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The Crown. Notizie dell’incoronazione

Incoronazione
Incoronazione

The Crown. Notizie dell’incoronazione

 

Londra, 20 aprile 1702. “Si travaglia giorno e notte alli preparativi per la fonzione della coronazione della Regina, che vuol farsi con tutto il splendore imaginabile, e che resta fissa per li 4 di maggio”. Il conte Maffei, inviato del duca di Savoia alla corte di Londra, non poteva non accennare all’evento cerimoniale dell’anno, anche se da Torino ci si aspettava soprattutto da lui un aggiornamento dettagliato e costante sulla posizione dell’Inghilterra nella difficile situazione internazionale. Era quella stessa situazione a imporre che Anna, figlia anglicana del cattolico Giacomo II Stuart, venisse incoronata il prima e il più solennemente possibile. Era rimasta la sola erede al trono fino all’8 marzo, quando era morto il cognato Guglielmo d’Orange. Perciò doveva essere riconosciuta pubblicamente come regina per diritto divino e per acclamazione del popolo, prima che l’Inghilterra entrasse in guerra contro la Francia e la Spagna, in quella che conosciamo come “Guerra di successione spagnola”. La notizia della cerimonia doveva fare il giro dell’Europa.

Così l’8 maggio, a cose fatte, il diplomatico sabaudo scriveva in una lettera al suo sovrano, il duca Vittorio Amedeo II (traduco dal francese): "Non dirò nulla di tante altre particolarità che accompagnavano questa funzione, ci sarebbe troppo da raccontare. I riti ecclesiastici per l'incoronazione non differiscono quasi in nulla da quelli della Chiesa cattolica romana. L'arcivescovo di Canterbury fece tutti quelli della consacrazione, cioè [impartì] l’olio per l'unzione della fronte, delle mani, del cuore e del petto, e l'arcivescovo di York fece un discorso alla regina in termini per nulla retorici né servili intorno alla nazione; dovrò passare sotto silenzio anche la grande quantità di pietre preziose, di cui erano coperte le dame inglesi, che sono per la maggior parte belle e ben fatte di natura, di modo tale che questo brillio contribuiva non poco a esaltare la loro bellezza.  (…) Quanto all'affluenza della gente, non solo le strade e i palchi, nei quali i posti migliori sono stati pagati fino a 2 ghinee a testa, ma anche le case e i tetti erano pieni di gente, senza che nessuno abbia notato un incidente degno di nota in mezzo a una così grande folla, che non contava meno di 200.000 persone, come succede invece spesso in queste solennità."

Contemporaneamente, Maffei mandava a Torino al primo ministro, il marchese di San Tommaso, una relazione “della cerimonia d’incoronazione della regina, che è la più maestosa che si possa vedere”, affinché la potesse leggere al sovrano. Il testo, in francese, rispondeva probabilmente a una versione ufficiale pensata perché fosse fatta circolare. Maffei aveva aggiunto a margine dei brevi commenti per spiegare meglio le varie fasi della cerimonia, a partire dal trasferimento di Anna da Westminster Hall, ossia dal Parlamento, all’abbazia di Westminster. Come sempre in queste occasioni, il corteo era stato attentamente ordinato, assegnando a tutte le cariche civili ed ecclesiastiche del regno e alla corte il posto, le vesti e le insegne in base al suo rango: una fase non meno importante di quella che si sarebbe svolta al chiuso, riservata alla chiesa e all’aristocrazia, perché era quella visibile a tutto il popolo. Oggi i riti della monarchia sono collettivi e condivisi, anche grazie alla circolazione dei giornali, della fotografia e – dall’incoronazione di Elisabetta II - della televisione. Ma all’epoca erano inaccessibili per le masse.

