x

x

Corte di Giustizia UE: il commercio elettronico non è senza regole

Marchi – Internet – Offerta in vendita, in un mercato online destinato ai consumatori nell’Unione, di prodotti contrassegnati da un marchio destinati, dal titolare, ad essere venduti negli Stati terzi – Eliminazione dell’imballaggio di detti prodotti – Direttiva 89/104/CEE – Regolamento (CE) n. 40/94 – Responsabilità del gestore del mercato online – Direttiva 2000/31/CE (“direttiva sul commercio elettronico”) – Ingiunzioni giudiziarie nei confronti di tale gestore – Direttiva 2004/48/CE (“direttiva sul rispetto dei diritti di proprietà intellettuale”)
SENTENZA DELLA CORTE (Grande Sezione)

Nel procedimento C‑324/09,

avente ad oggetto la domanda di pronuncia pregiudiziale proposta alla Corte, ai sensi dell’art. 234 CE, dalla High Court of Justice (England & Wales), Chancery Division (Regno Unito), con decisione 16 luglio 2009, pervenuta in cancelleria il 12 agosto 2009, nella causa

L’Oréal SA,

Lancôme parfums et beauté & Cie SNC,

Laboratoire Garnier & Cie,

L’Oréal (UK) Ltd

contro

eBay International AG,

eBay Europe SARL,

eBay (UK) Ltd,

Stephen Potts,

Tracy Ratchford,

Marie Ormsby,

James Clarke,

Joanna Clarke,

Glen Fox,

Rukhsana Bi,

LA CORTE (Grande Sezione),

composta dal sig. V. Skouris, presidente, dai sigg. A. Tizzano, J.N. Cunha Rodrigues, K. Lenaerts, J.‑C. Bonichot, K. Schiemann, J.‑J. Kasel e D. Šváby, presidenti di sezione, dal sig. A. Rosas, dalla sig.ra R. Silva de Lapuerta, dal sig. M. Ilešič (relatore), dal sig. M. Safjan e dalla sig.ra M. Berger, giudici,

avvocato generale: sig. N. Jääskinen

cancelliere: sig.ra L. Hewlett, amministratore principale

vista la fase scritta del procedimento e in seguito all’udienza del 22 giugno 2010,

considerate le osservazioni presentate:

– per la L’Oréal SA e a., dai sigg. H. Carr e D. Anderson, QC, nonché dal sig. T. Mitcheson, barrister;

– per la eBay International AG e a., dagli avv.ti T. van Innis e G. Glas, avocats;

– per il governo del Regno Unito, dalla sig.ra H. Walker e dal sig. L. Seeboruth, in qualità di agenti, assistiti dalla sig.ra C. May, barrister;

– per il governo francese, dal sig. G. de Bergues, dalla sig.ra B. Beaupère‑Manokha, dal sig. J. Gstalster e dal sig. B. Cabouat, in qualità di agenti;

– per il governo italiano, dalla sig.ra G. Palmieri, in qualità di agente, assistita dal sig. S. Fiorentino, avvocato dello Stato;

– per il governo polacco, dal sig. M. Dowgielewicz e dalla sig.ra A. Rutkowska, in qualità di agenti;

– per il governo portoghese, dal sig. L. Inez Fernandes, in qualità di agente;

– per la Commissione europea, dal sig. H. Krämer, in qualità di agente,

sentite le conclusioni dell’avvocato generale, presentate all’udienza del 9 dicembre 2010,

ha pronunciato la seguente

Sentenza

1 La domanda di pronuncia pregiudiziale verte sull’interpretazione degli artt. 5 e 7 della prima direttiva del Consiglio 21 dicembre 1988, 89/104/CEE, sul ravvicinamento delle legislazioni degli Stati Membri in materia di marchi d’impresa (GU 1989, L 40, pag. 1), come modificata dall’Accordo sullo Spazio economico europeo del 2 maggio 1992 (GU 1994, L 1, pag. 3; in prosieguo: la «direttiva 89/104»), degli artt. 9 e 13 del regolamento (CE) del Consiglio 20 dicembre 1993, n. 40/94, sul marchio comunitario (GU 1994, L 11, pag. 1), dell’art. 14 della direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio 8 giugno 2000, 2000/31/CE, relativa a taluni aspetti giuridici dei servizi della società dell’informazione, in particolare il commercio elettronico, nel mercato interno («direttiva sul commercio elettronico») (GU L 178, pag. 1), nonché dell’art. 11 della direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio 29 aprile 2004, 2004/48/CE, sul rispetto dei diritti di proprietà intellettuale (GU L 157, pag. 45).

2 Tale domanda è stata proposta nell’ambito di una controversia che oppone la L’Oréal SA, nonché le sue controllate Lancôme parfums et beauté & Cie SNC, Laboratoire Garnier & Cie e L’Oréal (UK) Ltd (in prosieguo, congiuntamente: la «L’Oréal»), a tre controllate della eBay Inc., vale a dire la eBay International AG, la eBay Europe SARL e la eBay (UK) Ltd (in prosieguo, congiuntamente: la «eBay») e inoltre al sig. Potts, alla sig.ra Ratchford, alla sig.ra Ormsby, al sig. Clarke, alla sig.ra Clarke, al sig. Fox e alla sig.ra Bi (in prosieguo: le «persone fisiche convenute»), riguardo alla messa in vendita, senza il consenso della L’Oréal, di prodotti di quest’ultima attraverso il mercato online gestito dalla eBay.

I – Contesto normativo

A – La direttiva 89/104 e il regolamento n. 40/94

3 La direttiva 89/104 e il regolamento n. 40/94 sono stati abrogati, rispettivamente, dalla direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio 22 ottobre 2008, 2008/95/CE, sul ravvicinamento delle legislazioni degli Stati membri in materia di marchi d’impresa (versione codificata) (GU L 299, pag. 25), entrata in vigore il 28 novembre 2008, e dal regolamento (CE) del Consiglio 26 febbraio 2009, n. 207, sul marchio comunitario (GU L 78, pag. 1), entrato in vigore il 13 aprile 2009. Nondimeno, in considerazione dell’epoca in cui si sono svolti i fatti, la controversia di cui alla causa principale resta disciplinata dalla direttiva 89/104 e dal regolamento n. 40/94.

4 L’art. 5 della direttiva 89/104, rubricato «Diritti conferiti dal marchio di impresa», era formulato nei seguenti termini:

«1. Il marchio di impresa registrato conferisce al titolare un diritto esclusivo. II titolare ha il diritto di vietare ai terzi, salvo proprio consenso, di usare nel commercio:

a) un segno identico al marchio di impresa per prodotti o servizi identici a quelli per cui esso è stato registrato;

b) un segno che, a motivo dell’identità o della somiglianza di detto segno col marchio di impresa e dell’identità o somiglianza dei prodotti o servizi contraddistinti dal marchio di impresa e dal segno, possa dare adito a un rischio di confusione per il pubblico, comportante anche un rischio di associazione tra il segno e il marchio di impresa.

2. Uno Stato membro può inoltre prevedere che il titolare abbia il diritto di vietare ai terzi, salvo proprio consenso, di usare nel commercio un segno identico o simile al marchio di impresa per i prodotti o servizi che non sono simili a quelli per cui esso è stato registrato, se il marchio di impresa gode di notorietà nello Stato membro e se l’uso immotivato del segno consente di trarre indebitamente vantaggio dal carattere distintivo o dalla notorietà del marchio di impresa o reca pregiudizio agli stessi.

3. Si può in particolare vietare, se le condizioni menzionate al paragrafo 1 e 2 sono soddisfatte:

a) di apporre il segno sui prodotti o sul loro condizionamento;

b) di offrire i prodotti, di immetterli in commercio o di detenerli a tali fini, oppure di offrire o fornire servizi contraddistinti dal segno;

c) di importare o esportare prodotti contraddistinti dal segno;

d) di utilizzare il segno nella corrispondenza commerciale e nella pubblicità.

(…)».

5 Il testo dell’art. 9, n. 1, lett. a) e b), del regolamento n. 40/94 corrispondeva sostanzialmente a quello dell’art. 5, n. 1, della direttiva 89/104. Il n. 2 di tale art. 9 corrispondeva al n. 3 di detto art. 5. Quanto all’art. 9, n. 1, lett. c), del regolamento n. 40/94, esso disponeva quanto segue:

«Il marchio comunitario conferisce al suo titolare un diritto esclusivo. Il titolare ha il diritto di vietare ai terzi, salvo proprio consenso, di usare in commercio:

(…)

c) un segno identico o simile al marchio comunitario per prodotti o servizi che non sono simili a quelli per i quali questo è stato registrato, se il marchio comunitario gode di notorietà nella Comunità e se l’uso del segno senza giusto motivo consente di trarre indebitamente vantaggio dal carattere distintivo o dalla notorietà del marchio comunitario o reca pregiudizio agli stessi».

6 L’art. 7 della direttiva 89/104, rubricato «Esaurimento del diritto conferito dal marchio di impresa», era del seguente tenore:

«1. Il diritto conferito dal marchio di impresa non permette al titolare dello stesso di vietare l’uso del marchio di impresa per prodotti immessi in commercio in una Parte contraente [dello Spazio economico europeo] con detto marchio dal titolare stesso o con il suo consenso.

2. Il paragrafo 1 non si applica quando sussistono motivi legittimi perché il titolare si opponga all’ulteriore commercializzazione dei prodotti, in particolare quando lo stato dei prodotti è modificato o alterato dopo la loro immissione in commercio».

7 Ai sensi dell’art. 13, n. 1, del regolamento n. 40/94, «[i]l diritto conferito dal marchio comunitario non permette al titolare di impedirne l’uso per prodotti immessi in commercio nell[’Unione europea] con tale marchio dal titolare stesso [o] con il suo consenso». Il testo del n. 2 dello stesso articolo è identico a quello dell’art. 7, n. 2, della direttiva 89/104.

