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Art. 54 - Sequestro conservativo

1. Se vi è fondata ragione di ritenere che manchino o si disperdano le garanzie per il pagamento della sanzione pecuniaria, delle spese del procedimento e di ogni altra somma dovuta all’erario dello Stato, il pubblico ministero, in ogni stato e grado del processo di merito, chiede il sequestro conservativo dei beni mobili e immobili dell’ente o delle somme o cose allo stesso dovute. Si osservano le disposizioni di cui agli articoli 316, comma 4, 317, 318, 319 e 320 del codice di procedura penale, in quanto applicabili.

Stralcio della relazione ministeriale di accompagnamento al D. Lgs. 231/2001

Si veda sub art. 53.

 

Rassegna di giurisprudenza

Art. 316 CPP

La natura di misura cautelare del sequestro conservativo impone che il suo funzionamento sia analizzato utilizzando i criteri di fondo del sistema cautelare, primo fra tutti l’accertamento, da parte del giudice emittente e del giudice della impugnazione, dei presupposti applicativi del sequestro ed in particolare, dei presupposti di legittimità comuni a tutte le misure cautelari reali, del fumus boni iuris e del periculum in mora, nonché in considerazione della specifica previsione dell’art. 316, comma 1, CPP del requisito imprescindibile, della pignorabilità, posto che, ai sensi del successivo art. 320, comma 1, CPP il sequestro si converte in pignoramento una volta divenuta irrevocabile la sentenza di condanna al pagamento di una pena pecuniaria, ovvero al risarcimento del danno in favore della parte civile.

Pertanto, non vi è motivo per non riconoscere che sia valutabile dal giudice che procede o da quello della impugnazione cautelare il rispetto dei parametri normativi che condizionano o possono paralizzare la deduzione della impignorabilità, in quanto il controllo demandato al tribunale del riesame deve essere “pieno” e tendere alla verifica della legittimità della misura ablativa in tutti i suoi profili, compresi quelli di sostanza e di derivazione civilistica (SU, 38760/2016).

Il sequestro conservativo considerato dal codice di rito del 1930, un mezzo di garanzia patrimoniale per l’esecuzione, è divenuto nel sistema del codice del 1988 una misura cautelare reale che – è di rilievo precisarlo – si profila, con le necessarie differenziazioni derivanti dalla tipologia procedimentale entro cui la pretesa viene fatta valere, come modulo pressoché analogo al sequestro conservativo civile, sia per la funzione ad esso assegnata dalla legge, e cioè impedire la disponibilità anche giuridica della cosa rendendone inefficace l’eventuale alienazione sia per l’identità dello strumento di esecuzione, vale a dire, il pignoramento.

L’art. 316 CPP, dedicato ai «Presupposti ed effetti del provvedimento», definisce tali presupposti, tanto che essi si riferiscano all’iniziativa del PM (legittimato a chiedere il sequestro conservativo al fine di garanzia per il pagamento della pena pecuniaria, delle spese del procedimento e di ogni altra somma dovuta all’erario dello Stato) tanto che essi si riferiscano all’iniziativa della parte civile (legittimata a chiedere il sequestro conservativo al fine di garanzia per le obbligazioni civili derivanti da reato), nel solo cosiddetto periculum in mora, vale a dire nel «fondato motivo di ritenere che manchino o si disperdano le predette garanzie», che diviene così elemento necessitato della fattispecie costitutiva del potere di disporre il sequestro conservativo penale.

La richiesta ora rammentata può proporsi in ogni stato e grado del processo di merito e, dunque (a differenza di quanto si verifica in tema di sequestro conservativo richiesto nel procedimento civile), prescinde dal fumus delicti (che è insito nella fase in cui il provvedimento può essere richiesto).

Per effetto del sequestro assentito (e qui è da ravvisare un effetto esclusivo del sequestro conservativo penale) i crediti sopra indicati si considerano privilegiati rispetto ad ogni altro credito non privilegiato di data anteriore ai crediti sorti posteriormente, salvi, in ogni caso, i privilegi stabiliti a garanzia del pagamento dei tributi (SU, 51660/2014).