Ma torniamo alla nostra relazione del 1702. Nel testo si riconoscono i vari momenti dell’incoronazione inglese, che a grandi linee hanno un’origine medievale e sono giunti fino ai nostri giorni. Questi sono:

1) la ricognizione e il giuramento del sovrano: l’arcivescovo di Canterbury chiede il riconoscimento del sovrano al popolo, che risponde con un’acclamazione. Il re giura poi di governare nel rispetto della legge e della consuetudine;

2) l’unzione: il monarca viene unto con l’olio santo: trattandosi della parte più sacra del rito, viene celata agli occhi del pubblico, e questo è il motivo per cui la relazione ne parla di sfuggita;

3) l’investitura: il monarca riceve le insegne della cavalleria (speroni, cintura), le vesti, il globo, gli scettri e l’anello;

4) l’incoronazione vera e propria: l’arcivescovo di Canterbury pone la corona sul capo del sovrano, dopodiché i pari si mettono in testa le loro corone. Ad Anna venne anche consegnata la Bibbia, gesto che oggi è posto prima dell’unzione; 

5) l’intronizzazione e l’omaggio: il sovrano in trono riceve l’omaggio di fedeltà dal clero e dai pari del regno, che per l’occasione erano preceduti da Giorgio di Hannover, il cugino di Anna designato erede al trono. All’epoca, arrivati a questo punto il tesoriere distribuiva (letteralmente, lanciava) ai presenti delle medaglie commemorative.  

6) la conclusione della funzione con la processione finale. Anna, dopo un offertorio, fece la comunione; poi, come avviene tuttora, depose le insegne con cui era stata incoronata nella cappella di Sant’Edoardo, indossò una seconda corona e si avviò all’uscita. È a questo punto che oggi si canta l’inno nazionale. Dal XX secolo, inoltre, il sovrano si porta a Buckingham Palace per salutare la folla, ma Anna, come da tradizione, tornò con tutto il corteo al palazzo del Parlamento.

Durante il solenne banchetto che seguì, nella sala si svolse un altro rituale medievale, che dal 1821 non si pratica più: il campione della regina a cavallo lanciava una sfida a chiunque contestasse il diritto della sua sovrana a sedere sul trono. Dopo il banchetto Anna si ritirò al Palazzo di St. James, terminando la giornata tra il suono delle campane e i fuochi d’artificio.

Ma per essere efficace, il fasto delle cerimonie non può essere solo raccontato: va visualizzato. Così, insieme alla relazione che Maffei mandò al suo re, si conservano in Archivio due grandi disegni dei “regàlia”, ossia le insegne del potere regio usate per la cerimonia, l’una dedicata alle vesti cerimoniali e agli oggetti liturgici, la seconda alle corone, agli scettri e ad altri oggetti simbolici. Queste tavole non furono concepite per Anna. Sono infatti la copia di due incisioni (The first plate of the Regalia e The second plate of the Regalia), realizzate da William Sherwin una quindicina d’anni prima, nel 1687, per la relazione a stampa dell’incoronazione dei predecessori di Anna, Giacomo II e Maria d’Este (Francis Sandford, The History of the Coronation of James II, by the Grace of God King of England, Scotland, France and Ireland, Defender of the Faith, and of His Royal Consort Queen Mary, London, Thomas Newcomb, 1687, consultabile qui: https://digitalcollections.nypl.org/items/510d47dc-926c-a3d9-e040-e00a18064a99 ). Il volume non dovette avere grande diffusione, almeno in Italia, così in mancanza di altri mezzi di riproduzione le due tavole vennero copiate a mano con qualche ingenuità e tradotte in francese perché fossero capite.

figura 1
[figura 1: I “regàlia” inglesi usati nell’incoronazione: le vesti, le spade, gli speroni, l’ampolla e il cucchiaio dell’unzione, il trono di Sant’Edoardo. Disegno anonimo, tratto dalla tavola di William Sherwin, The first plate of the Regalia, pubblicata in Francis Sandford, The History of the Coronation of James II…, inizio XVIII secolo (Archivio di Stato di Torino, Materie politiche per rapporto all’estero, Corti estere, Inghilterra, mazzo 1, n. 23, Relazione del cerimoniale praticatosi nella coronazione della regina Anna d’Inghilterra nel 1702)]

