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Corte Costituzionale: inammissibile il referendum sulla responsabilità civile

Fiori di pesco
Ph. Maria Cristina Sica / Fiori di pesco

La tecnica manipolativa del ritaglio, in sede di referendum, non è ammessa se con essa non ci si limita ad abrogare la normativa vigente ma si propone una disciplina giuridica sostanzialmente nuova, non voluta dal legislatore.

Lo ha affermato la Corte costituzionale nella sentenza n. 49 depositata oggi (redattore Augusto Barbera) con la quale è stata dichiarata l’inammissibilità del referendum sulla responsabilità civile diretta dei magistrati, promosso da 9 Consigli regionali (Lombardia, Basilicata, Friuli-Venezia Giulia, Sardegna, Liguria, Sicilia, Umbria, Veneto e Piemonte).

I promotori proponevano l’abrogazione di diverse disposizioni della legge n. 117 del 1988 (cosiddetta legge Vassalli), come modificata dalla cosiddetta riforma
Orlando, n. 18 del 2015, che disciplina il regime della responsabilità civile dei magistrati per danni arrecati dagli stessi nell’esercizio delle loro funzioni.

Secondo le norme ora vigenti, l’azione risarcitoria è indirizzata nei confronti dello Stato e, solo all’esito di un’eventuale soccombenza, quest’ultimo può rivalersi sul
magistrato.

Il quesito referendario mirava, mediante la tecnica del ritaglio abrogativo, a ricavare dalla normativa di risulta un’autonoma azione risarcitoria nei confronti del magistrato, per consentire al soggetto danneggiato di chiamarlo direttamente in giudizio.

La Corte ha ritenuto inammissibile il quesito per il suo carattere manipolativo e creativo, non ammesso dalla costante giurisprudenza costituzionale: esso, infatti,
attraverso l’abrogazione parziale della legislazione vigente, avrebbe introdotto una disciplina giuridica nuova, non voluta dal legislatore, e perciò frutto di una
manipolazione non consentita.

Il quesito è inoltre inammissibile per mancanza di chiarezza: la normativa di risulta, infatti, non avrebbe consentito di configurare un’autonoma azione risarcitoria, esperibile direttamente verso il magistrato, poiché ne sarebbero rimasti oscuri i termini e le condizioni di procedibilità. Oscuro è anche il rapporto tra la stessa azione diretta e quella verso lo Stato, che sarebbe rimasta in vigore anche dopo l’abrogazione proposta dalle Regioni promotrici.

Pertanto, la normativa di risulta – per come formulato il quesito referendario – non sarebbe stata idonea a definire i tratti e le caratteristiche della nuova azione processuale, che il quesito intendeva introdurre.

Leggi la sentenza: Corte costituzionale - Decisioni