Corte di Giustizia UE: quali obblighi per gli editori in tema di contenuti redazionali sponsorizzati?
La Corte di Giustizia, in data 17 ottobre, sentito il parere dell’Avvocato Generale nell’udienza dell’11 luglio 2013, si è pronunciata in merito all’obbligo di indicare – con dicitura “annuncio” – la sponsorizzazione dei contenuti redazionali, ciò al fine di tutelare i consumatori dinanzi a pratiche commerciali scorrette. Contestualmente, alla luce del dettato della normativa comunitaria, ha inoltre individuato i soggetti sui quali grava tale onere.
Constatata l’assenza di una normativa comunitaria sulla stampa, la Corte di Giustizia afferma che “gli Stati Membri mantengono la loro competenza quanto all’imposizione agli editori di obblighi intesi alla segnalazione ai lettori dell’esistenza di sponsorizzazioni di contenuti redazionali, pur nel rispetto delle disposizioni del Trattato, segnatamente di quelle relative alla libera prestazione di servizi e alla libertà di stabilimento”.
La pronuncia trae origine da una controversia in merito alla pubblicazione, da parte di un giornale tedesco, di due articoli redazionali, sponsorizzati da noti marchi, entrambi corredati dalla sola dicitura “sponsored by” seguita dal nome del finanziatore graficamente evidenziato.
La questione pregiudiziale, sollevata dalla Corte tedesca, riguarda l’interpretazione dell’articolo 7 della Direttiva 2005/29/CE sulle pratiche commerciali sleali nei confronti dei consumatori (“Direttiva”) al fine di poter stabilire se il caso in questione possa essere oggetto della sua applicazione ovvero disciplinato da una norma sulla stampa, nello specifico la legge regionale del Baden-Wurttemberg, volta a proteggere i consumatori da azioni ingannevoli e a tutelare la libertà e l’indipendenza delle pubblicazioni.
Diversamente dalla Direttiva – che impone agli inserzionisti l’obbligo di indicare chiaramente di aver finanziato un contenuto redazionale teso alla promozione di un servizio o prodotto – la legge regionale impone uno specifico obbligo in capo agli editori. Qualora questi ultimi abbiano chiesto o ottenuto un corrispettivo per una pubblicazione (o accettato la promessa per lo stesso), secondo tale legge, hanno il dovere di contrassegnare la medesima con il termine “annuncio”, salvo che la sua collocazione e struttura non ne evidenzi di per sé la natura pubblicitaria.
Secondo la Corte, la direttiva 2005/29/CE si applica laddove le pratiche commerciali sleali, provenienti da professionista, abbiano un nesso con la promozione, vendita o fornitura di prodotti dello stesso ai consumatori. Inoltre, alla luce della nozione di professionista indicata dalla Direttiva, la stessa può trovare applicazione qualora le pratiche di un operatore siano svolte da un’altra impresa, che agisce in nome e/o per conto di tale operatore.
Pertanto, al fine dell’applicazione della normativa comunitaria al caso di specie, una volta che sia stata accertata la scorrettezza dell’attività dell’editore ai sensi della Direttiva, tali pratiche dovrebbero avere ad oggetto la promozione del prodotto editoriale. Secondo la Corte ciò non è rinvenibile nel caso oggetto della pronuncia, in quanto sulla rivista vengono pubblicizzati prodotti di altre società, nello specifico un prodotto legato alla Mercedes Benz e a Germanwings.
Allo stesso modo, la Direttiva non risulta applicabile nemmeno in forza della nozione di professionista, in quanto l’editore non opera in nome e/o per conto delle suddette società che hanno finanziato la pubblicità.
In tale contesto, la Corte di Giustizia specifica che la Direttiva non è intesa a tutelare un concorrente dell’editore dinanzi alle pubblicazioni che promuovono prodotti e servizi degli inserzionisti. Inoltre aggiunge che, seppur non è possibile escludere che l’editore possa realizzare pratiche sleali nei confronti dei consumatori – ad esempio offrendo giochi, enigmistica o concorsi a premio tali da indurre il consumatore all’acquisto del prodotto editoriale – la Direttiva, tuttavia, non impone agli editori alcun obbligo di impedire pratiche commerciali scorrette da parte degli inserzionisti.
Alla luce dell’inapplicabilità della Direttiva alla fattispecie concreta, la Corte si sofferma sulla formulazione della legge regionale sulla stampa – nonché sulla legge federale che traspone la Direttiva in questione – affermando che la prima non può produrre l’effetto di estendere l’applicazione della direttiva a pratiche o a persone non ricomprese nella sua sfera di applicazione.
La Corte di Giustizia ha affermato dunque che “in circostanze come quelle del procedimento principale, la direttiva 2005/29/CE […] non può essere invocata nei confronti degli editori, di modo che, in tali circostanze, la direttiva stessa va interpretata nel senso che non osta all’applicazione di una disposizione nazionale a termini della quale tali editori sono tenuti ad apporre una dicitura specifica, nella specie il termine <<annuncio>>, sulle pubblicazioni nei loro periodici per le quali essi percepiscono un corrispettivo, a meno che la collocazione o la struttura della pubblicazione non consenta, in linea generale, di riconoscerne il carattere pubblicitario”.
(Corte di Giustizia UE – Sentenza Terza Sezione, 17 ottobre, causa C-391/12: Direttiva 2005/29/CE – Pratiche commerciali sleali – Ambito di applicazione ratione personae – Omissioni ingannevoli negli advertorial ovvero pubblicità redazionali – Normativa di uno Stato membro che vieta ogni pubblicazione a titolo oneroso priva della dicitura “annuncio” (“Anzeige”) – Armonizzazione completa – Misure più restrittive – Libertà di stampa).