B – La direttiva 2000/31 («direttiva sul commercio elettronico»)

8 L’art. 2, lett. a), della direttiva 2000/31 definisce i «servizi della società dell’informazione» mediante un riferimento all’art. 1, n. 2, della direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio 22 giugno 1998, 98/34/CE, che prevede una procedura d’informazione nel settore delle norme e delle regolamentazioni tecniche e delle regole relative ai servizi della società dell’informazione (GU L 204, pag. 37), quale modificata dalla direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio 20 luglio 1998, 98/48/CE (GU L 217, pag. 18; in prosieguo: la «direttiva 98/34»), come «qualsiasi servizio prestato normalmente dietro retribuzione, a distanza, per via elettronica e a richiesta individuale di un destinatario di servizi».

9 L’art. 1, n. 2, della direttiva 98/34, così prosegue:

«(…)

Ai fini della presente definizione si intende:

– “a distanza”: un servizio fornito senza la presenza simultanea delle parti;

– “per via elettronica”: un servizio inviato all’origine e ricevuto a destinazione mediante attrezzature elettroniche di trattamento (...) e di memorizzazione di dati, e che è interamente trasmesso, inoltrato e ricevuto mediante fili, radio, mezzi ottici od altri mezzi elettromagnetici;

– “a richiesta individuale di un destinatario di servizi”: un servizio fornito mediante trasmissione di dati su richiesta individuale.

(…)».

10 L’art. 6 della direttiva 2000/31 prevede quanto segue:

«Oltre agli altri obblighi di informazione posti dal diritto [dell’Unione], gli Stati membri provvedono affinché le comunicazioni commerciali che costituiscono un servizio della società dell’informazione (...) rispettino le seguenti condizioni minime:

(…)

b) la persona fisica o giuridica per conto della quale viene effettuata la comunicazione commerciale [è] chiaramente identificabile;

(…)».

11 Il capo II della direttiva 2000/31 contiene una sezione 4, dal titolo «Responsabilità dei prestatori intermediari», che comprende gli artt. 12‑15.

12 L’art. 14 della stessa direttiva, rubricato «Hosting», così dispone:

«1. Gli Stati membri provvedono affinché, nella prestazione di un servizio della società dell’informazione consistente nella memorizzazione di informazioni fornite da un destinatario del servizio, il prestatore non sia responsabile delle informazioni memorizzate a richiesta di un destinatario del servizio, a condizione che detto prestatore:

a) non sia effettivamente al corrente del fatto che l’attività o l’informazione è illecita e, per quanto attiene ad azioni risarcitorie, non sia al corrente di fatti o di circostanze che rendono manifesta l’illegalità dell’attività o dell’informazione,

o

b) non appena al corrente di tali fatti, agisca immediatamente per rimuovere le informazioni o per disabilitarne l’accesso.

2. Il paragrafo 1 non si applica se il destinatario del servizio agisce sotto l’autorità o il controllo del prestatore.

3. Il presente articolo lascia impregiudicata la possibilità, secondo gli ordinamenti degli Stati membri, che un organo giurisdizionale o un’autorità amministrativa esiga che il prestatore impedisca una violazione o vi ponga fine nonché la possibilità, per gli Stati membri, di definire procedure per la rimozione delle informazioni o la disabilitazione dell’accesso alle medesime».

13 Ai sensi dell’art. 15 della direttiva 2000/31, rubricato «Assenza dell’obbligo generale di sorveglianza»:

«1. Nella prestazione dei servizi di cui agli articoli 12, 13 e 14, gli Stati membri non impongono ai prestatori un obbligo generale di sorveglianza sulle informazioni che trasmettono o memorizzano né un obbligo generale di ricercare attivamente fatti o circostanze che indichino la presenza di attività illecite.

(…)».

14 Il capo III della medesima direttiva comprende, in particolare, l’art. 18, intitolato «Ricorsi giurisdizionali», che prevede quanto segue:

«1. Gli Stati membri provvedono affinché i ricorsi giurisdizionali previsti dal diritto nazionale per quanto concerne le attività dei servizi della società dell’informazione consentano di prendere rapidamente provvedimenti, anche provvisori, atti a porre fine alle violazioni e a impedire ulteriori danni agli interessi in causa.

(…)».

C – La direttiva 2004/48 («direttiva sul rispetto dei diritti di proprietà intellettuale»)

15 I ‘considerando’ primo, secondo, terzo, ventitreesimo, ventiquattresimo e trentaduesimo della direttiva 2004/48 sono del seguente tenore:

«(1) La realizzazione del mercato interno comporta l’abolizione delle restrizioni alla libera circolazione e delle distorsioni della concorrenza, creando un contesto favorevole all’innovazione e agli investimenti. In tale quadro, la tutela della proprietà intellettuale è un elemento essenziale (...).

(2) (...) Nello stesso tempo, essa non dovrebbe essere di ostacolo alla libertà d’espressione, alla libera circolazione delle informazioni, alla tutela dei dati personali, anche su Internet.

(3) Tuttavia, in assenza di misure efficaci che assicurino il rispetto dei diritti di proprietà intellettuale, l’innovazione e la creazione sono scoraggiate e gli investimenti si contraggono. È dunque necessario assicurare che il diritto sostanziale in materia di proprietà intellettuale, oggi ampiamente parte dell’acquis comunitario, sia effettivamente applicato nell[’Unione]. (...)

(…)

(23) (…) i titolari dei diritti dovrebbero avere la possibilità di richiedere un provvedimento inibitorio contro un intermediario i cui servizi sono utilizzati da terzi per violare il diritto di proprietà industriale del titolare. Le condizioni e modalità relative a tale provvedimento inibitorio dovrebbero essere stabilite dal diritto nazionale degli Stati membri. Per quanto riguarda le violazioni del diritto d’autore e dei diritti connessi, la direttiva [del Parlamento europeo e del Consiglio 22 maggio 2001,] 2001/29/CE, [sull’armonizzazione di taluni aspetti del diritto d’autore e dei diritti connessi nella società dell’informazione (GU L 167, pag. 10)] prevede già un ampio livello di armonizzazione. Pertanto l’articolo 8, paragrafo 3, della direttiva 2001/29/CE non dovrebbe essere pregiudicato dalla presente direttiva.

(24) A seconda dei casi e se le circostanze lo richiedono, le misure, le procedure e i mezzi di ricorso da prevedere dovrebbero comprendere misure inibitorie, volte a impedire nuove violazioni dei diritti di proprietà intellettuale. (...)

(...)

(32) La presente direttiva rispetta i diritti fondamentali (...) riconosciuti segnatamente nella Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea. Essa mira in particolare ad assicurare il pieno rispetto della proprietà intellettuale in conformità all’articolo 17, paragrafo 2, di tale Carta».

16 L’art. 2 della direttiva 2004/48, che definisce l’ambito di applicazione di quest’ultima, prevede quanto segue:

«1. Fatti salvi gli strumenti vigenti o da adottare nella legislazione [dell’Unione] o nazionale, e sempre che questi siano più favorevoli ai titolari dei diritti, le misure, le procedure e i mezzi di ricorso di cui alla presente direttiva si applicano (...) alle violazioni dei diritti di proprietà intellettuale come previsto dalla legislazione [dell’Unione] e/o dalla legislazione nazionale dello Stato membro interessato.

(...)

3. La presente direttiva fa salve:

a) (...) la direttiva 2000/31/CE in generale e le disposizioni degli articoli da 12 a 15 della direttiva 2000/31/CE in particolare;

(...)».

17 Il capo II della direttiva 2004/48, dal titolo «Misure, procedure e mezzi di ricorso», comprende sei sezioni, di cui la prima, intitolata «Obbligo generale», contiene in particolare l’art. 3, che è del seguente tenore:

«1. Gli Stati membri definiscono le misure, le procedure e i mezzi di ricorso necessari ad assicurare il rispetto dei diritti di proprietà intellettuale di cui alla presente direttiva. Tali misure, procedure e mezzi di ricorso sono leali ed equi, non inutilmente complessi o costosi e non comportano termini irragionevoli né ritardi ingiustificati.

2. Le misure, le procedure e i mezzi [di] ricorso sono effettivi, proporzionati e dissuasivi e sono applicati in modo da evitare la creazione di ostacoli al commercio legittimo (...)».

18 La sezione 5 del capo II della direttiva 2004/48, recante il titolo «Misure adottate a seguito di decisione sul merito», è costituita dagli artt. 10‑12, rubricati, rispettivamente, «Misure correttive», «Ingiunzioni» e «Misure alternative».

19 Ai sensi dell’art. 11 della stessa direttiva:

«Gli Stati membri assicurano che, in presenza di una decisione giudiziaria che ha accertato una violazione di un diritto di proprietà intellettuale, le autorità giudiziarie possano emettere nei confronti dell’autore della violazione un’ingiunzione diretta a vietare il proseguimento della violazione. Se previsto dalla legislazione nazionale, il mancato rispetto di un’ingiunzione è oggetto, ove opportuno, del pagamento di una pena pecuniaria suscettibile di essere reiterata, al fine di assicurarne l’esecuzione. Gli Stati membri assicurano che i titolari possano chiedere un provvedimento ingiuntivo nei confronti di intermediari i cui servizi sono utilizzati da terzi per violare un diritto di proprietà intellettuale, senza pregiudizio dell’articolo 8, paragrafo 3, della direttiva 2001/29/CE».

20 Tale art. 8, n. 3, della direttiva 2001/29 prevede quanto segue:

«Gli Stati membri si assicurano che i titolari dei diritti possano chiedere un provvedimento inibitorio nei confronti degli intermediari i cui servizi siano utilizzati da terzi per violare un diritto d’autore o diritti connessi».

D – La direttiva 76/768 (“direttiva sui prodotti cosmetici”)

21 L’art. 6, n. 1, della direttiva del Consiglio 27 luglio 1976, 76/768/CEE, concernente il ravvicinamento delle legislazioni degli Stati membri relative ai prodotti cosmetici (GU L 262, pag. 169), come modificata dalla direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio 27 febbraio 2003, 2003/15/CE (GU L 66, pag. 26), così dispone:

«1. Gli Stati membri adottano adeguate misure affinché i prodotti cosmetici possano essere immessi sul mercato soltanto se il recipiente e l’imballaggio recano le seguenti indicazioni, in caratteri indelebili, facilmente leggibili e visibili; tuttavia, le indicazioni di cui alla lettera g) possono figurare unicamente sull’imballaggio:

a) il nome o la ragione sociale e l’indirizzo o la sede sociale del fabbricante o del responsabile dell’immissione sul mercato stabilito all’interno della Comunità (…);

b) il contenuto nominale al momento della confezione, (…);

c) la data di durata minima (...);

d) le precauzioni particolari per l’impiego (…);

e) il numero della partita di fabbricazione o il riferimento che permetta di identificarla. (…)

f) la funzione del prodotto, salvo se risulta dalla presentazione del prodotto;

g) l’elenco degli ingredienti (…).