 

Giudice competente

La competenza in ordine all’emissione del provvedimento che dispone il sequestro conservativo, previsto dall’art. 316 permane in capo al GIP anche dopo il provvedimento che dispone il giudizio, finché gli atti non siano trasmessi al giudice competente per il dibattimento: tale regime trova ragione nel carattere di urgenza inerente alla misura, preordinata ad impedire la dispersione delle garanzie sui beni (Sez. 6, 57260/2017).

L’art. 316 CPP, nel definire al comma 1 i presupposti per l’applicazione del sequestro conservativo, espressamente si riferisce a situazioni in cui “manchino” ovvero “si disperdano” le garanzie per il pagamento della pena pecuniaria, delle spese di procedimento e di ogni altra somma dovuta all’erario.

Stando alla definizione normativa, il “periculum” consiste nel concreto e fondato timore della incapienza del patrimonio dell’imputato (che può essere originaria o sopravvenuta) rispetto agli obblighi nascenti dalla commissione del reato, a cui si riconosce tramite il sequestro conservativo, titolo ad una soddisfazione in via privilegiata (art. 314, comma 4 CPP).

Due sono i modi attraverso cui può manifestarsi il pericolo: la mancanza (intesa anche come inadeguatezza o insufficienza) dell’oggetto della garanzia patrimoniale; il rischio che essa possa disperdersi. In entrambi i casi l’accertamento deve vertere su un confronto tra l’entità del patrimonio del debitore e l’insieme delle ragioni creditorie gravanti sul medesimo (Sez. 4, 34894/2018).

Perché possa affermarsi la sussistenza del presupposto del periculum in mora, ha stabilito che è sufficiente che vi sia il fondato motivo per ritenere che manchino le garanzie del credito, ossia che il patrimonio del debitore sia attualmente insufficiente per l’adempimento delle obbligazioni di cui all’art. 316, commi 1 e 2 CPP, non occorrendo invece che sia simultaneamente acclarata una condotta, processuale o extraprocessuale, dell’imputato da cui poter desumere, secondo la regola dell’id quod plerumque accidit, l’eventualità di una dispersione del suo patrimonio o la sua intenzione di sottrarsi all’adempimento del credito (Sez. 4, 4636/2018).

Il giudice che dispone il sequestro conservativo deve valutare che il vincolo sia mantenuto nei limiti in cui la legge lo consente e verificare la ragionevole proporzionalità fra crediti da garantire ed ammontare del debito, dovendo ritenersi applicabile, anche nel procedimento penale, l’art. 496 CPC., che consente al giudice, ove risulti l’esorbitanza dei beni originariamente staggiti rispetto all’ammontare del credito, la riduzione del pignoramento (Sez. 2, 36955/2018).

Ai fini della validità del provvedimento che dispone il sequestro conservativo non è richiesta la specificazione della somma il cui pagamento la misura cautelare è destinata a garantire, ben potendo la determinazione del suo ammontare, sia ai fini dell’eventuale prestazione di idonea cauzione, sia per evitare il perdurare ingiustificato del vincolo, essere effettuata successivamente dal giudice.

Non è, pertanto, configurabile alcuna nullità per la mancata indicazione, nell’ordinanza dispositiva del sequestro conservativo, della somma a garanzia della quale la misura risulta disposta (SU, 3462/2006).

 

Pignorabilità dei beni

In sede di opposizione all’esecuzione, come l’opponente può contestare il diritto di procedere all’esecuzione forzata, adducendo l’ impignorabilità del bene staggito perché conferito ad un fondo patrimoniale, sorta anteriormente alla formazione del titolo esecutivo giudiziale od al conseguimento della sua definitività, così, simmetricamente, non è precluso al creditore procedente di replicare che la pignorabilità del bene deriva dall’applicazione dell’art. 192 CP qualora il fondo sia stato costituito dall’autore del reato dopo la commissione dello stesso, attesa l’inesistenza di un rapporto di pregiudizialità tra azioni revocatorie, tanto più di quella penale, rispetto all’opposizione all’esecuzione che si fondi sull’impignorabilità di beni che siano oggetto di queste (Sez. 3 civile, 23158/2014).