La Corte di Giustizia, in data 17 ottobre, sentito il parere dell’Avvocato Generale nell’udienza dell’11 luglio 2013, si è pronunciata in merito all’obbligo di indicare – con dicitura “annuncio” – la sponsorizzazione dei contenuti redazionali, ciò al fine di tutelare i consumatori dinanzi a pratiche commerciali scorrette. Contestualmente, alla luce del dettato della normativa comunitaria, ha inoltre individuato i soggetti sui quali grava tale onere.
Constatata l’assenza di una normativa comunitaria sulla stampa, la Corte di Giustizia afferma che “gli Stati Membri mantengono la loro competenza quanto all’imposizione agli editori di obblighi intesi alla segnalazione ai lettori dell’esistenza di sponsorizzazioni di contenuti redazionali, pur nel rispetto delle disposizioni del Trattato, segnatamente di quelle relative alla libera prestazione di servizi e alla libertà di stabilimento”.
La pronuncia trae origine da una controversia in merito alla pubblicazione, da parte di un giornale tedesco, di due articoli redazionali, sponsorizzati da noti marchi, entrambi corredati dalla sola dicitura “sponsored by” seguita dal nome del finanziatore graficamente evidenziato.
La questione pregiudiziale, sollevata dalla Corte tedesca, riguarda l’interpretazione dell’articolo 7 della Direttiva 2005/29/CE sulle pratiche commerciali sleali nei confronti dei consumatori (“Direttiva”) al fine di poter stabilire se il caso in questione possa essere oggetto della sua applicazione ovvero disciplinato da una norma sulla stampa, nello specifico la legge regionale del Baden-Wurttemberg, volta a proteggere i consumatori da azioni ingannevoli e a tutelare la libertà e l’indipendenza delle pubblicazioni.
Diversamente dalla Direttiva – che impone agli inserzionisti l’obbligo di indicare chiaramente di aver finanziato un contenuto redazionale teso alla promozione di un servizio o prodotto – la legge regionale impone uno specifico obbligo in capo agli editori. Qualora questi ultimi abbiano chiesto o ottenuto un corrispettivo per una pubblicazione (o accettato la promessa per lo stesso), secondo tale legge, hanno il dovere di contrassegnare la medesima con il termine “annuncio”, salvo che la sua collocazione e struttura non ne evidenzi di per sé la natura pubblicitaria.
Secondo la Corte, la direttiva 2005/29/CE si applica laddove le pratiche commerciali sleali, provenienti da professionista, abbiano un nesso con la promozione, vendita o fornitura di prodotti dello stesso ai consumatori. Inoltre, alla luce della nozione di professionista indicata dalla Direttiva, la stessa può trovare applicazione qualora le pratiche di un operatore siano svolte da un’altra impresa, che agisce in nome e/o per conto di tale operatore.
Pertanto, al fine dell’applicazione della normativa comunitaria al caso di specie, una volta che sia stata accertata la scorrettezza dell’attività dell’editore ai sensi della Direttiva, tali pratiche dovrebbero avere ad oggetto la promozione del prodotto editoriale. Secondo la Corte ciò non è rinvenibile nel caso oggetto della pronuncia, in quanto sulla rivista vengono pubblicizzati prodotti di altre società, nello specifico un prodotto legato alla Mercedes Benz e a Germanwings.
Allo stesso modo, la Direttiva non risulta applicabile nemmeno in forza della nozione di professionista, in quanto l’editore non opera in nome e/o per conto delle suddette società che hanno finanziato la pubblicità.
In tale contesto, la Corte di Giustizia specifica che la Direttiva non è intesa a tutelare un concorrente dell’editore dinanzi alle pubblicazioni che promuovono prodotti e servizi degli inserzionisti. Inoltre aggiunge che, seppur non è possibile escludere che l’editore possa realizzare pratiche sleali nei confronti dei consumatori – ad esempio offrendo giochi, enigmistica o concorsi a premio tali da indurre il consumatore all’acquisto del prodotto editoriale – la Direttiva, tuttavia, non impone agli editori alcun obbligo di impedire pratiche commerciali scorrette da parte degli inserzionisti.
Alla luce dell’inapplicabilità della Direttiva alla fattispecie concreta, la Corte si sofferma sulla formulazione della legge regionale sulla stampa – nonché sulla legge federale che traspone la Direttiva in questione – affermando che la prima non può produrre l’effetto di estendere l’applicazione della direttiva a pratiche o a persone non ricomprese nella sua sfera di applicazione.
La Corte di Giustizia ha affermato dunque che “in circostanze come quelle del procedimento principale, la direttiva 2005/29/CE […] non può essere invocata nei confronti degli editori, di modo che, in tali circostanze, la direttiva stessa va interpretata nel senso che non osta all’applicazione di una disposizione nazionale a termini della quale tali editori sono tenuti ad apporre una dicitura specifica, nella specie il termine <<annuncio>>, sulle pubblicazioni nei loro periodici per le quali essi percepiscono un corrispettivo, a meno che la collocazione o la struttura della pubblicazione non consenta, in linea generale, di riconoscerne il carattere pubblicitario”.
(Corte di Giustizia UE – Sentenza Terza Sezione, 17 ottobre, causa C-391/12: Direttiva 2005/29/CE – Pratiche commerciali sleali – Ambito di applicazione ratione personae – Omissioni ingannevoli negli advertorial ovvero pubblicità redazionali – Normativa di uno Stato membro che vieta ogni pubblicazione a titolo oneroso priva della dicitura “annuncio” (“Anzeige”) – Armonizzazione completa – Misure più restrittive – Libertà di stampa).