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Consumare in chat la propria vendetta può costare caro: internet non mette al riparo dalla responsabilità penale

1. Le massime

Integra il delitto di sostituzione di persona, di cui all’art. 494 c.p., punito con la reclusione fino ad un anno, la condotta di colui che crei ed utilizzi un account di posta elettronica, attribuendosi falsamente le generalità di un diverso soggetto, inducendo in errore gli utenti della rete internet, nei confronti dei quali le false generalità siano declinate e con il fine di arrecare danno al soggetto le cui generalità siano state abusivamente spese; detto reato ricorre non solo quando si sostituisce illegittimamente la propria alla altrui persona, ma anche quando si attribuisce ad altri un falso nome o un falso stato ovvero una qualità cui la legge attribuisce effetti giuridici, dovendosi intendere per “nome” non solo il nome di battesimo, ma tutti i contrassegni di identità. Anche il “nickname”, quando non vi siano dubbi sulla sua riconducibilità ad una persona fisica, assume lo stesso valore dello pseudonimo ovvero di un nome di fantasia, la cui attribuzione, a sé o ad altri, integra pacificamente il delitto di cui all’art. 494 c.p. (nella specie, l’imputata inseriva in una chat di incontri a sfondo erotico un nickname sessualmente allusivo, nel quale figuravano le iniziali del nome e del cognome della propria ex datrice di lavoro, con la quale l'imputata aveva anche un contenzioso giudiziario pendente, e corredava il nick del numero di telefono di quest’ultima, che, completamente ignara - in conseguenza di ciò – veniva bersagliata di messaggi, telefonate oscene ed insulti agli orari più disparati dagli utenti della rete, che venivano - pure loro - coinvolti nelle indagini avviate dalla polizia giudiziaria).

2. Il caso

Tizia veniva condannata per i reati di ingiuria, molestia e sostituzione di persona, commessi in danno della propria ex datrice di lavoro. Veniva accertato che Tizia aveva divulgato su una chatroom il numero di telefono di Caia, la quale ultima veniva, perciò, tempestata di chiamate, sms ed mms osceni. Tizia aveva ingannato gli utenti della rete mediante l’utilizzo di un nickname allusivo, recante le iniziali di Caia ed associato al cellulare di quest’ultima, reso visibile a tutti. Una simile condotta induceva gli utenti della chat a disturbare l’ignara vittima al fine di incontrarla ovvero di intrattenere con lei conversazioni a sfondo sessuale, ritenendola a ciò disponibile.

La Corte di Appello, investita del gravame, riformava la sentenza, ritenendo prescritto il reato di molestie e conseguentemente riducendo la pena comminata, confermando il provvedimento sotto ogni distinto profilo.

Avverso la sentenza di appello, Tizia proponeva ricorso per cassazione, affidandosi a quattro motivi, in particolare: - adducendo che la fattispecie di sostituzione di persona punisce la condotta di colui che sostituisca illegittimamente la propria alla altrui persona o attribuisca a sé o ad altri un falso nome, procurando a sé o ad altri un vantaggio o recando danno ad altri e, pertanto, ove anche fosse vero che Tizia avesse aperto nella rete un profilo con uno pseudonimo, mediante il quale ella avrebbe divulgato il cellulare di Caia, ciò non sarebbe sufficiente ad integrare il delitto di cui all’art. 494 c.p., poiché una simile condotta non lederebbe beni quali l’identità della persona o gli attributi sociali della vittima, oggetto della specifica tutela penale apprestata dalla richiamata norma incriminatrice. Tizia, del resto, mai si era spacciata per Caia, essendosi limitata ad interagire con gli utenti della rete attraverso l’impiego del nickname prescelto, che non la rendeva associabile ad alcuna persona determinata; - lamentando che fosse stato omesso di attribuire il dovuto rilievo al fatto che, anche prima della creazione dell’account da parte di Tizia, il numero di Caia fosse già disponibile in rete ed associato ad altri profili; - facendo rilevare che non fosse stato attribuito rilievo al fatto che anche il proprio padre, dal computer della cui ditta erano avvenuti gli accessi in rete, nutriva motivi di astio verso Caia per dei crediti rimasti insoluti.