(…)».

E – La normativa nazionale

22 La direttiva 89/104 è stata recepita nel diritto nazionale con la legge sui marchi (Trade Marks Act). La trasposizione dell’art. 5, nn. 1‑3, della direttiva 89/104 è assicurata dall’art. 10 di tale legge.

23 La direttiva 2000/31 è stata recepita nel diritto nazionale dal regolamento sul commercio elettronico (Electronic Commerce Regulations). L’art. 14 di tale direttiva è stato trasposto all’art. 19 di detto regolamento.

24 Per quanto riguarda l’art. 11, terza frase, della direttiva 2004/48, il Regno Unito di Gran Bretagna e Irlanda del Nord non ha adottato norme specifiche per dare attuazione a tale disposizione. Il potere di pronunciarsi sulle ingiunzioni è tuttavia disciplinato dall’art. 37 della legge relativa alla Corte suprema (Supreme Court Act), ai sensi del quale la High Court può pronunciare un’ingiunzione «in tutti i casi in cui ciò appaia giusto e appropriato» («in all cases in which it appears to be just and convenient to do so»).

25 La direttiva 76/768 è stata recepita in diritto nazionale con il regolamento sui prodotti cosmetici (Cosmetic Products Regulations). L’art. 12 di quest’ultimo corrisponde all’art. 6, n. 1, della direttiva 76/768 e la sua violazione può configurare un reato.

II – Causa principale e questioni pregiudiziali

26 La L’Oréal produce e commercializza profumi, cosmetici e prodotti per la cura dei capelli. Essa è titolare, nel Regno Unito, di diversi marchi nazionali ed è inoltre titolare di marchi comunitari.

27 La distribuzione dei prodotti della L’Oréal avviene mediante un sistema chiuso di distribuzione, nell’ambito del quale è vietato ai distributori autorizzati di fornire prodotti ad altri distributori.

28 La eBay gestisce un mercato online, nel quale sono presentati annunci per prodotti messi in vendita da persone iscritte a tal fine presso la eBay e che hanno creato un account venditore presso tale società. La eBay riscuote una percentuale sulle operazioni effettuate.

29 La eBay consente ai potenziali acquirenti di partecipare ad un’asta sugli oggetti proposti dai venditori. Essa consente altresì di vendere oggetti senz’asta, e quindi a prezzo fisso, mediante un sistema cosiddetto di «Compralo subito». I venditori possono, inoltre, creare «negozi online» sui siti della eBay. Un negozio di questo tipo offre tutti i prodotti proposti da un venditore in un determinato momento.

30 I venditori e gli acquirenti sono tenuti ad accettare le condizioni d’uso del mercato online fissate dalla eBay. Tra le condizioni suddette rientrano il divieto di vendita di oggetti contraffatti e di arrecare pregiudizio a marchi.

31 Ove necessario, la eBay aiuta i venditori ad ottimizzare le loro offerte, a creare i loro negozi online, a promuovere e ad aumentare le loro vendite. Essa fa altresì pubblicità a taluni prodotti messi in vendita nel suo mercato online mediante la visualizzazione di annunci ad opera di gestori di motori di ricerca, quali Google.

32 Con lettera del 22 maggio 2007, la L’Oréal comunicava alla eBay le sue inquietudini riguardo all’esistenza, su vasta scala, di transazioni commerciali in violazione dei suoi diritti di proprietà intellettuale effettuate attraverso i siti europei della eBay.

33 La L’Oréal, non essendo soddisfatta della risposta che le era stata fornita, ha proposto ricorsi contro la eBay in diversi Stati membri, tra i quali un ricorso dinanzi alla High Court of Justice (England & Wales), Chancery Division.

34 La L’Oréal ha adito la High Court of Justice per far constatare, in primo luogo, che la eBay e le persone fisiche convenute sono responsabili delle vendite effettuate da quest’ultime, attraverso il sito www.ebay.co.uk, di 17 articoli, vendite che a dire della L’Oréal avrebbero leso i diritti conferitile, segnatamente, dal marchio figurativo comunitario contenente le parole «Amor Amor» e dal marchio denominativo nazionale «Lancôme».

35 È pacifico tra la L’Oréal e la eBay che, dei suddetti 17 articoli, due erano contraffazioni di prodotti di marca della L’Oréal.

36 Per quanto riguarda gli altri quindici articoli, pur non affermando che essi siano contraffazioni, la L’Oréal ritiene nondimeno che la loro vendita leda i suoi diritti di marchio, in quanto essi sono prodotti non destinati alla vendita, quali articoli da utilizzare per la dimostrazione e campioni gratuiti, oppure prodotti di marca della L’Oréal destinati alla vendita in America del Nord e non nello Spazio economico europeo (in prosieguo: il «SEE»). Inoltre alcuni di detti articoli sono stati venduti senza imballaggio.

37 Pur astenendosi dal pronunciarsi, in questa fase, sulla questione della misura in cui siano stati lesi i diritti di marchio della L’Oréal, la High Court of Justice ha confermato che le persone fisiche convenute hanno effettuato, sul sito www.ebay.co.uk, le vendite descritte dalla L’Oréal.

38 In secondo luogo, la L’Oréal sostiene che la eBay è responsabile dell’uso di marchi della L’Oréal per effetto della possibilità di visualizzare questi ultimi sul suo sito, nonché possibilità di visualizzare sul sito di gestori di motori di ricerca, quali Google, di link sponsorizzati attivati mediante l’impiego di parole chiave corrispondenti a detti marchi.

39 A quest’ultimo proposito, è pacifico che la eBay, selezionando parole chiave corrispondenti a marchi della L’Oréal nell’ambito del servizio di posizionamento «AdWords» di Google, ha fatto comparire, ogni volta che sussisteva una concordanza tra tale parola e quella contenuta nella richiesta rivolta da un utente Internet al motore di ricerca di Google, un link pubblicitario verso il sito www.ebay.co.uk. Tale link compariva nella rubrica «Link sponsorizzati», che è mostrata nella parte destra oppure nella parte superiore della schermata mostrata da Google.

40 Così, il 27 marzo 2007, allorché un utente di Internet inseriva quali termini di ricerca le parole «shu uemura», che corrispondono sostanzialmente al marchio denominativo nazionale «Shu Uemura» della L’Oréal, nel motore di ricerca Google, nella summenzionata rubrica «link sponsorizzati», compariva il seguente annuncio della eBay:

«Shu Uemura

Buoni affari su Shu uemura

Acquistate su eBay e risparmiate!

www.ebay.co.uk»

(Shu Uemura

Great deals on Shu uemura

Shop on eBay and Save!

www.ebay.co.uk)

41 Cliccando su tale link pubblicitario si giungeva ad una pagina del sito www.ebay.co.uk, che indicava «96 oggetti trovati per shu uemura». Relativamente alla maggior parte di tali oggetti era espressamente precisato che essi provenivano da Hong Kong.

42 Del pari, tra altri esempi, all’utente di Internet che il 27 marzo 2007 inseriva quali termini di ricerca le parole «matrix hair», corrispondenti in parte al marchio denominativo nazionale «Matrix» della L’Oréal, nel motore di ricerca Google, nella summenzionata rubrica «link sponsorizzati», compariva il seguente annuncio della eBay:

«Matrix hair

Qui fantastici prezzi bassi

Alimentate la vostra passione su eBay.co.uk!

www.ebay.co.uk»

(Matrix hair

Fantastic low prices here

Feed your passion on eBay.co.uk!

www.ebay.co.uk)

43 In terzo luogo, la L’Oréal ha sostenuto che, pur se la eBay non era responsabile delle violazioni dei diritti connessi ai suoi marchi, doveva essere pronunciata nei suoi confronti un’ingiunzione ai sensi dell’art. 11 della direttiva 2004/48.

44 La L’Oréal ha raggiunto una composizione amichevole con alcune delle persone fisiche convenute, valere a dire il sig. Potts, la sig.ra Ratchford, la sig.ra Ormsby, il sig. Clarke e la sig.ra Clarke e ha ottenuto una sentenza in contumacia nei confronti delle altre, ossia il sig. Fox e la sig.ra Bi. Successivamente, nel corso del mese di marzo 2009, si è svolta dinanzi alla High Court of Justice un’udienza dedicata al ricorso diretto contro la eBay.

45 Con sentenza 22 maggio 2009, la High Court of Justice ha svolto alcune considerazioni di fatto e ha concluso che la causa non era allo stato di essere giudicata, in quanto per numerose questioni di diritto era anzitutto necessaria un’interpretazione da parte della Corte di giustizia dell’Unione europea.

46 In tale sentenza, la High Court of Justice constata che la eBay ha installato filtri per individuare gli annunci che potrebbero contravvenire alle condizioni d’uso del sito. Detto giudice constata del pari che la eBay ha elaborato, mediante un programma denominato «VeRO» («Verified Rights Owner»), un sistema di notifica e di eliminazione destinato ad aiutare i titolari di diritti di proprietà intellettuale a far eliminare dal mercato online gli annunci che costituiscono violazione. La L’Oréal si è rifiutata di partecipare a tale programma ritenendolo insoddisfacente.

47 La High Court of Justice ha del pari rilevato che la eBay applica sanzioni quali la sospensione temporanea o addirittura permanente di venditori che hanno violato le condizioni d’uso del mercato online.