Non sono opponibili al creditore danneggiato dal reato gli atti a titolo gratuito posti in essere dall’imputato successivamente al tempus commissi delicti (Sez. 5, 1935/2018).

L’art. 194 CP e le norme precedenti disciplinano le ipotesi in cui gli atti di disposizione patrimoniale sono inefficaci a fronte dell’esistenza dei crediti indicati dall’art.189 CP rispetto ai quali i beni dell’imputato possono essere assoggettati a sequestro, allo scopo di garantire, fra l’altro, il pagamento delle somme dovute a titolo del risarcimento del danno.

È del tutto evidente, allora, che le due norme hanno un ambito di applicabilità differente; da un lato gli artt. 192, 193 e 194 CP indicano i presupposti perché un atto di disposizione patrimoniale sia dichiarato inefficace rispetto ai creditori indicati dall’art.189 CP e, in ultima analisi, detta le regole per la pignorabilità dei beni che con gli atti dichiarati inefficaci siano stati trasferiti.

Le disposizioni sul sequestro conservativo (artt. 316 e ss. CPP) mirano, invece, a salvaguardare le garanzie patrimoniali dei creditori indicati dall’art. 189 CP fra cui la parte civile, fino a che, con la pronuncia di una sentenza penale irrevocabile di condanna, il sequestro conservativo si converte in pignoramento ai sensi dell’art. 320 CPP.

Le diverse norme debbono essere lette congiuntamente, sicché lo strumento cautelare per assicurare che non si disperdano le garanzie patrimoniali di taluni creditori, fra cui la parte civile, è il sequestro conservativo, che deve colpire dei beni la cui pignorabilità - a seguito della pronuncia di una sentenza irrevocabile di condanna- è determinata nel rispetto delle regole di cui agli artt. 192, 193, 194 CP.

In tale contesto ben si comprende come gli articoli 192, 193 e 194 CP si riferiscano al “colpevole” in quanto disciplinano la possibilità di rendere inefficaci atti di disposizione patrimoniale e aggredire dei beni, quindi logicamente presuppongono un giudizio irrevocabile di colpevolezza ma, a monte, il criterio per evitare la dispersione di tali beni, potenzialmente aggredibili, è quello consueto che disciplina le misure cautelari reali ed è evidente che, trattandosi di un provvedimento cautelare, sarà rivolto non già ad un colpevole ma ad una persona sottoposta a procedimento penale.

Sul punto Sez. 3 civile, 23158/2014 ha chiarito che “Non è nemmeno necessario che l’autore dell’atto sia già stato condannato e tanto meno in via definitiva.

La norma penale accorda la tutela nei confronti del “colpevole”, il quale sia autore dell’atto di disposizione: ora, è ben vero che per “colpevole”, secondo la dottrina penalistica, va identificato colui al quale non solo è attribuito un fatto costituente reato, ma che ne è risultato altresì causa materiale e psichica per l’esistenza di uno degli atteggiamenti, richiesti dalla legge, della coscienza e della volontà verso l’evento; ma è altrettanto vero che, in vista ed in attesa di tale riconoscimento, il credito da tutelare comunque sussiste e che pertanto anche la sola prospettazione della qualità di colpevole, che si ha prima della condanna, fonda idoneamente l’invocabilità dell’inefficacia, se non altro appunto in via cautelare.

