Agenti: ancora sulla risoluzione del mandato per mancato raggiungimento del budget

Il mancato raggiungimento di una soglia da solo non delinea uno scenario segnato da grave inadempimento del lavoratore
mancato raggiungimento del budget
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Agenti: ancora sulla risoluzione del mandato per mancato raggiungimento del budget


Una recente pronuncia del Tribunale di Roma (Sezione Lavoro, sentenza n.5995 del 23.6.2022, Giudice Presidente Dott. Pascarella) offre lo spunto per una riflessione ulteriore sul tema della legittimità del recesso dal contratto di agenzia, da parte della preponente, in presenza di clausole risolutive espresse che contemplino l’ipotesi del mancato raggiungimento del budget.

Cosa avviene nel caso in cui l’agente si assesta al di sotto del target imposto dall’azienda? Ancor più dirimente: siamo in presenza di una giusta causa se le parti avevano sottoscritto una clausola che indicava la risoluzione come naturale conseguenza del mancato raggiungimento dell’obiettivo vendite? La decisione del Giudice di Roma si colloca nel solco di un indirizzo oggi maggioritario, di senso favorevole all’agente di commercio.

Tempo fa era diffuso in Giurisprudenza l’assunto secondo cui l’esistenza di una clausola risolutiva espressa nel contratto implicava, in sostanza, l’irrilevanza di accertamenti in ordine a profili di gravità del “fatto risolutorio” (tra gli altri interventi in questo senso Cassazione n. 3102 del 17.3.2000), orientamento ampiamente superato negli ultimi anni, in cui è prevalsa l’idea di salvaguardare un contemperamento tra la libertà negoziale e il quadro di norme inderogabili previste a protezione dell’attività professionale dell’agente di commercio (lavoratore e parte debole di un rapporto per sua natura “sbilanciato”).

La sentenza in commento ricorda anzitutto il rischio insito in un’impostazione che disancori la valutazione dell’avveramento della condizione risolutiva dagli elementi tipici che caratterizzano l’inadempimento imputabile. Sottolinea infatti il Giudice come la nozione di giusta causa “assume, non diversamente che nel rapporto di lavoro subordinato, un’efficacia non derogabile dalle parti del contratto individuale, perché la contraria conclusione attribuirebbe alle parti stesse la facoltà di incidere in senso limitativo su quel quadro di tutele normative minime delineato dal legislatore”.

Bisogna dunque tenere a mente che in presenza dell’assegnazione di un target (o, come nel caso, un “minimo di vendite”) il dato numerico in sé può essere fuorviante, e il mancato raggiungimento di una soglia, pur pattuita, da solo non delinea uno scenario segnato da grave inadempimento del lavoratore.

Nel caso in esame l’agente receduto aveva dedotto e dimostrato in giudizio che le proprie performance di vendita – ancorché virtualmente “sotto budget” – fossero state oggetto di riconoscimento da parte dell’azienda, che aveva indicato il ricorrente come una risorsa tra le più produttive dell’intera rete vendita, dovendosi così escludere quell’imprescindibile connotato di gravità tale da non consentire “la prosecuzione anche provvisoria del rapporto.

Accertata e dichiarata l’illegittimità del recesso, all’agente è stato riconosciuto il diritto alle indennità di fine rapporto e di quella sostitutiva del preavviso.