48 Nonostante le constatazioni supra ricordate, la High Court of Justice ha considerato che era possibile, per la eBay, adottare più misure per ridurre il numero di vendite lesive dei diritti di proprietà intellettuale effettuate attraverso il suo mercato online. Secondo tale giudice, la eBay potrebbe utilizzare ulteriori filtri, potrebbe altresì inserire nelle sue regole il divieto di vendita, senza il consenso dei titolari dei marchi, di prodotti contrassegnati da un marchio non provenienti dal SEE. La eBay potrebbe, inoltre, imporre restrizioni supplementari sulle quantità di prodotti che possono essere oggetto di annunci simultanei e applicare sanzioni in modo più rigoroso.

49 La High Court of Justice precisa tuttavia che la circostanza che sarebbe possibile per la eBay prendere ulteriori provvedimenti non significa necessariamente che essa sia tenuta per legge a farlo.

50 Con decisione 16 luglio 2009, che ha fatto seguito alla menzionata sentenza 22 maggio 2009, la High Court of Justice ha deciso di sospendere il procedimento e di sottoporre alla Corte le seguenti questioni pregiudiziali:

«1) Nel caso in cui tester di profumi e cosmetici (vale a dire campioni utilizzati per presentare i prodotti ai consumatori negli esercizi al dettaglio) e flaconi per ricariche (vale a dire contenitori dai quali possono essere prelevati piccoli quantitativi di prodotto da distribuire alla clientela come campioni gratuiti), che non sono destinati alla vendita al pubblico (e sono spesso contrassegnati con la dicitura “vietata la vendita” o “non vendibile separatamente”), vengano forniti gratuitamente ai distributori autorizzati dal titolare del marchio, se tali prodotti siano “immessi in commercio” ai sensi dell’art. 7, n. 1, della [direttiva 89/104] e dell’art. 13, n. 1, del regolamento [n. 40/94].

2) Nel caso in cui i prodotti siano [privati dell’imballaggio esterno] senza il consenso del titolare del marchio, se ciò costituisca un “motivo legittimo” perché il titolare del marchio si opponga all’ulteriore commercializzazione dei prodotti privati dell’imballaggio in forza dell’art. 7, n. 2, della [direttiva 89/104] e dell’art. 13, n. 2, del regolamento [n. 40/94].

3) Ai fini della soluzione della seconda questione sopra indicata, se faccia differenza:

a) il fatto che, una volta [privati dell’imballaggio], i prodotti non rechino le informazioni prescritte dall’art. 6, n. 1, della direttiva [76/768], e in particolare non rechino l’elenco degli ingredienti né una “data di scadenza”;

b) il fatto che, in assenza di tali informazioni, l’offerta in vendita o la vendita dei prodotti privati dell’imballaggio costituisca un reato ai sensi della legge dello Stato membro della Comunità in cui essi vengono offerti in vendita o venduti da terzi.

4) Ai fini della soluzione della seconda questione sopra indicata, se faccia differenza il fatto che l’ulteriore commercializzazione rechi pregiudizio, o sia atta a recare pregiudizio, all’immagine dei prodotti e quindi alla reputazione del marchio. In caso di risposta affermativa, se tale effetto debba essere presunto, oppure debba essere dimostrato dal titolare del marchio.

5) Nel caso in cui [il gestore di] un mercato online acquisti l’uso di un segno identico a un marchio registrato quale parola chiave dal gestore di un motore di ricerca, di modo che il segno venga presentato agli utenti dal motore di ricerca in un link sponsorizzato che conduce al sito Internet del gestore del mercato online, se la visualizzazione del segno nel collegamento sponsorizzato costituisca un “uso” del segno ai sensi dell’art. 5, n. 1, lett. a), della direttiva [89/104] e dell’art. 9, n. 1, lett. a), del regolamento [n. 40/94].

6) Nel caso in cui la selezione del link sponsorizzato menzionato nella quinta questione rinvii l’utente direttamente ad annunci pubblicitari o ad offerte riferentisi a prodotti identici a quelli per i quali il marchio è stato registrato con il segno, immessi sul sito da terzi, alcuni dei quali commettono una violazione del marchio e altri no, a seconda della diversa situazione dei rispettivi prodotti, se ciò costituisca uso del segno da parte del gestore del mercato online “per” prodotti costituenti violazione ai sensi dell’art. 5, n. 1, lett. a), della direttiva [89/104] e dell’art. 9, n. 1, lett. a), del regolamento [n. 40/94].

7) Nel caso in cui i prodotti pubblicizzati e offerti in vendita sul sito Internet menzionato nella sesta questione includano prodotti che non sono stati immessi in commercio nel SEE dal titolare del marchio o con il suo consenso, se, affinché tale uso rientri nell’ambito di applicazione dell’art. 5, n. 1, lett. a), della direttiva [89/104] e dell’art. 9, n. 1, lett. a), del regolamento [n. 40/94] – ed esuli da quello dell’art. 7, n. 1, della direttiva [89/104] e dell’art. 13, n. 1, del regolamento [n. 40/94] – sia sufficiente che l’annuncio pubblicitario o l’offerta in vendita siano rivolti ai consumatori del territorio per il quale il marchio è stato registrato, oppure il titolare del marchio debba dimostrare che l’annuncio pubblicitario o l’offerta in vendita comporta necessariamente l’immissione in commercio dei prodotti in questione nel territorio per il quale il marchio è stato registrato.

8) Ai fini della soluzione delle questioni dalla quinta alla settima, se faccia differenza il fatto che l’uso contestato dal titolare del marchio consiste nella visualizzazione del segno sul sito Internet del gestore del mercato online stesso, anziché in un link sponsorizzato.

9) Nel caso in cui sia sufficiente che l’annuncio pubblicitario o l’offerta in vendita siano rivolti ai consumatori del territorio per il quale il marchio è stato registrato affinché tale uso rientri nell’ambito di applicazione dell’art. 5, n. 1, lett. a), della direttiva [89/104] e dell’art. 9, n. 1, lett. a), del regolamento [n. 40/94] – ed esuli da quello dell’art. 7 (...) della direttiva [89/104] e dell’art. 13 (...) del regolamento [n. 40/94] –

a) se detto uso consista nella o includa la “memorizzazione di informazioni fornite da un destinatario del servizio” ai sensi dell’art. 14, n. 1, della [direttiva 2000/31];

b) nel caso in cui l’uso non consista esclusivamente in attività rientranti nell’ambito di applicazione dell’art. 14, n. 1, della [direttiva 2000/31], ma includa tali attività, se il gestore del mercato online sia esente da responsabilità nei limiti in cui l’uso consiste nelle suddette attività e, in tal caso, se possano essere concessi il risarcimento dei danni o altri risarcimenti economici in relazione a tale uso laddove il gestore non sia esente da responsabilità;

c) nel caso in cui il gestore del mercato online sia a conoscenza del fatto che sul suo sito Internet sono stati pubblicizzati, offerti in vendita o venduti prodotti in violazione di marchi registrati e che presumibilmente le violazioni di tali marchi registrati continuino attraverso la pubblicità, l’offerta in vendita e la vendita degli stessi prodotti o di prodotti simili da parte degli stessi o di altri utenti del sito Internet, se ciò significhi che egli ne è “al corrente” o “effettivamente al corrente” ai sensi dell’art. 14, n. 1, della [direttiva 2000/31].

10) Nel caso in cui i servizi di un intermediario quale un gestore di un sito Internet siano stati utilizzati da terzi per violare un marchio registrato, se l’art. 11 della [direttiva 2004/48], imponga agli Stati membri di garantire che il titolare del marchio possa ottenere un’ingiunzione nei confronti dell’intermediario al fine di impedire ulteriori violazioni di detto marchio, e non solo la prosecuzione di detto specifico atto di contraffazione, e in tal caso quale sia la portata dell’ingiunzione che può essere richiesta».

III – Sulle questioni pregiudiziali

A – Sulle questioni prima, seconda, terza, quarta e settima relative alla vendita di prodotti contrassegnati da un marchio in un mercato online

1. Considerazioni preliminari

51 Com’è stato ricordato ai punti 36 e 37 della presente sentenza, è pacifico che le persone fisiche convenute hanno offerto in vendita e venduto a consumatori nell’Unione, mediante il sito www.ebay.co.uk, prodotti di marca della L’Oréal destinati da quest’ultima alla vendita in Stati terzi, nonché prodotti non destinati alla vendita, quali articoli utilizzati per la dimostrazione e campioni gratuiti. È inoltre incontestato che taluni di tali prodotti sono stati venduti senza imballaggio.

52 La messa in vendita sul sito www.ebay.co.uk di prodotti introdotti in Stati terzi risulta del pari dalle constatazioni riassunte nei punti 40 e 41 della presente sentenza, secondo le quali la eBay ha fatto pubblicità per le offerte in vendita, su tale sito, di prodotti contrassegnati dal marchio Shu Uemura che si trovavano a Hong Kong (Cina).

53 La eBay contesta il fatto che tali offerte in vendita nel suo mercato online possano ledere diritti conferiti dai marchi. Con le sue questioni pregiudiziali prima, seconda, terza, quarta e settima il giudice del rinvio chiede se detta tesi della eBay sia corretta.

54 Prima di esaminare tali questioni è importante ricordare, come ha fatto l’avvocato generale al paragrafo 79 delle sue conclusioni, che, in linea di principio, i diritti esclusivi conferiti dai marchi possono essere fatti valere solo nei confronti degli operatori economici. Infatti, affinché il titolare di un marchio possa vietare l’uso da parte di un terzo di un segno identico o simile a tale marchio, è necessario che tale uso abbia luogo nel commercio (v., in particolare, sentenze 16 novembre 2004, causa C‑245/02 Anheuser-Busch, Racc. pag. I‑10989, punto 62, e 18 giugno 2009, causa C‑487/07, L’Oréal e a., Racc. pag. I‑5185, punto 57).

55 Ne consegue che, quando una persona fisica vende un prodotto contrassegnato da un marchio mediante un mercato online senza che tale operazione rientri nel contesto di un’attività commerciale, il titolare del marchio non può invocare il proprio diritto esclusivo di cui all’art. 5 della direttiva 89/104 e all’art. 9 del regolamento n. 40/94. Laddove, per contro, le vendite effettuate in tale mercato superino, per il loro volume, la loro frequenza o altre caratteristiche, la sfera di un’attività privata, il venditore si colloca nell’ambito del «commercio» ai sensi di detti articoli.