3. La decisione

Il Supremo Collegio evidenzia, anzitutto, quanto “rivoluzionari” siano stati i cambiamenti indotti dall’evoluzione tecnologica attraverso le nuove tecnologie informatiche, le quali hanno spiegato i propri effetti anche nella materia penale, ponendo al giudice un problema di adeguamento dell’ambito di operatività delle tradizionali fattispecie incriminatrici alle nuove minacce mosse verso beni giuridici tradizionalmente tutelati. La Suprema Corte, pertanto, evidenzia come si siano rese necessarie forme di interpretazione estensiva per fare fronte alle nuove modalità di aggressione dei beni tutelati, attesa anche la mancanza di interventi legislativi organici, non sottacendo come siffatti interventi estensivi debbano sempre essere rispettosi del principio di tassatività della fattispecie penale e del divieto di interpretazione analogica delle norme penali.

Ciò ribadito, la quinta Sezione afferma nettamente che l’attività di interpretazione estensiva della norma penale, lungi dall’essere vietata, è invece lecita e, anzi, doverosa quando sia dato stabilire – attraverso un corretto uso della logica e della tecnica giuridica – che il precetto legislativo abbia un contenuto più ampio di quello che appare dalle espressioni letterali adottate dal legislatore. In consimili casi, non si dà luogo ad alcuna violazione del divieto generale di applicazione analogica della norma penale, in quanto non viene ampliato il contenuto effettivo della disposizione al di fuori dell’area di operatività che le è propria, ma si impedisce che fattispecie non prevedibili nel momento storico in cui la disposizione venne emanata si sottraggano alla sua disciplina solo in ragione di manchevoli espressioni letterali, proprie del peculiare momento storico in cui la disposizione fu scritta dal legislatore.

Fatta questa premessa, il Giudice di legittimità ritiene che, proprio attraverso un’interpretazione di tipo estensivo della disposizione contenuta nell’art. 494 c.p. sia possibile far ricadere la condotta di Tizia nella fattispecie di sostituzione di persona. In questa direzione, a giudizio del Collegio, militano: 1) la natura plurioffensiva del delitto di cui all’art. 494 c.p.; 2) il riconoscimento, già avvenuto in giurisprudenza, della possibilità di ricondurre nell’ambito di applicazione dell’art. 494 c.p. condotte poste in essere a mezzo della rete internet.

Quanto alla natura plurioffensiva del delitto di sostituzione, si osserva come lo stesso non tutela soltanto la fede pubblica, bensì anche il concreto interesse del privato che si sia visto inciso nella sua sfera giuridica dalla condotta criminosa.

Per quanto, invece, concerne l’inclusione nell’area di punibilità di condotte che siano avvenute in internet si osserva come in giurisprudenza già siano state sussunte nell’art. 494 c.p. le condotte di chi utilizzi un account di posta elettronica, attribuendosi le generalità di un altro soggetto ed inducendo i terzi in errore e con il fine di arrecare danno al soggetto le cui generalità siano state abusivamente spese. La Suprema Corte, tuttavia, non omette di rilevare la particolarità del caso sottopostole, in cui – a differenza dei precedenti richiamati – non è avvenuta la creazione di un account, bensì l’inserimento di un nickname all’interno di una chatroom di incontri. La peculiarità segnalata, però, non viene ritenuta idonea a far ritenere inapplicabile la fattispecie di cui all’art. 494 c.p., ricorrendone tutti gli elementi costitutivi.

Il nickname, infatti, seppure è chiamato a contrassegnare una identità virtuale, in quanto utilizzato nello spazio telematico della rete, non per questo è privo di una sua dimensione concreta, potendo spiegare effetti verso la persona cui il nickname è attribuito, come avvenuto nel caso oggetto di scrutinio. A sostegno, la Corte richiama anche la disciplina dello pseudonimo che – in sede civile – è tutelato allo stesso modo del nome, ricorrendone determinati presupposti. Nel caso specifico, il nickname recava le iniziali di Caia, presentava inequivoche allusioni di tipo sessuale, essendo munito del suffisso "-sex") ed era associato al numero di cellulare della vittima, inducendo la platea di users a contattare Caia per incontri e conversazioni di carattere erotico.

