x

x

Concorrenza - Consiglio di Stato: natura del CNF e ripristino della sanzione inflitta dall’Antitrust, concorrenza nell’attività forense

Il Consiglio di Stato ha ripristinato la sanzione pecuniaria inflitta dall’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato nei confronti del Consiglio Nazionale Forense, fondandone la legittimità essenzialmente sulla natura di “associazione di imprese” che può essere riconosciuta in capo al CNF.

Con un provvedimento emesso nell’ottobre 2014, l’Autorità Antitrust aveva disposto l’applicazione di una sanzione pari a euro 912.536,40, in seguito all’adozione da parte del CNF di due decisioni contrastanti con l’articolo 101 TFUE (relativo a intese restrittive della concorrenza). Più in dettaglio l’organismo di rappresentanza forense, con una prima decisione avrebbe impedito le attività di informazione svolte da alcuni avvocati mediante un canale di diffusione (“Amica Card”) e, in secondo luogo, avrebbe reintrodotto la vincolatività dei minimi tariffari delle prestazioni professionali. Il ricorso del CNF, contro tale sanzione, è stato parzialmente accolto dal TAR per la Regione Lazio e, successivamente, sottoposto al vaglio del Consiglio di Stato.

Anche alla luce di un orientamento giurisprudenziale consolidato, i giudici di Palazzo Spada hanno ritenuto applicabile una particolare “nozione funzionale e cangiante di ente pubblico” che consente di rilevare aspetti pubblicistici dell’ente rispetto ad alcuni fini, e, viceversa, la sussistenza di aspetti privatistici rispetto ad altri.

Il CNF, sebbene generalmente deputato a svolgere attività amministrative, giurisdizionali e di impresa, nel caso di specie ha evidenziato pienamente la sua qualifica di “associazione di imprese” nel momento in cui ha adottato decisioni “idonee ad incidere sul comportamento economico dell’attività professionale svolta dagli avvocati. La negazione di un diritto alla diffusione di una particolare forma di pubblicità rappresenta, infatti, una condotta in grado di limitare l’ambito di mercato da parte di chi esercita la professione di avvocato”. L’attività svolta da “Amica Card”, ad avviso dei giudici, è una nuova forma di pubblicità dell’attività professionale che risulta perfettamente lecita e compatibile con i principi di libera concorrenza. Da queste considerazioni ne deriva l’adozione di vere e proprie “decisioni di imprese” e, di conseguenza, la piena operatività, in capo al CNF, dell’art. 101 TFUE.

Inoltre, adottando come parametro il D.L. n. 233/2006 e l’abrogazione operata da quest’ultimo delle disposizioni regolamentari che introducono - con riferimento alle attività libero professionali e intellettuali - minimi tariffari o l’obbligo di tariffe fisse, la possibilità prevista dal CNF di concludere un “accordo” per la prestazione dell’avvocato, in cui il compenso non può essere inferiore al minimo tariffario, risulta di contenuto anticoncorrenziale. La circolare del Consiglio, contenente tale previsione, per il fatto di essere stata reiteratamente inserita nel sito web dell’organo, nonché  nelle banche dati, a discapito di quanto richiesto dall’Antitrust, ha configurato una condotta illecita.

In conclusione, accogliendo il ricorso dell’AGCM, i giudici impongono altresì  la sanzione pecuniaria come precedentemente definita.

(Consiglio di Stato - Sezione Sesta, Sentenza 22 marzo 2016, n. 1164)

Il Consiglio di Stato ha ripristinato la sanzione pecuniaria inflitta dall’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato nei confronti del Consiglio Nazionale Forense, fondandone la legittimità essenzialmente sulla natura di “associazione di imprese” che può essere riconosciuta in capo al CNF.

Con un provvedimento emesso nell’ottobre 2014, l’Autorità Antitrust aveva disposto l’applicazione di una sanzione pari a euro 912.536,40, in seguito all’adozione da parte del CNF di due decisioni contrastanti con l’articolo 101 TFUE (relativo a intese restrittive della concorrenza). Più in dettaglio l’organismo di rappresentanza forense, con una prima decisione avrebbe impedito le attività di informazione svolte da alcuni avvocati mediante un canale di diffusione (“Amica Card”) e, in secondo luogo, avrebbe reintrodotto la vincolatività dei minimi tariffari delle prestazioni professionali. Il ricorso del CNF, contro tale sanzione, è stato parzialmente accolto dal TAR per la Regione Lazio e, successivamente, sottoposto al vaglio del Consiglio di Stato.

Anche alla luce di un orientamento giurisprudenziale consolidato, i giudici di Palazzo Spada hanno ritenuto applicabile una particolare “nozione funzionale e cangiante di ente pubblico” che consente di rilevare aspetti pubblicistici dell’ente rispetto ad alcuni fini, e, viceversa, la sussistenza di aspetti privatistici rispetto ad altri.

Il CNF, sebbene generalmente deputato a svolgere attività amministrative, giurisdizionali e di impresa, nel caso di specie ha evidenziato pienamente la sua qualifica di “associazione di imprese” nel momento in cui ha adottato decisioni “idonee ad incidere sul comportamento economico dell’attività professionale svolta dagli avvocati. La negazione di un diritto alla diffusione di una particolare forma di pubblicità rappresenta, infatti, una condotta in grado di limitare l’ambito di mercato da parte di chi esercita la professione di avvocato”. L’attività svolta da “Amica Card”, ad avviso dei giudici, è una nuova forma di pubblicità dell’attività professionale che risulta perfettamente lecita e compatibile con i principi di libera concorrenza. Da queste considerazioni ne deriva l’adozione di vere e proprie “decisioni di imprese” e, di conseguenza, la piena operatività, in capo al CNF, dell’art. 101 TFUE.

Inoltre, adottando come parametro il D.L. n. 233/2006 e l’abrogazione operata da quest’ultimo delle disposizioni regolamentari che introducono - con riferimento alle attività libero professionali e intellettuali - minimi tariffari o l’obbligo di tariffe fisse, la possibilità prevista dal CNF di concludere un “accordo” per la prestazione dell’avvocato, in cui il compenso non può essere inferiore al minimo tariffario, risulta di contenuto anticoncorrenziale. La circolare del Consiglio, contenente tale previsione, per il fatto di essere stata reiteratamente inserita nel sito web dell’organo, nonché  nelle banche dati, a discapito di quanto richiesto dall’Antitrust, ha configurato una condotta illecita.

In conclusione, accogliendo il ricorso dell’AGCM, i giudici impongono altresì  la sanzione pecuniaria come precedentemente definita.

(Consiglio di Stato - Sezione Sesta, Sentenza 22 marzo 2016, n. 1164)