La carenza attuale del riconoscimento di quella qualità, del resto, neppure impedisce la costituzione di parte civile, il cui presupposto è appunto rimesso all’accertamento in esito all’intera attività processuale che, pure, essa è ammessa a compiere in vista di quella finale pronunzia. Si tratta, quindi, di un’anticipazione condizionata degli effetti di quel riconoscimento, finalizzata ad agevolarlo in dipendenza della particolare condizione personale del soggetto abilitato.

L’inefficacia penale può rilevare allora come giustificazione di misure cautelari finalizzate a preservare la garanzia consistente nel patrimonio del colpevole, prima ancora della sua condanna ed alla sola condizione della sua sottoposizione a procedimento penale: è, oggi, il caso del sequestro conservativo previsto dall’art. 316, una volta chiesto  ed a maggior ragione se conseguito, come poi in concreto avvenuto nella fattispecie in esame  dal danneggiato che si sia costituito parte civile; tuttavia, l’inefficacia potrà giungere a legittimare l’esecuzione sui beni sequestrati solo una volta che il sequestro, in virtù dei principi generali processualcivilistici richiamati dall’art. 320, si sia convertito  ma pur sempre con efficacia ex tunc e anticipando quindi al tempo della sua attuazione gli effetti della successiva azione esecutiva  in pignoramento in dipendenza del riconoscimento dei credito con sentenza di merito.

La dichiarazione di colpevolezza è quindi presupposto per la concreta operatività dell’invocata inefficacia: o, in altri termini, per l’effettiva aggressione esecutiva sul bene oggetto dell’atto di disposizione, secondo le ordinarie regole in tema di actio pauliana.

Se tanto è vero, l’inefficacia può essere fatta utilmente valere  se non ai fini della ricordata misura cautelare penale speciale, ma senza alcuna concreta definitiva conseguenza sul bene oggetto dell’atto di disposizione  esclusivamente a far tempo dalla dichiarazione di colpevolezza dell’autore dell’atto e, più precisamente, dal momento in cui quest’ultima, avendo determinato l’esistenza del credito in capo al danneggiato, possa fondare (secondo i principi generali sull’esercizio dell’azione civile nel processo penale, il cui approfondimento non rileva ai fini della presente controversia) un’azione esecutiva contro chi ne è attinto.

Conseguenza di tanto è che, in applicazione della regola generale prevista dall’art. 2935 Cod. civ., prima di tale data non può iniziare a decorrere nemmeno il termine prescrizionale; il quale, poi, per l’astratta riconducibilità dell’azione in esame al più ampio genere di quella revocatoria, non potrà che essere quello quinquennale previsto dall’art. 2903 Cod. civ.: non rileva allora, quale exordium praescriptionis, la data dell’atto di disposizione.

E, in applicazione anche in questo caso di regole generali civilistiche (e segnatamente dei commi primo e terzo dell’art. 2945 Cod. civ.), il termine prescrizionale è dapprima interrotto dall’esecuzione di una misura cautelare (come pure dall’inizio di un giudizio risarcitorio) e poi rimane sospeso  in dipendenza della retroazione al tempo di attuazione della misura cautelare degli effetti del pignoramento in cui essa si converte  durante tutto il tempo di pendenza del giudizio, penale o civile poco importa, che culmini nella pronunzia di un titolo esecutivo in favore del danneggiato che sia riconosciuto creditore”.

Anche la giurisprudenza di legittimità delle sezioni penali ha ammesso la possibilità che il sequestro conservativo colpisca, oltre che beni di proprietà dell’imputato, anche beni di proprietà di terzi, ove sia esperibile l’azione revocatoria dell’atto di acquisto ai sensi degli artt. 192, 193 e 194 CP, sottolineando che se si ritenesse non consentito il sequestro conservativo, l’esito positivo dell’azione revocatoria potrebbe essere del tutto inutile a fronte di un bene non sottoposto a nessun vincolo (Sez. 5, 40500/2017).

