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Consumatori: riparazione e risoluzione, rimedi in progressione ma non alternativi fra loro

Diritto dei consumatori
Diritto dei consumatori

Trascorsi pochi mesi dalla sentenza 7 giugno 2020, n. 10453, con la quale i Supremi giudici legittimavano actio redhibitoria pur in presenza di un difetto di lieve entità, la Cassazione specifica ancora una volta, ampliandone l’ambito di applicazione, le tutele consumeristiche previste dall'art. 130 D. Lgs. 206/2005 (Codice del consumo).

Con la pronuncia n. 22146 del 14 ottobre 2020 la Cassazione riconosce infatti la possibilità al consumatore di agire per la risoluzione del contratto di acquisto anche qualora, trascorso un certo lasso di tempo, il venditore si sia attivato su richiesta per riparare il prodotto difettoso.

Confermata dunque la scala gerarchica sulla quale si posano i rimedi previsti dall'art. 30 Codice del consumo a tutela del consumatore ma lasciandolo libero di scegliere il rimedio per lui più conveniente, una volta rispettato l’ordine dei rimedi in via progressiva. Se infatti in caso di difetto di conformità, il consumatore ha diritto al ripristino, senza spese, della conformità del bene mediante riparazione o sostituzione, dovranno comunque essere rispettate le indicazioni contenute nei commi successivi della norma, in violazione delle quali non sarà preclusa la possibilità di chiedere una riduzione adeguata del prezzo o alla risoluzione del contratto.

La vicenda trae origine dall'acquisto di un’autovettura, che sin dai primi mesi di utilizzo creava problemi al proprietario rilasciando fumo nero dal cofano e perdendo potenza fino all'arresto del motore. L’attore doveva di conseguenza chiamare il carroattrezzi per recarsi in officina ed usufruire di un mezzo di cortesia per tutto il tempo delle necessarie riparazioni. Ripresentandosi con una certa frequenza l’inconveniente descritto, si palesava pertanto all'acquirente l’inutilità di tali riparazioni, circa cinque nell'arco di un solo anno, finché, consegnata nuovamente l’auto alla concessionaria, che la sottoponeva ad altri sette interventi di riparazione, egli decideva di agire in giudizio citando la società venditrice.

Istruita la causa, il Tribunale riteneva quest’ultima responsabile per il difetto di conformità, nonché per la mancata riparazione del bene viziato entro tempi congrui e per il diniego opposto alla richiesta di sostituzione dell’autovettura, dichiarando risolto il contratto di compravendita e condannando il venditore alla restituzione del prezzo. Infine, in accoglimento delle domande di manleva formulate dalla stessa e dalla concessionaria dichiarava la costruttrice del veicolo tenuta a manlevare gli altri convenuti.

Seguiva impugnazione della decisione sul presupposto di una duplice violazione dell’attuale articolo 130 Codice del consumo. Sosteneva infatti la società venditrice che: (i) il consumatore, avendo accettato il rimedio della riparazione dell’auto ed essendo i vari rimedi considerati dal venditore tra loro alternativi, aveva sostanzialmente rinunciato ad avvalersi degli ulteriori rimedi previsti dalla norma, e che (ii) il Tribunale, nel condannarla alla restituzione del prezzo, non aveva tenuto conto dell’uso che del bene era stato fatto dall'automobilista.

Osservava la Corte d’Appello tuttavia che alcun addebito poteva essere imputabile all'automobilista, il quale, ritenendo di non poter più confidare nelle soluzioni prospettate dal venditore e avendo già sborsato una certa somma per le numerose riparazioni non risolutive, aveva fondatamente agito in giudizio per la presenza di un difetto di conformità non lieve.

Nel rigettare l’appello la Corte giudicava altresì infondate le affermazioni relative all'alternatività dei rimedi, che sono invece formulati dalla norma in modo progressivo, tali da garantire, in un primo momento, la conservazione del contratto mediante i cosiddetti rimedi primari e, quando ciò sia impossibile, da permettere al consumatore di ottenere la riduzione del prezzo o la risoluzione, i rimedi secondari.

Come confermato dalla Cassazione infatti “che la scelta di un rimedio non comporti la preclusione per il consumatore ad avvalersi successivamente degli altri si ricava agevolmente dalla lettura della norma in esame, la quale stabilisce al comma 7 che “il consumatore può richiedere, a sua scelta, una congrua riduzione del prezzo o la risoluzione del contratto ove ricorra una delle seguenti situazioni: a) la riparazione e la sostituzione sono impossibili o eccessivamente onerose; b) il venditore non ha provveduto alla riparazione o alla sostituzione del bene entro il termine congruo di cui al comma 6; c) la sostituzione o la riparazione precedentemente effettuata ha arrecato notevoli inconvenienti al consumatore", denotando in tal modo la progressività dei rimedi predisposti dal legislatore a tutela dell'acquirente”.

Inoltre, il Codice del consumo prevede che le riparazioni o le sostituzioni “debbano essere effettuate entro un congruo termine dalla richiesta e non debbano arrecare notevoli inconvenienti al consumatore, tenendo conto della natura del bene e dello scopo per il quale è avvenuto l'acquisto. E come affermato dal Consiglio di Stato, sentenza n. 5250/2015, nell'interpretazione dell’articolo 3 paragrafo 3 della Direttiva 1999/44 “la riparazione e la sostituzione di un bene non conforme devono essere effettuate non solo senza spese, ma anche entro un lasso di tempo ragionevole e senza notevoli inconvenienti per il consumatore” “Questo triplice requisito – ne conclude la Suprema corre - è l’espressione della manifesta volontà del legislatore dell'Unione di garantire al consumatore una tutela effettiva” dovendosi a ciò aggiungersi che nel valutare la congruità del termine la stessa norma impone di considerare la “natura del bene e allo scopo” per il quale esso è stato acquistato.

Sull'applicazione dei criteri al caso di specie è difatti evidente dalla lettura della sentenza come nei due anni trascorsi dal momento della vendita la vettura era stata sottoposta a innumerevoli interventi di riparazione, moltiplicandosi i disagi sopportati dal consumatore in particolare tenuto conto della natura e dello scopo per cui era stata acquistata l’auto: l’uso regolare del veicolo. La ricostruzione fattuale in discorso non permette di conseguenza di ritenere che sia stato fatto un uso “proprio” del bene che legittimi il versamento di un’indennità compensativa per l’uso a favore del venditore.

Questo infatti è il secondo punto fondamentale affrontato dai giudici: la conformità del bene acquistato dal consumatore è parametrata all'idoneità “all’uso al quale servono abitualmente beni dello stesso tipo” e alla sussistenza “delle qualità e prestazioni abituali di un bene dello stesso tipo, che il consumatore può ragionevolmente aspettarsi. Come sopra esposto difatti detti canoni sia ad avviso della Corte d’Appello che della Cassazione non potevano dirsi rispettati.