56 Nella sentenza 22 maggio 2009 il giudice del rinvio ha constatato che il sig. Potts, una delle persone fisiche convenute, aveva venduto attraverso il sito www.ebay.co.uk, un numero considerevole di articoli recanti marchi della L’Or&eac

SENTENZA DELLA CORTE (Grande Sezione)

Nel procedimento C‑324/09,

avente ad oggetto la domanda di pronuncia pregiudiziale proposta alla Corte, ai sensi dell’art. 234 CE, dalla High Court of Justice (England & Wales), Chancery Division (Regno Unito), con decisione 16 luglio 2009, pervenuta in cancelleria il 12 agosto 2009, nella causa

L’Oréal SA,

Lancôme parfums et beauté & Cie SNC,

Laboratoire Garnier & Cie,

L’Oréal (UK) Ltd

contro

eBay International AG,

eBay Europe SARL,

eBay (UK) Ltd,

Stephen Potts,

Tracy Ratchford,

Marie Ormsby,

James Clarke,

Joanna Clarke,

Glen Fox,

Rukhsana Bi,

LA CORTE (Grande Sezione),

composta dal sig. V. Skouris, presidente, dai sigg. A. Tizzano, J.N. Cunha Rodrigues, K. Lenaerts, J.‑C. Bonichot, K. Schiemann, J.‑J. Kasel e D. Šváby, presidenti di sezione, dal sig. A. Rosas, dalla sig.ra R. Silva de Lapuerta, dal sig. M. Ilešič (relatore), dal sig. M. Safjan e dalla sig.ra M. Berger, giudici,

avvocato generale: sig. N. Jääskinen

cancelliere: sig.ra L. Hewlett, amministratore principale

vista la fase scritta del procedimento e in seguito all’udienza del 22 giugno 2010,

considerate le osservazioni presentate:

– per la L’Oréal SA e a., dai sigg. H. Carr e D. Anderson, QC, nonché dal sig. T. Mitcheson, barrister;

– per la eBay International AG e a., dagli avv.ti T. van Innis e G. Glas, avocats;

– per il governo del Regno Unito, dalla sig.ra H. Walker e dal sig. L. Seeboruth, in qualità di agenti, assistiti dalla sig.ra C. May, barrister;

– per il governo francese, dal sig. G. de Bergues, dalla sig.ra B. Beaupère‑Manokha, dal sig. J. Gstalster e dal sig. B. Cabouat, in qualità di agenti;

– per il governo italiano, dalla sig.ra G. Palmieri, in qualità di agente, assistita dal sig. S. Fiorentino, avvocato dello Stato;

– per il governo polacco, dal sig. M. Dowgielewicz e dalla sig.ra A. Rutkowska, in qualità di agenti;

– per il governo portoghese, dal sig. L. Inez Fernandes, in qualità di agente;

– per la Commissione europea, dal sig. H. Krämer, in qualità di agente,

sentite le conclusioni dell’avvocato generale, presentate all’udienza del 9 dicembre 2010,

ha pronunciato la seguente

Sentenza

1 La domanda di pronuncia pregiudiziale verte sull’interpretazione degli artt. 5 e 7 della prima direttiva del Consiglio 21 dicembre 1988, 89/104/CEE, sul ravvicinamento delle legislazioni degli Stati Membri in materia di marchi d’impresa (GU 1989, L 40, pag. 1), come modificata dall’Accordo sullo Spazio economico europeo del 2 maggio 1992 (GU 1994, L 1, pag. 3; in prosieguo: la «direttiva 89/104»), degli artt. 9 e 13 del regolamento (CE) del Consiglio 20 dicembre 1993, n. 40/94, sul marchio comunitario (GU 1994, L 11, pag. 1), dell’art. 14 della direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio 8 giugno 2000, 2000/31/CE, relativa a taluni aspetti giuridici dei servizi della società dell’informazione, in particolare il commercio elettronico, nel mercato interno («direttiva sul commercio elettronico») (GU L 178, pag. 1), nonché dell’art. 11 della direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio 29 aprile 2004, 2004/48/CE, sul rispetto dei diritti di proprietà intellettuale (GU L 157, pag. 45).

2 Tale domanda è stata proposta nell’ambito di una controversia che oppone la L’Oréal SA, nonché le sue controllate Lancôme parfums et beauté & Cie SNC, Laboratoire Garnier & Cie e L’Oréal (UK) Ltd (in prosieguo, congiuntamente: la «L’Oréal»), a tre controllate della eBay Inc., vale a dire la eBay International AG, la eBay Europe SARL e la eBay (UK) Ltd (in prosieguo, congiuntamente: la «eBay») e inoltre al sig. Potts, alla sig.ra Ratchford, alla sig.ra Ormsby, al sig. Clarke, alla sig.ra Clarke, al sig. Fox e alla sig.ra Bi (in prosieguo: le «persone fisiche convenute»), riguardo alla messa in vendita, senza il consenso della L’Oréal, di prodotti di quest’ultima attraverso il mercato online gestito dalla eBay.

I – Contesto normativo

A – La direttiva 89/104 e il regolamento n. 40/94

3 La direttiva 89/104 e il regolamento n. 40/94 sono stati abrogati, rispettivamente, dalla direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio 22 ottobre 2008, 2008/95/CE, sul ravvicinamento delle legislazioni degli Stati membri in materia di marchi d’impresa (versione codificata) (GU L 299, pag. 25), entrata in vigore il 28 novembre 2008, e dal regolamento (CE) del Consiglio 26 febbraio 2009, n. 207, sul marchio comunitario (GU L 78, pag. 1), entrato in vigore il 13 aprile 2009. Nondimeno, in considerazione dell’epoca in cui si sono svolti i fatti, la controversia di cui alla causa principale resta disciplinata dalla direttiva 89/104 e dal regolamento n. 40/94.

4 L’art. 5 della direttiva 89/104, rubricato «Diritti conferiti dal marchio di impresa», era formulato nei seguenti termini:

«1. Il marchio di impresa registrato conferisce al titolare un diritto esclusivo. II titolare ha il diritto di vietare ai terzi, salvo proprio consenso, di usare nel commercio:

a) un segno identico al marchio di impresa per prodotti o servizi identici a quelli per cui esso è stato registrato;

b) un segno che, a motivo dell’identità o della somiglianza di detto segno col marchio di impresa e dell’identità o somiglianza dei prodotti o servizi contraddistinti dal marchio di impresa e dal segno, possa dare adito a un rischio di confusione per il pubblico, comportante anche un rischio di associazione tra il segno e il marchio di impresa.

2. Uno Stato membro può inoltre prevedere che il titolare abbia il diritto di vietare ai terzi, salvo proprio consenso, di usare nel commercio un segno identico o simile al marchio di impresa per i prodotti o servizi che non sono simili a quelli per cui esso è stato registrato, se il marchio di impresa gode di notorietà nello Stato membro e se l’uso immotivato del segno consente di trarre indebitamente vantaggio dal carattere distintivo o dalla notorietà del marchio di impresa o reca pregiudizio agli stessi.

3. Si può in particolare vietare, se le condizioni menzionate al paragrafo 1 e 2 sono soddisfatte:

a) di apporre il segno sui prodotti o sul loro condizionamento;

b) di offrire i prodotti, di immetterli in commercio o di detenerli a tali fini, oppure di offrire o fornire servizi contraddistinti dal segno;

c) di importare o esportare prodotti contraddistinti dal segno;

d) di utilizzare il segno nella corrispondenza commerciale e nella pubblicità.

(…)».

5 Il testo dell’art. 9, n. 1, lett. a) e b), del regolamento n. 40/94 corrispondeva sostanzialmente a quello dell’art. 5, n. 1, della direttiva 89/104. Il n. 2 di tale art. 9 corrispondeva al n. 3 di detto art. 5. Quanto all’art. 9, n. 1, lett. c), del regolamento n. 40/94, esso disponeva quanto segue:

«Il marchio comunitario conferisce al suo titolare un diritto esclusivo. Il titolare ha il diritto di vietare ai terzi, salvo proprio consenso, di usare in commercio:

(…)

c) un segno identico o simile al marchio comunitario per prodotti o servizi che non sono simili a quelli per i quali questo è stato registrato, se il marchio comunitario gode di notorietà nella Comunità e se l’uso del segno senza giusto motivo consente di trarre indebitamente vantaggio dal carattere distintivo o dalla notorietà del marchio comunitario o reca pregiudizio agli stessi».

6 L’art. 7 della direttiva 89/104, rubricato «Esaurimento del diritto conferito dal marchio di impresa», era del seguente tenore:

«1. Il diritto conferito dal marchio di impresa non permette al titolare dello stesso di vietare l’uso del marchio di impresa per prodotti immessi in commercio in una Parte contraente [dello Spazio economico europeo] con detto marchio dal titolare stesso o con il suo consenso.

2. Il paragrafo 1 non si applica quando sussistono motivi legittimi perché il titolare si opponga all’ulteriore commercializzazione dei prodotti, in particolare quando lo stato dei prodotti è modificato o alterato dopo la loro immissione in commercio».

7 Ai sensi dell’art. 13, n. 1, del regolamento n. 40/94, «[i]l diritto conferito dal marchio comunitario non permette al titolare di impedirne l’uso per prodotti immessi in commercio nell[’Unione europea] con tale marchio dal titolare stesso [o] con il suo consenso». Il testo del n. 2 dello stesso articolo è identico a quello dell’art. 7, n. 2, della direttiva 89/104.

B – La direttiva 2000/31 («direttiva sul commercio elettronico»)

8 L’art. 2, lett. a), della direttiva 2000/31 definisce i «servizi della società dell’informazione» mediante un riferimento all’art. 1, n. 2, della direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio 22 giugno 1998, 98/34/CE, che prevede una procedura d’informazione nel settore delle norme e delle regolamentazioni tecniche e delle regole relative ai servizi della società dell’informazione (GU L 204, pag. 37), quale modificata dalla direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio 20 luglio 1998, 98/48/CE (GU L 217, pag. 18; in prosieguo: la «direttiva 98/34»), come «qualsiasi servizio prestato normalmente dietro retribuzione, a distanza, per via elettronica e a richiesta individuale di un destinatario di servizi».