 

Art. 317 CPP

Il sequestro conservativo sui beni dell’imputato non perde efficacia laddove il processo penale si concluda con una sentenza di condanna generica e con la rimessione delle parti davanti al giudice civile ai sensi dell’art. 539, comma 1, dovendo il giudizio ivi proseguire per la determinazione del quantum dell’importo dovuto alla parte civile. Spetta al suddetto giudice, nella pendenza del relativo giudizio, la competenza a revocare o modificare la misura concessa a garanzia dell’azione civile nel processo penale (Sez. 1, 46030/2014).

In tema di misure cautelari reali, il mancato rispetto del termine perentorio di giorni trenta per l’esecuzione del sequestro conservativo, di cui all’art. 675 CPC, non determina la decadenza del provvedimento emesso dal giudice penale, in quanto il richiamo alle «forme previste dal codice di procedura civile», contenuto nell’art. 317, comma 3 CPP, attiene esclusivamente alle modalità esecutive (Sez. 2, 29113/2011).

Tanto per le misure cautelari personali (artt. 279 CPP e 91 Att.) tanto per le misure cautelari reali (artt. 317 e 321 CPP), la figura del “giudice che procede” ovvero di quello “competente a pronunciarsi nel merito” va individuata in relazione allo sviluppo del rapporto processuale e all’articolazione di esso nelle varie fasi e nei vari gradi, correlati al passaggio degli atti da un giudice all’altro, nel senso che l’attribuzione della competenza funzionale in ordine ai relativi procedimenti dipende dalla disponibilità materiale e giuridica degli atti al momento della presentazione dell’istanza e viene meno solo con la loro trasmissione ad altro giudice (Sez. 1, 40219/2016).

 

Art. 318 CPP

L’ambito di legittimazione a proporre richiesta di riesame contro il provvedimento di sequestro conservativo è allora più ampio di quello concernente il sequestro preventivo. Nei confronti di questo, infatti, possono avanzare richiesta – a norma dell’art. 322 CPP – l’imputato, il suo difensore, la persona alla quale le cose sono state sequestrate e quella che avrebbe diritto alla loro restituzione.

La facoltà di formulare la richiesta contro quello conservativo, invece, spetta – ai sensi del citato art. 318 CPP – non solo all’imputato, al responsabile civile e a chiunque possa vantare un diritto reale sulla cosa in sequestro, ma anche a tutti coloro (compresi i creditori) che possono ricevere pregiudizio dal mantenimento della misura cautelare.

Dunque, la previsione dell’art. 318 CPP ruota intorno alla sola sussistenza dell’interesse, che deve emergere quantomeno dalla formulazione del ricorso.

In questo quadro, si è, perciò, richiesta anche all’imputato la prospettazione di un concreto interesse a proporre riesame relativamente a beni oggetto di sequestro conservativo che appartengano a un soggetto da lui diverso.

Pur non potendosi disconoscere la generica legittimazione dell’indagato o dell’imputato alla proposizione della richiesta di riesame, anche se concernente beni formalmente appartenenti a terze persone, deve, tuttavia, pur sempre individuarsi, in capo a lui, un concreto interesse alla proposizione dell’impugnazione, enucleabile anche soltanto in base alla fattispecie considerata e alle prospettazioni dell’interessato (Sez. 3, 37450/2017).

La richiesta di restituzione dei beni sottoposti a sequestro conservativo, non essendo normativamente prevista, deve essere giuridicamente qualificata come richiesta di riesame, con conseguente trasmissione degli atti al Tribunale competente per il giudizio di impugnazione previsto dagli artt. 318 e 324 CPP.

Là dove venga erroneamente proposta opposizione mediante incidente di esecuzione, il giudice della cognizione, in applicazione dell’art. 568, comma 5 CPP, e del principio di conservazione dell’atto di impugnazione ivi espresso, è tenuto a riqualificare l’opposizione erroneamente proposta ed a trasmettere gli atti al giudice competente (in termini sul più generale principio di conservazione (Sez. 6, 16865/2018).

