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Composizione delle Commissioni di Gara

il dono del giorno
Ph. Ermes Galli / il dono del giorno

La fattispecie di incompatibilità ex art. 77, comma 4, del Codice degli Appalti nella composizione delle Commissioni di Gara; nota a sentenza del Consiglio di Stato, sez. VI, n. 7419/2021.

Il massimo organo di giustizia amministrativa, con la pronuncia emarginata, è ritornato ad affrontare la problematica relativa alla corretta composizione delle Commissioni di Gara, con particolare riferimento al ruolo del Presidente.

Nel caso di specie, in buona sostanza, il Presidente della Commissione era colui che:

a) aveva adottato il decreto di indizione della procedura di gara con cui, dopo avere predeterminato il fabbisogno, aveva prestabilito le regole relative alla selezione dei concorrenti, alla selezione delle offerte e all’aggiudicazione della procedura;

b) aveva nominato il RUP, individuandolo tra i dipendenti del proprio ufficio;

c) aveva nominato la Commissione di gara, avocando all’organo collegiale il potere di ammissione e/o esclusione dei concorrenti e, in generale, l’esercizio del potere di esame della documentazione amministrativa prodotta ai sensi della lex specialis;

d) aveva approvato gli atti di gara, ivi compresa l’aggiudicazione.

Con la sentenza di prime cure resa dal TAR Calabria, sez. I, n. 1084/2021, tale modus procedendi era stato ritenuto conforme alle vigenti disposizioni normative e ciò in quanto, nella prospettazione del TAR non sussisteva la violazione dell’art. 77, comma 4, D. Lgs. n. 50/16, tenuto conto che il Presidente della Commissione in discorso non aveva predisposto gli atti di gara, limitandosi ad indire la procedura ed a sottoscrivere gli atti redatti da altri soggetti, senza mai definirne il relativo contenuto; parimenti, non avrebbe potuto argomentarsi diversamente sulla base dell’approvazione dell’aggiudicazione promanante dal medesimo organo, in quanto non risultava possibile riferire le ragioni di incompatibilità ad un incarico anteriore nel tempo alle preclusioni derivanti solamente dall’assunzione di un incarico posteriore; non inficiava la legittimità della procedura neanche l’attribuzione alla commissione esaminatrice anche del compito di esaminare gli aspetti formali delle domande di partecipazione alla gara (attività, lo si rileva per inciso, normalmente svolta dalle Commissioni di Gara in sede di verifica della documentazione amministrativa.

L’originario ricorrente, restando evidentemente insoddisfatto di quanto disposto dalla richiamata sentenza, ha proposto gravame dinanzi ai giudici di Palazzo Spada, riproponendo, sostanzialmente, le censure ritenute prive di consistenza dai giudici calabresi.

Il Consiglio di Stato ha rilevato come fondate le doglianze dell’appellante ed ha affermato, per l’effetto, come nel caso di specie risulti integrata la fattispecie di incompatibilità prevista dall’art. 77, comma 4, del Codice degli Appalti a mente della quale: “I commissari non devono aver svolto né possono svolgere alcun'altra funzione o incarico tecnico o amministrativo relativamente al contratto del cui affidamento si tratta. La nomina del RUP a membro delle commissioni di gara è valutata con riferimento alla singola procedura”.  

Il percorso argomentativo seguito dal massimo organo di giustizia amministrativa può essere riassunto come in appresso.

In primo luogo vengono richiamati i principi giurisprudenziali affermati dal medesimo organo giudicante e sintetizzati nella massima che segue: “Con riguardo al regime di incompatibilità tra le funzioni svolte nel procedimento e quelle di presidente della Commissione, il fondamento è di stretto diritto positivo, e va rinvenuto nel più volte ricordato art. 77, comma 4, del d.lgs. n. 50 del 2016.

Occorre peraltro rilevare che la norma in questione ha la stessa portata oggettiva dell’art. 84, comma 4, del d.lgs. n. 163 del 2006, in relazione alla quale la giurisprudenza aveva posto in evidenza che rispondeva all’esigenza di una rigida separazione tra la fase di preparazione della documentazione di gara e quella di valutazione delle offerte in essa presentate, a garanzia della neutralità del giudizio ed in coerenza con la ratio generalmente sottesa alle cause di incompatibilità dei componenti degli organi amministrativi (Cons. Stato, Ad. plen., 7 maggio 2013, n.13).