Ricorre, pertanto l’elemento costitutivo della attribuzione a sé o ad altri di un falso nome, o un falso stato, ovvero una qualità cui la legge attribuisce effetti giuridici. Ricorrono, altresì, gli elementi ulteriori della fattispecie, quali il fine di recare ad altri un danno e l’induzione di taluno in errore, realizzata proprio mediante l’attribuzione di falsi contrassegni personali all’ignara vittima.

La Corte rigetta integralmente il ricorso, anche per i profili ivi non espressamente richiamati e condanna la ricorrente alla rifusione delle spese processuali.

4. I precedenti

Sull’interpretazione estensiva in materia penale, si veda Cass., Sez. V, 22 febbraio 2012, n. 15048.

Sulla natura plurioffensiva del delitto di sostituzione di persona, diretto a tutelare anche l’interesse privato del soggetto verso cui l’atto criminoso incida concretamente, al quale – quindi – va riconosciuta la qualità di persona offesa dal reato, si vedano Cass., Sez. V, 27 marzo 2009, n. 21574; Cass., Sez. V, 9 dicembre 2008, n. 7187; Cass., Sez. Un., 25 ottobre 2007, n. 237855.

Sulla configurabilità del reato di sostituzione di persona anche rispetto alla condotta di chi utilizzi un account di posta elettronica, attribuendosi falsamente le generalità di un terzo ed inducendo in errore gli utenti della rete, si vedano Cass., sez. III, 15 dicembre 2011, n. 12479; Cass., Sez. V, 8 novembre 2007, n. 46674. Sull’inclusione nell’area di punibilità dell’art. 494 c.p. anche di condotte volte all’attribuzione ad altri di un falso nome, un falso stato ovvero una qualità cui la legge attribuisce effetti giuridici, si veda Cass., Sez. II, 21 dicembre 2011, n. 4250.

Sulla configurabilità del reato anche rispetto a pseudonimi o nomi di fantasia, quando non vi siano dubbi sulla riconducibilità ad una determinata persona fisica, si vedano Cass., n. 2224/1969; Cass., n. 36094/2006.

1. Le massime

Integra il delitto di sostituzione di persona, di cui all’art. 494 c.p., punito con la reclusione fino ad un anno, la condotta di colui che crei ed utilizzi un account di posta elettronica, attribuendosi falsamente le generalità di un diverso soggetto, inducendo in errore gli utenti della rete internet, nei confronti dei quali le false generalità siano declinate e con il fine di arrecare danno al soggetto le cui generalità siano state abusivamente spese; detto reato ricorre non solo quando si sostituisce illegittimamente la propria alla altrui persona, ma anche quando si attribuisce ad altri un falso nome o un falso stato ovvero una qualità cui la legge attribuisce effetti giuridici, dovendosi intendere per “nome” non solo il nome di battesimo, ma tutti i contrassegni di identità. Anche il “nickname”, quando non vi siano dubbi sulla sua riconducibilità ad una persona fisica, assume lo stesso valore dello pseudonimo ovvero di un nome di fantasia, la cui attribuzione, a sé o ad altri, integra pacificamente il delitto di cui all’art. 494 c.p. (nella specie, l’imputata inseriva in una chat di incontri a sfondo erotico un nickname sessualmente allusivo, nel quale figuravano le iniziali del nome e del cognome della propria ex datrice di lavoro, con la quale l'imputata aveva anche un contenzioso giudiziario pendente, e corredava il nick del numero di telefono di quest’ultima, che, completamente ignara - in conseguenza di ciò – veniva bersagliata di messaggi, telefonate oscene ed insulti agli orari più disparati dagli utenti della rete, che venivano - pure loro - coinvolti nelle indagini avviate dalla polizia giudiziaria).

2. Il caso

Tizia veniva condannata per i reati di ingiuria, molestia e sostituzione di persona, commessi in danno della propria ex datrice di lavoro. Veniva accertato che Tizia aveva divulgato su una chatroom il numero di telefono di Caia, la quale ultima veniva, perciò, tempestata di chiamate, sms ed mms osceni. Tizia aveva ingannato gli utenti della rete mediante l’utilizzo di un nickname allusivo, recante le iniziali di Caia ed associato al cellulare di quest’ultima, reso visibile a tutti. Una simile condotta induceva gli utenti della chat a disturbare l’ignara vittima al fine di incontrarla ovvero di intrattenere con lei conversazioni a sfondo sessuale, ritenendola a ciò disponibile.