Le questioni attinenti al regime di pignorabilità dei beni sottoposti a sequestro conservativo sono deducibili con la richiesta di riesame e devono essere decise dal tribunale del riesame, al quale è demandato un controllo “pieno”, che deve tendere alla verifica di legittimità della misura ablativa in tutti i suoi profili (SU, 38670/2016).

Non è proponibile in sede di riesame del provvedimento che dispone il sequestro conservativo la questione relativa alla sussistenza del fumus commissi delicti, qualora sia intervenuto il decreto che dispone il rinvio a giudizio del soggetto interessato, che implica   a differenza della ipotesi del decreto di citazione diretta a giudizio   una preventiva verifica giurisdizionale sulla fondatezza dell’azione penale esercitata (Sez. 2, 52255/2016).

La parte civile non è legittimata a ricorrere per cassazione contro il provvedimento che, in sede di riesame, abbia annullato o revocato l’ordinanza di sequestro conservativo disposto a favore della stessa parte civile (Sez. 5, 1414/2018).

Le Sezioni unite hanno meglio precisato questo indirizzo nei seguenti termini: Il difensore della parte civile ha diritto di ricevere avviso dell’udienza fissata dal tribunale sulla richiesta di riesame proposta dall’imputato avverso una ordinanza di sequestro conservativo e di partecipare all’udienza.

In mancanza di tale partecipazione, la parte civile è legittimata a proporre ricorso per cassazione contro l’ordinanza che abbia annullato o revocato, in tutto o in parte, il sequestro, al solo scopo di fare accertare la nullità ex art. 178, comma 1, lett. c) CPP.

In ogni caso, sulla base della disciplina normativa, con riguardo alla posizione della parte civile, in coerenza con l’assunto che ne esclude il diritto sia a proporre il riesame sia ad impugnare il diniego della richiesta (al pari del PM), ad essa non è consentito ex art. 325 CPP proporre tanto il ricorso per saltum, quanto (ai fini della questione rimessa) il ricorso avverso l’ordinanza del riesame che abbia annullato il sequestro conservativo disposto in prima istanza (SU, 15290/2018).

In tema di sequestro conservativo è ammesso il riesame contro l’ordinanza applicativa, ma non è previsto alcun rimedio nei confronti del provvedimento di diniego del sequestro. Tale sistemazione legislativa non può ritenersi limitativa dei diritti della parte danneggiata dal reato che, mediante l’esercizio dell’azione civile, ha la possibilità di una tutela primaria e diretta delle sue pretese (Sez. 4, 1277/2018).

In tema di riesame delle misure cautelari reali, nella nozione di “violazione di legge” per cui soltanto può essere proposto ricorso per cassazione a norma dell’art. 325, comma 1 CPP, rientrano la mancanza assoluta di motivazione o la presenza di motivazione meramente apparente, in quanto correlate all’inosservanza di precise norme processuali, ma non l’illogicità manifesta, la quale può denunciarsi nel giudizio di legittimità soltanto tramite lo specifico e autonomo motivo di ricorso di cui alla lett. e) dell’art. 606 (SU, 5876/2004).

 

Art. 319 CPP

Alla luce dell’art. 319 il sequestro conservativo, prima della definitività della sentenza di proscioglimento o di non luogo a procedere, è suscettibile di revoca nel solo caso in cui venga offerta idonea cauzione, e non anche per il venir meno dei presupposti che ne hanno legittimato l’adozione (Sez. 4, 39171/2013).

 

Art. 320 CPP

Premesso che, ex art. 320 comma 1 CPP, il sequestro conservativo si converte in pignoramento al momento in cui dovesse sopraggiungere sentenza irrevocabile di condanna e che, ai sensi del capoverso dello stesso art. 320, l’esecuzione forzata sui beni sequestrati ha luogo nelle forme prescritte dal codice di procedura civile, trovano applicazione le norme in esso previste che regolano l’intervento degli altri creditori, che potranno concorrere, nell’ordine di legge, a soddisfarsi sui beni staggiti (Sez. 2, 39470/2015).