9 L’art. 1, n. 2, della direttiva 98/34, così prosegue:

«(…)

Ai fini della presente definizione si intende:

– “a distanza”: un servizio fornito senza la presenza simultanea delle parti;

– “per via elettronica”: un servizio inviato all’origine e ricevuto a destinazione mediante attrezzature elettroniche di trattamento (...) e di memorizzazione di dati, e che è interamente trasmesso, inoltrato e ricevuto mediante fili, radio, mezzi ottici od altri mezzi elettromagnetici;

– “a richiesta individuale di un destinatario di servizi”: un servizio fornito mediante trasmissione di dati su richiesta individuale.

(…)».

10 L’art. 6 della direttiva 2000/31 prevede quanto segue:

«Oltre agli altri obblighi di informazione posti dal diritto [dell’Unione], gli Stati membri provvedono affinché le comunicazioni commerciali che costituiscono un servizio della società dell’informazione (...) rispettino le seguenti condizioni minime:

(…)

b) la persona fisica o giuridica per conto della quale viene effettuata la comunicazione commerciale [è] chiaramente identificabile;

(…)».

11 Il capo II della direttiva 2000/31 contiene una sezione 4, dal titolo «Responsabilità dei prestatori intermediari», che comprende gli artt. 12‑15.

12 L’art. 14 della stessa direttiva, rubricato «Hosting», così dispone:

«1. Gli Stati membri provvedono affinché, nella prestazione di un servizio della società dell’informazione consistente nella memorizzazione di informazioni fornite da un destinatario del servizio, il prestatore non sia responsabile delle informazioni memorizzate a richiesta di un destinatario del servizio, a condizione che detto prestatore:

a) non sia effettivamente al corrente del fatto che l’attività o l’informazione è illecita e, per quanto attiene ad azioni risarcitorie, non sia al corrente di fatti o di circostanze che rendono manifesta l’illegalità dell’attività o dell’informazione,

o

b) non appena al corrente di tali fatti, agisca immediatamente per rimuovere le informazioni o per disabilitarne l’accesso.

2. Il paragrafo 1 non si applica se il destinatario del servizio agisce sotto l’autorità o il controllo del prestatore.

3. Il presente articolo lascia impregiudicata la possibilità, secondo gli ordinamenti degli Stati membri, che un organo giurisdizionale o un’autorità amministrativa esiga che il prestatore impedisca una violazione o vi ponga fine nonché la possibilità, per gli Stati membri, di definire procedure per la rimozione delle informazioni o la disabilitazione dell’accesso alle medesime».

13 Ai sensi dell’art. 15 della direttiva 2000/31, rubricato «Assenza dell’obbligo generale di sorveglianza»:

«1. Nella prestazione dei servizi di cui agli articoli 12, 13 e 14, gli Stati membri non impongono ai prestatori un obbligo generale di sorveglianza sulle informazioni che trasmettono o memorizzano né un obbligo generale di ricercare attivamente fatti o circostanze che indichino la presenza di attività illecite.

(…)».

14 Il capo III della medesima direttiva comprende, in particolare, l’art. 18, intitolato «Ricorsi giurisdizionali», che prevede quanto segue:

«1. Gli Stati membri provvedono affinché i ricorsi giurisdizionali previsti dal diritto nazionale per quanto concerne le attività dei servizi della società dell’informazione consentano di prendere rapidamente provvedimenti, anche provvisori, atti a porre fine alle violazioni e a impedire ulteriori danni agli interessi in causa.

(…)».

C – La direttiva 2004/48 («direttiva sul rispetto dei diritti di proprietà intellettuale»)

15 I ‘considerando’ primo, secondo, terzo, ventitreesimo, ventiquattresimo e trentaduesimo della direttiva 2004/48 sono del seguente tenore:

«(1) La realizzazione del mercato interno comporta l’abolizione delle restrizioni alla libera circolazione e delle distorsioni della concorrenza, creando un contesto favorevole all’innovazione e agli investimenti. In tale quadro, la tutela della proprietà intellettuale è un elemento essenziale (...).

(2) (...) Nello stesso tempo, essa non dovrebbe essere di ostacolo alla libertà d’espressione, alla libera circolazione delle informazioni, alla tutela dei dati personali, anche su Internet.

(3) Tuttavia, in assenza di misure efficaci che assicurino il rispetto dei diritti di proprietà intellettuale, l’innovazione e la creazione sono scoraggiate e gli investimenti si contraggono. È dunque necessario assicurare che il diritto sostanziale in materia di proprietà intellettuale, oggi ampiamente parte dell’acquis comunitario, sia effettivamente applicato nell[’Unione]. (...)

(…)

(23) (…) i titolari dei diritti dovrebbero avere la possibilità di richiedere un provvedimento inibitorio contro un intermediario i cui servizi sono utilizzati da terzi per violare il diritto di proprietà industriale del titolare. Le condizioni e modalità relative a tale provvedimento inibitorio dovrebbero essere stabilite dal diritto nazionale degli Stati membri. Per quanto riguarda le violazioni del diritto d’autore e dei diritti connessi, la direttiva [del Parlamento europeo e del Consiglio 22 maggio 2001,] 2001/29/CE, [sull’armonizzazione di taluni aspetti del diritto d’autore e dei diritti connessi nella società dell’informazione (GU L 167, pag. 10)] prevede già un ampio livello di armonizzazione. Pertanto l’articolo 8, paragrafo 3, della direttiva 2001/29/CE non dovrebbe essere pregiudicato dalla presente direttiva.

(24) A seconda dei casi e se le circostanze lo richiedono, le misure, le procedure e i mezzi di ricorso da prevedere dovrebbero comprendere misure inibitorie, volte a impedire nuove violazioni dei diritti di proprietà intellettuale. (...)

(...)

(32) La presente direttiva rispetta i diritti fondamentali (...) riconosciuti segnatamente nella Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea. Essa mira in particolare ad assicurare il pieno rispetto della proprietà intellettuale in conformità all’articolo 17, paragrafo 2, di tale Carta».

16 L’art. 2 della direttiva 2004/48, che definisce l’ambito di applicazione di quest’ultima, prevede quanto segue:

«1. Fatti salvi gli strumenti vigenti o da adottare nella legislazione [dell’Unione] o nazionale, e sempre che questi siano più favorevoli ai titolari dei diritti, le misure, le procedure e i mezzi di ricorso di cui alla presente direttiva si applicano (...) alle violazioni dei diritti di proprietà intellettuale come previsto dalla legislazione [dell’Unione] e/o dalla legislazione nazionale dello Stato membro interessato.

(...)

3. La presente direttiva fa salve:

a) (...) la direttiva 2000/31/CE in generale e le disposizioni degli articoli da 12 a 15 della direttiva 2000/31/CE in particolare;

(...)».

17 Il capo II della direttiva 2004/48, dal titolo «Misure, procedure e mezzi di ricorso», comprende sei sezioni, di cui la prima, intitolata «Obbligo generale», contiene in particolare l’art. 3, che è del seguente tenore:

«1. Gli Stati membri definiscono le misure, le procedure e i mezzi di ricorso necessari ad assicurare il rispetto dei diritti di proprietà intellettuale di cui alla presente direttiva. Tali misure, procedure e mezzi di ricorso sono leali ed equi, non inutilmente complessi o costosi e non comportano termini irragionevoli né ritardi ingiustificati.

2. Le misure, le procedure e i mezzi [di] ricorso sono effettivi, proporzionati e dissuasivi e sono applicati in modo da evitare la creazione di ostacoli al commercio legittimo (...)».

18 La sezione 5 del capo II della direttiva 2004/48, recante il titolo «Misure adottate a seguito di decisione sul merito», è costituita dagli artt. 10‑12, rubricati, rispettivamente, «Misure correttive», «Ingiunzioni» e «Misure alternative».

19 Ai sensi dell’art. 11 della stessa direttiva:

«Gli Stati membri assicurano che, in presenza di una decisione giudiziaria che ha accertato una violazione di un diritto di proprietà intellettuale, le autorità giudiziarie possano emettere nei confronti dell’autore della violazione un’ingiunzione diretta a vietare il proseguimento della violazione. Se previsto dalla legislazione nazionale, il mancato rispetto di un’ingiunzione è oggetto, ove opportuno, del pagamento di una pena pecuniaria suscettibile di essere reiterata, al fine di assicurarne l’esecuzione. Gli Stati membri assicurano che i titolari possano chiedere un provvedimento ingiuntivo nei confronti di intermediari i cui servizi sono utilizzati da terzi per violare un diritto di proprietà intellettuale, senza pregiudizio dell’articolo 8, paragrafo 3, della direttiva 2001/29/CE».

20 Tale art. 8, n. 3, della direttiva 2001/29 prevede quanto segue:

«Gli Stati membri si assicurano che i titolari dei diritti possano chiedere un provvedimento inibitorio nei confronti degli intermediari i cui servizi siano utilizzati da terzi per violare un diritto d’autore o diritti connessi».

D – La direttiva 76/768 (“direttiva sui prodotti cosmetici”)

21 L’art. 6, n. 1, della direttiva del Consiglio 27 luglio 1976, 76/768/CEE, concernente il ravvicinamento delle legislazioni degli Stati membri relative ai prodotti cosmetici (GU L 262, pag. 169), come modificata dalla direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio 27 febbraio 2003, 2003/15/CE (GU L 66, pag. 26), così dispone:

«1. Gli Stati membri adottano adeguate misure affinché i prodotti cosmetici possano essere immessi sul mercato soltanto se il recipiente e l’imballaggio recano le seguenti indicazioni, in caratteri indelebili, facilmente leggibili e visibili; tuttavia, le indicazioni di cui alla lettera g) possono figurare unicamente sull’imballaggio:

a) il nome o la ragione sociale e l’indirizzo o la sede sociale del fabbricante o del responsabile dell’immissione sul mercato stabilito all’interno della Comunità (…);

b) il contenuto nominale al momento della confezione, (…);

c) la data di durata minima (...);

d) le precauzioni particolari per l’impiego (…);

e) il numero della partita di fabbricazione o il riferimento che permetta di identificarla. (…)

f) la funzione del prodotto, salvo se risulta dalla presentazione del prodotto;

g) l’elenco degli ingredienti (…).