Il fondamento ultimo di razionalità della disposizione dell’art. 77, comma 4, è dunque quello per cui chi ha redatto la lex specialis non può essere componente della Commissione, costituendo il principio di separazione tra chi predisponga il regolamento di gara e chi è chiamato a concretamente applicarlo una regola generale posta a tutela della trasparenza della procedura, e dunque a garanzia del diritto delle parti ad una decisione adottata da un organo terzo ed imparziale mediante valutazioni il più possibile oggettive, e cioè non influenzate dalle scelte che l’hanno preceduta (Cons. Stato, V, 27 febbraio 2019, n. 1387)” (in tal senso Consiglio di Stato, sez. V, 17 aprile 2020, n. 2471).

Sulla scorta di siffatte premesse argomentative, nella valutazione del Consiglio di Stato, risulta integrata la fattispecie di incompatibilità posta dall’art. 77, comma 4, D. Lgs. n. 50/16, “stante la concentrazione in capo alla medesima persona delle attività di preparazione della documentazione di gara, implicante la definizione delle regole applicabili per la selezione del contraente migliore, e delle attività di valutazione delle offerte, da svolgere in applicazione delle regole procedurali all’uopo predefinite”.

A conferma del richiamato assunto il Consiglio di Stato evidenzia che il Dirigente di che trattasi:  

ha indetto la procedura aperta per cui è causa, definendo il valore complessivo stimato dell’appalto, il criterio di aggiudicazione all’uopo applicabile, le modalità di pubblicazione del bando di gara, nonché la riserva in capo all’Amministrazione di aggiudicare la fornitura anche in presenza di una sola offerta valida;

ha sottoscritto il bando di gara, recante, altresì, le prescritte informazioni in ordine all’oggetto e alla procedura di selezione del contraente;

ha sottoscritto il disciplinare di gara, regolante nel dettaglio le regole procedurali da osservare per pervenire alla selezione del contraente migliore;

ha nominato la Commissione giudicatrice, indicando la propria persona quale Presidente della stessa; ha provveduto, infine, alla valutazione delle offerte in qualità di Presidente della Commissione.

Non v’è chi non veda la radicale divergenza dalle conclusioni, che pure hanno il medesimo sostrato fattuale, a cui era pervenuto il TAR Calabria con la sentenza oggetto di impugnativa, atteso che il massimo organo di giustizia amministrativa ha ritenuto che, nella fattispecie concretamente considerata, risulti violato addirittura il principio costituzionale dell’imparzialità dell’azione amministrativa.

A tale arresto si perviene, infatti, evidenziando una inammissibile vulnerazione  del principio di necessaria separazione tra fase regolatoria e fase attuativa di una procedura di appalto pubblico, con conseguente, patente, compromissione  “del diritto delle parti ad una decisione adottata da un organo terzo ed imparziale mediante valutazioni il più possibile oggettive, e cioè non influenzate dalle scelte che l'hanno preceduta” (Consiglio di Stato, Sez. III, 8 ottobre 2021, n. 6744).

I giudici di Palazzo Spada hanno ritenuto, dunque, irrilevante la circostanza, prospettata dalla difesa della stazione appaltante, che il Dirigente considerato non fosse il redattore effettivo degli atti con cui sono state definite le regole procedurali, essendosi questi limitato, per contro, a sottoscrivere documenti elaborati da altri.

Il Consiglio di Stato ha ritenuto, peraltro, che un’indagine esaustiva sul punto potesse essere tranquillamente omessa, atteso che la sottoscrizione svolge “una funzione identificativa ed impegnativa, consentendo di individuare l’autore dell’atto e imputando in capo a questi la responsabilità derivante dalla sua adozione”, con la conseguenza necessitata che attraverso la sottoscrizione il funzionario pubblico “non si limita a recepire l’altrui volontà dispositiva, ma, facendo proprio il lavoro preparatorio svolto dall’Ufficio, manifesta in via immediata e diretta la volontà provvedimentale dell’Amministrazione di appartenenza, attuando un definito assetto di interessi sul piano sostanziale” (si veda, in termini, Consiglio di Stato, Sez. III, 8 ottobre 2021, n. 6744, laddove si afferma la sottoscrizione di un atto equivalga a “prova della paternità assunta dal sottoscrittore in ordine al contenuto dell’atto”).