La Corte di Appello, investita del gravame, riformava la sentenza, ritenendo prescritto il reato di molestie e conseguentemente riducendo la pena comminata, confermando il provvedimento sotto ogni distinto profilo.

Avverso la sentenza di appello, Tizia proponeva ricorso per cassazione, affidandosi a quattro motivi, in particolare: - adducendo che la fattispecie di sostituzione di persona punisce la condotta di colui che sostituisca illegittimamente la propria alla altrui persona o attribuisca a sé o ad altri un falso nome, procurando a sé o ad altri un vantaggio o recando danno ad altri e, pertanto, ove anche fosse vero che Tizia avesse aperto nella rete un profilo con uno pseudonimo, mediante il quale ella avrebbe divulgato il cellulare di Caia, ciò non sarebbe sufficiente ad integrare il delitto di cui all’art. 494 c.p., poiché una simile condotta non lederebbe beni quali l’identità della persona o gli attributi sociali della vittima, oggetto della specifica tutela penale apprestata dalla richiamata norma incriminatrice. Tizia, del resto, mai si era spacciata per Caia, essendosi limitata ad interagire con gli utenti della rete attraverso l’impiego del nickname prescelto, che non la rendeva associabile ad alcuna persona determinata; - lamentando che fosse stato omesso di attribuire il dovuto rilievo al fatto che, anche prima della creazione dell’account da parte di Tizia, il numero di Caia fosse già disponibile in rete ed associato ad altri profili; - facendo rilevare che non fosse stato attribuito rilievo al fatto che anche il proprio padre, dal computer della cui ditta erano avvenuti gli accessi in rete, nutriva motivi di astio verso Caia per dei crediti rimasti insoluti.

3. La decisione

Il Supremo Collegio evidenzia, anzitutto, quanto “rivoluzionari” siano stati i cambiamenti indotti dall’evoluzione tecnologica attraverso le nuove tecnologie informatiche, le quali hanno spiegato i propri effetti anche nella materia penale, ponendo al giudice un problema di adeguamento dell’ambito di operatività delle tradizionali fattispecie incriminatrici alle nuove minacce mosse verso beni giuridici tradizionalmente tutelati. La Suprema Corte, pertanto, evidenzia come si siano rese necessarie forme di interpretazione estensiva per fare fronte alle nuove modalità di aggressione dei beni tutelati, attesa anche la mancanza di interventi legislativi organici, non sottacendo come siffatti interventi estensivi debbano sempre essere rispettosi del principio di tassatività della fattispecie penale e del divieto di interpretazione analogica delle norme penali.

Ciò ribadito, la quinta Sezione afferma nettamente che l’attività di interpretazione estensiva della norma penale, lungi dall’essere vietata, è invece lecita e, anzi, doverosa quando sia dato stabilire – attraverso un corretto uso della logica e della tecnica giuridica – che il precetto legislativo abbia un contenuto più ampio di quello che appare dalle espressioni letterali adottate dal legislatore. In consimili casi, non si dà luogo ad alcuna violazione del divieto generale di applicazione analogica della norma penale, in quanto non viene ampliato il contenuto effettivo della disposizione al di fuori dell’area di operatività che le è propria, ma si impedisce che fattispecie non prevedibili nel momento storico in cui la disposizione venne emanata si sottraggano alla sua disciplina solo in ragione di manchevoli espressioni letterali, proprie del peculiare momento storico in cui la disposizione fu scritta dal legislatore.

Fatta questa premessa, il Giudice di legittimità ritiene che, proprio attraverso un’interpretazione di tipo estensivo della disposizione contenuta nell’art. 494 c.p. sia possibile far ricadere la condotta di Tizia nella fattispecie di sostituzione di persona. In questa direzione, a giudizio del Collegio, militano: 1) la natura plurioffensiva del delitto di cui all’art. 494 c.p.; 2) il riconoscimento, già avvenuto in giurisprudenza, della possibilità di ricondurre nell’ambito di applicazione dell’art. 494 c.p. condotte poste in essere a mezzo della rete internet.