(…)».

E – La normativa nazionale

22 La direttiva 89/104 è stata recepita nel diritto nazionale con la legge sui marchi (Trade Marks Act). La trasposizione dell’art. 5, nn. 1‑3, della direttiva 89/104 è assicurata dall’art. 10 di tale legge.

23 La direttiva 2000/31 è stata recepita nel diritto nazionale dal regolamento sul commercio elettronico (Electronic Commerce Regulations). L’art. 14 di tale direttiva è stato trasposto all’art. 19 di detto regolamento.

24 Per quanto riguarda l’art. 11, terza frase, della direttiva 2004/48, il Regno Unito di Gran Bretagna e Irlanda del Nord non ha adottato norme specifiche per dare attuazione a tale disposizione. Il potere di pronunciarsi sulle ingiunzioni è tuttavia disciplinato dall’art. 37 della legge relativa alla Corte suprema (Supreme Court Act), ai sensi del quale la High Court può pronunciare un’ingiunzione «in tutti i casi in cui ciò appaia giusto e appropriato» («in all cases in which it appears to be just and convenient to do so»).

25 La direttiva 76/768 è stata recepita in diritto nazionale con il regolamento sui prodotti cosmetici (Cosmetic Products Regulations). L’art. 12 di quest’ultimo corrisponde all’art. 6, n. 1, della direttiva 76/768 e la sua violazione può configurare un reato.

II – Causa principale e questioni pregiudiziali

26 La L’Oréal produce e commercializza profumi, cosmetici e prodotti per la cura dei capelli. Essa è titolare, nel Regno Unito, di diversi marchi nazionali ed è inoltre titolare di marchi comunitari.

27 La distribuzione dei prodotti della L’Oréal avviene mediante un sistema chiuso di distribuzione, nell’ambito del quale è vietato ai distributori autorizzati di fornire prodotti ad altri distributori.

28 La eBay gestisce un mercato online, nel quale sono presentati annunci per prodotti messi in vendita da persone iscritte a tal fine presso la eBay e che hanno creato un account venditore presso tale società. La eBay riscuote una percentuale sulle operazioni effettuate.

29 La eBay consente ai potenziali acquirenti di partecipare ad un’asta sugli oggetti proposti dai venditori. Essa consente altresì di vendere oggetti senz’asta, e quindi a prezzo fisso, mediante un sistema cosiddetto di «Compralo subito». I venditori possono, inoltre, creare «negozi online» sui siti della eBay. Un negozio di questo tipo offre tutti i prodotti proposti da un venditore in un determinato momento.

30 I venditori e gli acquirenti sono tenuti ad accettare le condizioni d’uso del mercato online fissate dalla eBay. Tra le condizioni suddette rientrano il divieto di vendita di oggetti contraffatti e di arrecare pregiudizio a marchi.

31 Ove necessario, la eBay aiuta i venditori ad ottimizzare le loro offerte, a creare i loro negozi online, a promuovere e ad aumentare le loro vendite. Essa fa altresì pubblicità a taluni prodotti messi in vendita nel suo mercato online mediante la visualizzazione di annunci ad opera di gestori di motori di ricerca, quali Google.

32 Con lettera del 22 maggio 2007, la L’Oréal comunicava alla eBay le sue inquietudini riguardo all’esistenza, su vasta scala, di transazioni commerciali in violazione dei suoi diritti di proprietà intellettuale effettuate attraverso i siti europei della eBay.

33 La L’Oréal, non essendo soddisfatta della risposta che le era stata fornita, ha proposto ricorsi contro la eBay in diversi Stati membri, tra i quali un ricorso dinanzi alla High Court of Justice (England & Wales), Chancery Division.

34 La L’Oréal ha adito la High Court of Justice per far constatare, in primo luogo, che la eBay e le persone fisiche convenute sono responsabili delle vendite effettuate da quest’ultime, attraverso il sito www.ebay.co.uk, di 17 articoli, vendite che a dire della L’Oréal avrebbero leso i diritti conferitile, segnatamente, dal marchio figurativo comunitario contenente le parole «Amor Amor» e dal marchio denominativo nazionale «Lancôme».

35 È pacifico tra la L’Oréal e la eBay che, dei suddetti 17 articoli, due erano contraffazioni di prodotti di marca della L’Oréal.

36 Per quanto riguarda gli altri quindici articoli, pur non affermando che essi siano contraffazioni, la L’Oréal ritiene nondimeno che la loro vendita leda i suoi diritti di marchio, in quanto essi sono prodotti non destinati alla vendita, quali articoli da utilizzare per la dimostrazione e campioni gratuiti, oppure prodotti di marca della L’Oréal destinati alla vendita in America del Nord e non nello Spazio economico europeo (in prosieguo: il «SEE»). Inoltre alcuni di detti articoli sono stati venduti senza imballaggio.

37 Pur astenendosi dal pronunciarsi, in questa fase, sulla questione della misura in cui siano stati lesi i diritti di marchio della L’Oréal, la High Court of Justice ha confermato che le persone fisiche convenute hanno effettuato, sul sito www.ebay.co.uk, le vendite descritte dalla L’Oréal.

38 In secondo luogo, la L’Oréal sostiene che la eBay è responsabile dell’uso di marchi della L’Oréal per effetto della possibilità di visualizzare questi ultimi sul suo sito, nonché possibilità di visualizzare sul sito di gestori di motori di ricerca, quali Google, di link sponsorizzati attivati mediante l’impiego di parole chiave corrispondenti a detti marchi.

39 A quest’ultimo proposito, è pacifico che la eBay, selezionando parole chiave corrispondenti a marchi della L’Oréal nell’ambito del servizio di posizionamento «AdWords» di Google, ha fatto comparire, ogni volta che sussisteva una concordanza tra tale parola e quella contenuta nella richiesta rivolta da un utente Internet al motore di ricerca di Google, un link pubblicitario verso il sito www.ebay.co.uk. Tale link compariva nella rubrica «Link sponsorizzati», che è mostrata nella parte destra oppure nella parte superiore della schermata mostrata da Google.

40 Così, il 27 marzo 2007, allorché un utente di Internet inseriva quali termini di ricerca le parole «shu uemura», che corrispondono sostanzialmente al marchio denominativo nazionale «Shu Uemura» della L’Oréal, nel motore di ricerca Google, nella summenzionata rubrica «link sponsorizzati», compariva il seguente annuncio della eBay:

«Shu Uemura

Buoni affari su Shu uemura

Acquistate su eBay e risparmiate!

www.ebay.co.uk»

(Shu Uemura

Great deals on Shu uemura

Shop on eBay and Save!

www.ebay.co.uk)

41 Cliccando su tale link pubblicitario si giungeva ad una pagina del sito www.ebay.co.uk, che indicava «96 oggetti trovati per shu uemura». Relativamente alla maggior parte di tali oggetti era espressamente precisato che essi provenivano da Hong Kong.

42 Del pari, tra altri esempi, all’utente di Internet che il 27 marzo 2007 inseriva quali termini di ricerca le parole «matrix hair», corrispondenti in parte al marchio denominativo nazionale «Matrix» della L’Oréal, nel motore di ricerca Google, nella summenzionata rubrica «link sponsorizzati», compariva il seguente annuncio della eBay:

«Matrix hair

Qui fantastici prezzi bassi

Alimentate la vostra passione su eBay.co.uk!

www.ebay.co.uk»

(Matrix hair

Fantastic low prices here

Feed your passion on eBay.co.uk!

www.ebay.co.uk)

43 In terzo luogo, la L’Oréal ha sostenuto che, pur se la eBay non era responsabile delle violazioni dei diritti connessi ai suoi marchi, doveva essere pronunciata nei suoi confronti un’ingiunzione ai sensi dell’art. 11 della direttiva 2004/48.

44 La L’Oréal ha raggiunto una composizione amichevole con alcune delle persone fisiche convenute, valere a dire il sig. Potts, la sig.ra Ratchford, la sig.ra Ormsby, il sig. Clarke e la sig.ra Clarke e ha ottenuto una sentenza in contumacia nei confronti delle altre, ossia il sig. Fox e la sig.ra Bi. Successivamente, nel corso del mese di marzo 2009, si è svolta dinanzi alla High Court of Justice un’udienza dedicata al ricorso diretto contro la eBay.

45 Con sentenza 22 maggio 2009, la High Court of Justice ha svolto alcune considerazioni di fatto e ha concluso che la causa non era allo stato di essere giudicata, in quanto per numerose questioni di diritto era anzitutto necessaria un’interpretazione da parte della Corte di giustizia dell’Unione europea.

46 In tale sentenza, la High Court of Justice constata che la eBay ha installato filtri per individuare gli annunci che potrebbero contravvenire alle condizioni d’uso del sito. Detto giudice constata del pari che la eBay ha elaborato, mediante un programma denominato «VeRO» («Verified Rights Owner»), un sistema di notifica e di eliminazione destinato ad aiutare i titolari di diritti di proprietà intellettuale a far eliminare dal mercato online gli annunci che costituiscono violazione. La L’Oréal si è rifiutata di partecipare a tale programma ritenendolo insoddisfacente.

47 La High Court of Justice ha del pari rilevato che la eBay applica sanzioni quali la sospensione temporanea o addirittura permanente di venditori che hanno violato le condizioni d’uso del mercato online.

48 Nonostante le constatazioni supra ricordate, la High Court of Justice ha considerato che era possibile, per la eBay, adottare più misure per ridurre il numero di vendite lesive dei diritti di proprietà intellettuale effettuate attraverso il suo mercato online. Secondo tale giudice, la eBay potrebbe utilizzare ulteriori filtri, potrebbe altresì inserire nelle sue regole il divieto di vendita, senza il consenso dei titolari dei marchi, di prodotti contrassegnati da un marchio non provenienti dal SEE. La eBay potrebbe, inoltre, imporre restrizioni supplementari sulle quantità di prodotti che possono essere oggetto di annunci simultanei e applicare sanzioni in modo più rigoroso.