Ad abundantiam, nella vicenda oggetto di queste brevi notazioni, il funzionario di che trattasi, non aveva acquisito il ruolo di RUP, con conseguente inoperatività della previsione parzialmente derogatoria dettata dal medesimo comma 4, dell’art. 77 del Codice degli Appalti, laddove si legge che “La nomina del RUP a membro delle commissioni di gara è valutata con riferimento alla singola procedura”.

Sul punto la sentenza de qua evidenzia che detta previsione rientra, con ogni evidenza, trattandosi di disposizione derogatoria rispetto ad una regola generale, nel novero di quelle avente natura eccezionale e come tale, ai sensi dell’art. 14 del disposizioni preliminari al c.c., da intendere restrittivamente, non potendo applicarsi a fattispecie ulteriori rispetto a quelle espressamente regolate, di talché in quanto il Presidente della Commissione non aveva assunto l’incarico di RUP, avrebbe dovuto applicarsi la regola generale precludente “a coloro che abbiano comunque svolto una funzione o incarico tecnico o amministrativo relativamente al contratto in affidamento la possibilità di essere nominati componenti della Commissione giudicatrice”.

L’orientamento rigoristico propugnato dal Consiglio di Stato non appare particolarmente sorprendente atteso che si rinvengono numerosi precedenti giurisprudenziali connotati da una lettura fortemente restrittiva del vigente quadro ordinamentale nello specifico ambito materiale considerato.

A titolo meramente esemplificativo si riporta il principio di diritto affermato dal massimo organo di giustizia amministrativa con sentenza n. 144/2021, resa dalla Sez. V, che così recita: “La giurisprudenza ha, invero, chiarito – in relazione alla analoga previsione dell’art. 84, comma 4, del d.lgs. 12 aprile 2006, n. 163, che costituisce il diretto antecedente della norma in esame – che la preclusione “si riferisce ad una specifica attività svolta con riguardo al contratto da stipularsi in esito alla gara in parola” e che la stessa “non può che valere che per i soggetti che abbiano avuto incarichi con riferimento al medesimo contratto”, mirando infatti a garantire “l’imparzialità dei commissari di gara che avessero svolto incarichi relativi al medesimo appalto, quali compiti di progettazione, di verifica della progettazione, di predisposizione della legge di gara e simili e non incarichi amministrativi o tecnici genericamente riferiti ad altri appalti” (cfr. Cons. Stato, V, 4 novembre 2014, n. 5441; Id., VI, 29 dicembre 2010, n. 9577; Id., V, 22 giugno 2012, n. 3682).

Tra le ipotesi di incompatibilità figurano, allora, situazioni in cui l’incarico di commissario è assunto da soggetti chiamati ad esercitare funzioni “attive” nell’ambito della stessa gara (responsabile unico del procedimento, soggetti che abbiano materialmente partecipato alla redazione degli atti di gara, dirigente del settore interessato chiamato ad effettuare verifiche formali sul contenuto dei medesimi atti e simili), laddove la mera appartenenza all’organico della stazione appaltante e il connesso svolgimento delle ordinarie mansioni richieste dal proprio ruolo sono irrilevanti”.

Anche nelle posizioni assunte da taluni Tribunali Amministrativi Regionali si riverbera, come è ovvio, l’influenza della linea interpretativa dettata dalla maggioranza delle decisioni assunte, in subiecta materia, dal Consiglio di Stato.

Al riguardo si veda, ex plurimis, la sentenza resa dal TAR Marche, sez. I, contraddistinta dal n.829/2018, laddove si legge, con riferimento al profilo oggetto di queste brevi notazioni, che: “La situazione di incompatibilità dei componenti della commissione [art. 77 d.lgs. n. 50/2016] che abbiano in qualsiasi modo preso parte al procedimento di formazione degli atti della procedura va valutata tenendo presente il concreto contenuto degli atti medesimi (così, ex multisConsiglio di Stato, n. 6082/2018 e altre decisioni ivi richiamate).

Come è noto, particolare rilievo rivestono in tal senso il disciplinare di gara e il capitolato tecnico (nonché, negli appalti di lavori pubblici, i progetti preliminare, definitivo ed esecutivo), perché sono questi gli atti nei quali è trasfusa la volontà dell’amministrazione riguardo all’oggetto del futuro contratto.