Quanto alla natura plurioffensiva del delitto di sostituzione, si osserva come lo stesso non tutela soltanto la fede pubblica, bensì anche il concreto interesse del privato che si sia visto inciso nella sua sfera giuridica dalla condotta criminosa.

Per quanto, invece, concerne l’inclusione nell’area di punibilità di condotte che siano avvenute in internet si osserva come in giurisprudenza già siano state sussunte nell’art. 494 c.p. le condotte di chi utilizzi un account di posta elettronica, attribuendosi le generalità di un altro soggetto ed inducendo i terzi in errore e con il fine di arrecare danno al soggetto le cui generalità siano state abusivamente spese. La Suprema Corte, tuttavia, non omette di rilevare la particolarità del caso sottopostole, in cui – a differenza dei precedenti richiamati – non è avvenuta la creazione di un account, bensì l’inserimento di un nickname all’interno di una chatroom di incontri. La peculiarità segnalata, però, non viene ritenuta idonea a far ritenere inapplicabile la fattispecie di cui all’art. 494 c.p., ricorrendone tutti gli elementi costitutivi.

Il nickname, infatti, seppure è chiamato a contrassegnare una identità virtuale, in quanto utilizzato nello spazio telematico della rete, non per questo è privo di una sua dimensione concreta, potendo spiegare effetti verso la persona cui il nickname è attribuito, come avvenuto nel caso oggetto di scrutinio. A sostegno, la Corte richiama anche la disciplina dello pseudonimo che – in sede civile – è tutelato allo stesso modo del nome, ricorrendone determinati presupposti. Nel caso specifico, il nickname recava le iniziali di Caia, presentava inequivoche allusioni di tipo sessuale, essendo munito del suffisso "-sex") ed era associato al numero di cellulare della vittima, inducendo la platea di users a contattare Caia per incontri e conversazioni di carattere erotico.

Ricorre, pertanto l’elemento costitutivo della attribuzione a sé o ad altri di un falso nome, o un falso stato, ovvero una qualità cui la legge attribuisce effetti giuridici. Ricorrono, altresì, gli elementi ulteriori della fattispecie, quali il fine di recare ad altri un danno e l’induzione di taluno in errore, realizzata proprio mediante l’attribuzione di falsi contrassegni personali all’ignara vittima.

La Corte rigetta integralmente il ricorso, anche per i profili ivi non espressamente richiamati e condanna la ricorrente alla rifusione delle spese processuali.

4. I precedenti

Sull’interpretazione estensiva in materia penale, si veda Cass., Sez. V, 22 febbraio 2012, n. 15048.

Sulla natura plurioffensiva del delitto di sostituzione di persona, diretto a tutelare anche l’interesse privato del soggetto verso cui l’atto criminoso incida concretamente, al quale – quindi – va riconosciuta la qualità di persona offesa dal reato, si vedano Cass., Sez. V, 27 marzo 2009, n. 21574; Cass., Sez. V, 9 dicembre 2008, n. 7187; Cass., Sez. Un., 25 ottobre 2007, n. 237855.

Sulla configurabilità del reato di sostituzione di persona anche rispetto alla condotta di chi utilizzi un account di posta elettronica, attribuendosi falsamente le generalità di un terzo ed inducendo in errore gli utenti della rete, si vedano Cass., sez. III, 15 dicembre 2011, n. 12479; Cass., Sez. V, 8 novembre 2007, n. 46674. Sull’inclusione nell’area di punibilità dell’art. 494 c.p. anche di condotte volte all’attribuzione ad altri di un falso nome, un falso stato ovvero una qualità cui la legge attribuisce effetti giuridici, si veda Cass., Sez. II, 21 dicembre 2011, n. 4250.

Sulla configurabilità del reato anche rispetto a pseudonimi o nomi di fantasia, quando non vi siano dubbi sulla riconducibilità ad una determinata persona fisica, si vedano Cass., n. 2224/1969; Cass., n. 36094/2006.