle procedure di autenticazione, consistente in generale nella conoscenza di una coppia di informazioni (username e password) per l’accesso, così che ogni utente ottiene, tramite la procedura di autorizzazione, uno specifico insieme di privilegi di accesso ed utilizzo, denominato “profilo di autorizzazione”, rispetto alle risorse del sistema informatico.

Ogni profilo viene definito in modo tale da assegnare a ciascun utente solo ed esclusivamente i privilegi strettamente necessari per l’espletamento delle attività di propria competenza.

Sono poi stabilite, all’art. 10, le procedure di controllo sulle attività relative all’utilizzo e alla gestione del sistema informatico, sottoposte ad un processo continuo di controllo e verifica a garanzia della autenticità e della integrità dei dati, prevedendosi, come misura minima di monitoraggio, la registrazione di tutti gli accessi, anche di carattere tecnico, ivi compresi quelli non riusciti o falliti, e di tutte le operazioni effettuate sui dati.

Controllo che, in virtù del D. Lgs. 240/2006, come modificato con L. 24/2010, compete anche al magistrato capo dell’ufficio giudiziario, per il quale l’art. 1-bis prevede il dovere di assicurare la tempestiva adozione dei programmi per l’informatizzazione predisposti dal Ministero della giustizia per l’organizzazione dei servizi giudiziari, in modo da garantire l’uniformità delle procedure di gestione nonché le attività di monitoraggio e di verifica della qualità e dell’efficienza del servizio.

Il capo dell’ufficio giudiziario è, in definitiva, il responsabile della concreta gestione e del controllo dell’utilizzo dei registri informatizzati secondo i programmi concretamente messi a disposizione dal Ministero della giustizia, che, con le sue strutture, ne garantisce la gestione specificamente tecnica di accesso, controllo e aggiornamento.

Le disposizioni normative, di vario livello, sopra esaminate delineano lo status della persona dotata di funzioni pubbliche, il cui agire deve essere indirizzato alle finalità istituzionali in vista delle quali il rapporto funzionale è instaurato: doveri a cui sono correlati i necessari poteri e l’utilizzo di pubbliche risorse, traducendosi in abuso della funzione, nell’eccesso e nello sviamento di potere la condotta che si ponga in contrasto con le predette finalità istituzionali.

Condizioni e doveri che, se connotano in primo luogo la figura del pubblico ufficiale, sia o meno legato all’amministrazione da rapporto organico, ma dotato di poteri autoritativi, deliberativi o certificativi, considerati anche disgiuntamente tra loro, contraddistinguono anche quella dell’incaricato di pubblico servizio, la cui figura è connessa allo svolgimento di un servizio di pubblica utilità presso soggetti pubblici.

E tanto vale anche in riferimento alla gestione dei registri di cancelleria. Ai pubblici dipendenti che, nella loro qualità, debbono operare su registri informatizzati è imposta l’osservanza sia delle diposizioni di accesso, secondo i diversi profili per ciascuno di essi configurati, sia delle disposizioni del capo dell’ufficio sulla gestione dei registri, sia il rispetto del dovere loro imposto dallo statuto personale di eseguire sui sistemi attività che siano in diretta connessione con l’assolvimento della propria funzione.

Con la conseguente illiceità ed abusività di qualsiasi comportamento che con tale obiettivo si ponga in contrasto, manifestandosi in tal modo la “ontologica incompatibilità” dell’accesso al sistema informatico, connaturata ad un utilizzo dello stesso estraneo alla ratio del conferimento del relativo potere.

Per converso, il pubblico dipendente, addetto a mansioni d’ordine, cui non possano attribuirsi le qualifiche di pubblico ufficiale o di incaricato di pubblico servizio, che violi le disposizioni del titolare del sistema ed abbia accesso al medesimo al di fuori delle sue mansioni, commette in ogni caso, a prescindere dalle finalità perseguite, il reato di cui al primo comma dell’art. 615-ter CP.

Conclusivamente, a fronte del quesito proposto dalla Sezione rimettente, può essere formulato il seguente principio di diritto: “Integra il delitto previsto dall’art. 615-ter, comma 2, n. 1, Cod. pen. la condotta del pubblico ufficiale o dell’incaricato di un pubblico servizio che, pur essendo abilitato e pur non violando le prescrizioni formali impartite dal titolare di un sistema informatico o telematico protetto per delimitarne l’accesso (nella specie, REGE), acceda o si mantenga nel sistema per ragioni ontologicamente estranee e comunque diverse rispetto a quelle per le quali, soltanto, la facoltà di accesso gli è attribuita” (SU, 41210/2017).