Per la verità, il disciplinare di gara viene in rilievo limitatamente ai criteri di valutazione delle offerte e ai criteri di ammissione dei concorrenti (ma, in questo secondo caso, solo se contiene disposizioni particolari che aggravino i requisiti di ammissione). Con riguardo a tali atti della procedura sussiste effettivamente il rischio che il funzionario che ha li formati possa, laddove sia chiamato anche a valutare le offerte, essere, seppur inconsciamente, condizionato dal proprio pregresso convincimento circa le caratteristiche che deve possedere un’offerta per essere favorevolmente valutata”.

Ovviamente, poiché nel nostro ordinamento giuridico il principio della certezza del diritto, lungi dall’essere effettivamente inverato, costituisce poco più di una aspirazione esistenziale, priva, in ogni caso, di effettivo contenuto, è possibile rinvenire pronunce del Consiglio di Stato che paiono sposare letture del dato normativo più aderenti alla ratio sottesa alle disposizioni legislative che vengono in rilievo, ed alla voluntas legis in esse ipostatizzata, e che cercano anche di comprendere le condizioni effettive in cui versano la stragrande maggioranza delle stazioni appaltanti che, a causa della falcidia di personale registratasi negli ultimi anni, a cagione di ragioni esogene, verrebbero a trovarsi nell’oggettiva impossibilità di dare corso alle procedure di appalto di competenza.

In detta prospettiva merita, a sommesso avviso di chi scrive, ampia e piena condivisione, la ricostruzione operata dal Consiglio di Stato, sez. V, sent. n. 5958/2018, la cui massima così recita: L’art. 77, comma 4, d.lgs. 18 aprile 2016, n. 50 prevede: I commissari non devono aver svolto né possono svolgere alcun’altra funzione o incarico tecnico amministrativo relativamente al contratto del cui affidamento si tratta. La disposizione mira a garantire l’imparzialità dei componenti la commissione giudicatrice al momento della valutazione delle offerte, preservando l’integrità del giudizio da possibili condizionamenti indotti dai precedenti interventi sulla gara, come la redazione del progetto o del bando di gara (in tal  senso, Consiglio di Stato, sez. V, 26 aprile 2018, n. 2536; 16 maggio 2018, n. 2896; 28 aprile 2014, n. 2191; 14 giugno 2013, n. 3316; VI, 21 luglio 2011, n.  4438, tutte pronunciate in relazione all’art. 84, comma 4, del Codice dei contratti pubblici del 2006)”.

Se questa è la ratio del divieto di cumulo degli incarichi, ritiene il Collegio che nella sua applicazione sia da escludere ogni automatismo, e si debba, invece, valutare caso per caso se i pregressi incarichi possano condizionare le scelte da assumere in veste di componente della commissione, secondo un’interpretazione conforme alla ratio e per questo sostanzialistica e non meramente formale del dato normativo. In tal modo il Collegio intende dare continuità, anche nella vigenza del Codice dei contratti pubblici del 2016, all’orientamento, maturato sotto il vecchio Codice, per il quale la situazione di incompatibilità va valutata in concreto e di essa deve fornirsi adeguata e ragionevole prova (di cui è già stata fatta applicazione da Cons. Stato, V, 26 aprile 2018, n. 2536, e, per il passato cfr. Cons. Stato, V, 23 marzo 2015, n. 1565).

Ne segue, ai fini che qui interessano, che non v’è rischio di condizionamento per quel commissario che, prima della nomina, abbia solo sottoscritto atti di gara da altri soggetti predisposti, non essendo, neppure indirettamente, dominus (id est responsabile) del contenuto poiché a lui non imputabili; costui, in tali casi, è estraneo alla procedura di gara come qualsiasi altro commissario che fino al momento della nomina nulla abbia saputo degli atti della procedura (cfr., ancora una volta, Cons. Stato, V, 26 aprile 2018, n. 2536: “l’incompatibilità è configurabile solo per i commissari che abbiano svolto un’attività idonea ad interferire con il giudizio di merito sull’appalto, in grado cioè di incidere sul processo formativo della volontà che conduce alla valutazione delle offerte potendo condizionarne l’esito”).