49 La High Court of Justice precisa tuttavia che la circostanza che sarebbe possibile per la eBay prendere ulteriori provvedimenti non significa necessariamente che essa sia tenuta per legge a farlo.

50 Con decisione 16 luglio 2009, che ha fatto seguito alla menzionata sentenza 22 maggio 2009, la High Court of Justice ha deciso di sospendere il procedimento e di sottoporre alla Corte le seguenti questioni pregiudiziali:

«1) Nel caso in cui tester di profumi e cosmetici (vale a dire campioni utilizzati per presentare i prodotti ai consumatori negli esercizi al dettaglio) e flaconi per ricariche (vale a dire contenitori dai quali possono essere prelevati piccoli quantitativi di prodotto da distribuire alla clientela come campioni gratuiti), che non sono destinati alla vendita al pubblico (e sono spesso contrassegnati con la dicitura “vietata la vendita” o “non vendibile separatamente”), vengano forniti gratuitamente ai distributori autorizzati dal titolare del marchio, se tali prodotti siano “immessi in commercio” ai sensi dell’art. 7, n. 1, della [direttiva 89/104] e dell’art. 13, n. 1, del regolamento [n. 40/94].

2) Nel caso in cui i prodotti siano [privati dell’imballaggio esterno] senza il consenso del titolare del marchio, se ciò costituisca un “motivo legittimo” perché il titolare del marchio si opponga all’ulteriore commercializzazione dei prodotti privati dell’imballaggio in forza dell’art. 7, n. 2, della [direttiva 89/104] e dell’art. 13, n. 2, del regolamento [n. 40/94].

3) Ai fini della soluzione della seconda questione sopra indicata, se faccia differenza:

a) il fatto che, una volta [privati dell’imballaggio], i prodotti non rechino le informazioni prescritte dall’art. 6, n. 1, della direttiva [76/768], e in particolare non rechino l’elenco degli ingredienti né una “data di scadenza”;

b) il fatto che, in assenza di tali informazioni, l’offerta in vendita o la vendita dei prodotti privati dell’imballaggio costituisca un reato ai sensi della legge dello Stato membro della Comunità in cui essi vengono offerti in vendita o venduti da terzi.

4) Ai fini della soluzione della seconda questione sopra indicata, se faccia differenza il fatto che l’ulteriore commercializzazione rechi pregiudizio, o sia atta a recare pregiudizio, all’immagine dei prodotti e quindi alla reputazione del marchio. In caso di risposta affermativa, se tale effetto debba essere presunto, oppure debba essere dimostrato dal titolare del marchio.

5) Nel caso in cui [il gestore di] un mercato online acquisti l’uso di un segno identico a un marchio registrato quale parola chiave dal gestore di un motore di ricerca, di modo che il segno venga presentato agli utenti dal motore di ricerca in un link sponsorizzato che conduce al sito Internet del gestore del mercato online, se la visualizzazione del segno nel collegamento sponsorizzato costituisca un “uso” del segno ai sensi dell’art. 5, n. 1, lett. a), della direttiva [89/104] e dell’art. 9, n. 1, lett. a), del regolamento [n. 40/94].

6) Nel caso in cui la selezione del link sponsorizzato menzionato nella quinta questione rinvii l’utente direttamente ad annunci pubblicitari o ad offerte riferentisi a prodotti identici a quelli per i quali il marchio è stato registrato con il segno, immessi sul sito da terzi, alcuni dei quali commettono una violazione del marchio e altri no, a seconda della diversa situazione dei rispettivi prodotti, se ciò costituisca uso del segno da parte del gestore del mercato online “per” prodotti costituenti violazione ai sensi dell’art. 5, n. 1, lett. a), della direttiva [89/104] e dell’art. 9, n. 1, lett. a), del regolamento [n. 40/94].

7) Nel caso in cui i prodotti pubblicizzati e offerti in vendita sul sito Internet menzionato nella sesta questione includano prodotti che non sono stati immessi in commercio nel SEE dal titolare del marchio o con il suo consenso, se, affinché tale uso rientri nell’ambito di applicazione dell’art. 5, n. 1, lett. a), della direttiva [89/104] e dell’art. 9, n. 1, lett. a), del regolamento [n. 40/94] – ed esuli da quello dell’art. 7, n. 1, della direttiva [89/104] e dell’art. 13, n. 1, del regolamento [n. 40/94] – sia sufficiente che l’annuncio pubblicitario o l’offerta in vendita siano rivolti ai consumatori del territorio per il quale il marchio è stato registrato, oppure il titolare del marchio debba dimostrare che l’annuncio pubblicitario o l’offerta in vendita comporta necessariamente l’immissione in commercio dei prodotti in questione nel territorio per il quale il marchio è stato registrato.

8) Ai fini della soluzione delle questioni dalla quinta alla settima, se faccia differenza il fatto che l’uso contestato dal titolare del marchio consiste nella visualizzazione del segno sul sito Internet del gestore del mercato online stesso, anziché in un link sponsorizzato.

9) Nel caso in cui sia sufficiente che l’annuncio pubblicitario o l’offerta in vendita siano rivolti ai consumatori del territorio per il quale il marchio è stato registrato affinché tale uso rientri nell’ambito di applicazione dell’art. 5, n. 1, lett. a), della direttiva [89/104] e dell’art. 9, n. 1, lett. a), del regolamento [n. 40/94] – ed esuli da quello dell’art. 7 (...) della direttiva [89/104] e dell’art. 13 (...) del regolamento [n. 40/94] –

a) se detto uso consista nella o includa la “memorizzazione di informazioni fornite da un destinatario del servizio” ai sensi dell’art. 14, n. 1, della [direttiva 2000/31];

b) nel caso in cui l’uso non consista esclusivamente in attività rientranti nell’ambito di applicazione dell’art. 14, n. 1, della [direttiva 2000/31], ma includa tali attività, se il gestore del mercato online sia esente da responsabilità nei limiti in cui l’uso consiste nelle suddette attività e, in tal caso, se possano essere concessi il risarcimento dei danni o altri risarcimenti economici in relazione a tale uso laddove il gestore non sia esente da responsabilità;

c) nel caso in cui il gestore del mercato online sia a conoscenza del fatto che sul suo sito Internet sono stati pubblicizzati, offerti in vendita o venduti prodotti in violazione di marchi registrati e che presumibilmente le violazioni di tali marchi registrati continuino attraverso la pubblicità, l’offerta in vendita e la vendita degli stessi prodotti o di prodotti simili da parte degli stessi o di altri utenti del sito Internet, se ciò significhi che egli ne è “al corrente” o “effettivamente al corrente” ai sensi dell’art. 14, n. 1, della [direttiva 2000/31].

10) Nel caso in cui i servizi di un intermediario quale un gestore di un sito Internet siano stati utilizzati da terzi per violare un marchio registrato, se l’art. 11 della [direttiva 2004/48], imponga agli Stati membri di garantire che il titolare del marchio possa ottenere un’ingiunzione nei confronti dell’intermediario al fine di impedire ulteriori violazioni di detto marchio, e non solo la prosecuzione di detto specifico atto di contraffazione, e in tal caso quale sia la portata dell’ingiunzione che può essere richiesta».

III – Sulle questioni pregiudiziali

A – Sulle questioni prima, seconda, terza, quarta e settima relative alla vendita di prodotti contrassegnati da un marchio in un mercato online

1. Considerazioni preliminari

51 Com’è stato ricordato ai punti 36 e 37 della presente sentenza, è pacifico che le persone fisiche convenute hanno offerto in vendita e venduto a consumatori nell’Unione, mediante il sito www.ebay.co.uk, prodotti di marca della L’Oréal destinati da quest’ultima alla vendita in Stati terzi, nonché prodotti non destinati alla vendita, quali articoli utilizzati per la dimostrazione e campioni gratuiti. È inoltre incontestato che taluni di tali prodotti sono stati venduti senza imballaggio.

52 La messa in vendita sul sito www.ebay.co.uk di prodotti introdotti in Stati terzi risulta del pari dalle constatazioni riassunte nei punti 40 e 41 della presente sentenza, secondo le quali la eBay ha fatto pubblicità per le offerte in vendita, su tale sito, di prodotti contrassegnati dal marchio Shu Uemura che si trovavano a Hong Kong (Cina).

53 La eBay contesta il fatto che tali offerte in vendita nel suo mercato online possano ledere diritti conferiti dai marchi. Con le sue questioni pregiudiziali prima, seconda, terza, quarta e settima il giudice del rinvio chiede se detta tesi della eBay sia corretta.

54 Prima di esaminare tali questioni è importante ricordare, come ha fatto l’avvocato generale al paragrafo 79 delle sue conclusioni, che, in linea di principio, i diritti esclusivi conferiti dai marchi possono essere fatti valere solo nei confronti degli operatori economici. Infatti, affinché il titolare di un marchio possa vietare l’uso da parte di un terzo di un segno identico o simile a tale marchio, è necessario che tale uso abbia luogo nel commercio (v., in particolare, sentenze 16 novembre 2004, causa C‑245/02 Anheuser-Busch, Racc. pag. I‑10989, punto 62, e 18 giugno 2009, causa C‑487/07, L’Oréal e a., Racc. pag. I‑5185, punto 57).

55 Ne consegue che, quando una persona fisica vende un prodotto contrassegnato da un marchio mediante un mercato online senza che tale operazione rientri nel contesto di un’attività commerciale, il titolare del marchio non può invocare il proprio diritto esclusivo di cui all’art. 5 della direttiva 89/104 e all’art. 9 del regolamento n. 40/94. Laddove, per contro, le vendite effettuate in tale mercato superino, per il loro volume, la loro frequenza o altre caratteristiche, la sfera di un’attività privata, il venditore si colloca nell’ambito del «commercio» ai sensi di detti articoli.

56 Nella sentenza 22 maggio 2009 il giudice del rinvio ha constatato che il sig. Potts, una delle persone fisiche convenute, aveva venduto attraverso il sito www.ebay.co.uk, un numero considerevole di articoli recanti marchi della L’Or&eac