Vi si vedono vesti e insegne che sentiremo nominare più volte in questi giorni, per cui vale la pena spendere qualche parola. Va subito detto che la maggior parte di essi veniva fatta risalire per tradizione al re sant’Edoardo il Confessore (+ 1066), sepolto a Westminster: per rafforzare l’autorità del sovrano, era normale che si ricorresse – anche nel contesto anglicano – a oggetti fortemente identitari legati a un antenato santo o a un santo protettore. Cromwell li aveva fatti distruggere, come segni di superstizione e oppressione – potenza dei simboli ! -, così, al ritorno della monarchia nel 1661, per incoronare Carlo II erano stati rifatti ex novo. Partiamo quindi dalla prima tavola (figura 1). Sulla destra è la sedia di sant’Edoardo, un trono ligneo di stile gotico. Sotto il trono si intravede la celebre pietra di Scone, che veniva usata per le incoronazioni dei re di Scozia: dopo la conquista di quel regno da parte di Edoardo I d’Inghilterra, alla fine del Duecento, venne portata a Westminster e impiegata per le incoronazioni dei re inglesi. Rivendicata dagli scozzesi (la pietra fu anche rubata da alcuni indipendentisti nel Natale del 1950, e recuperata qualche mese dopo) dal 1996 è stata “restituita” al suo antico regno e viene riportata a Londra solo per l’incoronazione. Sopra la sedia si vedono nel disegno l’ampolla a forma d’aquila, che contiene l’olio santo, e il cucchiaio usati per l’unzione.

Sulla sinistra sono invece le vesti del sovrano: il manto reale (in alto a sinistra) e l’armilla o stola che si pone sul manto, simili a vesti liturgiche, esaltano a sacralità della persona del re. Nella seconda fila sono la supertunica, (niente di strano, anche se a noi oggi quel super- evoca curiose associazioni d’idee), ossia una ricca sopravveste di broccato dorato; una tunica; più in basso, il Colobium sindonis, una veste di lino bianco senza maniche, che simboleggia la rinuncia alla vanità del mondo e viene indossata per l’investitura, come gli speroni, un richiamo alla cavalleria medievale. Completano la raffigurazione delle calzature cerimoniali. Nel mezzo della tavola, invece, sono disegnate tre spade: da sinistra a destra, la spada della giustizia spirituale; quella della misericordia (che ha un nome proprio, Curtana), senza la punta; quella della giustizia temporale. Con il cucchiaio dell’unzione, sono tra i pochi oggetti sopravvissuti alla furia distruttrice di Cromwell.

Nella seconda tavola (figura 2) abbiamo: a sinistra lo scettro di Sant’Edoardo; quello con la colomba; quello con la croce; a destra uno scettro e un bastone d’avorio propri della regina. Al centro è il globo con la croce, segno del potere di Cristo sul mondo, da cui deriva quello del re; sopra e sotto, l’anello dell’incoronazione del re Giacomo (un anello che simboleggia le nozze tra il sovrano e il paese), e in basso quello della regina Maria d’Este. Tutt’intorno, ben cinque corone: quella di Sant’Edoardo, che doveva rimanere a Westminster; la “corona di parata del re Giacomo II” (ossia la “crown of state”), indossata durante la processione di ritorno; a destra: il cerchio gemmato portato dalle regine durante la processione d’andata; la corona con cui la regina fu incoronata; la “corona di parata della regina Maria”, anch’essa indossata al ritorno dall’abbazia.

figura 2
[figura 2: I “regalia” inglesi usati nell’incoronazione: gli scettri, le corone, il globo. Disegno anonimo, tratto dalla tavola di William Sherwin, The second plate of the Regalia pubblicata in Francis Sandford, The History of the Coronation of James II…, inizio XVIII secolo (Archivio di Stato di Torino, Materie politiche per rapporto all’estero, Corti estere, Inghilterra, mazzo 1, n. 23, Relazione…)]