Nel descritto contesto merita di essere segnalata, altresì, la sentenza n. 209/2021 resa dal TAR Sicilia, sede di Catania, sez. I, ove si evidenzia, riprendendo gli arresti giurisprudenziali raggiunti in relazione all’art. 84, comma 4, del previgente decreto legislativo n. 163 del 2006 e ss.mm.ii., che:

a) la garanzia di trasparenza ed imparzialità nella conduzione della gara impedisce la presenza nella commissione di gara di soggetti che abbiano svolto un’attività idonea a interferire con il giudizio di merito sull’appalto di che trattasi;

b) la situazione di incompatibilità deve ricavarsi dal dato sostanziale della concreta partecipazione alla redazione degli atti di gara, al di là del profilo formale della sottoscrizione o mancata sottoscrizione degli stessi e indipendentemente dal fatto che il soggetto in questione sia il funzionario responsabile dell’ufficio competente;

c) per predisposizione materiale della legge di gara deve quindi intendersi “non già un qualsiasi apporto al procedimento di approvazione dello stesso, quanto piuttosto una effettiva e concreta capacità di definirne autonomamente il contenuto, con valore univocamente vincolante per l’amministrazione ai fini della valutazione delle offerte, così che in definitiva il suo contenuto prescrittivo sia riferibile esclusivamente al funzionario”;

d) ad integrare la prova richiesta, non è sufficiente il mero sospetto di una possibile situazione di incompatibilità, dovendo l’art. 84, comma 4, essere interpretato in senso restrittivo, in quanto disposizione limitativa delle funzioni proprie dei funzionari dell’amministrazione;

e) detto onere della prova grava sulla parte che deduce la condizione di incompatibilità;

f) in ogni caso, la predetta incompatibilità non può desumersi ex se dall’appartenenza del funzionario componente della commissione, alla struttura organizzativa preposta, nella fase preliminare di preparazione degli atti di gara e nella successiva fase di gestione, all’appalto stesso (cfr. cit. Cons. Stato, sez. III, 26 ottobre 2018, n. 6082).

Nel medesimo solco giurisprudenziale merita di essere, altresì, segnalata la pronuncia del Consiglio di Stato, sez. III, n. 2835/2018, anch’essa resa in riferimento ad una vicenda assoggettata ratione temporis alle previsioni del decreto legislativo n. 163 del 2006, ove si affermano principi totalmente condivisibili, ad opinione di chi scrive, e che risultano connotati da estremo buon senso e dalla specifica considerazione delle quotidiane difficoltà che le stazioni appaltanti incontrano nell’espletamento delle procedure di appalto ad esse demandate.

Ed infatti ivi si legge quanto in appresso:

“è fisiologico che il Dirigente preposto al settore interessato, e quindi in qualche misura coinvolto per obbligo d’ufficio, svolga nello specifico lavoro, servizio o fornitura oggetto dell’appalto, le verifiche formali estranee alla determinazione del contenuto degli atti di gara (cfr. Cons. Stato, sez. III, 22.1.2015, n. 226);

la situazione di incompatibilità deve ricavarsi dal dato sostanziale della concreta partecipazione alla redazione degli atti di gara, al di là del profilo formale della sottoscrizione o della mancata sottoscrizione degli stessi e indipendentemente dal fatto che egli sia il funzionario responsabile dell’ufficio competente (Cons. Stato, sez. V, 28.4.2014, n. 2191);

la previsione del principio di cui all’art. 84 non vale a rendere incompatibili tutti i soggetti che, in quanto dipendenti della stazione appaltante, siano in qualche misura coinvolti nell’appalto dato che la predetta incompatibilità non può desumersi ex se dalla semplice appartenenza del funzionario, componente della Commissione, alla struttura organizzativa preposta (cfr. T.A.R. Lazio, sez. III, 6.5.2014, n. 4728; T.A.R. Lecce, sez. III, 7.1.2015, n. 32);
diversamente opinando, ne discenderebbe l’irragionevole impossibilità di espletamento delle gare nelle stazioni appaltanti di piccole dimensioni ed il contrasto, parimenti irragionevole, con le regole che impongono, nelle procedure per l’aggiudicazione di appalti, di valutare previamente l’esistenza di professionalità nella stessa Pubblica Amministrazione, prima di nominare componenti esterni delle Commissioni giudicatrici (cfr. Cons. Stato, 5 febbraio 2018 n. 695).

Alla luce dei principi esposti, omissis, nessuna implicazione di incompatibilità si ritiene possa conseguire dalla mera sottoscrizione della delibera di indizione della gara e di aggiudicazione, trattandosi di atti estranei alla fase di definizione e predisposizione dei contenuti e delle regole della procedura”[1].

All’esito della breve ricostruzione giurisprudenziale sopra operata, pur esprimendo, come è ovvio e doveroso, il massimo rispetto ed ossequio per la sapienza giuridica dei giudici del Consiglio di Stato e per i componenti dell’ANAC, che con deliberazione n. 760 del 2019, hanno anch’essi aderito ad un’interpretazione restrittiva delle statuizioni legislative applicabili in subiecta materia, non può non evidenziarsi, tuttavia, come a voler seguire, pedissequamente, i principi affermati dalla pronuncia che ha costituito lo spunto per queste sintetiche riflessioni, si perverrebbe, inevitabilmente, come già accennato, ad una sostanziale paralisi delle procedure d’appalto negli Enti di dimensioni medio-piccole che, a tacere di ogni altra considerazione, non dispongono delle risorse umane atte a garantire, come richiesto dal massimo organo di giustizia amministrativa, l’esclusione di qualsivoglia interferenza, fra le diverse figure previste dal Codice degli Appalti, sia in fase di aggiudicazione e sia in fase di esecuzione.

Per mero scrupolo si evidenzia, inoltre, come, con riferimento specifico agli Enti Locali, l’articolo 107 del decreto legislativo n. 267 del 2000 (TUEL), declinando le funzioni e prerogative dirigenziali, attribuisca ai Dirigenti, fra l’altro,, la presidenza delle commissioni di gara e di concorso (comma 3, lett. a) e la responsabilità delle procedure d’appalto e di concorso (comma 3, lett. b), di talché non si comprende come il rapporto fra TUEL e Codice degli Appalti possa essere ricostruito, con opzione interpretativa di dubbia validità, in termini di relazione fra legge generale e legge speciale (ossia del d.lgs. n. 50 del 2016), con conseguente prevalenza di quest’ultima. 

A guisa di definitiva conclusione di queste modeste riflessioni non può non citarsi il brocardo summum ius summa iniuria, risalente a Terenzio e poi a Cicerone, a mente del quale l’applicazione troppo rigorosa di una norma può condurre, recte: spesso conduce, ad ingiustizie sostanziali.

Evidentemente, nonostante i molti secoli trascorsi dall’elaborazione esegetica dei giuristi latini, duole rilevare come essa non sia stata ancora, pienamente, recepita da coloro che oggi sono preposti all’esercizio delle funzioni giurisdizionali.

 

[1] In senso conforme si vedano Consiglio di Stato,  sentenza n. 6135 del 11.09.2019, resa dalla sez. V, che afferma come non possa sussistere un’incompatibilità per motivi di interferenza e di condizionamento tra chi ha predisposto un avviso pubblico e chi ha verificato la documentazione di gara, non essendo tale evenienza idonea a determinare una lesione del diritto dei partecipanti alla procedura che, di volta in volta, viene in rilievo, ad una valutazione oggettiva ed imparziale, nonché la pronuncia n. 819 del 04.02.2019, resa, anch’essa, dalla sez. V del Consiglio di Stato che ha riconosciuto la legittimità della coincidenza soggettiva dei ruoli di componente della Commissione giudicatrice e di Direttore dell’Esecuzione Contrattuale, non sussistendo ipotesi di incompatibilità e ciò anche per effetto delle modifiche apportate all’articolo 77, comma 4, del Codice degli Appalti, dal decreto legislativo n. 56 del 2017, che ha inserito nel corpo della richiamata statuizione normativa il periodo “ La nomina del RUP a membro delle commissioni di gara è valutata con riferimento alla singola procedura”. I giudici di Palazzo Spada hanno osservato, infatti, come la novella apportata dal c.d. decreto correttivo all’articolo 77 del Codice degli Appalti, abbia determinato un’attenuazione del rigido principio di incompatibilità ivi previsto, imponendo una verifica in concreto in ordine all’effettiva sussistenza di ragioni giustificative della preclusione, specificando, altresì, che la novella legislativa costituirebbe il mero recepimento, sul piano del diritto positivo, di “orientamenti consolidati nella giurisprudenza (la cui ratio non può essere limitata – per evidenti ragioni sistematiche – alla sola figura del RUP, ma che vanno riferiti a qualunque attore del ciclo di vita dell’appalto)”. Al riguardo non può non notarsi, peraltro, come gli orientamenti consolidati di cui si accenna nella sentenza sopra specificata, non sono affatto tali, atteso che la lettura prevalente del dato normativo nell’ambito materiale considerato è favorevole ad un’interpretazione restrittiva delle disposizioni vigenti.