Insieme alla relazione dell’incoronazione, se ne conserva un’altra per la seconda grande cerimonia della monarchia inglese, ossia l’apertura del Parlamento, con delle osservazioni di Maffei aggiunte intorno al 1711. Arrivato al punto in cui compare la “maestra della guardaroba”, anche se in modo molto …”sabaudo”, il nostro ambasciatore non resiste al gossip intorno al traumatico avvicendamento tra le amiche intime della regina, Sara Churchill, duchessa di Marborough, e la cugina Abigail Hill, lady Masham (“milady Masson”). Vicende che hanno ispirato La favorita (The Favourite) di Yorgos Lanthimos, uscito nelle sale nel 2018 con un cast stellare (Olivia Colman, Emma Stone e Rachel Weisz). 

A questi scritti, gli archivisti di Corte aggiunsero altri appunti sui cerimoniali d’incoronazione inglesi (figura 3), incluso quello tenuto nel 1714 per re Giorgio, il successore di Anna. Perché tanto interesse, ai piedi delle Alpi, per i rituali di una monarchia lontana, per di più protestante?

figura 3
[Figura 3: Traduzione di un ordine del conte maresciallo d’Inghilterra, concernente manti e corone dei pari del regno e delle loro consorti, inizio XVIII secolo (Archivio di Stato di Torino, Materie politiche per rapporto all’estero, Corti estere, Inghilterra, mazzo 1, n. 23, Relazione…)]

Coronando – è il caso di dirlo – uno sforzo secolare, grazie al trattato di Utrecht nel 1713 i duchi di Savoia riuscirono finalmente a diventare re. Re di Sicilia, col consenso di varie potenze tra cui l’Inghilterra: una monarchia che quei riti li celebrava con uno sfarzo e una continuità che poche altre avevano. La vigilia di Natale di quell’anno, nella cattedrale di Palermo, Vittorio Amedeo II ed Anna d’Orléans furono incoronati, per la prima e l’ultima volta nella storia della dinastia, con la sola corona mai posseduta realmente dai Savoia. Il rito, ispirato a quello degli antichi re normanni, svevi, angioini e aragonesi, ruotava intorno all’unzione, e fu seguito da festeggiamenti memorabili e di cui restano diversi resoconti. Di lì a pochi anni Vittorio Amedeo avrebbe dovuto cambiare la Sicilia con la Sardegna, che era un regno sì, ma dove non si erano mai incoronati i re.  Così i Savoia perdettero interesse per queste funzioni e per la sacralizzazione del sovrano. Il re si faceva magari ritrarre con una corona accanto, ma – nonostante quel che si legge su Wikipedia - era un oggetto virtuale, che esisteva solo sui dipinti.

Contesti diversi, soluzioni diverse. Anche in Gran Bretagna, dove l’incoronazione resiste, e il testo base è apparentemente simile a quello codificato nel Medioevo. “È sempre stato così”, pensa ammirato lo spettatore di oggi, ma il contesto, e quindi il significato della cerimonia, è radicalmente cambiato. Lo storico inglese David Cannadine ci ha scritto sopra un saggio fondante, che parla di reinvenzione della tradizione. I riti della monarchia inglese hanno acquistato in splendore e potere di convinzione dalla fine dell’Ottocento (dopo quasi due secoli di decadenza), man mano che declinava la potenza del monarca prima, della Gran Bretagna stessa poi. All’epoca di Anna non erano un anacronismo: il sovrano interveniva ancora pesantemente nella politica interna ed esterna del regno. Dal XIX secolo è stato invece relegato progressivamente a simbolo unificante della nazione, segno imparziale di stabilità in un’epoca di trasformazioni convulse. Così gli inglesi del Novecento, dimenticandosi della sciatteria delle incoronazioni del secolo precedente (a quella della regina Vittoria non si cantò neppure God save the Queen), potevano riconoscersi nel cerimoniale della monarchia come in una tradizione gloriosa ed esclusiva, ricordo dell’antica grandezza. Sarà interessante vedere se e quanto l’incoronazione di Carlo III riuscirà ad adattare ancora una volta al contesto – globale e multiculturale – un rito il cui successo risiede in buona parte nell’anacronismo.